Scendeva le
scale annaspando come a delineare nel profondo la sua magrezza fisica. A volte
ritornava la sera senza guardare i figli che ne decantavano la pace sul volto,
come se la sfuggevole presenza non fosse la donna del padre. Anna cercava
spesso di rimettere in ordine la sua dimensione di piccola romanziera della
realtà ma si trovava a condividere le disgrazie dei vicini, del marito che
sembrava girare in casa come in una prigione.
Circolava la
voce di non poter avere alcun contatto con il suo domestico, un uomo alto,
grazioso, con uno sguardo fisso nel vuoto. Nel paese conviveva con una ragazza
da molto tempo, facendo vera l’usanza di malafede di vederne la figlia di un
amore nascosto.
Non sorvolava
mai sulle accuse delle sue amiche di essersi accontentata di poco, come se la
sua famiglia fosse meno importante delle loro o i suoi capelli meno curati di
quelli corti e fini dell’interlocutrice. Portava con sé la cura di anni di una
vita terrena senza pietà di un uomo, il marito, incontrato per caso un giorno
sulla spiaggia sotto casa.
Lui esisteva
sentendo lei parlare: stava immobile a sentirne il dolce suono dei racconti ai
quali dedicava ormai molto tempo da quando i figli erano meno indispettiti dal
loro essere al mondo.
Guanti, stole,
bracciali, un anello che teneva nascosto, una serie di collezioni con le quali
riempiva scatoloni della mansarda prestata dai vicini spesso sentenziosi su di
chi fossero gli averi.
Camminava spesso
nei sentieri della campagna mogia, silenziosa e torrida, ammirando con i figli
la natura del padre, come se per loro non ci fosse differenza tra gli esseri
umani e i fili d’erba da osservare. Non faceva domande che non fossero sentenze
per i suoi amici, trovando come risposta altre frasi fuori tema, come se osasse
troppo nel porre interrogativi.
La tranquillità
della città era spesso interrotta e lei ne sentiva il peso come se ogni azione
di ladri, violenti e rissosi corrispondesse a una perdita dei suoi valori. Le
appariva insulso e non solo strano non poter fermare il male intricato e
torbido che si inframmezzava alla sua visione della vita. In quei momenti
cercava spesso un rifugio nei suoi ricordi dell’adolescenza soave e piena di
ammonimenti e rinunce ma anche fitta di sorprese che visse, incurante del
circondario. Desiderava spesso ritornarvi con la mente come se potesse
riascoltare il suono delle parole dei suoi nonni o il fragore delle ore di
giochi.
Con le punte dei
piedi sulla banchigia, appesantiva i libri scritti con pensieri sul futuro
possibile, magari un’altra città, un altro sentimento da sostituire a quello
per i suoi concittadini. L’estraneità che non le apparteneva l’avrebbe fatta
sorridere e inorridire del passato. I pensieri della sua solitudine rubata al
presente erano come figure di un sogno notturno, al tramonto di una vecchia
abitudine che sarebbe finita nell’album di fotografie dimenticate. Ritornata a
casa da un giorno di lavoro evitava ancora di ripensarvi, cercava motivi per
non farne il bottino di una guerra che non voleva combattere.
Preferiva sempre
lui, il suo fare lieve che la colpiva al punto da non rispondergli quasi mai.
La sua illusione era sempre quella singolare della certezza di un sentimento
inossidabile, forse addomesticato dal mondo ma colto in un bagliore del
firmamento, in una notte di costellazioni vivide. Colori e immagini di una sola
fonte di sopravvivenza, contemporaneamente negata e ammirata dall’esterno.
Trascorreva i giorni come se quelle sensazioni fossero pareti della sua casa.
Nella sua fragilità di donna inventava oggetti da usare come consuetudine ma
che colpivano per la loro estrosità.
I suoi amici ne
erano spesso coinvolti, come se dovessero trovare in quegli oggetti qualcosa
che la loro ospite non concepiva. E le domandavano spesso di rivederli, quei
frammenti di un senso estetico nuovo. La dolcezza di Anna in quei momenti era
stranamente sostituita a un senso di vuoto, come una vertigine che le toglieva
franchezza e sminuiva la sua ammirazione da parte dei conoscenti. Per lei
l’arte era qualcosa di insospettabile, colta in un incontro tra due sconosciuti
e lasciata albeggiare.
Sembrava spesso
che nessuno si accorgesse della pienezza della sua libertà, come se dovesse
avere un ruolo attoriale il convincere della propria. Nel mare delle loro
debolezze e delle loro forze, la donna che guardava ogni giorno suo marito e i
suoi figli si sentiva simile a un suono leggero come se non dovessere
accorgersi di qualcosa in particolare. Aveva tutto o forse doveva averlo,
eppure ogni dialogo con i suoi diventava ancora un altro luogo da rammemorare e
per lei non esisteva altro.