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lunedì 20 aprile 2015

Le strade del paesaggio... che esperienza fumettistica!


Il problema della verità




All’interno della riflessione filosofica il problema della verità emerge laddove il legame tra ciò che è evidente di per sé e ciò che diventa significativo si scontra con quella che si denomina falsità. Io sostengo che esiste la possibilità di districare quella che può essere considerata la portata significativa dei fenomeni semiotici attraverso la forma logica e l’analisi di essa. I maggiori filosofi del linguaggio e i precursori delle ricerche contemporanee hanno lasciato in eredità la complessità della questione. Mi propongo di analizzare alcuni degli aspetti che C. S. Peirce e F. de Saussure hanno affronato a sostegno della mia tesi.
Nella topologia peirceana ci sono due luoghi specifici che a mio parere risultano significativi: in “New Elements” (1904) Peirce fa dell’arbitrarietà della lettera il modello di riferimento per l’analisi dei rapporti tra materia e forma semiotica; in “On the Logic of Drawing History from Ancient Documents” (1901) il filosofo delinea il nucleo d’osservazione per una vera analisi della struttura storica del reale. Dal lato saussuriano, invece, considero rilevanti al nostro proposito tre nozioni: quella di sistema, di flusso linguistico e di oggetto. Le prime due possono essere considerate come nozioni antinomiche rispetto a quel particolare modo di stringere la verità nella complessità del linguaggio. Sistema e flusso linguistico, insieme al problema epistemologico (ma non solo) dell’oggetto, riconducono all’analisi della forma linguistica, laddove il problema della verità si aggrappa a quello della differenzialità del sistema segnico.
1. Dall’unione dei due articoli di Peirce rispetto al nostro problema emerge la necessità di introdurre lo strumento dinamico di analisi e realizzazione della forma logica che è quello dei grafi esistenziali. Il testimone storico è infatti ancorato in ogni caso, che sia vivo o morto, nella profondità della materia significativa del sistema semiotico di cui è segno in-relazione-a un oggetto e un interpretante. Gli elementi di senso che la materia trasporta sono portatori di energia: essa è Firstness, potenzialità pura. In tal senso il secondo Peirce risulta più chiaro nella spiegazione del passaggio da una categoria all’altra, proprio in virtù della struttura comune della portata fenomenica del dato con il modello categoriale che è la stessa semiosi. Possiamo definire grafo esistenziale la rappresentazione diagrammatica di una specifica relazione logica. Dal lato dell’analisi del dato che emerge da ciascun grafo-segno, dunque, non è possibile altra funzione linguistica se non quella del mostrare la verità. Ma dall’altro lato, quello che si mostra come luogo della singolarità del segno in sé, ossia della sua Firstness (degenarata rispetto alla sua terzità e secondità emergente), la funzione logica assume caratteri inanalizzabili. Gli autori che si occupano specificamente del modello dei grafi esistenziali (pensiamo a Carlo Sini, Rossella Fabbrichesi Leo, ecc.) hanno evidenziato il carattere non definitrio della forma logica del grafo. Per far sì, effettivamente, che la trascrizione (in senso tecnico) sia realmente ancorata alla realtà segnica è necessario domandarsi, ancora, cosa c’è oltre la grafematicità nel suo senso più comune. Peirce : 1901 affronta proprio questo problema. Parafrasandolo ancora possiamo chiederci se è lecito attribuire alla materialità grafica la funzione di verità alla quale Peirce si appiglia. È davvero possibile che la diagrammaticità risolva di per sé la complessità delle relazioni di cui i grafi ed ogni significato riconosciuto come tale portano con sé?

2. In Saussure il problema della verità è equivalente al problema della verità linguistica, che richiama la tesi di De Mauro, ad esempio, nel rapporto tra verità storico-naturale delle lingue e verità scientifica. Si tratta di riconsiderare in abstracto (e non in vitro=artificialmente) le realtà linguistiche per poi riconsegnarle alla massa indistruttibile di significatività che il soggetto parlante porta con sé. È il problema del luogo, inteso non tanto come antinomia tra contesto e cotesto ma nella definizione saussuriana di FORMA. Il segno è la forma ed eccede qualsiasi entità che abbia la funzione di SOMA, involucro o, in altri termini, mera apparenza. In questo senso dobbiamo riprendere in considerazione il problema della differenzialità così come è stato posto da Roy Harris nel suo articolo del 2000 (cfr. Harris : 2000a). La nozione di sistema è quella che a mio parere risulta problematica ma efficace proprio rispetto al problema della verità. Il breve item in Saussure : 2005 (cfr. Saussure, 2005, pp. 14-15) mostra come Saussure pone in primo piano l’idea di punto di vista. È il punto di vista che permette, possiamo dire, di circoscrivere la realtà linguistica del segno. Ora, cosa comporta rimarcarne il senso rispetto alla verità che ci interessa è proprio la difficile questione che Saussure, afferma Harris, lascia irrisolta. È anche qui che Harris riporta l’idea saussuriana dei rapporti differenziali all’analisi del sistema linguistico. Partendo dalla premessa dell’isomorfismo tra lingua e scrittura – che abbiamo specificato come lingua scritta e lingua vocale – Harris rivela l’irrisolutezza della conclusione di Saussure che vede il segno come unione quaternionale di Significato e  Significante. Potremmo azzardare l’ipotesi (di certo la sua verità è un’altra cosa) che non c’è alcuna verità nel sistema saussuriano. In qualche modo il segno per essere vero deve poter essere irriconoscibile di per sé. È nel paradosso dell’irriducibilità della forma con l’informe o massa amorfa del linguaggio che si perde la definibilità del dato di senso del segno.  Se il flusso linguistico vive in ciò che è amorfo può la verità risiedere nella materia segnica? La risposta di Saussure è in parte negativa: in parte perché la materia non può rispecchiare la forma linguistica in ogni suo aspetto. È necessario quindi ricomporre l’oggetto secondo il punto di vista linguistico. Come nota Harris, esso è nient’altro che il circolo vizioso saussuriano.

3. Come abbiamo visto in Peirce, per poter accedere ad un modo, un tipo di segno e dunque alla vera qualità significativa di cui è portatore, è necessario poter decostruire attraverso le categorie la realtà fenomenica più evidente che ci appare come segno indipendentemente dalla materia di cui è costituito. Se per materialità consideriamo invece che la separazione segno/oggetto l’interpretante del segno, possiamo ricondurre ad esso il problema della logica della verità. L’insolubilità della questione non ha a che fare, dunque, con la risposta alla domanda “cosa è la verità” ma con quali logiche se ne determina la funzione; è così che possiamo riguardare l’idea saussuriana di punto di vista e che può essere ricondotto, come idea di base, a quella di forma significativa che Peirce espone in Man’s Glass Essence. Cosa comporta relazionare il codice linguistico alla semiosi che vive nel mondo organico e inorganico, nelle piante e nei cristalli ed infine nell’uomo? In Evolutionary Love Peirce costringe il segno alla continuità, alle occasioni che sono, in qualche modo, i luoghi della verità. Nell’indeterminatezza delle Triadi signficanti possono essere enucleate le variazioni tra le menti e tra i segni come menti.

4. Non c’è alcuna questione che non rimandi a quella della verità. Questo può essere considerato un corollario della tesi che propongo, nel senso in cui abbiamo accennato più su. Il rapporto del dato vero con l’errore è un modo che pemette di avvicinare in molti casi alla nozione considerata. La realtà logica che risiede nella forma linguistica deve quindi avere caratteri discreti nel senso di determinanti e non determinati (già da qualche altra parte o per un mezzo esterno alla propria forma). Come ha rilevato Harris non ci sono “gaps”, rotture, zone d’ombra, o irreversibilità nello spazio linguistico. La possibilità del fallibilismo che Peirce analizza è parallela a quella del riconoscimento della verità. Non soltanto perché è vero che si può essere in errore, secondo uno schema tautologico, ma è necessaria la rielaborazione della strada, del percorso che dalle cause porta alle ragioni. Ciò che in Peirce differenzia le “chances” dalle cause lo si comprende attraverso la nozione di sinechismo, che è la tendenza di ricognizione di una vera continuità tra mente e mondo dei segni.
In un’ultima analisi possiamo ricondurre la nozione di verità a quella di una reale corrispondenza tra le forme codificabili e altre non ancora rese tali dalla sistematicità del linguaggio. A tal proposito vorrei richiamare il Wittgenstein di The Brown and the Blue Books, in cui l’autore evidenzia come il senso comune delle azioni razionali e dunque pratiche sia ancorato alla natura della relazionalità tra i segni. Il gioco linguistico non è legato (come in altri termini afferma anche Peirce) al risultato (che è certamente vero) ma è esso stesso il Valore dell’azione. In questo senso non ci sono che logiche delle verità, determinabili perché scomponibili attraverso i sensi della prassi umana. Nei giochi linguistici la tendenza non è tanto quella di una determinazione assoluta, di una sorta di legge o assioma non discutibile, ma è al contrario la possibilità di un passaggio INDETERMINABILE dall’immotivato all’arbitrario, attraverso un modello di riferimento non risolvibile in una singola pratica. È un po’ come del caso di “oblio” che Saussure espone a proposito delle Leggende Germaniche (cfr. Prosdocimi : 1983) : l’indeterminatezza è ancella della significazione, di una memoria vera perché realizzabile tra i margini dell’inconoscibile. Il senso dell’incompletezza è nel movimento di cui la forma logica si nutre, legandosi a norme, codici, segni visti come testi, al di là delle singole occorrenze antinomiche. Tuttavia, non sarebbe possibile alcuna conoscenza (intesa come una ricognizione) senza la pratica dell’analisi formale dei giochi linguistici. Un’analogia portata agli estremi, una sorta di macchina a-logica, sarebbe irreale, falsa, poiché condurrebbe ad un grado di artificiosità estrema. In effetti, la standardizzazione che ritroviamo nelle leggi antiche, ad esempio, ci appaiono così lontane per una distanza dei luoghi logici, una distanza che rende la difformità di pratiche che hanno perso l’ancora sociale o mentale. Dal punto di vista retrospettivo che Peirce e Saussure considerano rilevante non è, dunque, in dubbio la necessità di un termine di paragone tale da essere normatività costante e non costrittiva dell’impiego piuttosto che del mero uso dei segni. 

Simbolicità e scrittura




Abstract



In this paper I consider the relationship between writing and the other semiological systems in the recent discussion.
In the first chapter I explain something about Peirce’s consideration of existential graphs related to diagrammatic thought. His approach permits to convey the overlap of a semiotic approach to pragmaticism in which the link between symbols and writing becomes clear. According to Peirce, the irreversible process of semiosi, in the terms of a passage from a logic interpretant to another one, is a habit related to another sign that realizes the acts of communication. Further, the hypothesis of a construction of the signification is one of the most important for an approach to pragmatism as well as it’s maintained by modern philosophers. The sense of communicative verbal symbols is, at first, a way to explore the human communication, because of the sketch of linguistic games in which the diagrams meet the reconstruction of scientific thought is the question connected to writing in his alliance with the linguistic systems of signs.
In the second chapter I consider Saussure’s semiological approach to writing. In his three courses of lectures on General linguistics, Saussure explains the isomorphism between writing system and langue through two proprieties: the analogical likeness and the homological correspondence. However, there are more levels in semiological dimensions, and the signs of writing maintain the semiotic autonomy in their significant forms. According to Luis J. Prieto there is a non-realized symmetry between graphical signs and phonetic signs in two or more complementary languages. In a deep analysis of linguistic forms there is an incomplete parallelism between writing and languages systems. In Saussure’s thought the anagrams are a land of investigation to explain the literary evidence of the linguistic structures, in which rules and norms are connected with the symbolic forms of writing. Effectively, if we take advantage of his research in the Germanic Legends, we’ll see the insurance of the alliance between symbols and linguistic signs, in which poetry is not a closed recipient, because it is linked with speakers.
In the third chapter there is a reconsideration of what the two authors suggested. The signs of writing are semiological forms that permit to formulate some hypotheses of any systematical existence of writing that in verbal communication are as transformations of parallel systemic characters that can be jointed. In that sense every system of symbols is related to linguistic and pre-linguistic symbolic form. Verbal and non verbal communication, in fact, maintain a link in pragmatic inquiry through existential graphs and their application in Peirce's literature. Continuity, unity and identity are three terms strictly connected to the semiological forms. I try to illustrate some points that Peirce and Saussure have in common in the formulations of their thesis to build an image of the similar matters they have and the resolution of their speculation about writing considered through the positions of contemporary authors.
In the fourth chapter I connect Saussure and Peirce to contemporary debate. I explain in what sense writing is a witness of language in the general linguistic model, as a form of complex scheme of the relationship between signs that maintain the verbal thought. The signs of writing are not mere manifestations of what is expressed by linguistic systems. The iteration of symbolic forms is a first materialization of the tendency of the significance in writing to realize the point of conjunction with the other semiological systems in which more levels are connected. Tullio De Mauro’s reflection on langue as a historical document (referred to Saussure’s thought) permits to bring out the possibility of a reconsideration between the scientific recognition of Saussure’s research and the signs of writing in the linguistic system, from literature to writing languages.
In conclusion, the vastitude of formulations that look for writing as an artificial instrument of the langue needs the intervention of a consolidation of the different forms of writing and the necessity of a limit not only in structural systems, but also in the incongruities as well as the singularity of sign, through the dimensions that realize the signification. It is necessary to exclude the history of symbols incorporated in linguistic context to take the specific significance of writing. The writing forms are not only the graphic signals as pure image or impression, because of the complex characters of writing representations are not any syntheses of linguistic tradition, or positions in social groups in which the signs of writing take place; further, to discuss about writing languages as well as a mere instrument of thought is redundant.

 




































0. Premessa



Nella discussione recente che riguarda la semiologia della scrittura i sistemi scritti hanno un ruolo parallelo a quelli parlati[1] e manifestano strutture simili, la coincidenza delle quali è stata analizzata da linguisti, semiologi e filosofi[2] che hanno avvicinato le forme linguistiche sulla base della necessità di comprenderne il funzionamento o la struttura o, ancora, il modo di realizzazione nei diversi contesti d’uso. Facendo un passo indietro nella storia delle riflessioni inerenti alla realtà semiologica ci sono due punti di riferimento principali, precursori degli studi contemporanei e riformulatori delle ricerche a loro vicine, che hanno segnato il termine di una riflessione che si presentava, invece, spesso frammentaria e non omogenea. Si tratta di Charles Sanders Peirce e di Ferdinand de Saussure, i cui nomi risuonano in ogni manuale e in molte delle ricerche contemporanee, e la preminenza dei quali sembra non poter essere abbandonata né ignorata. Riprendiamo in questo lavoro alcuni fili conduttori della ricerca che sono impliciti a quelli di molti studi odierni, cercando di dare uno spunto per allinearne i sensi di indagine rispetto alla riflessione che riguarda specificatamente la scrittura.
Nel primo capitolo affrontiamo i luoghi in cui Peirce delinea le categorie e dunque le relazioni triadiche in connessione non soltanto alla significatività del simbolo, ma anche ad una grafematicità intesa come possibilità materiale di realizzazione meta-rappresentativa della semiosi. In effetti, la degenerabilità delle categorie permette di guardare al percorso che va dall’iconicità alla simbolicità attraverso la diagrammatizzazione delle inferenze. La ricerca peirceana sui diagrammi si interpone nello spazio di riflessione che il filosofo dedica fin dalle prime considerazioni sulla logica algebrica e sulla semiosi. Le categorie, così come sono presentate da Peirce, hanno un ruolo cardinale rispetto alla formazione della sintassi diagrammatica, fondamento della relazionalità tra i segni iconici e indicali.
Alla luce degli studi più recenti, legati al problema peirceano della rappresentazione grafica di una scrittura configuratesi come lingua, si pone necessaria la domanda sulla relazionalità semiologica di lingua e scrittura che, in effetti, quasi in nessun caso si configurano l’una come specchio dell’altra. La possibilità dei grafi esistenziali di costituirsi come base del pragmaticismo mette in luce il tentativo di Peirce, che è anche la questione che si sono posti alcuni tra gli studiosi contemporanei, di guardare alla dinamicità della significazione e di abbandonare la preminenza dell’immutabilità di senso nei processi di significazione. Appare così necessario considerare l’approccio che dalla semiotica della scrittura si accosta alla caratterizzazione linguistica del sistema semiologico di riferimento.
Nel secondo capitolo vogliamo delineare, ai margini della semiologia saussuriana, i luoghi principali che ruotano attorno alla nozione di scrittura, nei termini più presenti tra gli scritti pubblicati del linguista ginevrino. La scrittura è considerata da Saussure nei termini della differenziazione tra le lingue, e si costituisce come sintesi del percorso che il linguista compie negli anni delle lezioni dei tre corsi di Linguistica generale. Poniamo quindi a confronto il primo ed il secondo corso degli studenti di Saussure con il terzo corso e rispetto ad alcuni punti citati negli Écrits de linguistique générale[3] attraverso il percorso saussuriano che dalla scrittura come sistema si avvicina alle diverse forme di scrittura, e avviciniamo i luoghi in cui la spiegazione saussuriana delinea uno iato tra linguistica e semiologia.
Nel terzo capitolo cerchiamo di tenere in mano i punti essenziali che i due autori ci hanno suggerito, e dunque da un lato, la semiosi dei grafi esistenziali e dall’altro la scrittura come lingua generale che determina la coevoluzione e la coesistenza con il sistema semiologico di riferimento. I segni della scrittura, considerati come testimonianza della negatività linguistica, permettono di formulare un’ipotesi di sussistenza sistemica della lingua scritta rispetto alla lingua parlata che nella comunicazione rimane trasformazione o residuo di proprietà sistemiche parallele ma non incongiungibili.
Nel quarto capitolo vediamo in che senso possiamo dire che ci sono proprietà che abbracciano il campo semiologico che escludono alcuni aspetti relazionabili alla lingua scritta. Possiamo, infatti, riguardare le proprietà specifiche della scrittura che delimitano il sistema linguistico: la scrittura è testimone delle età linguistiche all’interno del modello generale che è la lingua, attraverso la forma di schema complesso della relazionalità segnica che regge il pensiero verbale. La vastità della formulazione che guarda alla scrittura come ad uno strumento artificiale che si pone nella naturalità della lingua richiede l’analisi di forme diverse di scrittura e la necessità di tenere in considerazione non soltanto le sistematicità strutturali ma le incongruenze, tra le quali quella individuale del segno è la base, nelle dimensioni che ne realizzano le forme significative. Si tratta allora di de-storicizzare la simbolicità interna ad ogni contesto linguistico per poter cogliere la significatività specifica della scrittura, nella forma che supera il valore del segno grafico considerato di per sé come pura immagine o impressione. Il carattere complesso della rappresentazione scritta non può dunque essere sintetizzato dalla tradizione linguistica, né dalla posizione che la scrittura assume in un gruppo sociale; tuttavia, anche parlare di semplice strumento del pensiero risulta ridondante.












1. Scrittura e diagrammaticità






Doubt and Belief, as the words are commonly employed, relate to religious or other grave discussion. But here I use them to designate the starting of any question, no matter how small or how great, and the resolution of it.
C. S. Peirce, 1992 [1878], pp. 127-128.














1.0. Premessa: le categorie e la logica grafemica nella riflessione di Charles Sanders Peirce



In Peirce le categorie e dunque le relazioni triadiche delle dieci tricotomie mostrano gradi diversi di relazionalità non manifeste nell’osservazione immediata, ma che si delineano come substrati della significatività del simbolo. La grafematicità come possibilità materiale di realizzazione meta-rappresentativa della scrittura permette di districare la portata filosofica della posizione di Peirce rispetto ai grafi. Se possiamo affermare che esiste una degenerabilità delle categorie, possiamo anche considerare il percorso inverso dal simbolo all'iconicità dei segni in cui la permanenza della degenerazione di ciascuna forma si mostra nella diagrammatizzazione delle inferenze. La ricerca peirceana sui grafi si interpone nella spazio di riflessione che il filosofo dedica fina dalle prime riflessioni sulla logica algebrica e sulla semiosi. In effetti, le categorie, così come sono presentate da Peirce, hanno un ruolo cardinale rispetto alla formazione della sintassi diagrammatica, fondamento della relazionalità tra i segni iconici e indicali. È attraverso la categoria della Secondità che dobbiamo, infatti, approcciare al discorso peirceano della simbolicità. Tra tradizione e innovazione, i diagrammi si costituiscono come punto di riferimento nella ricerca scientifica quotidiana, evidenziando come le lingue e la scrittura non sono le une specchio dell’altra ma ciascuna porta con sé una specificità pregressa che si corrisponde nella sintassi grafemica. La concezione filosofica di fondo che emerge dalle parti più accessibili degli scritti peirceani è quella del pragmaticismo che ribalta l’antica credenza della staticità della rappresentazione. Il segno non già determinato è invece determinante, portatore di significazione.


1.1. I simboli come luoghi della semiosi



I luoghi della continuità che si manifestano nelle categorie peirceane destinate a classificare l’esperienza e le differenti tipologie segniche, si basano sulla premessa di un isomorfismo tra ragionamento, logica e semiotica. Risulta inutile e insensato, seguendo Peirce, andare alla ricerca di una distinzione netta tra il modo attraverso il quale conosciamo i fenomeni governati da leggi esistenti e la logica, dunque i segni attraverso i quali il ragionamento si dispiega. In effetti, affinché le forme del ragionamento abbiano una premessa fondata sull'effettiva relazionalità segnica è necessario ripercorrere gli spazi logico-simbolici dei sistemi semiotici. La continuità logica, di per sé, come proprietà dei sistemi semiotici implica che, qualsiasi sia il punto dal quale scegliamo di iniziare per affrontare il percorso tra le variabili del ragionamento dispiegato attraverso le forme segniche, l’incontro con almeno un altro degli elementi tra quelli considerati sia inevitabile.

«I carry the doctrine so far as to maintain that continuity governs the whole domain of experience in every element of it.[4]»

Le categorie sono generali applicabili ad ogni tipo di forme esistenti, del mondo organico e inorganico, e sono la Primità (Orienza o Originarietà), la Secondità (Obsistenza o Binarità) e la Terzità (Transuazione o Mediazione) che muovono incessantemente i processi di trasformazione segnica, da icone a indici a simboli. Peirce chiama Sinechismo lo sviluppo evolutivo dei segni che avviene nello scambio ininterrotto tra mente e mondo, nella tendenza dell’uno di appropriarsi dell’altro.

«The word synechism is the English form of the Greek συνεχισμός, from συνεχής, continuous. For two centuries we have been affixing -ist and –ism to words, in order to note sects which exalt the importance of those elements which the stem-words signify. Thus, materialism is the doctrine that matter is everything, idealism the doctrine that ideas are everything, dualism the philosophy which splits everything in two. In like manner, I have proposed to make synechism mean the tendency to regard everything as continuous. [5]»

In questo senso l’origine della continuità è il ragionamento, ossia l’arte di ordinare segni. Poiché ogni mente può manipolare segni, secondo Peirce, dobbiamo pensare di condividere un sistema di segni, dai simboli, segni genuini, agli indici e alle icone, rispettivamente segni degenerati di grado minore e degenerati di grado maggiore, in base ai tipi di spostamenti categoriali tra la mente (utterer) emittente e la mente ricevente (interpreter) dei segni e i relativi mutamenti interni a ciascun segno[6]. In questo senso l’iconicità è sempre in gioco nella comunicazione, nell’azione specificatamente umana che è dialogica. Riconoscere un evento come tale attraverso segni implica assumerlo come segno: ad esempio, è iconico qualsiasi segno riconosciuto come tale poiché se ne riconosce la somiglianza con un altro segno. Non ci sono segni più iconici o meno iconici in sé, ma solo all’interno del sistema in cui si muovono e dunque per le menti che li condividono. Anche in questo senso, la possibilità di esistenza è comunque nella semiosi, nel ragionamento, nella logica. Il segno degenerato di grado maggiore, l’icona, è dunque inevitabilmente legato (e continuamente rimanda) agli altri tipi di segni.

«There are three kinds of signs. Firstly, there are likeness, or icons; which serve to convey ideas of the things they represent simply by imitating them.[7]»

L’icona è allora il punto di inizio del processo semiotico e logico. In effetti, il ragionamento matematico ne è pervaso ed è proprio da questo tipo di ragionamento che Peirce prende le mosse per spiegare il tipo di sintassi diagrammatica dei grafi esistenziali, forma innovativa di creazione logica. È nel sistema dei diagrammi che si lega, infatti, la prima forma di sistematizzazione del pensiero nel ragionamento che Peirce definisce necessario[8].

«The reasoning of mathematicians will be found to turn chiefly upon the use of likeness, which are the very hinges of the gates of their science. The utility of likeness to mathematicians consist in their suggesting, in a very precise way, new aspect of supposed states of things.[9]»

La capacità dei simboli di incorporare l’iconicità diagrammatica si basa sulla differenza tra i diversi tipi di segni ma anche sulla stretta relazionalità tra di essi. Seguendo Peirce, infatti, e la tripartizione del segno in oggetto, interpretante e representamen, un’icona ha un oggetto, un segnale che permette di avere un incontro con esso e, malgrado non abbia di per sé un interpretante, è un segno che interviene nei processi logici dei ragionamenti simbolici attraverso l’interrelazione con gli interpretanti e dunque i simboli. Nel dibattito più recente sull’iconicità si ritrovano spesso messi a confronto alcuni aspetti che non riguardano tanto l’iconicità come proprietà di un segno e dunque di qualità inerente ad esso e, dunque, nella semiosi, capace di condividerne la base con un segno ad esso vicino, ma come pura somiglianza. La complessità della semiosi non è riducibile ad una semplice qualità condivisa, poiché l’iconicità può, nell’ottica peirceana, porsi all’interno della logica abduttiva, per esempio, come ipotesi all’interno del processo di interpretazione.


1.2. L’interpretante e la semiosi grafemica



Ci sono proprietà della semiosi che vanno a completare la categorizzazione tassonomica che caratterizza l’esistenza di ciascuna forma significativa. Una di queste è la determinazione dei segni complessi, nel loro stesso formarsi come tali. In effetti, il primo punto che si può pensare come luogo di stallo tra forma semiosica in sé e azione pragmatica è quello del segno che si realizza in se stesso, attraverso dunque un oggetto, un interpretante e un representamen. Peirce considera un segno che è, nella sua forma, perfetto.

Consider then the aggregate formed by a sign and all the signs which its occurrence carries with it. This aggregate will itself be a sign; and we may call it a perfect sign, in the sense that it involves the present existence of no other sign except such as are ingredients of itself. Now no perfect sign is in a statical condition: you might as well suppose a portion of matter to remain at rest during a thousandth of a second, or any other long interval of time. The only signs which are tolerably fixed are non-existent abstractions. We cannot deny that such a sign is real; only its mode of reality is not that active kind which we call existence. The existent acts, and whatsoever acts changes...
Every real ingredient of the perfect sign is aging, its energy of action upon the interpretant is running low, its sharp edges are wearing down, its outlines becoming more indefinite.
On the other hand, the perfect sign is perpetually being acted upon by its object, from which it is perpetually receiving the accretions of new signs, which bring it fresh energy, and also kindle energy that it already had, but which had lai dormant.
In addition, the perfect sign never ceases to undergo changes of the kind we rather drolly call spontaneous, that is, they happen sua sponte but not by its will. They are phenomena of growth.
Such perfect sign is a quasi-mind. It is the sheet of assertion of Existential Graphs...
This quasi-mind is an object which from whatever standpoint it be examined, must evidently have, like anything else, its special qualities of susceptibility to determination. Moreover, the determinations come as events each one once for all and never again. Furthermore, it must have its rules or laws, the more special ones variable, others invariable.[10]
                                                          
Le leggi e le regole valide all’interno del segno perfetto che è il foglio di asserzione, con i vincoli che lo delimitano, realizzano la sintassi diagrammatica dei grafi esistenziali. Si tratta di una significazione impossibile di per sé, poiché la sua verità materiale è necessariamente subordinata alle operazioni e ai giochi logici della sintassi diagrammatica, ossia alla forma. La classificazione dei segni attraverso le tassonomie, da un lato, e le leggi o regole che governano la realtà delle proprietà che agiscono come qualità relazionali, dall’altro, si incontrano nella costruzione logica dei grafi. Applicando delle convenzioni al foglio bianco che è l’esistente, i grafi esistenziali permettono di vedere i passi che avvicinano attraverso le trasformazioni alla conclusione degli argomenti. Si apre quindi la questione dei grafi esistenziali che accompagnano il pensiero del filosofo che permette di ricostruire attraverso gli strumenti della riflessione logico-matematica le specificità dei sistemi semiologici.
Nel rapporto dinamico tra le forze dei segni, in base alla forma (tale perché ciascun segno è legato al proprio oggetto) iconica, indicale e simbolica, le relazioni tra oggetto, representamen e interpretante si manifestano attraverso il tipo stesso di segno che si manifesta. Tuttavia, malgrado il grafo esistenziale sia un diagramma complesso, esso non è che una parte del segno che rappresenta. Nella sua costituzione materiale, manifesta, infatti, alcuni attributi o proprietà che vanno a intrecciare le caratteristiche dei simboli. Lo spazio del foglio è già segno con un certo valore esistenziale, la cui esistenza, cioè, ha un valore logico di verità, ovvero una realtà oggettuale di riferimento. Peirce afferma che anche la prima scrittura di un grafo è la modificazione del grafo già scritto. Di fatto l’uomo-segno è un simbolo, legato al suo oggetto attraverso il legame correlativo e immutabile, in generale, nel suo continuum. La questione che Peirce pone in relazione alla determinazione grafemica dei segni è quella dell’identità del simbolo[11]. Se vi è un sistema normativo questo è il sistema rappresentazionale dei grafi, contemporaneamente regola e forza logica. La verità rappresentativa dei grafi si basa su un’immagine che deve essere in qualche modo connessa con un simbolo che ne permetta l’interpretazione, perciò si scompongono le parti del simbolo e vanno a costituirsi le leggi del grafo stesso, leggi che possono essere modificate attraverso l’introduzione di convenzioni specifiche. Una classe di queste è costituita dalle ultime lettere (maiuscole) dell’alfabeto, i selettivi violano la legge del sistema introducendo un’altra legge, secondo la quale l’occorrenza più esterna di ogni selettivo ha una forza significativa diversa da ogni altra occorrenza. Se è vero che l’interpretante (che per essere tale deve aderire alle massime del pragmaticismo) è il luogo privilegiato per rappresentare le forme conoscitive attraverso una formulazione teorica universale, esso assume caratteristiche specifiche là dove si guarda ai tipi di oggetti, in virtù del fatto che la semiotica è il primo mattone per la costruzione dell’ontologia. Quello dell’oggetto del segno è un aspetto del pensiero peirceano che permette di circoscrivere la sezione problematica del rapporto tra simbolico e linguistico passando attraverso la via della diagrammaticità, primo passo esemplificativo della categorizzazione peirceana delle entità semiotiche. Si tratta, ancora, di stabilire la determinazione della forma significativa in questione, nel suo imporsi come significazione che, come tale, è ancorata all’instabilità o mutabilità del significato. L’indeterminatezza del segno, infatti, è essa stessa radicata nel rapporto effettivo di dipendenza dall’oggetto. Quella che si pone come funzione continua tra interpretante, segno e oggetto, infatti, è una realtà oggettiva del segno stesso in rapporto ad una delle forme o entità di cui esso è composto. Fra i tre tipi di modi in cui l’oggetto si collega al segno, ossia in rapporto al suo interpretante, al representamen o al suo oggetto è in base all’oggetto che si costituisce come fatto materiale regolato e normativo.
Quella particolare forma di scrittura che governa la semiotica peirceana, lontana dall’essere il risultato di un’azione esterna proiettata sul foglio di asserzione dei grafi esistenziali che si basa su un’azione prende le mosse da una sorta di assioma idealista, secondo cui la logica mostra la verità. Peirce propone dunque quello che di fatto si configura come un calcolo intuitivo basato sulla forma costitutiva del foglio di asserzione. L’esistenza è il foglio stesso, icona, di per sé, della verità intesa come stretta appartenenza ai segni ed alla realtà che essi manifestano attraverso la costruzione grafemica, fino alla manifestazione della realtà del segno nell’abito o interpretante logico finale. I grafi esistenziali sono, in questo senso, ciò che permette ai pensieri non ancora linguisticizzati di essere visibili e dunque assumere la prima forma immediatamente successiva nella sua prossimità a quella dei simboli linguistici. La mente, così, trova i suoi spazi là dove vi è una mancanza rappresentativa. Il limen, la soglia di attraversamento dal versante puramente iconico a quello simbolico, permette dunque di riconoscere sommariamente e a volte puramente quantitativamente le parti nel loro ordine.

«The reasoner makes some sort of mental diagram by which he sees that his alternative conclusion must be true, if the premise is so; and this diagram is an icon or likeness. The rest is symbols; and the whole may be considered as a modified symbol. It is not a dead thing, but carries the mind from one point to another.[12]»

L’intuizione iconica che avvicina ad un altro punto dell’enunciazione, se pur in maniera frammentaria, si proietta su una corrispondente prima forma di scrittura in cui un’esistenza è data dall’affermazione, dal giudizio sul foglio. Il passaggio da iconicità a indicalità è segnato dall’intervento di un abito logico da indossare nei luoghi della dialogicità che mostra la virtualità della realizzazione diagrammatica protosimbolica. C’è, in effetti, una previsione virtuale che si realizza tra mente e mente, o tra mente e quasi mente, come nel caso dei grafi esistenziali. Il rapporto quasi simbiotico tra grafista e grafo è quello di una protosimbolicità che si instaura tra due menti[13] preludio dell’azione dialogica da segno a segno, specchio di quella simbolicità arbitraria e convenzionale della dialogicità umana. Il lavoro di costruzione semiotica è intrinsecamente legato alle leggi della mente, leggi normative e libere, perché inscritte in una necessità logica universale, nei termini in cui il pensiero non è necessariamente connesso con un cervello, ma appare nell’attività delle api, dei cristalli, e attraversa il mondo puramente fisico.
Se parliamo di diagrammaticità, dunque, come della possibilità attualizzabile che ogni essere umano possiede geneticamente di pensiero complesso, non possiamo negare che la rappresentazione grafica sia di gran lunga la più plausibile per essere riconosciuta come schizzo primario della forma scritta[14]. Vi è un senso forte peirceano, allora, in cui le idee esistono nella scrittura, ossia non potrebbero esistere che nel tipo di rappresentazione diagrammatica. E vi è un senso più debole che permette di affermare che non c’è motivo per escludere dalla rappresentazione segnica scritta la tracciabilità cristallizzata delle idee, o, detto altrimenti, la messa in atto della forma della scoperta scientifica quotidiana. Non c’è motivo di negare la veicolarizzazione materiale che il segno grafico importa nelle idee: il principio sociale è intrinsecamente radicato nella logica, e implica almeno una lingua. Ma se la semiotica è il luogo della costruzione ontologica, le categorie sono la prima realizzazione in cui il pensiero peirceano si sviluppa per arrivare al pragmaticismo. C’è una Primità fatta di sentimento non analizzato, in cui non c’è alcuna ragione, ma l’istante, nel suo momento a-temporale, base dell'idea d’origine o di riferimento, causa senza effetto o effetto non riconosciuto, una Binarità, seconda categoria, vale a dire esperienza, reazione, emozione e dubbio, e una Terzità, ossia il futuro che agisce sul presente, con l’aspettativa. L’azione non è più un dato, un fatto, ma essa è mediata, è progettata e realizzata nella mente, prima di essere attuata nel mondo delle cose e degli altri spettatori attivamente interrelati all’azione attraverso l’interpretazione. Così i modi del passaggio da una categoria all’altra sono rappresentati dagli interpretanti. L’Interpretante immediato agisce sull’Interpretante dinamico (l’azione pratica che produce) che si costituisce come Pensiero o Interpretante Logico, fino a costituire una Regola, un Abito, quello dell’Interpretante logico finale. Per arrivare all’interpretante logico finale, che è esso stesso un simbolo, è necessario attraversare le categorie.
Il simbolo ha in sé la dimensione pragmatica, poiché compie l’azione di significazione dell’interpretante. Ci sono leggi che governano il mondo della logica che si sovrappongono, mutando, alle leggi della fisica della materia. Riconoscere la struttura dell’atomo, ad esempio, non è, secondo Peirce, così diverso dal riconoscere cosa vuol dire una parola in una frase, quando si osserva su di un foglio, a lungo, da un certo punto di vista, per questo il segno è, in un certo senso, perfetto là dove può essere rappresentato graficamente e interpretato. L’inevitabile paradosso dell’azione convenzionale che i grafi esistenziali importano dalla teoria peirceana è il fatto che il significato è instabile ed è instabile anche nei grafi stessi, ad esempio nei grafi connessi, legato agli stessi movimenti regolativi di ciascun grafo o unità minima significativa di per sé. È, anche nel caso dei grafi, nell’oggetto immediato, indizio dell’azione dinamica che l’interpretante compie sul referente per mettere in moto la dinamicità segnica, che va a confluire nell’oggetto dinamico[15]. Ci sono, in effetti, non soltanto modi di presentazione dell’interpretante, ossia immediato e dinamico, ma, nella costruzione del pragmatismo grafico, anche un Interpretante Simbolico Iniziale e un Interpretante Eventuale che muovono il corso del processo semiotico inferenziale[16]. Il grafo ha la natura di una legge e perciò è generale. Per il fatto che in una comunità di parlanti ci sono leggi alle quali la lingua deve necessariamente sottostare, ma non necessariamente esse devono essere riconosciute come tali dai membri sociali in gioco, la semiotica di Peirce segna di fatto lo iato tra uomo-segno-mondo. Il sistema di grafi è dunque una protorealizzazione del pensiero pragmatico. L’universo che i grafi esistenziali rappresentano è quello di un particolare tipo di semiosi, in cui non c’è che un irriducibile partecipante, unico ma mai isolato.
Per comprendere la specificità dei grafi esistenziali all’interno del sistema scientifico peirceano dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alla base logico-semiotica. Di fatto vediamo anche qui presentarsi modalità di composizione articolata secondo tre punti di vista interni al sistema di pensiero dell’autore. La teridentità che emerge nei grafi esistenziali non è altro, dal punto di vista semiologico, che l’azione visibile di ciò che si sente come appartenente ad uno stesso segno tra gli altri segni. È per questo motivo che le dieci tricotomie dei segni non devono affatto apparire superflue o frutto di una degenerazione. Potrebbero dunque essere ulteriormente scomposte fino a costituirne delle nuove relazioni triadiche tra di esse. La scomposizione delle forme è una ricostruzione che non si basa soltanto su un’azione a posteriori di strutture preesistenti o schemi inseriti a mo’ di contenitore ermetico delle forme, ma, al contrario, di un processo di analisi scientifica che costituisce la semplificazione e l’azione semiotico-pragmatica nei processi di comunicazione umani. Le relazioni diagrammatiche mostrano i caratteri relativi ciascuno ad un membro della relazione segnica e devono essere necessariamente connesse in maniera se non sistematica almeno sostanziale con il segno corrispondente, altrimenti non sarebbe possibile la comprensione (malgrado lunghi addestramenti, questi risulterebbero vani)[17]. Il rapporto indice-icona, infatti, non è mai in Peirce luogo neutro di classificazione, proprio per la natura stessa delle sue categorie che pagano la loro non totale convenzionalità, e sono legate necessariamente all’arbitrarietà segnica (semiotica e linguistica). Affinché una frase sia compresa è necessario che la disposizione interna delle parole funzioni in qualità di icona; ma una frase è una delle forme del simbolo (sono simboli i termini, le proposizioni e gli argomenti), e allora anche qui ci imbattiamo in quello che diventa una conclusione basilare, ossia che non ci sono segni puri, ma sempre complessità segniche, caratteri meticci e mai composizioni puramente lineari nel mondo dei segni, mai giustapposizioni semplici. È proprio questo il surrogato segnico, che vede la presenza di una perfezione data dalla presenza eterogenea di elementi (altri segni-oggetti) capaci di dare regolarità dinamiche al processo di significazione, anche se asistemico. Se là dove c’è un generale vi è un’esistente allora ogni qual volta il generale è riconosciuto, lì vi è un segno, un simbolo che è necessariamente un’esistenza. Il simbolo ha una mutabilità che lo caratterizza e ne specifica la posizione rispetto agli altri segni. In questo senso vediamo che l’oggetto dinamico affonda le radici nella possibilità di essere rappresentato da un oggetto immediato attraverso l’azione dell’interpretante, la mente che opera attraverso i segni, nella logica del ragionamento scientifico, principalmente diagrammatico. I tre tipi di grafi (alfa, beta, gamma), si pongono come representamen – oggetti immediati del segno. Ma quali sono le ragioni della rappresentazione? Peirce cerca il luogo in cui realizzare formalmente la categorizzazione della struttura logica nella dottrina del pensiero. Nei New Elements Peirce chiarisce che nel segno ci sono tre fasi di sviluppo, tra le quali la rappresentazione è quella fase che differenzia un segno da una pura qualità o feeling.

«The begin of a sign is merely being represented.[18]»

Grafematicità e simbolismo condividono quindi la rappresentazione diagrammatica, mentre ciascuno si costituisce nelle sue parti come segno complementare. Si tratta di una complementarità dinamica, legata ai movimenti evolutivi della simbolicità che attraverso la Secondità porta alla categoria della Terzità, luogo della mediazione simbolica.

«A symbol is essentially a purpose, that is to say, is a representation that seeks to make itself definite, or seeks to produce an interpretant more definite than itself. For its whole signification consists in its determining an interpretant; so that is from interpretant that it derives the actuality of its signification.[19]»

La simbolicità come proprietà dei segni di significare, è sensibile, dunque, al contesto d’uso dei segni. In questo senso la Secondità è il luogo dell’indicalità che, come tale, è esso stesso spazio semiosico, è semiosi possibile perché attualizzata nel segno. Ciò che si determina è un’entità molteplice e non un semplice ente, poiché è almeno duplice la forma significativa, composta cioè da representamen e oggetto. La necessità della semiosi è dunque interna alla possibilità causale di un segno nella determinazione di un altro segno, come nel caso dell’indicalità. La possibilità di una porzione di lingua di essere trasformata all’interno stesso della sua rappresentazione o configurazione materiale attraverso un meccanismo logico sensibile al contesto è allora il primo dei punti che si possono ripercorrere a ritroso nella categorizzazione peirceana dei segni, da Primità a Secondità e Terzità. La Secondità assume in questo senso la stessa proprietà che l’Entelechia trasporta nei nessi causali eventuali dell’indicalità fino alla determinazione di un interpretante del segno, mediatore ed esecutore dell’azione pragmatica nell’universo dei simboli[20].


1.3. Il ruolo dei grafi esistenziali nelle categorie cenopitagoriche



Ogni espressione linguistica, nei termini peirceani, è un simbolo o si richiama ad esso. Tuttavia, se, come sostiene Peirce, i suoni delle lingue erano originariamente in parte iconici e in parte indicali, come nel caso degli ideogrammi, allora deve esistere un’iconicità protosimbolica. Ma la configurazione del simbolo, complesso di termine, proposizione, argomento rinvia ai grafi esistenziali, e ritroviamo qui le pratiche del ragionamento di deduzione, induzione e abduzione come configurazioni ulteriori, rispettivamente, di indicalità, simbolicità e iconicità nel rapporto tra premesse e conclusioni. La previsione virtuale, conseguenza sperimentale dedotta dall’ipotesi, è un simbolo che permette la scelta fra le possibili conseguenze. In questo senso non c’è affatto una separazione tra segni, grafi e azione comunicativa simbolica, ma deve esserci un limite che permette di realizzare lo spostamento categoriale, proprio in virtù del fatto che non si tratta di un’applicazione predeterminata di ciascuna categoria, né quindi di una serie di postulati. Il processo di astrazione, in particolare, è simile al ragionamento matematico ed è costituito da tre momenti: diagramma o schema, considerazione sulle ipotesi, ed esame dell’ipotesi, in un’osservazione auto-riflessiva. Ma l’intelligenza matematica non è sufficiente alla semiotica pragmatica, ed è ancora dalla tripartizione del segno che è necessario muovere le prime suddivisioni delle scienze. Nei termini peirceani, infatti, la possibilità di cambiamento sarebbe data dal movimento degenerato delle icone e degli indici fino alla generazione di forme segniche genuine o simboliche. Partendo dal movimento iconico, fino all’indicale e al simbolico si configura, infine, un rapporto diretto tra segno, oggetto e interpretante, ma resta insoluto il problema del tipo di relazioni tra i segni in gioco. È, infatti, indefinibile proprio per il fatto che ciascun segno è determinato di per sé, in base al suo interpretante ed in relazione al suo oggetto. Vi è in questo senso, tuttavia, un modo per guardare alla determinazione mutevole dei segni come ad una catena di realizzazioni in cui la semiosi non è altro che una limitazione delle infinite relazioni possibili tra segni e segni e tra parti di ciascun segno[21].
Il fatto che il segno sia diverso dal suo oggetto è arbitrario, poiché ci sono casi in cui un segno è una parte di un altro segno che dovrebbe essere simbolo, appunto, nel senso originario. Non si tratta dunque di un'eccezione, per il fatto che una cosa per essere segno deve poter comportare uno slittamento di senso, sempre all’interno del segno. La mediazione segnica è essa stessa conoscenza diretta e non ci sono ragioni esterne al segno. Le relazioni triadiche di comparazione, realizzazione e pensiero (rispettivamente possibilità logiche, fatti esistenti e leggi) presentano ciascuna, infatti, un primo, secondo e terzo correlato, che non permette di uscire dalla relazione segnica, malgrado ne mostri alcune differenze di fatto possibili. Affinché si costituisca, allora, un punto di rottura che permetta il passaggio da una forma segnica ad un’altra, o un interpretante, è necessario ricostruire le relazionalità che ciascuna forma determina nell’azione semiosica. Se c’è una soglia tra le tre differenti categorie che non è sovradeterminata, essa deve essere ricercata nel modo stesso di costituzione dei segni. Non sarebbe possibile, infatti, parlare di un interpretante se questo non fosse un segno di qualche altro sistema semiotico. Deve esserci, infatti, un sistema di relazioni alla base di ciascuna forma segnica, condivisibile da tutti e tre i modi di realizzazione del segno e quindi suscettibile di entrare nel gioco delle tricotomie nell’infinità di determinazioni possibili della forma segnica. Per il fatto che ci sono ci sono differenti relazioni tra segno, oggetto e interpretante, e poiché il segno è un esistente che si autodetermina nella sua complessità semiosica, allora le relazioni sono indefinibili di per sé. Nella formulazione peirceana relativa ai termini categoriali il segno sta per qualcosa, il suo oggetto, e questo non vuol dire che è quella cosa, ma che è rappresentativo della cosa (non sotto tutti i punti di vista, ma in riferimento alla base del representamen), dunque crea nell’altra mente un segno equivalente, ossia l’interpretante del primo segno. Il segno è una relazione triadica che possiede un Primo, un Secondo, un Terzo Correlato. Il Primo Correlato è della natura più semplice dei tre, è pura possibilità e non è una legge (a meno che non sono tutti e tre di quella natura); il Terzo correlato è della natura più complessa dei tre; è una legge (se qualcuno dei tre è una legge) e non è pura possibilità (a meno che tutti e tre siano di quella natura); infine, il Secondo Correlato: è di complessità media (dei tre), è un’esistenza effettiva e se due sono della stessa natura, allora il Secondo Correlato è di quella stessa natura, cioè legge o pura possibilità o esistenza effettiva. Ancora, il Representamen è il Primo Correlato di una relazione triadica e determina il Terzo Correlato o Interpretante. Il Secondo Correlato è il suo Oggetto. A sua volta l’Interpretante è il Primo Correlato della stessa relazione tradiaca con lo stesso oggetto per qualche altro possibile Interpretante. L’univocità dell’oggetto intorno a cui ruota il processo di semiosi determina un’assoluta inconciliabilità delle differenziazioni tra i segni. In realtà, se assumessimo questo come punto di osservazione, la relazione triadica sarebbe sempre vincolata ad un oggetto completamente idealizzato, rispetto ad un interpretante-segno che, con il suo interpretante, permette di dar vita alla semiosi illimitata tra un segno e l’altro. Vi è dunque un tipo di continuità non definibile in se stessa, come proprietà indipendente dalle relazioni segniche. Se il rapporto tra segno, oggetto e interpretante cade su un unico oggetto si ha, ipotizzando la continua riformulazione dei rapporti tra segno, oggetto e interpretante, un insieme di representamen e interpretanti indistinguibili, poiché le interpretazioni non hanno fine. In effetti, anche nel foglio di asserzione dei grafi esistenziali l’interpretante diventa representamen indipendentemente dall’oggetto, se si esclude la prima relazione, in cui esiste un tipo di relazione con l’oggetto. Interpretante e representamen diventano, infatti, indipendenti dall’oggetto, poiché è il grafista ad essere interpretante del segno - oggetto. I segni di primo e secondo tipo, ossia indici e icone, sono la rappresentazione degli oggetti, vale a dire i segni stanno per gli oggetti, sono in una relazione tale da poter essere trattati, per alcuni scopi, come se fossero quell’oggetto. Nella semiosi grafemica l’oggetto può non essere riconosciuto come tale ma sopravvivere all’azione semiotica. Tuttavia finché permane così, fermo e puro aggregato o surrogato, risultante da un processo da cui è subordinato, il segno non evolverà. Affinché lo sviluppo e dunque la trasformazione categoriale avvenga è indispensabile l’azione di un interpretante. È perciò necessario decostruire i tipi di relazione anche per la realizzazione delle tricotomie che attraverso l’applicabilità dei simboli si aprono individuando ciascuna un tipo di relazione sempre triadica ma tra tipi di segni differenti. Ciò che è al limite è ciò che deve ancora essere scoperto, nella dimensione che è esterna comunque, in qualche modo, al simbolo.

«A symbol is an embryonic reality endowed with power of growth into the very truth, the very entelechy of reality. This appears mystical and mysterious simply because we insist on remaining blind to what is plain, that there can be non reality which has not the life of a symbol.[22]»

Il lavoro peirceano dei grafi esistenziali apre il germe della significazione, mostrando uno dei piani operazionali della lingua, muovendosi da uno stadio del simbolico come risultato di azioni degli interpretanti sui segni non simbolici fino alla ricostruzione di forme strettamente simboliche o che si configurano come tali. Si tratta di conoscere regole e applicarle, come nel caso dei grafi esistenziali, attraverso inserzioni, tagli, cancellazioni. La relazione di un segno alla mente dell’emittente e dell’interprete e la struttura o natura dei giudizi, ovvero il modo di composizione dei pensieri, sono i due campi di ricerca che muovono Peirce alla realizzazione diagrammatica della semiosi grafemica. Il valore dei grafi esistenziali è, in un certo senso, il valore di un abito o una forma, ossia lo stesso tipo di valore di un simbolo. In questa veste, tuttavia, la scrittura è ancora vista come sinonimo di segno iconico, nei termini di una pura trascrizione. Essa non è messa in questione da Peirce, ed è soltanto attraverso la giunzione tra la teoria dei segni e la logica dei grafi che si ripercorrono le caratteristiche di un sottosistema che conserva le stesse proprietà di un sistema di rappresentazione e utilizza le variabili e le costanti della lingua scritta. Ad essere modificato è, nei grafi esistenziali, il rapporto tra segno e oggetto, poiché quest’ultimo oltre ad essere base espressiva diventa vincolo per l’interpretante del segno.

«Ogni segno di questo sistema è perfettamente interpretabile da una proposizione, ovvero è necessariamente vero o falso, ed ogni proposizione può essere rappresentata secondo le convenzioni di questo sistema. Ogni espressione di una proposizione che segue le convenzioni di questo sistema è detta o un grafo o un’occorrenza di grafo.[23]»

Il grafo porta alla luce, infatti, almeno due aspetti fondamentali all’interno della teoria peirceana: la necessità logica della significazione e la proprietà specifica dei segni di essere soggetti ad un interpretante, nella maniera in cui la forma del segno rispecchia quella della semiosi continua ed evolutiva (o mutabile), in cui ciò che è interpretante può essere per un altro sistema triadico di segni representamen o referente, ed in cui l’oggetto diventa il punto di congiunzione tra le triadi significanti.

 






 





2. Scritture, lingue e sistematicità






Une société entière ne pourrait changer le signe […].
F. de Saussure, 2005b, p. 222.


















2.0. Premessa: il primato sistemico della scrittura nella semiologia di Ferdinand de Saussure



Mettiamo ora da parte la posizione peirceana negli aspetti che abbiamo considerato per avvicinare, nei punti maggiormente interessanti per la nostra riflessione, l’approccio di Ferdinand de Saussure alla scrittura. Cerchiamo di delineare così, ai margini della semiologia saussuriana, i luoghi principali che ruotano attorno alla nozione di scrittura, nei termini più presenti negli scritti del linguista ginevrino all’interno dei quali si muove il pensiero sulla sistematicità. La scrittura è considerata da Saussure, nel terzo corso, nei limiti della differenziazione tra le lingue, e si costituisce come sintesi del percorso che Saussure compie negli anni delle lezioni dei tre corsi di Linguistica generale. Poniamo qui a confronto il primo ed il secondo corso degli appunti degli studenti di Saussure con il terzo corso e rispetto agli appunti manoscritti per vedere i movimenti del valore che Saussure attribuisce alla scrittura, quali tipologie di scrittura prende in considerazione e in quali luoghi la spiegazione saussuriana delinea uno iato con il mondo semiologico, avvicinando invece le caratteristiche comuni alla lingua come sistema. Non soltanto, infatti, si tratta di considerare le funzioni demarcative della differenziazione delle lingue, malgrado la difficoltà di un approccio univoco e a-prospettico: l’abbandono della vecchia linguistica fa suggerire al linguista un essenziale rispecchiamento tra i diversi sistemi semiologici e una contraddizione nella classificazione delle materie interne alla linguistica in cui ciò che è esterno è intrecciato alla lingua stessa condividendone la geografia della significazione, o il modello basato sui parlanti una lingua comune.

 


2.1. Il Lâcher la lettre nelle note sulla scrittura dei primi corsi saussuriani



Nel primo corso di linguistica generale Saussure fa della scrittura una ancella della lingua: c’è un’indipendenza della lingua dalla scrittura. Il fatto che deve esserci un passaggio della linguisticità attraverso la parola scritta non impedisce l’autonomia semiotica. Si tratta di rilevare come la preminenza che la scrittura dà alla competenza del parlante, nel senso di possibilità di delimitare i significati di una lingua parlata, abbia effetti diversi sulla lingua. In particolare, fanno parte degli errori linguistici quegli errori dati dalla presenza della scrittura. I due tipi di errori, quelli generali e quelli particolari, hanno un modello di riferimento, che è il segno scritto.

«Tout naturellement nous accordons au signe écrit la prééminence sur le signe parlé: le signe écrite est pour nous le type ou le modèle du signe parlé.[24]»

L’insieme delle regole grammaticali che la scrittura porta con sé come pura convenzione diventa un codice che permette di invertire i rapporti tra, possiamo dire, ciò che è detto e ciò che è pronunciato. La similitudine di Saussure è quella del rapporto esistente tra la nota e lo strumento che la esegue, come se la voce dicesse il segno scritto. Questo significherebbe dimenticare la necessaria arbitrarietà dei due sistemi e riporterebbe all’idea da cui Saussure vuole allontanarsi del legame naturale tra il “concetto” e il “segno-in-sé”. La scrittura, non potendo dare alla lingua un modo definitivo di presentarsi, rimane dunque un altro sistema a cui il segno scritto deve fare riferimento. Questa autonomia serve a Saussure per delineare l’oggetto della linguistica che è risultato del rapporto tra parola scritta e parlata. Laddove la parola scritta è il documento, invece, il pericolo maggiore sta nell’ortografia a causa dell’automatismo che essa porta con sé. Ma la colpa non è del segno scritto: esso è rimasto immobile, mentre la lingua si è naturalmente modificata. In questo paradosso si muove la sistematicità oppositiva della dinamica tra immobilità o immutabilità, e movimento o mutabilità che preannuncia la sintesi del terzo corso.

«Nous avons deux systèmes qui se correspondent, celui des signes écrits et celui des sons; les sons changent, les signes restent les mêmes, par là se produit <indirectement> un déplacement de la valeur des signes, l’équation basée sur la valeur convenue des signes devient fausse et cela par le côté des sons.[25]»

La convenzionalità dei codici linguistici perde il suo valore nell’uso sistemico della lingua e ci sono, quindi, cambiamenti diretti e indiretti che la scrittura detiene. Nel caso in cui la scrittura è un mezzo che l’individuo usa per distaccare la sfera del parlato si tratta di una convenzione libera, in cui il cambiamento indiretto non ha preso piede. In altre parole è questo un caso di uno stato ipotizzabile ma non reale nella lingua, al pari di una creazione ex novo. L’esempio saussuriano è quello di un punto x di invenzione del primo alfabeto greco, un caso limite se considerato indipendentemente dalle lingue che ne hanno dato testimonianza diretta. È chiaro che negli esempi la scrittura si configura come insieme di segni discreti basati sulla logica lineare i cui caratteri dipendono dalla presenza o dall’assenza della possibilità di una corrispondenza biunivoca delle lettere con i suoni della lingua. È nella corrispondenza che il Saussure di Riedlinger cerca di mostrare i rapporti tra i due sistemi ed offre una prima nota sulla complessità del valore (per esempio vi è l’affermazione che sono almeno due i segni che stanno per o costituiscono un valore).

«Le signe écrit en effet est: 1) extérieur à la langue, 2) arbitraire; donc si un mot faussement écrit est ensuite faussement prononcé il y a vraiment falsification.[26]»

La falsificazione della lingua attraverso il segno scritto è data dall’importanza stessa che assume la scrittura rispetto alla lingua parlata nella produzione delle trasformazioni fonetiche. Le complessità, nella lingua, si mostrano attraverso due assi semiologici:

«On a alors dans la langue deux axes sémiologiques; même si l’on considère ces phénomènes de falsification comme réguliers et non pas comme pathologiques, on a deux sciences linguistique et il faut considérer la langue parlée tout à fait séparément de la langue écrite.[27]»

Saussure inizia quindi a mettere in evidenza le forme di scrittura: una differenza tra la scrittura e l’ortografia, che implica una socialità della semiologia per il fatto che il sistema ortografico è nell’uso comune. Il linguista usa così la dialettica tra scrittura, regole e sistema per introdurre la necessità della fonologia come ausilio per la delimitazione delle unità irriducibili nello studio della lingua nella sua complessità, e attraverso il legame tra la catena parlata e l’alfabeto: la delineazione dell’unità sillabica è strumentale alla poesia.

«Nous sommes venus à la physiologie phonologique par l’écriture et à l’occasion de l’écriture: il fallait fixer le moyen de sortir des incertitudes de l’écriture.[28]»

I limiti dovuti agli errori della scrittura sono tali per il fatto che essi introducono un’alterazione nella sistematicità linguistica. Il parallelismo più o meno completo tra suono della parola e parola scritta inizia, dunque, dalla divisione sillabica naturale, che precede l’unità astratta usata dal parlante per identificare il segno scritto con il segno della lingua. Inoltre, la mutabilità della lingua rispetto alla scrittura ha un altro legame, ossia quello con la politica e l’influenza che essa ha per differenza o negatività rispetto alla lingua che segna una distorsione anomala, insieme con l’influenza che una corte, le accademie, la scuola e la scrittura hanno sul sistema in uso. Tra mediazione e modificazioni dirette sulla mente sociale si attuano i cambiamenti interni all’epoca o allo stato di lingua. Nel secondo quaderno di Riedlinger Saussure spiega le irregolarità dovute all’alternanza di forme diverse all’interno della lingua, come nel caso dell’Ablaut e dà un senso importante per la comprensione della differenzialità dei rapporti nella lingua, che si esplica nei fenomeni analogici[29].

«Nous ne devons <donc> voir dans le phénomène analogique que des créations, que des innovations (des choses qui se créent à nouveau), créations, non pas du néant, mais <dont> tous les éléments sont donnés comme dans toute création littéraire, artistique.[30]»

Nelle lingue semitiche, per esempio, le vocali non sono scritte proprio per il fatto che l’unità è tale nel sentimento della lingua o coscienza dei parlanti. È l’unità astratta o immaginativa che è sintesi di scrittura e lingua nell’individuo[31], in relazione all’istinto del parlante che lega la grammatica (non quella dei grammatici) ai fatti di lingua riconoscendo immediatamente ciò che deve esser detto. Successiva alla spiegazione dell’analogia e del ruolo di mutamento e conservazione, c’è nel terzo quaderno un altro punto che riporta il discorso alla scrittura nel primo corso di Linguistica generale. Si tratta di assumere la scrittura come testimonianza di un fatto di lingua passata. Saussure parla di “prova grafica” e di “documento grafico” in rapporto all’etimologia popolare che lascia al commento degli studenti:

«S’écrit aujourd’hui rhabilleur; l’étymologie populaire a-t-elle agi aussi sur ce mot? Je le laisse à votre appréciation (de Saussure)[32]»

Appare così uno dei primi sensi della scrittura che abbiamo preso in considerazione come modo di mostrarsi delle regolarità della lingua e dunque anche delle deformazioni o degli errori. La dipendenza più o meno presente al sistema ortografico è ciò che rimane in sospeso e di fronte al quale Saussure lascia la parola agli ascoltatori. Tra i modi di dire comuni e la scrittura si pone la domanda implicita sull’origine dell’innovazione vocale non significativa della materia, punto indefinito che Saussure scarta, suggerendolo agli studenti come movimento di creazione di nuove forme. La spiegazione sembra seguire le tracce della determinazione di una forma che sia senso, ma che non ha valore sistemico all’interno della lingua. Possiamo qui pensare che si tratti di quello che gli appunti di Saussure è l’aposema, considerata come voce preverbale.

Item. Aposème a l’avantage qu’on peut le prendre comme on voudra: chose déduite et abstraite d’un signe, ou chose dépouillée de sa signification, ou de signification, cela revient au même pour la clarté.

Item. L’aposeme est l’enveloppe vocale du sème.
Et non l’enveloppe d’une signification.
Le sème n’existe pas seulement par phonisme et signification, mais par corrélation avec d’autres sèmes.[33]

Saussure introduce così la comparazione tra cambiamento fonetico, creazione analogica e etimologia popolare, nei due punti di vista della prospettiva diacronica, ovvero così come sono presentati alla coscienza presente, e in maniera retrospettiva, ossia comparativa di stati di lingua diversi. Secondo la visione saussuriana del primo corso, dunque, per cercare di vedere il punto di vista più naturale o sincronico della lingua la scrittura va eliminata dall’osservazione dei cambiamenti linguistici[34]. Saussure introduce l’analisi del punto di vista che accentua la differenza tra formazione normale della lingua e etimologia popolare, che riprenderà nei corsi successivi. Quest’ultima è esclusa dalla linguistica evolutiva sia in prospettiva[35] che dal punto di vista retrospettivo, ancora una volta ad evidenziare come i cambiamenti accidentali non sono in continuità con l’evoluzione linguistica[36].
             Nel secondo corso la riflessione sulla scrittura appare non appena Saussure apre la questione della diacronia: la dualità tra lingua e storia della lingua.

«La langue et l’écriture. Il semble que ce soit solidaire, et cependant il faut distinguer radicalement entre elles. Le mot parlé seul est l’objet de la linguistique.[37]»

Inizia una distinzione tra scrittura e lingua scritta: la lingua si scrive e non sarebbe possibile classificare e riconoscere una lingua se non esistesse la scrittura che retroagisce sulla lingua parlata. La dualità dei sistemi di segni è tale da aumentare lo scarto tra lingua scritta e parlata all’accrescersi della complessità del sistema di scrittura, come nel caso del cinese antico scritto in cui la sintesi diventa inevitabile. Nelle lingue in cui la lingua scritta diventa letteraria, dunque, si pone il problema del rapporto tra linguistica e filologia. M. L. Havet è un esempio dei sostenitori della dipendenza parallela tra le due scienze. Gautier specifica che Havet crede che la linguistica segue le tracce della filologia e tende a confondersi con essa. Ma emerge un Saussure che si distacca da questa opinione. Dando una consistenza sequenziale agli appunti degli studenti si ha:

«Je ne partage pas cette opinion. Dans chaque groupe de langues, quand l’écriture devient courante, se crée un type de langue écrite, qui devient la norme, qui ne peut être ignorée à côté des dialectes locaux. Dès qu’elle est écrite, il se mêle tout de suite quelque chose d’artificiel, mais qu’on ne peut distinguer de la langue elle-même. La langue grecque écrite offrirait l’exemple de quatre ou cinq langues artificielles, suivant les dialectes.[38]»

Vicina alla distinzione tra lingua scritta e lingua letteraria, che si costituisce come specie della lingua ma che può correlarsi a quell’altra specie di natura artificiale che è la lingua scritta, è la distinzione tra semiologia, la scienza generale dei sistemi di segni o delle forme e la semantica, o scienza dei sensi dei segni della lingua.

«Il doit donc exister une science des signes plus large que la linguistique. (Systèmes de signes: maritimes, des aveugles, des sourds-muets, et enfin le plus important: l’écriture elle-même!).[39]»

Segue il più conosciuto paragone tra i due sistemi, di lingua e scrittura, con le principali caratteristiche, dalle quali estrapolare quelle che caratterizzano la scrittura. Qui Saussure fa un passo avanti nei confronti della lingua scritta. In effetti, oltre ai quattro caratteri principali, di arbitrarietà del segno che implica la necessità del valore negativo e differenziale e l’opposizione, dunque, dei valori, e dell’indifferenza totale del mezzo di produzione, ci sono una serie di caratteristiche che eccedono l’omogeneità dei sistemi essendo esterne ad essi.

«L’écriture suppose un accord de la communauté, un contrat entre ses différentes membres.[40]»

Accanto all’aspetto convenzionale dell’arbitrarietà c’è l’impossibilità di cambiamento da parte dell’individuo. È qui che la scrittura ha le stesse proprietà del simbolo delle leggende, come proveremo a vedere più avanti, ma in più determina i cambiamenti delle lingue che si succedono nel tempo. Ancora una volta sono due proprietà della lingua in uso, ma che si accompagnano all’impossibilità di una ricerca di un’identità perfetta. La necessità di una semiologia è tale proprio per allontanare la domanda sull’origine o la corrispondenza biunivoca tra i segni dei due sistemi di lingua e di scrittura. Immediatamente successiva ad una prima caratterizzazione esemplificativa di gesto verbale simbolico o simbolo, Riedlinger registra la questione della semiologia che nel secondo corso assume un dominio più generale:

«Toutes les formes, tous les rites, toutes les coutumes ont caractère sémiologique par leur caractère social.[41]»

Saussure pone così il problema del limite nell’indagine di ricerca semiologica, laddove i costumi, gli abiti, sono manifestazioni di carattere semiologico e di artificialità non naturale delle lingue in rapporto ai cambiamenti di senso delle abitudini sociali. L’unità semiologica è il punto di partenza da considerare nella definizione degli oggetti specifici di ciascuna scienza. Troviamo qui una posizione saussuriana avversa alla psicologia ed alla filosofia che il linguista abbandona già poco più avanti, in cui assume la forma di un punto di vista più generale[42]. Saussure introduce ancora una volta i principi basilari della propria scienza attraversando la via della semiologia e dunque dei caratteri che si appoggiano anche ai segni non linguistici. Se pensiamo che al pari di una avversione per l’etichettatura del nominalismo c’è un rifiuto che emergerà subito dopo l’introduzione per la visione organicistica della lingua, notiamo che Saussure muove il timone della sua barca in modo tale da circoscrivere un territorio interno alle rotte già segnate dalle scienze interconnesse, come si evidenzia maggiormente nel Corso di linguistica generale (CLG). Più avanti, nel corso dell’introduzione, c’è un’altra nota negativa nei confronti dei filosofi del diciottesimo secolo in cui la lingua è vista come legislazione puramente convenzionale. Delimitare la rotta della linguistica senza escludere il valore apportato dalle scienze interconnesse significa tradurre i segni destinati ad analisi esterne alla specificità dell’oggetto in un'altra lingua, nel passaggio da una grandezza all’altra, per seguire il paragone saussuriano di tipo matematico.

«C’est dire que la langue est un produit sémiologique, et que le produit sémiologique est un produit social. Mais quel est-il de plus près? [43]»

La questione dell’unità dell’oggetto in questione viene mantenuta marginale: essa è il valore, poiché si confonde con le altre cose, gli altri segni. La scrittura assume così la forma di iscrizione, all’interno della questione sulla continuità del discorso. I tagli necessari per la comprensione di una lingua straniera, per esempio, possono essere detti da una antica iscrizione greca che fa come una fotografia per dire il discorso, taglia cioè i segmenti linguistici ma ne conserva lo stato complesso: un valore è costituito da almeno due unità diverse. Le unità significative, nell’unità astratta riconsegnata alla sanzione dei parlanti, è delimitata dalla significazione stessa che si rende concreta, secondo un criterio che è presente nella coscienza di ciascun parlante, in gradi differenti. L’anti-organicismo e lo sviluppo letterario sono elementi di contrapposizione alla naturalità in sé.

«Ici se pose la grosse question de la naissance des langues littéraires entrant en lutte avec les dialectes locaux.[44]»

Le limitazioni sono date dai caratteri di ciascuna lingua, ma che non sono lingua di per sé, poiché non ne toccano l’organismo interno che già nella lezione successiva è sistema. In questo senso la lingua letteraria è anormale: essa entra in gioco soltanto quando un popolo arriva ad un certo grado di civilizzazione. La separazione permette alla lingua letteraria di guadagnare chiarezza, che naturalmente non ha senso in sé fino al momento in cui entra in campo, come in un gioco d’echi[45]. Saussure fa a questo punto una precisazione che ci è utile per comprendere il rapporto tra lingue letterarie e lingua generale, in cui non c’è un giudizio qualitativo tra elementi interni o esterni, ma puramente quantitativo:

Est intérieur [interne]: ce qui est susceptible de changer les valeurs à un degré quelconque. Ou: chaque fait externe n’est à considérer pour la théorie que dans la mesure où il peut changer les valeurs.[46]

Il gioco di echi della materialità in sé è utile per la materia universale, ma non ne istituisce il valore. Gli illetterati, secondo Saussure, ignorano la separazione esatta delle parole.[47] Dal punto di vista delle unità, Saussure fa un commento sui vantaggi di uno studio dei cambiamenti non soltanto su carta, ma così come avvengono nei fatti particolari e individuali, nelle variazioni fonetiche, paragonando il movimento della parole ad una corda di un’arpa spezzata, che causa un carattere imperativo del mutamento, ovvero accidentale in opposizione ad un arrangiamento musicale: questo è il caso del punto di vista diacronico in rapporto al sincronico. Quest’ultimo è quello che permette di occuparsi delle differenze significative. La nozione di sintagma fa luce, ancora, sull’aposema, importante per comprendere i rapporti differenziali tra i segni e il loro raggruppamenti in unità[48] semi-naturali e la relativa problematicità dell’indeterminatezza che caratterizza i rapporti sintagmatici, ovvero il modo attraverso il quale la discorsività si dispiega, per opposizione all’intuizione associativa:

«Ici, alors, les différentes éléments que nous groupons sont soumis aux conditions de l’étendue: il y a un ordre qui est donné ; il y a quelque chose qui doit précéder, quelque chose qui doit suivre [il y a une gauche et une droite (c’est-à-dire un avant <et un> après, antérieur <et> postérieur].[49]»

Sul piano diacronico la scrittura è in generale il documento indiretto che fa come una massa infinita di fotografie della lingua, di notazioni esatte di momento in momento per camminare così in avanti e seguendo il corso del tempo. Questa, afferma Saussure, è una visione ideale di praticare la linguistica, per il fatto che da questo punto di vista non c’è grammatica: si tratta di un’attività retrospettiva dei movimenti già avvenuti nella lingua.
La seconda metà del corso inizia con le riflessioni sulla linguistica indoeuropea[50], sul sanscrito e gli studi di Grimm e Bopp. A proposito del legame con la scrittura Riedlinger riporta, anche in questo corso:

«On peut dire que toute la première période de la linguistique indo-européenne est restée très incomplètement dégagée de l’écriture et qu’elle a pris à tout moment l’un pour équivalent de l’autre, ou en tout cas <qu’elle n’a pas cru> que son seul objet est ce qui est parlé.[51]»

È spiegato in questo modo il motivo per il quale il periodo della linguistica indoeuropea non è durato molto tempo; vi è ancora un paragone con la fotografia e il suo legame con uno stato di lingua:

«L’écriture <se trouve dans cette situation particulière que> considérée vis-à-vis de la langue, est une chose qui est nulle. Même si elle était photographiquement exacte, ne constituerait qu’un simple document (comme l’image de l’objet <n’est pas substituable à l’objet qu’on étudie>). Mais <en même temps> elle reste <presque toujours> le seul moyen direct de connaître les langues (bien que n’étant <en soi> qu’un moyen indirect !).[52]»

La scrittura come documento delle lingue passate è la riproduzione che sostituisce la lingua parlata e trasporta con sé gli errori e le imprecisioni che testimonia rispetto alla natura dell’oggetto. All’interno della scienza della lingua, Saussure destituisce la scrittura dalla sua funzione sistemica:

«Elle n’est pas même une coquille, mais une guenille.[53]»

Per opposizione alla vecchia linguistica si pone la necessità saussuriana di lasciar allontanare la lettera, lâcher la lettre[54]. Non è detto, infatti, che l’oggetto fisso che la testimonianza scritta tiene in pugno rispecchi effettivamente la stabilità dell’unità dell’oggetto linguistico, poiché, di fatto, non c’è quasi mai fissità diacronica e la scrittura non è simmetrica ai cambiamenti di pronuncia.[55]

«Il vaut la peine de préciser la formule où l’erreur est très répandue <et où il est très difficile de la corriger dans le public:> en fait il est infiniment rare que deux formes de langue fixées par l’écriture <à des dates successives> se trouvent <linguistiquement> dans la verticale par rapport l’une à l’autre.[56]»

L’eccezione è quella in cui la scrittura manifesta la reciprocità della lingua, ma normalmente vi è uno scarto, non soltanto tra epoche ma tra dialetti diversi compresenti in uno stesso periodo. Ci sono diversi modi, dunque, di considerare la testimonianza, e la scrittura ne è un possibile punto di partenza, o di arrivo, per ricostruzione a ritroso, ma non è la legge dei cambiamenti linguistici. L’importanza di un metodo è essenziale per Saussure, come sottolinea Riedlinger, ed è soprattutto questo punto quello che deve essere visto da un’altra prospettiva per riformulare la questione del rapporto tra monumenti storici testimoniati dalla scrittura e lingue parlate, tra movimenti spaziali e rapporti sincronici. Il fatto che ci sono mutamenti non testimoniati dalla scrittura determina la perdita di alcuni modi di realizzazione dei cambiamenti, ma di fatto la lingua riassembla i tratti che caratterizzano i termini comuni, e non ha bisogno di un’origine. Ancora un appunto sulla lingua letteraria omerica in rapporto al latino e le tracce che ne restano:

<Ainsi c’est une affaire d’appréciation.> Par parenthèse: parmi les choses qui troublent la certitude, c’est les emprunts: un mot peut arriver après coup <de proche en proche> chez les différentes peuples par le commerce (ainsi le chanvre n’est venu, connu que très tard dans le bassin de la Méditerranée, puis <fut> transporté du sud au nord et avec lui son nom). Et il est possible de confondre cette coïncidence avec celle qui suppose l’existence primitive.[57]

Nell’idea saussuriana William D. Whitney e la vecchia linguistica comparavano i documenti senza fare storia, immaginando la lingua come un tipo di vegetazione che si sviluppa in sé. L’analogia riapre il discorso sul movimento linguistico e la variabilità dei rapporti tra i segni della lingua che non sottostanno a leggi generali già date, assolute. Nei rapporti spazio-temporali la differenziazione delle superfici multilinguistiche non è uniforme e l’esempio saussuriano è della penisola italica che nell’epoca moderna ha un frazionamento dialettale tale da arrivare all’incomprensione da parte di un milanese di un’opera scritta nel dialetto napoletano. La difficoltà della distinzione tra lingue e dialetti è dovuta in particolar modo alla presenza della lingua letteraria che può fare di un dialetto una lingua. L’unità non è, infatti, data a priori, poiché quelli che si danno sono dei fenomeni o caratteri linguistici; è vano, dunque, cercarne il limite di separazione netta, poiché, ad esempio, se si considera la teoria geografica come teoria delle onde, si complica la cronologia rappresentata dall’albero genealogico per la differenziazione dei dialetti e, in generale, delle lingue. La coesistenza di due lingue in una stessa età politica rende ancora più difficile la delimitazione. Per esempio, Pompei ha accolto il latino e l’osco, come è testimoniato dal ritrovamento delle iscrizioni.
La questione della scrittura come intermediario nei luoghi in cui si manifesta come monumento storico è alla base della considerazione che Saussure porta avanti nel terzo corso. La scrittura si colloca qui nella parte dedicata alle lingue e Saussure ne fa consacrare un capitolo agli studenti, suggerendone il titolo Rappresentazione della lingua mediante la scrittura in cui vi è una rielaborazione più omogenea degli aspetti toccati nei primi due corsi, in cui oltre ad una spiegazione compatta della rilevanza della scrittura vi è un raggruppamento delle famiglie di lingue nell’influenza più o meno reciproca tra i sistemi. In effetti, dalla considerazione delle differenze tra le famiglie e l’influenza tra di esse o i contatti interni in ciascuna tra i dialetti che ne costituiscono la geografia di una forma più generale, Saussure trova le generalità che la scrittura condivide con il sistema della lingua ed è da questo punto principale che porteremo avanti alcune riflessioni interne alla considerazione saussuriana.


2.2. La scrittura e la lingua come sistemi autonomi



Ripresi i punti principali in cui Saussure fa emergere la variabile della scrittura come punto di riferimento o correlato necessario alla intermediazione tra le lingue, si ripropone la riflessione sul carattere differenziale della lingua, e si mostra di fondamentale importanza all’interno della teoria linguistica, in particolare, nei luoghi in cui incontra due variabili principali, strettamente interconnesse tra loro, ossia la trasmissione e la tradizione dei segni. I segni grafici e i segni fonici delle lingue, seguendo Saussure, si presentano all’interpretazione dei soggetti parlanti come oggetti diversi di una stessa relazionalità indivisibile. In particolare i segni della scrittura mostrano, dal punto di vista sincronico, alcuni caratteri emergenti del sistema di cui sono parte come luoghi di azione interpretativa del sistema linguistico.

Dato che un identico stato di cose si constata in quell’altro sistema di segni che è la scrittura, lo assumeremo come termine di confronto per chiarire tutta la nostra questione. Infatti:
1. i segni della scrittura sono arbitrari; nessun rapporto, per esempio, tra la lettera t ed il suono che essa designa;
2. il valore delle lettere è puramente negativo e differenziale; così una stessa persona può scrivere t con varianti come [...]. La sola cosa essenziale è che questo segno non si confonda sotto la sua penna con quello di l, d, ecc.;
3. i valori della scrittura non agiscono che per la loro opposizione reciproca in seno a un sistema definito, composto d’un numero determinato di lettere; questo carattere, senza essere identico al secondo, è strettamente legato con quello, perché entrambi dipendono dal primo; il segno grafico essendo arbitrario, poco importa la sua forma, o piuttosto non ha importanza se non entro i limiti imposti dal sistema;
4. il modo di produzione del segno è totalmente indifferente perché non interessa il sistema (ciò deriva altresì dal primo carattere). Scrivere le lettere in bianco o in nero, incidendole o in rilevo, con una penna o con uno scalpello è senza importanza per la loro significazione.[58]

Saussure rileva, dunque, una sistematicità propria della scrittura che rispecchia perfettamente quella della lingua. In questo senso la posizione che la scrittura assume rispetto alla sistematicità linguistica è quella di una forma più stabile nella significazione in virtù del suo stesso carattere autonomo proprio della funzione sociale che delimita nel suo stesso formarsi. Parole effettiva e parole potenziale, e dunque rapporti sintagmatici e associativi, trovano unità nella coscienza del parlante, come nel caso delle parallelie[59]: che la frase appartenga alla libertà individuale o alla potenzialità della langue, che siano realtà del dominio fisico o psichico, le differenze trovano soluzione nello spirito o coscienza dei parlanti. In questo senso la scrittura è di fatto ciò che permette la delimitazione dei caratteri essenziali e perciò maggiormente riconoscibili della lingua tra i sistemi semiotici e le significazioni che costituisce.

«Ma il vocabolo scritto si mescola così intimamente al vocabolo parlato di cui è l’immagine, che finisce con l’usurpare il ruolo principale; così si arriva a dare altrettanta e anzi maggiore importanza alla rappresentazione del segno vocale che al segno stesso.[60]»

Se esiste la possibilità di guardare alle unità che compongono le trame della lingua come ad una continua linea che nel suo stesso costituirsi si espande, e, conseguentemente, se è possibile pensare che ci sono gradazioni che non predeterminano la composizione e la formazione delle unità sistemiche della lingua, allora si può guardare anche alla scrittura come ad un insieme di regole condivisibili perché normative, attraverso le quali i rapporti tra i segni linguistici abbandonano l’associazionismo per aggregazione e coabitano in una famiglia di idiomi trasformandosi, seguendo e accrescendo continuamente l’unità del sistema che è strettamente connessa alla mutabilità. In effetti, i segnali delle lingue scritte si presentano quasi sempre come se contenessero non una, ma due sistematicità, di cui una è pregressa, quella di istituzione dell’ortografia, appunto, ed una attuale, nell’uso di quell’ortografia con le sue tracce storiche. Per il fatto che i segnali di ciascun sistema si realizzano come repliche contenenti un’unica strutturazione sociale, da ciò che non può essere ignorato, la materialità dei segnali, appunto, il vincolo che unisce questi alle relative significazioni si mostra come formazione stabile perché sistematica.
La dispersione della continuità segnica che si interpone tra le unità significative del sistema linguistico è la questione che Roy Harris pone in rilievo affrontando il problema del carattere oppositivo delle entità linguistiche che egli chiama dell’identificazione differenziale[61]. La delimitazione specifica e mai univoca delle unità linguistiche che risulta dal processo di formazione delle entità sistemiche è evidente nei caratteri discreti della scrittura, in relazione alla continuità del sistema. Harris mostra alcuni aspetti della teoria saussuriana a proposito delle riflessioni di Oswald Ducrot, e in particolare rispetto alla sostanziale continuità che regge il sistema differenziale della lingua, rapportandone alcuni caratteri alla scrittura. In effetti, non è sufficiente affermare che non si può considerare la scrittura un sistema con una sua autonomia soltanto perché essa si basa su un certo numero discreto di forme che non hanno un criterio esterno ad esse per essere riconosciute come differenti rispetto al tipo di azione comunicativa della parole. Se per criterio esterno, infatti, si pensa ad una classificazione o ad un modello astratto da applicare alla principale caratteristica della lingua, ossia la sistematicità, non è possibile, di fatto, capire in che senso Saussure mostri la perfetta coincidenza tra la scrittura e la lingua come sistema di segni. Si tratta, invece, di soffermare l’attenzione sull’evidente analogia tra lingua e scrittura considerate come sistemi autonomi ma omologhi. Esiste, infatti, una logica che può essere considerata pertinente al riconoscimento da parte del parlante delle significazioni messe in atto rispetto all’azione sistematica che la lingua compie come portatrice di significati e sensi, in relazione ad un luogo materiale, che è quello dei segni scritti, che può rilevarne alcune possibilità di realizzazione significativa. In effetti, l’accento posto sulla formazione sistemica che attraversa i valori dei segni di una lingua è relativo al modificarsi delle significazioni tra di essi. La forza o tendenza che permette a ciascun sistema di reggere e delimitare le unità senza circoscrivere un nucleo perfettamente stabile, tra scrittura e espressione in atto, è di fatto ciò che è necessario considerare per avvicinare il problema nei suoi caratteri più evidenti. Un approccio strettamente strutturalista non aggiunge, dunque, caratterizzazioni ulteriori all’idea saussuriana di continuità, e ne esclude le principali specificità, tra cui quella della mutabilità e dell’immutabilità dei segni e quindi del valore e della significazione, ma la necessaria continuità tra le forme è la premessa della sistematicità di scrittura e lingua.

«La continuità del segno nel tempo, legata all’alterazione nel tempo, è un principio della semiologia generale: se ne potrebbe trovare la conferma nei sistemi di scrittura, nel linguaggio dei sordomuti ecc.[62]»

Il processo di composizione delle unità linguistiche che si compie tra naturalità, convenzionalità e arbitrarietà sistemica, permette alla lingua la differenziazione delle entità. Non sono, tuttavia, parametri chiusi ed esclusivi di regole estrinseche al processo di costituzione delle unità sistemiche a formare ciò che si può riconoscere come segno linguistico. L’identità non è mai data di per sé, ma si trova sempre tra altri termini, che ne costituiscono, ancora, per differenza, il valore.

«L’identità che abbiamo cominciato con lo stabilire, a volte in nome di una certa considerazione, a volte in nome di un’altra, tra due termini di natura variabile, è assolutamente il solo fatto primario, il solo fatto semplice donde parte l’indagine linguistica.[63]»

Nessuna sintesi, passiva o attiva, può essere fonte di identità già formate, né da formare, ma, d’altro canto, la storia non può riconsegnare intatte le azioni differenziali dei parlanti nel tempo. Così nelle leggende, luoghi simbolici in cui si combinano le verosimiglianze dei personaggi, l’identificazione delle proprietà caratterizzanti i valori si scontrano con i segni delle lingue in uso, nelle temporalità delle narrazioni. La ricerca d’identità è anche qui priva di senso, essendo il punto di partenza, l’elemento più semplice che il parlante manipola nell’uso. Impossibile da frenare, il flusso della significazione è essenzialmente illimitato, poiché illimitata è la massa di cambiamenti possibili nelle lingue. Il significante, simbolo trasportato nella tradizione e dalla tradizione, muove l’effettività delle lingue, nutrendone il parallelismo con i sistemi di scrittura. La questione emerge anche, non casualmente, a proposito dei simboli delle leggende:

«Où est maintenant l’identité? On répond en général par sourire, comme (si c’était une chose en effet curieuse) remarquer la portée philosophique de la chose, qui ne va à rien moins que de dire que tout symbole, une fois lancé dans la circulation – or aucun symbole n’existe que parce qu’il est lancé dans la circulation – est à l’istant même dans l’incapacité absolue de dire en quoi consistera son identité à l’istant suivant.[64]»

In questo senso il simbolo assume i caratteri di una porzione parziale di uno spazio di significazione, in cui la continua trasformazione del sistema, fatta di momenti di equilibrio e di alterazione, questi non essendo altro che la controparte di quelli, allontana il problema della posizione definitiva delle unità linguistiche e dei sistemi in cui si realizzano. Il rapporto esistente tra le forme di costituzione delle lingue, nei mutamenti diacronici, si instaura là dove continuità sistemica e alterazione, dovuta ai fattori interni ed esterni della lingua, vanno a costituire un sistema complesso mai dato come semplice ente. Pensiamo a come le diversità geografiche si insinuano tra i fattori di coevoluzione di due lingue diverse ma vicine, per esempio l’italiano scritto e l’italiano parlato, i cui mutamenti, in ciascun sistema, di fatto, si risolvono tra le maglie di ciascun micro-sistema locale, in ciascun idioma, nel suo intrecciarsi reciproco con i fattori linguistici e semiotici che vi si legano per necessità. La solidarietà tra le associazioni dei segni linguistici nei casi in cui essi portano a compimento ciascun atto comunicativo in cui è il fenomeno dell’oralità a emergere e la composizionalità insita in ciascun risultato dell’azione stessa, quello segnato da un cambiamento all’interno del sistema, trova una propria specificità nelle rappresentazioni scritte, nei luoghi in cui non è possibile separare la scrittura dalla temporalità che le è propria, per differenza rispetto a quella dell’oralità. I cambiamenti si legano soltanto come per azione differita alla scrittura, poiché essa è in se stessa sistema autonomo rispetto ai fenomeni diacronici esterni. Poiché non si può parlare di uno o più tempi della lingua (e della scrittura) ma, piuttosto, di forme differenti di temporalità dell’impiego dei segni, deve esistere un modo di realizzazione delle forme che permetta di risolvere la questione dell’azione differenziale.
Tra i due fenomeni diversi di scrittura e lingua parlata si configura, allora, un luogo in cui i mutamenti diacronici possono realizzarsi, tra tradizione e azione creatrice, ossia azione verbale in atto. Per Saussure, il fatto che nelle lingue grafiche ci sia diacronia in senso proprio è argomento per la loro autonomia semiotica. Luis Prieto, nel momento in cui si occupa specificatamente dell’analisi dei rapporti tra scrittura e oralità nelle lingue, spiega la dinamica esistente tra i segni grafici e segni fonici all’interno di due lingue complementari. Egli chiama difetti sintagmatici di parallelismo la differenza che si pone nel caso in cui i segni di due lingue complementari mostrano una discordanza irrazionale. Secondo Prieto, infatti, sono complementari due codici che servono per dire esattamente la stessa cosa, e nei luoghi in cui questo avviene si ha un caso di parallelismo perfetto tra i codici considerati. Un esempio è la corrispondenza tra segni grafici e segni fonici di italiano scritto e italiano parlato. Ma questa corrispondenza non avviene a livello sistemico, più generale, in cui quelli che vanno a costituirsi sono generi di discorso diversi, lingue differenti[65]. Pensiamo a due fenomeni diversi ma simili in un aspetto: le comunità basate su una cultura prevalentemente orale e le comunità più o meno grandi in cui è l’uso scritto che occupa lo spazio di significazione maggiore, fino ad assumere i caratteri di una lingua letteraria. Nel primo caso, quello delle piccole comunità, ad esempio, i cambiamenti analogici sono più rapidi, mentre alcuni tipi di mutamento perdono rilevanza nelle lingue letterarie, attraverso le quali, di fatto, si instaura un rapporto dinamico e non definitivo né irreversibile tra entità eterogenee, ma necessario per la significazione. In questo senso è possibile individuare nella scrittura la costante che permette ai due sistemi di essere riconoscibili, nella loro differenza reciproca. In effetti, ciò che è “differenziale” è ciò che non può mai essere una mera sottrazione di caratteri e proprietà afferenti solo e soltanto alla scrittura o soltanto all’uso dell’oralità, ma che è, invece, sempre un prodotto di valori, necessariamente positivo per ciascun sistema, perché positiva è ciascuna unità e ciascun valore, anche dal punto di vista di una pura analisi.
Per il fatto che nelle lingue letterarie la funzione storicizzante e socializzante di queste non è rapportabile soltanto al terreno delle lingue storico-naturali ma, in maniera più o meno reciproca rispetto ad esse, alla scrittura, la significazione specifica che si mette in atto nelle forme di relazionalità tra le entità segniche si mostra, allora, nel percorso di significazione in cui esse si costituiscono in maniera differente ma omogenea rispetto al sistema di cui sono parte. La sistematicità delle lingue letterarie, infatti, non soltanto mira a costituire i termini attraverso i quali un lingua storico-naturale può essere modificata, ma riconduce ad essa insieme con i mutamenti della normatività che la costituisce e la differenzia. Le modificazioni, come prodotto di un processo, da un lato, e l’immutabilità come conservazione che si rapporta inevitabilmente, in un certo senso, alla materialità della scrittura, dall’altro, vanno realizzare la complessità sistemica delle lingue. La modalità di costituzione, allora, non può che essere il risultato, essa stessa, di un processo più complesso di rapporti semiotici tra valori e segni differenti. Le norme specifiche della scrittura restituiscono, dunque, la necessaria reciprocità tra le lingue diverse, e il legame con le lingue che esse rappresentano e modificano è tale da conservarne alcuni aspetti e tralasciarne altri. Le tipologie di cambiamenti, analogico e fonetico, ad esempio, agiscono necessariamente come per retroazione sulle lingue letterarie, ignorando così i mutamenti individuali in maniera più evidente rispetto alle lingue naturali, e, conseguentemente e quasi in maniera paradossale, a prima vista, mostrando gli aspetti che riguardano specificatamente la sistematicità propria delle lingue. Il paradosso che sembra emergere è, allora, soltanto l’immagine superficiale di un fenomeno di attivazione costante e continua delle significazioni, e di conservazione di ciò che è, di fatto, in uso nella comunità linguistica, per approssimazione rispetto alla totalità possibile dei parlanti una stessa lingua. A tal proposito Saussure afferma:

«La lingua non è una funzione del soggetto parlante: è il prodotto che l’individuo registra passivamente [...].[66]»

Di fatto, secondo Saussure, le immagini acustiche sono traducibili nella forma spaziale dei tratti grafici[67]. Questa possibilità fa vedere negli alfabeti fonetici, in cui ciascun suono semplice è rappresentato da un solo segno grafico, una scoperta geniale[68]. Da questo punto di vista non si pone soltanto la questione dell’analisi della catena parlata, ma la possibilità del richiamo al piano simbolico del segno linguistico e, dunque, della significazione, nel senso in cui la simbolicità è ancorata alla materialità grafica. Anche in questo senso Saussure pensa al sanscrito, ad esempio, come ad una cosa vivente, ad una lingua in tutti i sensi reale. La lingua letteraria, dunque, affonda le sue radici in ciò che non può che essere differente, rispetto alla lingua in uso, ma inevitabilmente e per necessità ancorata ad essa, essendone essa stessa la fonte viva, poiché è parte di essa, ne possiede i tratti essenziali[69]. L’estensione che il segno linguistico possiede è allora radicata nella logica dei rapporti sintagmatici e paradigmatici, ed eccede qualsiasi condizione[70]. Il processo di trasmissione dei valori di significazione nei passaggi necessari al riconoscimento delle entità è allora un modo di presentarsi dell’arbitrarietà sistemica ma non un modello che imbriglia ciascun segno circoscrivendone definitoriamente una o più ipotetiche entità. La relazionalità sistemica di ciascuna unità richiede dunque che la corrispondenza tra la materialità grafica e la materialità fonica non sia l’unica determinante per la possibilità di riconoscimento nella catena delle significazioni. Le mutabilità e le immutabilità dei segni permettono alle unità di ciascun sistema, secondo le proprie regolarità, in ciascun contesto, di differenziare le specificità dei significati che la materia grafica e materia fonica mettono in campo nelle diverse temporalità di cui sono portatrici. È per queste ragioni che il campo d’azione del simbolico è intrecciato alla linguisticità. Il luogo di significazione dei simboli, di fatto, non è mai compiuto di per sé, poiché non rispecchia mai un altro luogo, ma, rispetto ai segni linguistici e ai significati di questi, delimita specificamente alcune entità che possono risolvere in se stesse l’unità dei sistemi che intercorrono a costituire quel duttile confine tra oralità e scrittura. Là dove Saussure affronta la problematica della simbolicità pone in rilievo come essa abbia una doppia funzione. Non soltanto è, infatti, radicata nel modo di uso comune e ancorata alla tradizione, tanto da essere parte del patrimonio delle società indipendentemente dalla lingua specifica che esse adottano, ma si realizza nelle forme più specificamente letterarie, come nel caso delle leggende e dei luoghi simbolici che queste realizzano. Così come i confini tra l’esecuzione dei parlanti e la caratterizzazione specifica delle lingue sono sfumati e difficilmente circoscrivibili, la sistematicità in azione tra le componenti delle lingue letterarie e l’azione dei simboli, quali prodotti di una tradizione eccedente rispetto alla forma in uso nella lingua considerata, non può essere soltanto una cristallizzazione pura e semplice. In entrambi i casi, infatti, si richiama in campo la tradizione che non è mai data e costituita una volta per tutte, ma racchiude, senza circoscrivere, ciò che di fatto è in atto tra i parlanti.

«Il simbolo ha per carattere di non essere mai completamente arbitrario: non è vuoto, implica un rudimento di legame naturale tra il significante e il significato. Il simbolo della giustizia, la bilancia, non potrebbe essere sostituito da qualsiasi altra cosa, per esempio un carro.[71]»

È tuttavia necessario sottolineare come non si possa escludere che la conservazione dei simboli non corrisponde in tutti i suoi tratti alla tradizione così come è realizzata nel caso delle lingue. Se le lingue letterarie hanno una forza maggiore rispetto alla semplice azione effimera dei parlanti allora non vi è possibilità di escludere il fatto che nessuna lingua può essere realmente usata da un parlante senza richiamare alla forza simbolica della tradizione che emerge dai documenti storici segnati dalla scrittura, come generi letterari sempre in atto. Ciò che può essere considerato il piano simbolico del segno è, dunque, la possibilità, sempre presente ma non necessariamente attuata attraverso l’azione comunicativa, di una significazione mai formata una volta per tutte. La relazione sistemica tra le entità della lingua permette di costruire una rete differenziale di rapporti tale da far realizzare all’interno di uno stesso sistema le sue caratteristiche specifiche. In merito a ciò, afferma Saussure:

«L’uomo che pretendesse di costruire una lingua immutabile che la posterità dovrebbe accettare tale e quale, rassomiglierebbe alla gallina che cova un uovo d’anatra: la lingua da lui creata sarebbe trasportata, volere o no, dalla corrente che trascina tutte le lingue.[72]»

Lingua e parole, attraverso le quali gioca ogni forma significativa o unità linguistica, realizzano la possibilità di classificare, nel senso più comune di riconoscere e quindi di differenziare, ma non per questo sovradeterminare, le posizioni che ciascun segno realizza per differenza rispetto al segno ad esso più vicino nel sistema di significazione. Pensiamo, ad esempio, al caso di un certo numero di famiglie diventate, nel passaggio da una generazione all’altra, naturalmente esperantiste. Nella sistematicità complessa, intrinseca, dei sistemi, emergono quindi alcuni caratteri dei segni che permettono di portare la scrittura, insieme con la semioticità precedente, anche non verbale, alle soglie del piano simbolico del segno. Questo processo di differenziazione da un lato si pone come possibilità della mutabilità dei segni, scritti o orali che siano, mentre dall’altro permette alla rappresentazione grafica e acustica di formare per opposizione sintagmatica e paradigmatica la sistematicità del complesso linguistico. Si pone, allora, nella scrittura, il limite tra due differenti sistematicità, non in virtù di una diversa origine assoluta, ma, come per una dicotomia interna ai segni, in relazione all’azione stessa della formazione sistemica delle unità, significative perché mutevoli. Una prima nozione di lingua è dunque basata sull’intreccio dei valori reciproci di lingua e scrittura: la lingua è un oggetto non definito là dove non è liberato dalle catene della scrittura. Ma questa immagine citata è soltanto parziale. Il rapporto tra lingua e scrittura, infatti, è tale da poter esemplificare le proprietà della prima con quelle della seconda. I due sistemi sono, infatti, omologhi e analoghi. È da questo punto di vista che Saussure mostra in che senso gli aspetti sistemici di lingua e scrittura sono identici per opposizioni, valori reciproci, quantità negative e relative. Si pone qui, allora, la necessaria riflessione sull’esistenza delle entità e delle forme che si costituiscono. Esistenza che per Saussure non è mai data di per sé, per il fatto che la lingua non esiste che per differenza rispetto almeno ad un altro sistema emergente nella lingua stessa, la scrittura, appunto. Niente è se non per differenza e nei suoi rapporti reciproci con almeno un’altra entità. La lingua, nella sua totalità, afferma Saussure, è come un ruscello, poiché in ogni momento esiste mentre si dice che nasce, e reciprocamente non fa che nascere mentre si constata che esiste. Il flusso della lingua di per sé non offre che innovazioni per improvvisazione, ma che, se si risolvessero in se stesse, continuerebbero a compiere movimenti casuali.

«Ogni innovazione capita per improvvisazione, nel parlare, e penetra di là sia nel tesoro intimo dell’ascoltatore sia in quello dell’oratore, ma si produce dunque nell’ambito del linguaggio discorsivo.[73]»

Quello degli anagrammi è un esempio della funzione che il segno grafico ha nella formazione delle unità linguistiche e i rapporti che intercorrono tra la sistematicità di una stessa lingua e la possibilità di riconoscimento delle entità discrete in rapporti specifici tra le significazioni. Ogni entità è tale da poter essere messa in luce attraverso la peculiare appropriazione di sistematicità differenti, e perciò interrelate, il carattere e il mutamento delle quali permette il confronto tra le significazioni senza forzare il valore delle unità della lingua. La possibile delimitazione delle entità linguistiche si costituisce allora in una forma specifica in cui la semioticità pregressa va a ristabilire il contatto sistemico con le entità della lingua. Nel gioco tra verbale e non verbale si pone dunque non uno iato o uno scarto, ma una possibilità di manifestazione delle formazioni dei valori sistemici che allontana dalla referenzialità della determinazione nelle posizioni che ciascuna unità occupa, rispetto alla successione differenziale con le altre unità nello stesso sistema linguistico. Parlare di scrittura come di una convenzione libera, eccedente qualsiasi condizione a-linguistica, significa allora determinarne alcuni tratti essenziali rispetto alla realtà semiologica del segno. Effettivamente ci sono alcuni fenomeni che non possono che essere ricondotti alla realtà della scrittura, poiché di fatto non esisterebbero se questa non fosse una entità sistemica stabile rispetto alla sistematicità linguistica. Pensiamo agli esempi saussuriani dei fenomeni di costituzione delle forme metafoniche, per esempio l’Umlaut[74], come processi di assimilazione rappresentati graficamente (in questo caso ci troviamo, allora, in una complementarità sistemica tra lingua e scrittura all’interno della stessa forma di linguisticità), che richiamano continuamente ad un discorso di attualizzazione dell’aspetto simbolico del segno e delle rispettive significazioni.
Le unità irriducibili delle lingue, infatti, secondo Saussure, sono testimoniate dai monumenti poetici e dai mezzi di maggior controllo della lingua stessa, ossia la rima e l’assonanza. Ancora qui ritorna il paragone con la composizione musicale, in cui la frase è paragonabile all’attività del compositore e non a quella dell’esecutore. Pensiamo, ad esempio, al caso in cui la necessità di nuove forme nasce dalla scrittura. Un esempio semplice è quello di Prieto del verbo firmare, che ha il proprio luogo significativo nel documento scritto[75], che è, in un certo senso, la composizione e non l’esecuzione di un’attività verbale. Se l’innovazione può avvenire soltanto nella discorsività, e la frase non è mera esecuzione, allora essa si deve compiere al di fuori della dialogicità dell’azione comunicativa verbale, al di fuori del flusso indeterminato e amorfo della parole. Da qui la necessità della rappresentazione per la composizione e costruzione della frase, del supporto materiale che sia solido e permanente, fisso, che sia strumento che si pone dinanzi ai nostri occhi, e che si risolve nella scrittura, luogo della rappresentazione della lingua e delle idee. Si mostra così l’urgenza di Saussure di considerare parole e langue come due fenomeni differenti ma non opposti, laddove la langue è già un risultato delle innovazioni spontanee e istantanee del flusso linguistico e in cui la scrittura, luogo del limite tra le entità sistemiche di ogni asse di realizzazione, gioca con i valori reciproci e oppositivi della lingua, fino a poter considerare la parole un documento della lingua[76]. La lingua letteraria, come parte del sistema linguistico, non è lettera morta, ma luogo del rapporto reciproco con la lingua corrente, per il fatto che come prodotto della cultura giunge a distaccare la sua sfera d’esistenza dalla sfera naturale, quella della lingua parlata, ed insieme ne delinea le specificità. L’uso scritto richiede quindi, necessariamente, un sistema e, poiché la scrittura è rappresentazione della lingua, immagine di questa, specchio dal quale riconoscere i limiti della ricerca linguistica, allora essa diventa canale di approdo al simbolico e alla lingua condivisa da una comunità, in cui la lettera scritta non è soltanto indice di una lingua preesistente, ma modo di realizzazione della linguisticità. La lingua letteraria è già il risultato di un’azione in cui la scrittura ne mostra alcune caratteristiche specifiche, come materiale significativo, nei luoghi in cui significati e significanti linguistici si ritrovano a dialogare. Il processo di interpretazione si risolve nella sistematicità della lingua scritta, mentre la specificità portata avanti dalla scrittura, nelle forme letterarie e nei generi che le sono propri, va a costituire il motore del processo di attualizzazione dei significati. Questi due modi di formazione del segno linguistico si realizzano, come per un paradosso interno al sistema, nell’immutabilità della materia. Per il fatto che le trasformazioni non avvengono secondo regole e prassi già date, allora anche nella scrittura, luogo di significazione, i mutamenti, per opposizione reciproca rispetto alla forma fissa e stabile, sono dati dalla possibilità, sempre presente nel documento scritto, di riappropriazione testuale da parte del parlante, ed in questo senso si comprende la problematicità che Saussure impone alle lingue scritte. Appare necessaria, dunque, una riflessione sui limiti della simbolicità, attraverso i termini di unità e identità dei segni. François Sébastianoff, per esempio, pone in relazione le unità minime grafiche e foniche del sistema monemografico, in base alla corrispondenza biunivoca tra le unità significative di prima articolazione del sistema della scrittura (monemogrammi) alle unità minime della lingua (monemi), in base all’identità del significato e del significante[77]. Nella seconda articolazione considera la relazione che può essere non pertinente tra i grafemi e i fonemi ovvero le unità distintive della seconda articolazione le cui parti minime non coincidono necessariamente. Le specificità della scrittura emergono così stabilendo regolarità di fatto non esistenti, nel senso di esistenza che abbiamo visto, che è identità negativa, riconsegnabile alla sanzione dei soggetti parlanti, per il fatto che la formazione stabile della scrittura ha una sua oggettualità che non è estrinseca al processo di significazione. Sono irrisorie, seguendo un esempio di Saussure, rispetto alla comprensione in atto, le differenze tra senso proprio e senso figurato, in virtù della fondamentale negatività[78], ma questo non esclude la domanda sul limite tra i diversi sensi che affronteremo nel capitolo successivo.


















 









3. La scrittura e il limite linguistico






Dobbiamo allora mettere per iscritto un punto, poiché senza mettere qualcosa per iscritto non si rappresenta nulla. Ma avendo messo per iscritto un punto, che cosa abbiamo fatto?
C. S. Peirce, 2003 [1892], p. 84.

 

























3.0. Premessa: continuità e limiti della semiosi



Nello spazio di riflessione che Peirce dedica alla semiosi emerge la dinamicità della significazione che, tuttavia, non esclude l’esistenza dei limiti necessari alla geografia dei segni, nella peculiare frammentarietà che ciascun sistema porta con sé. Nella complessità categoriale si pone, infatti, un cambiamento che si appoggia sulla mediazione del simbolo-interpretante intrecciandosi con i limiti della significazione che sono rapportabili alla semiosi dei grafi esistenziali ed alla scrittura in generale e vanno a determinare la coevoluzione e la coesistenza con il sistema linguistico di riferimento; laddove, in Saussure, la questione dell’identità si unisce a quella delle unità significative, in particolare nell’analisi delle leggende e nel ruolo dei simboli nel loro stesso mostrare i caratteri che essi rappresentano. Continuità, identità e materialità sono tre proprietà che entrambi gli autori considerati pongono in primo piano nelle loro riflessioni sul piano della semanticità della scrittura come sistema semiotico rispetto ai sistemi limitrofi più o meno complementari. In particolare, in Saussure, la limitazione dell’arbitrarietà, dunque la solidarietà sintagmatica e associativa interna alla lingua, consegna al parlante la facoltà di omettere la possibilità di errore e ridona alla sistematicità per differenza la relazionalità significativa, mentre in Peirce le forze della significazione si distribuiscono tra gli interpretanti che costituiscono il simbolo attraverso la rappresentazione triadica.


3.1. Limite vs. identità



In Peirce la forma del segno, nel passaggio da iconicità a simbolicità attraverso un interpretante, è portata avanti dalla riflessione sugli stati di cose sensibili, esperibili attraverso, da un lato, l’osservazione esterna al fenomeno, dall’altro dalle forme simboliche come frutto di trasmissione tra mente e mente. La complessità della realizzazione della scrittura esistenziale compiuta attraverso i grafi incontra la significazione della sintassi diagrammatica nella traccia significante. Si tratta, quindi, di considerare le differenze specifiche che all’interno del processo semiotico permettono di determinare ciascuna forma significante compiuta tra la realizzazione della lingua in uso e la realizzazione materiale attraverso la semiosi grafemica che entra in gioco nella forma di ragionamento simbolico, nei termini in cui essa è dipendente o composta da una sintassi di tipo diagrammatico.
Ma poiché non sono le semplici occorrenze a delimitare la significazione che si interpone tra le menti nella continuità, è necessario riprendere quella che Peirce già in The Law of Mind, considera come una difficoltà[79]. In effetti, Peirce propone qui di legare le questioni cardinali, che riprenderà più tardi, di continuità, riconoscimento e identità. Abbiamo già accennato alla “Vera Continuità”, nel primo capitolo, che si configura come un superamento delle leggi matematiche ed assume forma logica. Prendendo spunto dalla formulazione puramente matematica, infatti, Peirce si sposta su una più specificatamente logica ossia semiotica, in relazione alla continuità tra segni, menti e mondo esperibile. A proposito della continuità tra le idee, guidata dal processo causale naturale della struttura della semiosi interna del segno in cui ci sono gradini infinitesimali che separano le percezioni immediate ed inferenziali, Peirce arriva a delineare in New Elements un modo di presentarsi della forma in cui la problematizzazione dei rapporti tende a porre in primo piano il limite più generale del significato rispetto ai sensi interconnessi[80], nella differenza sostanziale tra i segni di per sé, come classi di sensi, e nel movimento evolutivo complesso della significazione di forme e valori in cui la determinazione numerica non ha il primato sulle idee.

«How could such an idea as that of red arise? It can only have been by gradual determination from pure indeterminacy.[81]»

La determinazione graduale non esclude quindi la possibilità di composizione complessa delle entità[82]. Queste, infatti, per costituirsi come unità, ossia forme riconoscibili, devono poter essere riconducibili ad un interpretante. Un segno, infatti, per essere tale, si rivolge a qualcuno, ovvero crea nella Mente di quella persona un segno equivalente che si chiama interpretante del primo segno. È unità significativa, per esempio, il risultato del rapporto quaternionale tra gli elementi del segno[83], esempio fruttuoso di funzione relazionale che anche nella riflessione di Saussure è un modo di esemplificare la composizione complessa del segno. La complessità sistemica (in un senso ampio di sistema di tipo tassonomico) in Peirce è, dunque, un punto cardinale di orientamento per qualsiasi entità all’interno della logica dei segni. Se una classe di elementi di per sé non è sufficiente alla significazione, né alla costituzione di segno come unità, tuttavia è chiaro che la significazione si appoggia sulle categorie di Primità, Secondità e Terzità. Da un lato, l’equivalenza, proprietà che appartiene al segno di per sé, poiché ogni segno è sempre uguale a se stesso e dall’altro la similarità, per il fatto che ciascun segno è simile almeno ad un altro segno della stessa classe, tuttavia, entrambi i modi di realizzazione, non possono rendere concretizzabile, di per sé, la significazione. Le relazioni della parte al tutto sono tali da attuare la complessità attraverso la forma significante che mostra la mutabilità dell’interpretante del segno. In opposizione alla forma significante, infatti, vi è il vincolo delle coordinate spazio-temporali già date che possono identificare soltanto occorrenze e non abiti o Type, grafi o simboli. In effetti, la determinazione a priori è il luogo dell'identità che contrasta il movimento delle interpretazioni, la tendenza all’azione degli interpretanti. Ciò che permane è riconoscibile, infatti, come oggetto in sé, ovvero singola occorrenza, ma la complessità che il segno manifesta è tale in virtù delle relazioni interne tra gli elementi che lo costituiscono.

«Tracciare un grafo non significa dunque affermare una cosa o un evento singolo, la cui identità è limitata in un tempo e luogo dati (significante solo in quanto occorre); esso equivale invece a tracciare una “forma significante”, che in sé comporta una legge, una regola ed è essa stessa codice.[84]»

La sintassi diagrammatica, che occupa tempi e spazi ben definiti dalla presenza sul foglio, ma che non è delimitata da alcuna coordinata esterna ad essa, percuote, se così possiamo dire, la generalità del discorso. L’azione conservatrice dei grafi, realizzando l’operazione duplice nel percorso logico e nell’analisi dell’estensione e della comprensione, allontana dalla semplice trama dell’azione tra parlanti, rimandando ad un altro “tempio” della temporalità dell’azione assertoria fino alla predicazione dell’argomentazione. La diagrammaticità non esclude la funzione del simbolo, poiché è nell’abduzione che si muovono i processi inferenziali di cui il pragmatismo è garante. Una ricerca abduttiva è una ricerca che si basa sull’esperienza e sull’osservazione, fino ai limiti della diagrammatizzazione degli argomenti attraverso i grafi. Il simbolo, per essere tale, necessita di una relazionalità specifica che lo differenzia da indici e icone con l’oggetto e l’interpretante tale che questo sia un abito. Tuttavia, nell’ordine logico della considerazione del segno in sé, o della relazione tra almeno due segni, è da considerare, seguendo Peirce, il modo attraverso il quale l’interpretante del segno si manifesta come tale. L’interpretante sarebbe essenzialmente inattingibile se fosse una semplice replica, occorrenza senza autonomia semiotica, mentre il segno delinea il rapporto esistente tra interpretante e oggetto. La diagrammaticità, dunque, come proprietà semiotica è ciò che nella realizzazione e modificazione attraverso l’applicazione delle regole della sintassi diagrammatica dei grafi si configura come segno, attraverso l’azione pratica che esso stesso produce per azione dell’interpretante. A questo punto, tuttavia, il lavoro dell’interpretante logico non appare diverso da quello che in senso comune viene chiamato pensiero (e che racchiude memoria, ricordo, logica, indipendentemente da una reale azione finale completa, finita, chiusa) e che, dunque, si configura come ipotesi di passaggio dall’azione iconica a quella combinatoria che interpretanti e oggetti realizzano nel modificarsi di ciascuno. L’azione combinata, riconosciuta come tale, è essa stessa un interpretante, poiché si muove nelle regole, abiti più o meno complessi che sono punto di arrivo nel percorso della logica complessa dei grafi esistenziali.

«Un grafo inserito nel complesso del sistema è una forma proposizionale o fema, e, in quanto tale, esercita una sorta di “effetto costrittivo” sul suo interprete. Una serie di grafi interconnessi costituisce un argomento o deloma, il quale formalmente, ossia mediante la forma che esibisce, tende ad agire sull’interprete, dando vita a un processo di mutamento di pensiero dell’interprete stesso.»[85]

In effetti, Peirce introduce la nozione di fallibilismo superando così l’ideale del puro raziocinio, ed è in questo senso che la questione dell’identità dei segni è di per sé al di fuori della riflessione semiologica di per sé. Configurandosi come type, il grafo è un abito, un simbolo[86]. Poiché esso è almeno una rappresentazione, porta con sé la duplice natura di diagrammaticità indicale e di iconicità. L’interpretante, che rispetto al diagramma costituisce uno snodo della semiosi, condividendo la natura della Terzità, si configura come forma di relazione tra le parti.

«It will be well here to interpose a remark as to the identity of a symbol. A sign has its being in its adaptation to fulfill a function. A symbol is adapted to fulfill the function of a sign simply by the fact that it does fulfill it; that is, that is so understood. It is, therefore, what it is understood to be.[87]»

Nel ragionamento diagrammatico l’incomprensione tra interlocutori è un confine del valore simbolico del segno e della significazione che si impone a rispecchiare la liminalità del discorso che ciascun parlante mette in atto nel processo di interpretazione. Tra cambiamento e alterazione, l’azione della scrittura tende alla determinazione e allontana dall’indeterminato. La rete di iterazioni che si costituisce come una delle regole di base delle convenzioni dei grafi è di fatto la regolarità che mostra lo stesso processo di interpretazione ed un certo modo di vedere il mutamento dei sensi; nei cambiamenti diagrammatici che si mettono in gioco nell’azione della lingua parlata, infatti, non c’è una regola sovradeterminante che agisce sui parlanti, ed è nel gioco stesso che si costruisce la regola e le possibili regolarità circoscritte in una classe di sensi.

«Di conseguenza i Diagrammi sono limitati alla rappresentazione di una certa classe di relazioni.[88]»

La diagrammaticità, in questo senso, si pone come terreno di passaggio dalla forma della lingua parlata a quella scritta, nella misura in cui ad essere riconosciuto come parte delle convenzioni è l’errore logico necessario alla realizzazione completa dell’argomento. L’errore di osservazione della sperimentazione ideale è di ordine arbitrario, mentre quello della sperimentazione sensibile è di ordine costrittivo, dunque relativo ancora alla categoria della Secondità, parte delle leggi convenzionali dei grafi. Peirce compie attraverso la diagrammaticità un passo in avanti rispetto al tipo di rilevanza che l’errore di osservazione ha nell’esperienza quotidiana. In effetti, le forme interiori della Binarità, ossia dubbio, negazione, termini relativi ordinari, similarità e identità, sono parte dei rapporti esemplificati dall’esperienza e dal ragionamento di ordine costrittivo, escludendo, dunque, la possibilità della domanda sull’errore e quindi il passaggio alla Terzità come categoria di mediazione e dunque di semiosi interpretativa che si muove attraverso gli interpretanti. La precisione dell’attenzione e la differenziazione, più generale, tra i sensi e i significati, sono due valori che attuano quel tipo di separazione che delimita i gradi delle modalità di impiego nell’universo dei segni. Un caso specifico è quello dell’Identità che nella logica dei grafi esistenziali ha un valore che non si identifica con quello della formulazione matematica, poiché è base della “Vera Continuità” e si pone al di là della dicotomia in sé che è la base del dubbio, contravvenendo alle regole costrittive della Binarità, in virtù dell’ordine arbitrario dell’esperienza ideale di sperimentazione logica finalizzata alla sperimentazione diagrammatica e grafemica. La formula di identità è la prima icona dell’algebra che, afferma Peirce, non giustifica di per sé alcuna trasformazione, alcuna inferenza.[89] In effetti, identità e continuità sono termini relativi alla assoluta arbitrarietà dei segni che allontanano dall’osservazione diretta. Vi è, dunque, un limite non più di tipo numerico, dunque invariabile, ma materiale, continuamente soggetto al mutamento degenerativo delle forme significative.

«Tra i Grafi Esistenziali ce ne sono due che sono eccezionali per il fatto di essere veramente continui sia nella loro Materia che nella loro corrispondente Significazione. Non ci sarebbe niente di eccezionale nel loro essere continui in uno o in entrambi gli aspetti, ma che la continuità della Materia corrisponda a quella della Significazione è abbastanza eccezionale da limitare questi grafi a due: il Grafo dell’Identità, rappresentato dalla Linea d’Identità, e il Grafo della coesistenza, rappresentato dallo Spazio Vuoto.[90]»

È dunque evidente l’esistenza di un limite, un peso oggettuale. In effetti, quel margine rappresentato dall’invariabilità del numero all’interno di una classe di relazioni che è il diagramma eccede l’iconicità iniziale del processo inferenziale che determina la continuità intesa almeno come affezione causale tra i segni. La continuità non equivale all’identità tra i segni (semmai è il contrario, poiché affinché ci sia continuum deve esserci possibilità di mutamento e duttilità differenziatrice). Tuttavia, se i segni sono in un continuum reale l’identità non dipende dalla proprietà dei segni di essere limitati, circoscrivibili da alcuni punti di vista, o classi di sensi impiegati. Anche la diagrammaticità si costituisce in una a-progettualità che esibisce l’iconicità indicale jakobsoniana, come abbiamo accennato nel primo capitolo, in cui la formazione di ciascuna entità vista come unità e dunque complessa, ovvero costituita da parti significative, convenzionali e arbitrarie è essa stessa al limite della logica simbolica. Per giungere alla comprensione intesa come relazione tra almeno un agente e un interpretante è allora necessario rifiutare la definizione di continuità strettamente matematica e giungere alla vera continuità del pragmaticismo, come aderenza ad un proposito fattuale.

«[...] il Diagramma non definisce esso stesso esattamente quanto lontano si estenda la somiglianza [...] sebbene la Forma di Relazione sia in se stessa Definita, in quanto è Generale.[91]»

Se non c’è un inizio che non sia complesso, il limite è nell’errore e nell’incomprensione della comunicazione effettiva, a partire dalla categoria della Secondità in cui dubbio, negazione e identità collassano nell’ordine arbitrario dell’esercizio diagrammatico. L’Interpretante Simbolico Iniziale è un segno dipendente da almeno una realtà oggettuale, quindi reale, immediata, che eccede un'esperienza complessa ma che può essere fattuale e dinamica, perché appartenente al mondo dei segni, e parte di una relazione triadica “pura” o genuina. Si potrebbe pensare ad un’interpretante emozionale come motore della significazione, ma esso sarebbe parte di un’azione semplice, primaria, fatta di una causalità pura[92]. Tuttavia, affinché la diagrammaticità estenda le proprietà formali nella simbolicità e mostri dunque in che senso la rappresentazione determini il significato, è necessario considerare il segno non ancora nella totalità di relazioni possibili ma nelle relazioni con almeno un altro segno, da almeno un altro punto di vista. In questo senso l’errore è esso stesso una forma di limitazione della comprensione, poiché va oltre la domanda sulla effettività della relazione di un segno ad un altro. Tuttavia, per il fatto che la semiosi non è mai di un segno in se stesso, ma almeno di un segno nel rapporto ad un altro interpretante o segno differente, allora è necessario mostrare come la forma significativa sia effettivamente una relazione tra valori differenti.
In Saussure, la questione dell’identità, come abbiamo accennato nel secondo capitolo, è marginale, poiché è opposta al linguaggio: l’identità è l’unica cosa semplice in opposizione al fatto che il linguaggio è complesso. Riprendiamo ancora le leggende germaniche:

«L’exercice qui consiste à rechercher une “identité” entre un personnage de l’histoire ne saurait avoir, d’avance, qu’ne portée très limitée.[93]»

Per il fatto che si può sempre avere una trasformazione, da uno stato all’altro, il nome di un personaggio di per sé non ha alcun significato, e non è neanche preciso, sostiene Saussure, affermare che sono le azioni o il suo carattere o, ancora, il contesto in sé a determinare la sua identità. Allo stesso modo, la parola è un’unità artificiale[94], risultato del lavoro sistemico delle opposizioni naturali delle sillabe in cui il limite significativo è interno alla possibilità di comprensione, e per differenza rispetto alle altre parole nei rapporti sintagmatici e paradigmatici. Fondamentale unità significativa, la parola di per sé non può imporsi, poiché il costituirsi delle forme con il proprio valore segue il flusso continuo della lingua, ed è dunque il movimento stesso che compie il gioco della significazione. Tuttavia, poiché la significazione non può essere separata dal segno[95], allora il segno è esso stesso portatore di significazione che è data da una forma esterna di limite che si impone a creare un’altra significazione. Questo può essere un modo per vedere la relazionalità artificiale tra i sistemi semiologici e la scrittura nella sua dipendenza con essi. Il segno, infatti, non può istituirsi in se stesso:

«Toute chose matérielle est déjà pour nous signe: c’est-à-dire impression que nous associons à d’autres, mais la chose matérielle paraît indispensable. La seule particularité du signe linguistique est de produire une association plus précise que toute autre, et peut-être verra-t-on que c’est là la forme la plus parfaite d’associations d’idées, ne pouvant être réalisée que sur un sôme conventionnel.[96]»

La lingua che circola tra i parlanti è, in questo senso, in una differenza confusa di idee scorrente sulla superficie d’una differenza di forme[97] che di per sé non sono analizzabili. La scrittura, invece, in virtù delle sue differenze sostanziali rispetto all’atto fonico della parole, permane come un limite normativo per la lingua ed in questo senso è un pericolo. In effetti, afferma il Saussure, la lingua letteraria è il travestimento che la lingua non può non indossare là dove arriva a possedere una sfera di diffusione separata, ossia all’interno del libro. Questo limite della lingua letteraria fa luce sul problema che riveste la specificità del segno grafico. Se questo fosse subordinato soltanto a rapporti di tipo spaziale, come nel caso del quadrato tagliato da una diagonale che mostra Saussure, è chiaro che sarebbe nient’altro che un simbolo convenzionale tracciato per un gioco casuale e involontario[98]. Ma, poiché i segni della lingua scritta sono essi stessi significativi e sistematici, allora essi hanno un ruolo nel sistema della lingua che non è soltanto quello della individuazione delle unità. La problematicità della considerazione delle forme semiologiche rispetto alla scrittura intesa come deposito della significatività, ma anche come fenomeno complesso di tipo linguistico, è la questione più volte ripresa da Saussure:

«Sventuratamente per la linguistica vi sono tre maniere di rappresentarsi la parola. La prima è fare della parola un essere esistente completamente fuori di noi, ciò che può essere rappresentato dalla parola celata nel dizionario, almeno grazie alla scrittura; in questo caso il senso della parola diventa un attributo, una cosa distinta dalla parola; e le due cose sono dotate artificialmente di un’esistenza, grazie a ciò anche indipendenti a un tempo stesso l’una dall’altra e ciascuna anche dal nostro concepirle; esse diventano l’una e l’altra oggettive e sembrano inoltre costituire due entità.[99]»

I segni linguistici si costituiscono per differenza, trovando unità nel luogo proprio della parola, lo spirito o coscienza del parlante, afferma Saussure, il luogo in cui la distinzione tra i due piani del segno, di significante e di significato, trova sintesi. Il segno scritto è dunque oggetto di studio della linguistica, mentre la lingua letteraria, che Saussure considera come un aspetto teratologico della lingua, poiché capovolge e deforma questa alterandone il percorso naturale, dona paradossalmente linfa alla lingua, imponendo le sue influenze anche alla massa parlante che vive al di fuori dei circoli e delle accademie.

«All’interno d’una stessa lingua, tutto il movimento evolutivo può essere contrassegnato da un continuo passaggio dal motivato all’arbitrario e dall’arbitrario al motivato; questo va e vieni ha spesso il risultato di spostare sensibilmente le proporzioni delle due categorie di segni.[100]»

Soltanto in questo senso generale, dunque, per esempio, anche la trascrizione fonetica è una trasposizione, ossia una prima forma di trasformazione simbolica in cui i valori naturali, convenzionali e arbitrari tra i quali si realizza il processo di composizione delle unità linguistiche sono sempre rigenerabili e mai dati definitivamente. Nel caso letterario delle leggende germaniche dei Nibelunghi analizzato da Saussure, la persona mitica è simbolo in virtù del nome, della posizione, e dei movimenti che compie all’interno del sistema, dipende dunque dalla funzione e dalla possibilità dei mutamenti. Questi sono in un continuum graduale e non frammentario, risultato e modo di presentarsi della continuità logica, specchio della continuità sistemica dei segni in gioco, e delle loro significazioni. Non c’è un termine linguistico che non sia simbolico, e il simbolo è, di fatto, quello significante. A questo proposito Aldo Prosdocimi rileva che in Saussure l’unità drammatica si costituisce negli innesti delle leggende in cui il significato dei simboli o delle forme linguistiche si istituisce nel continuo interscambio e gioco di sensi tra almeno due universi diversi, non da storia a leggenda, ma dal riconoscimento di un oblio o mancanza fino a quel “qualcosa” che è l’evoluzione del racconto. I fattori di cambiamento si riversano sulle lacune della storia ordinaria, attraverso la trasformazione dell’essere mitico o simbolo in fattore positivo, ovvero in qualcosa di vivente e significativo. Prosdocimi afferma che, in effetti, le tematiche dell’unità e dell’identità sono legate all’apparire della scrittura alfabetica; in questo senso possiamo vedere come il carattere alfabetico permette di fissare l’identità linguistica. La tautologia dell’equivalenza di un tratto a se stesso, tuttavia, non chiude le porte alle questioni più specifiche della scrittura alfabetica e dei sistemi. Ciò che è frammentario, infatti, non può essere, in sé, un’unità ed è perciò necessaria una intertestualità che va da leggenda a leggenda. Esiste dunque un “individu graphique” che rientra in un più ampio “individu sémiologique”[101], risultato di un valore fonetico, una forma grafica, un nome e un numero. Tuttavia è nel momento in cui le diverse forme del segno sono lanciate in circolazione che l’esistenza individuale diventa simbolica. Persona mitica, mot (parola o segno) e lettera dell’alfabeto, possono innestarsi in altre unità, modificando i caratteri e le qualità. Il limite si costituisce allora nell’uso, nell’impiego dei segni come forme linguistiche. Ci sono, dunque, alcune caratteristiche proprie della scrittura che portano alla luce la sistematicità della lingua. La significazione si realizza pluridimensionalmente, riunendo a sé ciò che il termine generale comprende, ossia basandosi sulla linearità, per prima cosa, proprietà specifica di un sistema linguistico, e attraendo a sé le logiche della grammatica e della semantica. In effetti, ci sono dimensioni del segno, afferma Saussure, che vanno dalla linearità monodimensionale dell’atto fonatorio alla pluridimensionalità spaziale del segno grafico. Ha insistito su questo Sylvain Auroux, secondo il quale non vi è alcuna grammatica, e dunque nessuna meta-linguistica esplicita, senza scrittura[102]. A questo proposito, pensiamo anche all’idea di Giorgio R. Cardona secondo il quale se mai fosse possibile un vero modello definitivo che definisca il pensiero, questo dovrebbe essere tridimensionale con costellazioni, cellule interne, intersezioni di piani.[103] Si tratta, infatti, di pensare alla possibilità complessiva di ricostruire il percorso della stratificazione delle unità e dei sistemi delle quali il simbolo è rappresentazione, quindi fondamento della forma linguistica, e la domanda ricade nella possibilità di fermare le unità in una forma semiologica stabile. A tal proposito Saussure, nel terzo corso, si chiede che cos’è che rappresenta le identità nella lingua, e la risposta è quella di un elemento soggettivo indefinibile.


3.2. Il limite della lettera



La lingua che si costituisce attraverso la scrittura è, possiamo affermare, una realtà che si forma nelle differenze della significazione, permettendoci così di dimenticare la vecchia nozione di segno preconfezionato destinato ad un contenuto già dato ed avvicinando lo spazio del simbolico. La lingua letteraria non è, allora, lettera morta, ma luogo del rapporto reciproco con la lingua corrente, per il fatto che essa, come prodotto della cultura, giunge a distaccare la sua sfera d’esistenza dalla sfera naturale, quella della lingua parlata[104], ed insieme ne delinea le specificità. L’uso scritto richiede quindi, necessariamente, un sistema, nel senso più generale e, poiché la scrittura è almeno rappresentazione della lingua, immagine di questa, specchio dal quale riconoscere i limiti della significazione, allora essa diventa canale di approdo al simbolico e alla lingua condivisa da una comunità, in cui la lettera scritta non è soltanto indice di una lingua preesistente, ma, invece, modo di realizzazione della linguisticità. La lingua letteraria è già il risultato di un’azione in cui la scrittura ne mostra alcune caratteristiche specifiche, come materiale significativo, nei luoghi in cui significati e significanti linguistici si ritrovano a dialogare, portando come bagaglio più o meno pesante la necessaria semioticità precedente anche non verbale. Il simbolo è, dunque, necessariamente, segno in uso, laddove la preminenza della continuità sistemica permette di afferrare un limite logico riconoscibile che si realizza al di fuori della logica identitaria. Attraverso i mutamenti che hanno luogo tra le forme di realizzazione della lingua, la differenziazione non è realizzabile definitivamente, così come, riprendendo l’esempio saussuriano, una composizione musicale non esiste una volta per tutte per il solo fatto di essere stata eseguita, e appare dunque più vicina ad un modo di presentazione di un aspetto al limite tra linguisticità e pensiero non verbale, nelle forme di attualizzazione e conservazione che possiamo racchiudere nel termine generale di simbolicità. Ogni lingua viva mostra i limiti di ciascun segno tra i livelli diversi di coscienza linguistica. Pensiamo, per esempio, alla distinzione esistente tra senso proprio e senso figurato, nel senso in cui richiama oltre il contesto, la necessità di una tradizione che distingua le forme significative. In questo senso la scrittura è tradizione, se considerata al margine della lingua letteraria. Le unità irriducibili delle lingue, infatti, secondo Saussure, sono testimoniate dai monumenti poetici e dai mezzi di maggior controllo della lingua stessa, ossia la rima e l’assonanza. In effetti, se il contesto non è più sufficiente ad attrarre i poli estremi dell’azione comunicativa verbale, ci si ritrova in un terreno secondario, il limite del quale è sempre presente nel testo scritto. La visibilità dei segni grafici che indicano una significatività pregressa, è in Saussure, ancora una volta, indice del movimento di significato e significante.

«Questo è ancor più vero per il significante linguistico; nella sua essenza, esso non è affatto fonico, è incorporeo, costituito non dalla sua sostanza materiale, ma unicamente dalle differenze che separano la sua immagine da tutte le altre.[105]»

Un esempio di Saussure è la sequenza dei fatti di lingua: rei, roï, roè, roa, rwa, ciascuno in un’epoca diversa che vede nella scrittura, invece, rispettivamente, susseguirsi rei, roi, roi, roi, roi. Per il fatto che sincronicamente vi è sempre mutamento, dunque significazione, possiamo considerare in un senso più generale l’identità (intesa come equivalenza) tra i sistemi semiotici, quello di lingua e quello della scrittura, in cui si perdono le caratteristiche specifiche di ciascuno.

«Un syncronisme se compose d’un certain nombre de termes (termini) qui se partagent l’ensemble de la matière à signifier.[106]»

In un movimento a ritroso, dal riconoscimento dell’identità sistemica al segno nella sua complessità, è necessario compiere uno slittamento attraverso l’uso, nei limiti concessi dalla prassi. È nella manifestazione della scrittura, infatti, che si viene a costituire un’altra lingua[107], un diverso sistema. Per il fatto che l’arbitrarietà linguistica si regge in se stessa, la sua conservazione e i suoi mutamenti vivono tra la massa parlante nel tempo. In effetti, Saussure rileva come, in generale, conosciamo la lingua mediante la scrittura e per la nostra stessa lingua materna il documento scritto interviene di continuo[108] come parte del sistema linguistico. In particolare, il linguista ginevrino si chiede se una lingua implica necessariamente l’uso della scrittura, per ciò che riguarda la lingua letteraria omerica che, possiamo dire, è già il risultato di un’azione che deriva da una prassi socio-simbolica. Per il fatto che la lingua è in ogni istante rinnovabile e rinnovata dall’azione della parola in uso tra i parlanti, quel materiale grafico che eccede la pura fisicità si configura come il luogo in cui significati e significanti linguistici si ritrovano a dialogare. Ciò che viene a mutare è la possibilità della presa di parola che realizza la sequenza di azioni, ciascuna delle quali è un risultato relativo perché soggetto ad un’ulteriore e necessaria azione.

«Per “lingua letteraria” intendiamo non soltanto la lingua della letteratura, ma, in un senso più generale, ogni specie di lingua di cultura, ufficiale o non, al servizio dell’intera comunità.[109]»

La lingua letteraria, pur non dipendendo strettamente dalla scrittura, poiché non è subordinata ad essa, ritaglia e circoscrive la lingua in uso. Il segno va dunque considerato nella sua totalità di significato e significante, ed è in questo senso che, come abbiamo visto nel secondo capitolo, scrivere le lettere in bianco e nero, incidendole o in rilievo, con una penna o con uno scalpello è senza importanza per la loro significazione. La lingua scritta si configura allora come un modo per riconoscere i confini della realizzazione linguistica con l’insieme di sensi che il preverbale porta con sé, liberando la strada verso l’arbitrarietà. Se già il simbolo è di per sé conseguenza e indice di un’azione complessa, sociale, c’è in ciascun segno l’impronta del pensiero collettivo, nel senso in cui, afferma Saussure, il valore di un segno verbale rispetto all’azione che lo governa si muove nel tempo, seguendo le trame della temporalità che lo rappresentano, così come, riprendendo un esempio di Saussure, il valore di un biglietto del treno non obliterato muta durante e dopo la scadenza del biglietto stesso. Nella lingua tutto è negativo e differenziale, ed è nella continuità dei propri giochi che mette in campo il processo di semiosi, in cui ciascun segno è imprigionato nella rete dei ruoli che gli altri segni indossano arbitrariamente.

«On arrive ainsi au principe de continuité qui annule la liberté, et qui d’autre part implique l’alteration, c’est-à-dire le déplacement des valeurs.[110]»

La lingua diventa, dunque, tangibile nella scrittura, tanto da poter essere considerata essa stessa un documento storico, testimone di fatti sociali realmente accaduti. La forma (che è il senso) diventa suscettibile al suo poter essere scritta[111] e la forma linguistica della scrittura muta ciò che della lingua può esser visto. Pensiamo ancora alla Primità peirceana: questa non sarebbe visibile se non vi fosse almeno la Binarità, ma questa, ancora, non sarebbe visibile nella sua totalità se non ci fosse un punto di vista esterno, la Terzità, il luogo della lingua e della semiosi interpretativa dei segni. Testimoniata dalla lingua scritta, l’azione sociale diventa tale nel momento in cui può essere ricostruita sulle rovine dell’informe attraverso una ricomposizione, luogo di passaggio da un’arbitrarietà forte ad una relativa che è quella della trasmissione dei segni. Afferma De Mauro, a proposito del terzo corso di Linguistica generale:

«E troviamo qui una ripresa di attenzione per il ruolo particolare che la scripta ha nel costituirsi di comunità e tradizioni linguistiche a sussidio della trasmissibilità temporale e sociale dei segni, oltre la loro primaria vocalità e uditività.[112]»

Il sistema della lingua e il sistema della scrittura hanno un rapporto stretto e inestricabile, mentre la relazione che intercorre tra i due sistemi è formulabile attraverso il principio stesso che regola le forme della prassi comunicativa verbale, ossia l’analogia che è la forma più semplice e produttiva del movimento e della conservazione della lingua. Possiamo quindi affermare che la lingua scritta da un lato si evolve in se stessa, come un sistema chiuso e completo che elabora produttivamente e naturalmente le regolarità, le regole e le differenze della lingua; dall’altro la forma che la scrittura costruisce e mostra attraverso la linearità dei segni evidenzia come la fluttuazione sistemica delle significazioni determini una serie di equivalenze nella convenzionalità dei segni che diventa limite dell’arbitrarietà.


3.3. La lingua è un documento storico



Già nelle tre prolusioni ginevrine Saussure porta la scrittura su un piano parallelo a quello della lingua. Se ne intravedono così le diverse sfaccettature, poiché essa si pone come terreno di possibilità dei mutamenti linguistici, ma contemporaneamente, anche se sotto punti di vista differenti, la lingua scritta è un vincolo tale da diventare peso ed ostacolo per la mutabilità. Tuttavia essa non esclude il principale modo di realizzazione della significazione che è regolato dalla logica della continuità sistemica più generale.

«Distinguiamo la lingua francese e la lingua latina, il tedesco moderno e il germanico di Arminio come si distingue [ ] e allora si ammette che l’uno comincia e che l’altro finisce da qualche parte, il che è arbitrario.[113]»

La continuità dei segni è tale da non avere mai un vero e proprio punto di equilibrio, che sia stabile e fisso, a meno che non ci si trovi nella “tirannia della lingua scritta” che si configura come ostacolo nel cammino della lingua. Il cambiamento analogico riguarda la scrittura come la lingua[114], poiché si pone su un livello di coscienza linguistica che non teme l’errore. Il superamento della logica identitaria si dispiega nelle due forze che regolano la continuità e dunque la mutabilità: l’unità della lingua e il movimento della lingua. Essi si posizionano nell’irreversibilità delle trasformazioni che presuppongono l’assenza di entità completamente circoscrivibili: lo scarto tra mondo verbale e sviluppo evolutivo di un organismo, inconcepibile dal punto di vista peirceano, va contemplato invece nella avversione di Saussure nel concepire la lingua come un essere organico e dunque naturale. Se non è possibile, dunque, parlare di scarto all’interno della linguistica storica, esso è presente nel senso di oblio, assenza, anti-posizionamento all’interno della sfera dei fatti del linguaggio. La Natursymbolik di W. Müller a cui Saussure si oppone proprio per sostenere che il fondamento di legame naturale dei simboli ad un referente, è tale soltanto alla luce dell’arbitrarietà relativa dei fatti simbolici e non per il fatto che il simbolo è un essere determinato in sé. La coerenza dei fatti della scrittura sotto la forma testuale della leggenda con l’accadimento o il fatto sociale dipende strettamente da una ricerca in cui la scrittura perde la connotazione che Saussure dà di essa come fattore degenerativo della lingua. In effetti, quando si parla di inganno della scrittura si fa riferimento alla determinazione che i segni scritti oppongono all’informità della naturalità in sé, in cui la frammentarietà è irriconoscibile anche se ha un valore storico. La lingua è, quindi, un documento storico testimoniato dalla scrittura che si configura a sua volta come testimone diretto di una o più lingue. Similmente, il metodo comparativo della storia documentaria che Peirce oppone alla storia critica[115], inseguendo la parallela teoresi della storia testimoniata dai soggetti parlanti, accoglie, trasformandola, la parentela che si instaura tra le modificazioni delimitate dei simboli. Ciò che si oppone all’arbitrario è ciò che elimina la possibilità di una evoluzione intesa come cambiamento effettivo delle forme e delle significazioni. Gran parte delle realizzazioni foniche, ad esempio, ricadrebbero, se così fosse, nel calderone dell’indecidibilità sul piano del significato e ci sarebbe una tendenza alla pura indicalità, cosa che non è possibile neppure nei segni che rientrano nelle categorie trasformabili della semiotica peirceana. Nella scrittura nulla è lasciato al caso o puro accidente, rimangono tuttavia aperti luoghi già circoscritti dagli abiti del tempo, in cui la memoria si disfa continuamente senza dare la possibilità di spiegare le ragioni delle regole sempre rinnovabili della linguisticità. La lingua come testimonianza si manifesta nei legami sociali in atto, da un lato, ma dall’altro si appoggia sui segni materiali che possono essere interrogati[116]. La lingua è, allora, in un senso, un documento storico nelle manifestazioni che dà di se stessa, là dove indica, ad esempio, un certo tipo di organizzazione sociale. Le differenze di temporalità e usabilità tra lingua scritta e lingua parlata lasciano intatte, risolvendosi in esse, le proprietà e i principi che regolano ciascun sistema, nell’approssimazione che la coscienza dei parlati rende sempre concreta. La stabilità di cui la visibilità della lettera scritta è portatrice ha una corrispondenza sul piano della materialità significante, in cui lo schema grafico mostra l’essenziale corrispondenza tra i sistemi.

«La linea spaziale dei segni grafici corrisponde nei segni fonici alla successione nel tempo.[117]»

L’isomorfismo sistemico che il linguista rileva sembra nascondere, dunque, la preminenza della scrittura nell’ordine del linguaggio, fino ad ipotizzare una potenziale onniformatività della scrittura rispetto alla lingua, con una forma di verbalità specifica della scrittura in cui l’attenzione si sposta sulla dinamicità del significato rispetto alla stabilità del significante, conseguenza logica della negazione, per differenza, dell’azione verbale attualizzata dai parlanti. Le dimensioni segniche, ossia quella pragmatica, espressiva, semantica e sintattica sono ricondotte alla linguisticità pregressa della lingua in uso. La ricostruzione o il ripristino delle diversità che Saussure si propone di spiegare già nel primo corso di linguistica generale[118] si allinea con la necessità di una ricomposizione delle forme, che si lega inevitabilmente con l’unità necessaria che si costituisce nel legame con i monumenti scritti. Se lo scarto tra lingua e scrittura è a-progettuale, involontario, non c’è in tutti i casi una separazione netta o assoluta tra i piani del discorso. La parola che si pone nel cammino della lingua come unità significativa ne altera il materiale, poiché altera il rapporto dei segni con il pensiero. Se questo è vero per tutti i sistemi di segni, la materia è indifferente alla determinazione delle unità. Esiste, tuttavia, una separazione, che è un limite tra i sistemi in uno stesso stato, non puramente qualitativa, che frammenta la realtà significativa di cui il segno è parte, che riguarda la questione dell’identità di un segno ed è dunque simile alla ricerca di un’appartenenza del segno ad un sistema. Ma questo significherebbe negare l’appartenenza potenziale ad un altro, cosa che nelle lingue non può darsi. L’autonomia sistemica si ritrova dunque sul piano strutturale, interno a ciascun sistema che ne delinea le proprietà. Si tratta di realtà semiologiche in cui la lingua ne ritaglia le unità ma il cui funzionamento rimane un enigma, nell’incalcolabilità che le è propria, che non è semplice indeterminatezza. La divisione in categorie che rispecchia quella delle unità non è dunque, soltanto, la questione complessa che riguarda il linguaggio e la lingua, e dunque ricade nelle conformazioni di altri sistemi maggiormente soggetti alla frammentazione materiale, poiché dipendenti da altre forme semiologiche. Saussure mostra come la funzione della sostanza materiale rispecchia un paradosso che è fondamentalmente legato al fenomeno della delimitazione delle unità e in opposizione ad una prima formulazione di valore. Questo si configura in opposizione alla forma storica o alla storia della parola: nel percorso saussuriano il valore è dapprima l’impressione.[119] Considerare soltanto questa definizione porterebbe tuttavia a ridurre la lingua ad immagine di qualche altra cosa, di un sistema come la scrittura, per esempio, in cui vi è già rappresentazione di idee dapprima amorfe o irraggiungibili se non attraverso l’azione dei parlanti. Si pone qui la dualità tra ciò che deve ancora avere luogo, un’unità che è una composizione di valori differenti ma riuniti sotto almeno un punto di vista, e ciò che è in atto ma che non può essere compreso da alcun sistema già dato, ovvero il fenomeno semiotico di per sé. L’identità che Saussure nega è, dunque, subordinata alla logica della forma come fenomeno o impressione, che si esplica nel secondo corso ma che resta irrisolta senza l’appello alla famiglia linguistica che è comunque un dato astratto, proprio in virtù dell’illimitatezza potenziale dei rapporti tra le lingue e i sistemi semiologici in uso. Si tratta di un circolo vizioso che afferra tutti i sistemi, come abbiamo già visto, ma che connette i punti di vista più generali, diacronico e sincronico, alle modalità di realizzazione delle analisi che Saussure annette soltanto alle prospettive di tipo diacronico, ossia la prospettiva “prospettica” e quella retrospettiva che coincide con la ricostruzione dei fatti.
La suddivisione tra sincronia e diacronia non è soltanto, dunque, quella di punti di vista. Si tratta, infatti, di una necessità naturale che determina leggi diverse, in base ai fatti eventuali (della parole), e fonetici (rispetto al singolo individuo), che Saussure pone rispettivamente nelle leggi sincroniche e nelle leggi diacroniche. Il carattere accidentale della parole viene chiuso in un proponimento sistemico che resta comunque irrisolvibile dal punto di vista della linguistica statica, l’ordine della quale è esemplificativo ma non può comprendere le funzionalità della lingua. Nella diacronia Saussure vede una forza imperativa sanzionabile dal parlante che è anche il risultato dell’avvenimento. Ma un fenomeno rappresentato come funzionalità pura non è un fatto di lingua e non spiega di per sé la differenzialità dei rapporti tra i segni. Il punto di vista sincronico che racchiude il livello sintagmatico e associativo esclude le leggi dei cambiamenti fonetici probabilmente proprio per il fatto che non è soltanto il punto di vista che forma la significazione: esso costruisce un prototipo, una normatività cristallizzata che non può essere segno linguistico. In questo senso rileggiamo ciò che abbiamo accennato nel secondo capitolo a proposito della scrittura come documento indiretto che nel terzo corso di Linguistica generale emerge come intermediario necessario per la testimonianza della lingua. La scrittura rielegge la lingua, dal punto di vista sincronico, a modello indefinito, mentre diacronicamente la lega ad un carattere ideale che non è mai presente. È dunque la negatività di una forma visibile che passa attraverso i segni grafici ed i segni della scrittura a rafforzare la sistematicità interna alla lingua che è strutturale e si configura, dunque, in comunione con gli altri sistemi semiotici, allontanandosene poi, per differenza, nella pratica dei soggetti parlanti. Le due specie di identità, quella attraverso il tempo e quella sincronica, portano in primo piano la struttura formale dei sistemi linguistici, quello della lingua e quello della scrittura e ne fermano il percorso nell’intreccio dei sistemi semiologici, fino a consegnare questi al confine del linguaggio. Se la correlazione tra i segni di diversi sistemi è un modo per non fermare la sostanza segnica alla pura fenomenologia dell’azione parlata, le unità ne risolvono la questione generale ma non il riconoscimento in identità. Un punto che possiamo qui fermare, quindi, è il fatto che la lingua è ancorata a diverse forme di interpretazione che diventano linguistiche nel passaggio attraverso codici diversi e complementari e classi di sensi corrispondenti nei sistemi semiologici più generali.

 




4. La simbolicità e le logiche della scrittura






C’est le sens qui crée l’unité, on le voit donc.
F. de Saussure, 1957, p. 42.





















4.0. Premessa: la scrittura e la testimonianza linguistica



I segni grafici, considerati rispetto alla negatività linguistica, permettono di formulare un’ipotesi di sussistenza sistemica della lingua scritta rispetto alla lingua parlata, che nella comunicazione verbale rimane trasformazione o residuo di proprietà sistemiche parallele ma non incongiungibili. La scrittura è testimone, dunque, delle età linguistiche nel modello generale che è la lingua, e attraverso la forma di schema complesso della relazionalità segnica che regge il pensiero verbale. La vastità della formulazione che guarda alla scrittura come ad uno strumento artificiale che si pone nella naturalità della lingua richiede la considerazione di forme diverse di scrittura e la necessità di valutare non soltanto le sistematicità strutturali ma le incongruenze tra le quali quella individuale ne è l’embrione, nelle dimensioni che realizzano le forme del segno. Si tratta allora di de-storicizzare, in un certo senso, la simbolicità interna ad ogni contesto linguistico per poter cogliere la significatività specifica della scrittura nella forma che supera, va al di là del valore del segno grafico considerato come pura immagine o impressione. Il carattere complesso della rappresentazione scritta non può, dunque, essere sintetizzato dalla tradizione linguistica, né dalla posizione che la scrittura assume in un gruppo sociale; tuttavia, anche parlare di strumento del pensiero risulta riduttivo. Stringiamo così una delle posizioni più vicine a quelle che danno garanzia della scrittura come sistema semiologico di tipo linguistico, in cui i segni grafici si piegano alla combinatorietà delle regole linguistiche basate sulla linearità del significante.


4.1. Riscrivere le lingue: un’operazione semiologica



La comunicazione verbale si costituisce, dunque, come punto di approdo del simbolico alle lingue storico-naturali. Lo spazio che si interpone come luogo di passaggio tra la preverbalità e la verbalità è quello di una simbolicità manifesta perché condivisa dai parlanti, ma che si avvale di una conoscenza implicita o tacita in cui i simboli come segni complessi e normativi realizzano i presupposti della piena articolazione dei significati. La scrittura si istituisce, dunque, come una lingua particolare, tale da mettere in atto i significati su un altro piano del simbolico, fino a delimitare l’estensione e allargare i confini della comprensione dell’azione verbale. Il pensiero scritto si nutre di lingue diverse, già inserite nella potenzialità linguistica e potenzialmente scrivibili. Quali sono le caratteristiche specifiche è la domanda che abbiamo visto susseguirsi e che è utile a delineare quegli aspetti relativi alla reciprocità sistemica con le lingue che possono essere scritte. Afferma De Mauro:

«E quindi è vero che nelle lingue scritte si può avere questa impressione di staticità. Ma Saussure spiega che il prezzo della staticità è poi il crollo improvviso di questa massa linguistica statica e l’emergere di ciò che invece era reale nel parlato. Saussure invita sempre i suoi alunni a far attenzione alla variabilità estrema degli usi individuali, degli usi sociali, reali di una lingua. Una variabilità che potrebbe compromettere la comprensione reciproca. Eppure, aggiungeva, alla fine ci capiamo.[120]»

Destituita della sua complessità, la lingua condivisa da una comunità, sul piano operazionale, si nutre di continui mutamenti attraverso la composizione e la scomposizione dei testi di cui si serve e dei quali è parte. Prima di depositarsi nel tesoro della massa parlante che ne fissa le forme suscettibili di essere comprese, il flusso delle azioni tra i parlanti si nutre di indiscriminazioni tali da ignorare il problema dell’errore, da sorvolarne il senso al fine dell’attuazione dei significati che devono poter essere esperibili per essere riconosciuti. Il passaggio alla forma successiva, di quella che intuitivamente possiamo chiamare una traduzione simbolica e che attraversa i dizionari e le grammatiche, è ciò che allontana il parlante dalla usuale e abitudinaria forma di convivenza nella lingua di cui conosce implicitamente il funzionamento.

«Proprio questa possibilità di fissare le cose relative alla lingua fa sì che un dizionario e una grammatica possano esserne una rappresentazione fedele, la lingua essendo il deposito delle immagini acustiche e la scrittura essendo la forma tangibile di queste immagini.[121]»

Pensiamo, per esempio, alla logica del funzionamento dei crittogrammi o alle scritture segrete, alla corrispondenza tra Mary Stuart e i suoi potenziali complici della fuga mai avvenuta. La chiave codificata è tecnicamente il mezzo che disvela la struttura del testo, ovvero ciò che permette di scoprire l’algoritmo o il procedimento che sta alla base della costruzione del messaggio. Chiaramente in questo caso stiamo parlando di decifrazione, ossia applicazione di procedimenti logico-matematici o statistici, poiché un modo per decifrare alcuni tipi di crittogrammi è, ad esempio, analizzare le frequenze dei simboli presenti[122]. Tuttavia, sul piano delle lingue la situazione è più complessa. I casi mostrati da D’Arco Silvio Avalle sono esempi di ricerca della commistione tra la lingua scritta, il latino, e quella parlata, il volgare, in cui era il latino che imitava il volgare[123]. Rispetto alla corrispondenza segreta della regina scozzese, in cui la chiave è frutto di una decisione consapevolmente presa dai soli ideatori del codice, quei messaggi segnaletici sono soltanto in parte strumentali ad un uso particolare di una lingua. Si tratta invece, abbiamo visto, di considerare la lingua scritta su due piani: quello della sistematicità e quello della materialità significativa. Il rapporto sistemico è in Saussure potenzialmente omologo e analogo alla lingua parlata, mentre per delimitare l’azione significativa della scrittura rispetto alla lingua è necessario ritagliare la materia del contenuto, ovvero circoscrivere la significazione. La scrittura appare in questo senso parallela se non equivalente alla lingua, ma su un piano dimensionale differente. La complementarità tra i due sistemi è sempre irrealizzabile e sfuggente di per sé, poiché c’è uno slittamento tra le forme tale da non avere mai una completa sovrapposizione delle unità rispettive dei due sistemi, ovvero dei segni in uso. Il parlante non ha di fronte a sé una lista di regole da applicare che ricoprono il campo d’azione del suo atto linguistico. La temporalità dell’azione comunicativa non ha a che fare con un’applicazione autocosciente delle regole linguistiche, proprio per il fatto che non ci sono istruzioni che il parlante non può non conoscere: la lingua dei parlanti è quella lingua i cui mutamenti non sono dovuti ad azioni esterne all’atto comunicativo.
Il lavoro peirceano si basa su un piano operazionale della lingua, muovendosi in uno stadio del simbolico che può di per sé non avere alcun legame con il linguistico. Conoscere la regola a priori e applicare la regola è un procedimento che non ha a che fare con l’azione naturale del parlante, come abbiamo visto nei grafi esistenziali. Si offre, in realtà, una forma spazio-temporale simile a quella che possiamo ipotizzare come base del processo di guessing inferenziale, ma quest’ultimo, di fatto, potrebbe situarsi all’opposto della sintassi diagrammatica. L’interscambio tra grafista e foglio d’asserzione è effettivamente nelle mani di un individuo, mente sociale, ma che agisce come risultato di regole già pensate, di piani già percorsi. Nei cambiamenti linguistici non c’è una regola sovradeterminante che agisce sui parlanti, poiché è nel gioco stesso che si costruiscono le regole e le possibili regolarità. È chiaro che c’è una verbalità nella lingua scritta che eccede la materia grafica e fa del segno grafico un fatto di lingua, per il fatto che la materia significante si disfa continuamente tra le norme sempre rinnovabili della linguisticità. Ciò che sarebbe stata la fine della protosimbolicità può costituirsi invece come il luogo dello scarto tra simbolico e linguistico, là dove non è necessaria una prassi comunicativa verbale. Ma le lingue non possono che incontrare questi elementi che vivono tra natura e cultura, tra esperienze innate connaturate all’animale umano e l’umanizzazione linguistica che chiamiamo verbalità. Si può immaginare di poter attraversare i percorsi linguistici, pensando ad un mondo simbolico in cui la riflessione esperisce con i mezzi che le sono propri, immaginando ciò che potrebbe accadere, ipotizzando luoghi e segni dei luoghi, mentre il tempo deforma le trasformazioni dei segni senza poter restituire ciò di cui hanno bisogno per mutarsi in norma sociale condivisa e mostrabile. Se la lingua non interviene a colmare i solchi scavati dalla natura simbolica in sé che i segni portano nella loro individualità, essi non restano che nel luogo della possibile realizzazione o pura potenzialità.
Proviamo ora a delineare le differenze sistemiche tra lingua e scrittura, intese come proprietà specifiche. Se la parole non può evolversi, poiché essa è un evento, la scrittura, al contrario, può evolversi, poiché ogni scrittura è riscrittura e non può essere annullata. Vi è inoltre un’irreversibilità della scrittura, per il fatto che è essenzialmente lineare e perché riconosce anche una pluridimensionalità nella linearità. È probabilmente la questione che Peirce affronta implicitamente, pur non considerando la portata teorica della sua applicazione da questo punto di vista. La nozione di arbitrarietà appare nei testi peirceani dal momento in cui a proposito della spiegazione dei rapporti tra il segno e il proprio oggetto, il filosofo si chiede fino a che punto il Segno è diverso dal suo Oggetto. Il fatto che esso sia diverso dal suo oggetto è arbitrario. In altre parole, una cosa per essere segno deve poter comportare uno slittamento di senso, ma sempre all’interno del segno. Si tratta di un modo di vedere la sistematicità di un sema che porta in sé l’intera complessità strutturale della significazione. Così un esempio di segno arbitrario è l’enunciato: Caino uccise Abele in cui ci sono tre oggetti, ossia Caino, Abele e Uccidere.

«Ora, il Segno e la Sua spiegazione costituiscono insieme un altro Segno, e dal momento che la sua spiegazione sarà un Segno, richiederà una spiegazione supplementare che insieme con il Segno già ampliato costituirà un Segno ancora più ampio: procedendo nello stesso modo, alla fine si raggiungerà, o si dovrebbe raggiungere, un Segno di se stesso che contiene la sua propria spiegazione e quelle di tutte le sue parti significanti; e secondo questa spiegazione ciascuna di tali parti ha un’altra parte come suo Oggetto.[124]»

Il punto di arrivo è dunque il simbolo o l’Interpretante logico, che è segno di per sé, poiché contiene il suo oggetto. Il presupposto peirceano è che la conoscenza diretta delle cose è fondamento della possibilità del Segno che condivide con la struttura della conoscenza scientifica le premesse. Logica, retorica e grammatica sono, infatti, nella classificazione delle scienze una parte della simbolistica che a sua volta è una parte della semiotica: la simbolistica si differenzia dalla scienza delle copie e dalla scienza dei segni. Nel pragmatismo il significato di un concetto è la credenza, ossia ciò sulla base della quale siamo preparati ad agire; la credenza è riconosciuta esplicitamente nel giudizio. Peirce sembra rispondere alla domanda sull’univocità dell’oggetto e dunque sull’arbitrarietà relativa a ciascun segno contraddicendosi. Un unico oggetto si riferirebbe, infatti, ad un unico segno, dunque ad un significato dell’azione pragmatica in atto o possibile ma attuale nel progetto d’azione. Il significato individuale, tuttavia, non esiste, poiché è sempre generale. In effetti, a meno che non si adotti una convenzionalità pura, estraendone i caratteri dal contesto di formazione dei significati, niente è uguale, in ogni istante, nella semiosi. Facendo a meno della convenzionalità si tratterebbe, tuttavia, di rinunciare all’idea di una natura costante delle significazioni. È allora necessario notare che il passaggio dalla diagrammatizzazione alla lingua è segnato dall’intervento più o meno forte di un’aprogettualità. Di base non potrebbe esserci linguisticità senza le forme preverbali della semiosi, in cui si incontrano le epoche dei segni e la possibilità dell’attualizzazione, dapprima potenziale e programmatica come quella dei grafi esistenziali, seguita da ciò che può essere realizzato perchè già in uso. L’autonomia della scrittura rispetto alla lingua si forma al di là della semplice circolarità della semiosi senza, tuttavia, essere subordinata ad essa, ma attraverso punti infinitesimali in cui il processo semiotico distribuisce i granelli della significazione.
Rispetto all’approccio peirceano che abbiamo considerato, la relazione tra scrittura, diagrammatizzazione e poi grafematicità, e lingua pone in primo piano la formulazione di una coincidenza più o meno presente tra i sistemi che entrano in contatto nel percorso della significazione. Si tratta, allora, di tener presente i cardini intorno ai quali, sollevata la questione della simbolicità come unione tra la sfera preverbale e verbale, si manifestano i valori e le forme linguistiche rispetto ad una semiosi circolare e priva di riferimenti. L’appello alla temporalità assume caratteristiche determinanti ma non assolute rispetto alla giunzione dei domini. Le differenti temporalità della materia segnica rimandano, infatti, alla relazionalità tra le componenti delle unità significative. Ciò che la permanenza della significazione oppone ai limiti del senso simbolico trasportato degli enti che compongono la complessità sistemica, diventa l’effettiva forma “normale” della semiosi. Passato e futuro delle idee, legati nella coscienza del parlante interprete dei segni in atto, sono connessi inevitabilmente da una serie di passi non discreti, ovvero continui nella forma ma non determinati di per sé come se fossero origine e fine dell’unità. Proprio per il fatto che non ci sono livelli subordinati rispetto all’istantaneità della significazione, ma punti relazionali tra i segni, allora la logica che mantiene sulla stessa linea di riferimento scrittura e lingua non scritta, implica una concezione generale dell’esistenza dei segni come prova dell’imperfezione e quindi della perfettibilità delle classificazioni.
In Saussure la complessità sistemica della lingua è tale se si assume il punto di vista della linguistica statica. Guardare alla forma stabile della significazione, tenendo presente i sincronismi tra i diversi segni, permette di riconoscere come differenti le unità sistemiche, e dunque i valori dei segni privi di un'identità determinata. La differenzialità è dunque una proprietà che assume la forma mutabile del percorso irreversibile della significazione. Il principio universale dell’assoluta continuità della lingua nel tempo, come principio della semiologia in generale, tocca le radici della stessa riflessione sulle proprietà dell’universo simbolico. L’aspetto convenzionale del simbolo, che a prima vista va a scontrarsi con la cosiddetta semiosi illimitata, permette di vedere in che senso gli abiti e le regole sono essi stessi i limiti significativi. In questo senso possiamo riprendere ciò che Peirce denomina “risultante cognitiva” delle esperienze passate come forma di realizzazione dei segni che permette il passaggio da una simbolicità implicita ai segni alla manifestazione della forma di significazione. Dal cambiamento o mutabilità che la semanticità veicola è possibile determinare, in un certo senso, la modificazione interpretativa del simbolo.

«Any ordinary word, as “give”, “bird”, “marriage”, is an example of a symbol. It is applicable to whatever may be found to realize the idea connected with the word; it does not, in itself, identify those things. It does not show us a bird, nor enact before our eyes a giving or a marriage, but supposes that we are able to imagine those things, and have associated the word with them.[125]»

La generalità della mediazione simbolica fa sì, dunque, che le parole di una lingua significhino in virtù della loro stessa possibilità di essere mediatrici tra menti e segni, e determinanti la forma stessa della significazione. La continuità si posiziona a fondamento della continuità verbale, in cui la scrittura e i sistemi di cui essa è costituita sono parte. Scrittura e lingua trovano dunque nella complessità del linguaggio un punto di incontro tra due domini diversi. Si tratta, in Saussure, di uniformare i valori della lingua a quelli di una simbolicità intesa come mediazione tra sistemi di segni differenti. Punto comune ai modi di produzione e di realizzazione segnica è la negazione di un’esistenza. Scrive Saussure:

«Rien n’est, du moins rien n’est absolument (dans le domaine linguistique).[126]»

La linguisticità si costituisce come una forma simbolica che interrompe il flusso dell’uso comune per delineare i tratti caratteristici di ciascuna unità, ed è nel terzo corso di Linguistica generale che ritroviamo il valore che il segno grafico realizza nella lingua, dall’interno, come fattore di differenziazione e dunque di significazione del sistema. I diversi usi determinano di per sé un certo valore da attribuire al fenomeno in corso: dalla contingenza effimera dell’atto fonico, il passaggio alla materia grafica distribuisce in modo nuovo perché differente le proprietà dell’arbitrarietà relativa a ciascun parlante, occupandone l’essenziale effettività. Nella relazione tra lingua e scrittura la riflessione saussuriana sull’identificazione del sistema della lingua con quello della scrittura si poggia due posizioni principali che sorreggono i tre corsi di Linguistica generale. La prima è la complessità sistemica che è forma del linguaggio, la seconda è la concezione dell’arbitrarietà assoluta e relativa, di forma e materialità di ciascun sistema, in cui ci sono unità e elementi primi da riconsegnare alla coscienza del parlante. La delimitazione mai specifica delle entità linguistiche è dunque delineata attraverso opposizioni segniche, in generale, ma mostra alcune delle caratteristiche specifiche attraverso la mediazione dei simboli come segni linguistici, luoghi di formazione delle strutture letterarie come complessi e combinazioni di elementi formali, e dunque terreno da cui si forma il corpo della lingua come sistema, indipendente, di per sé, da una convenzione già data come normativa. Il campo di indagine semiologico appare dunque un insieme non omogeneo di realizzazioni sufficienti a riconsegnare alla scrittura l’azione di de-contestualizzazione dei cambiamenti nella lingua. Da un unicum omogeneo perché impossibile da ricostruire linearmente, quello del linguaggio nella sua complessità, Saussure intende delineare il campo interno ed esterno alla linguistica senza dimenticare cosa vuole essere realmente dato alla realtà della lingua e cosa restituito alla coscienza del singolo parlante che, come tale, è individuo autocosciente indipendentemente dalla realtà linguistica di appartenenza.
C’è un terreno comune che va al di là dei rapporti reciproci di negatività e alternanza nella linguistica saussuriana. La transitorietà della trasmissione dei significati è tale da costituire una coercizione rispetto all’immagine trasparente del senso realizzato in ciascun atto fonico verbale. La portata esistenziale dei segni grafici, nei loro rapporti più o meno equivalenti ai segni fonici delle lingue verbali, non cerca la risoluzione ma tende ad una ricerca di complementarità che sia di per sé conclusa. In questo modo la narratività come forma di realizzazione delle lingue scritte risulta offuscata nella protorealizzazione simbolica dell’oralità, mentre riemerge nei rapporti sintagmatici e paradigmatici, fino a coagulare nel senso della rintracciabilità della scrittura nelle lingue. Quanto ci sia di sistemico e quanto di de-strutturabile non è da ricercare poiché è esso stesso il limite soppiantato dalla sistematicità complessiva, riassorbito in essa. L’iposemanticità di un segnale in sé sarebbe incompleta se si ponesse specularmente al significato, come indice del mondo a-linguistico, come una determinazione ibrida e denaturalizzata per il parlante stesso che ne sarebbe colpito come da un pugno. Sfumati e ambigui sono i luoghi della riflessione intesi come ricerca di cardini su cui poggiare per una delimitazione delle identità. In questo senso, quindi, niente è uguale a se stesso, nella lingua. I due principi che reggono la vita linguistica, il principio della trasformazione e il principio universale dell’assoluta continuità della lingua permettono di dare una spiegazione alle forme linguistiche come parti non già delimitate o scindibili dal sistema. Ma quali sono le relazioni che si instaurano fra i fenomeni complessi delle singole azioni verbali e quali quelle il cui svolgimento è segnato dalla sistematicità linguistica, dispiegata rispetto alla temporalità che ne comporta il riconoscimento? Se la scrittura è esterna, in un certo senso, alla linguisticità della massa parlante, sul piano diacronico, allora le differenze che creano mutabilità sono il primo risultato di una discrasia che è proprietà della lingua come istituzione. L’analogia e l’omologia tra i due sistemi segnici è il frutto di azioni coordinate, a ritroso, tra i parlanti, come se essi fossero obbligati a seguire un percorso già dato attraverso la formazione analogica e l’etimologia specifica di ogni lingua storico-naturale.
Quale iato, allora, tra scrittura e lingua? Da un lato, le significazioni che ciascun atto linguistico porta con sé sono un prodotto tra categorie o entità linguistiche complesse che in sé non possono rendere l’autonomia del sistema linguistico di cui sono parte; dall’altro la lingua che si costituisce nell’alternanza di stati di vita segnica e di annullamento del senso già formato, nel continuo riassemblamento che si configura dinamicamente nella temporalità di ciascun atto fonico sembra dimenticare le specificità del singolo parlante laddove incontra un sistema simile strutturalmente ma discorde nella storia e nella tradizione. Ci si trova, così, in uno stato estinto della linguisticità, in cui l’indifferenziazione mostra forme dissimili come se fossero identiche tra di loro.

«Où existe une composition musicale? C’est la même question que de savoir où existe aka. Réellement cette composition n’existe que quand on l’exécute; mais considérer cette exécution comme son existence est faux.[127]»

Ipotizziamo la possibilità di analizzare il termine di una formazione significativa per la lingua. Alla fine di uno stato linguistico, con le discrepanze che rendono la continuità e quindi la possibilità di significazione, ci sarebbe un altro stato, risultato di un’analisi implicita dei soggetti parlanti, fenomeno reale perché riattualizzabile in altri luoghi e in altri tempi, con o senza un progetto di senso specificatamente uguale in tutti i casi. La tipicità di un’azione diventa in un caso simile un topos linguistico e la letterarietà si scontra con la frammentazione delle possibilità di realizzazione simbolica del segno, in cui i rapporti sincronici determinano ma non pregiudicano la costituzione delle significazioni. Tuttavia, nella normatività linguistica dell’uso comune, il calcolo infinito che il parlante compie è un possibile modello che egli deve necessariamente trasmettere senza riserve per essere parte dell’azione sociale, nel circuito della comunicazione verbale. Si tratta, allora di ripetere un’azione di per sé nata per essere trasmessa e modificata attraverso la trasformazione combinatoria che viene eseguita nel processo di attualizzazione dei significati. La lingua è essa stessa il modello, punto d’incontro esplicitato dalle comunità umane e sarebbe un errore, seguendo Saussure, rinchiudere sensi e significati nella prigione della categorizzazione e classificazione inattingibile dall’uso comune. L’indeterminatezza come positività, allora, è l’unica affermazione possibile sulla base dell’azione verbale istintiva e semplice tra i parlanti.
Nessuna sintesi, passiva o attiva, può essere fonte di identità già formate né da formare, ma, d’altro canto, la storia non può riconsegnare intatte le azioni differenziali dei parlanti nel tempo. Così nelle leggende, luoghi simbolici in cui si combinano le verosimiglianze dei personaggi, l’identificazione delle proprietà caratterizzanti i valori si scontrano con i segni delle lingue in uso, nelle temporalità delle narrazioni. La ricerca d’identità è anche qui priva di senso, essendo il punto di partenza, l’elemento più semplice che il parlante manipola nell’uso. Impossibile da frenare, il flusso della significazione è essenzialmente illimitato, poiché illimitata è la massa di cambiamenti possibili nelle lingue. Il significante, simbolo trasportato nella tradizione e dalla tradizione, muove l’effettività delle lingue, nutrendone il parallelismo con i sistemi di scrittura. In questo senso le modificazioni, come prodotto di un processo, da un lato, e l’immutabilità, come conservazione che si rapporta inevitabilmente alla materialità dei segni, dall’altro, realizzano la complessità sistemica delle lingue, lasciando irrisolta la ricerca di un parallelismo perfetto tra scrittura e oralità. La complessità del linguaggio si mostra nel flusso della lingua che, là dove incontra la scrittura, cerca l’unità di composizione e enunciazione, cerca infine, di stabilire le unità. Lingua e scrittura sono allora due sistemi di segni che si codeterminano, marcando ciascuno l’esistenza dell’altro. Il fatto che l’esistenza non è mai semplice è determinante affinché lingua e scrittura manifestino la specificità di ciascuna forma. Saussure porta in primo piano la necessaria coevoluzione del piano sincronico e di quello diacronico senza cadere nel circolo vizioso dato dalla ricerca senza fini di un’identità cristallina dei segni. È, infatti, nella stessa arbitrarietà come vita e dunque entropia del linguaggio che la formazione linguistica è realizzabile fino al punto liminare delle norme letterarie, mentre il fenomeno momentaneo della contingenza pura trasporta le azioni sociali sul piano della simbolicità verbale. L’autonomia sistemica e potenziale, insieme con quella strumentale e differenziale della corrente linguistica si realizza attraverso i segni delle lingue scritte, punti critici della sistematicità verbale, mentre nella complessità sistemica la forma scritta determina i movimenti della lingua, attraverso l’artificialità della creazione di forme nuove. Se i segni grafici sono nella scrittura immagini verbali del senso che rappresentano e indici di un significato, sono allora essi stessi luoghi del simbolico, prodotto irriducibile del linguaggio e parte del movimento di forme e significazioni.


4.2. La traduzione simbolica



Riprendiamo in un senso più ampio il paragone saussuriano dell’esemplificazione del rapporto tra gli oggetti delle scienze semiologiche, che vede il passaggio da una grandezza ad un’altra come un traduzione da una lingua all’altra: il passaggio da motivato all’arbitrario all’interno della continuità sistemica è il punto principale di delimitazione delle entità delle lingue rispetto alla scrittura. Per vedere la negatività del rapporto di somiglianza tra lingua e scrittura riconsideriamo l’esempio che Saussure fa per spiegare come anche nella sinonimia ci sia una effettiva negatività, tra ciò che è detto e ciò a cui esso si oppone, per differenza e ciò che, di conseguenza, richiama istantaneamente il campo della significazione:

«Così soleil può sembrare che rappresenti un’idea perfettamente positiva, precisa e determinata, come altrettanto la parola lune “luna” : tuttavia quando Diogene dice ad Alessandro «Togliti dal mio sole!», in soleil non c’è più niente di soleil se non l’opposizione con l’idea di ombra; e quest’idea di ombra essa stessa non è che la negazione combinata di quella di lumière “luce”, di nuit parfaite “notte fonda”, di pénombre “penombra”, ecc., congiunta alla negazione della cosa illuminata in rapporto allo spazio oscurato ecc.[128]»

I rapporti di similarità e differenza emergono nella negazione, nell’oblio del racconto o, più semplicemente, nei rapporti sintagmatici e paradigmatici tra i segni linguistici. Funzione, posizione, carattere e nome, come proprietà dei simboli che determinano le forme differenti[129] permettono di muovere e muovono il sistema semantico delle lingue. La scrittura che si configura come una forza contraria all’impulso della lingua parlata è essa stessa oblio, ovvero ciò che è negativo e differenziale rispetto alla forma in uso tra i parlanti, ed è quindi presente per opposizione all’entità manifesta. Comparare la prassi e l’azione sistemica di due lingue diverse, ossia della lingua parlata e della lingua scritta, significa allora tentare di circoscrivere il campo d’azione della significazione in base ad oggetti diversi. La referenzialità del segno all’oggetto si perde nel momento in cui si riconosce al sistema della scrittura le proprietà di autonomia semiotica, la necessaria presenza della trasformazione sintetica che la scrittura permette come prassi sociale. Uno stato di lingua non si manifesta, dunque, come una presenza fissa sulla scena. La permanenza del segno in se stesso, la causalità e il limite tra due segni, la negazione del segno di per sé e la preminenza della continuità sistemica sono i punti che restituiscono la dinamica dei passaggi categoriali della diagrammaticità come proprietà primaria della forma scritta. Se esiste e rimane immutato, tuttavia, un elemento soggettivo indefinibile[130], tale da dare comunque una identità approssimativa, ossia un’unità, le relazioni tra gli elementi dei diversi ordini o piani della sostanza espressiva rendono concreta la similitudine tra scrittura e significazione. In questo senso vediamo come la stabilità significativa appartiene ad una tradizione istituita dalla lingua letteraria e influenzata dall’attività inafferrabile in sé della sostanza significante che, come nel caso del sanscrito considerato da Saussure, permette di mantenere viventi lingue lontane nel tempo. La preminenza della relazionalità significante è essenziale per capire in che senso il punto di vista sincronico, o meglio idiosincronico, permette di vedere i mutamenti effettivi e la dinamicità dei segni in uso delle lingue, ed esclude la storia della lingua. Per il fatto che il segno è entità relazionale, esso incarna il simbolo-interpretante che si muove nella negatività dell’idea di surrogato o miscuglio che abbiamo ritrovato in Peirce e che rinvia alla similitudine saussuriana della composizionalità dei composti e dei miscugli chimici con la lingua. Questa concezione, tuttavia, esclude l’ordine sistematico e la linearità della significazione.

Non c’è differenza tra il senso proprio e il senso figurato delle parole (oppure: le parole non hanno senso figurato più di quanto abbiano senso proprio) perché il loro senso è eminentemente negativo.
Si parla per esempio (scegliamo espressamente un esempio relativamente [semplice]) di una persona che è stata le soleil il sole” dell’esistenza di un’altra. Il fatto è che
1° non si potrebbe dire che è stata la lumière “luce” oppure
2° se esistesse in francese sia un termine significante clair de soleil “chiaro di sole” (come esiste clair de lune) sia un termine significante dipendenza in cui si trova la Terra in rapporto al Sole; sia d’altra parte due termini per soleil a seconda che il sole sorga o tramonti, o a seconda che lo si compari o non con altri corpi celesti, è assolutamente dubbio che si possa impiegare soleil nella locuzione figurata che è stata impegnata.
Si impiegherebbe un altro termine forse molto più espressivo, ma risulta da ciò che non è l’idea positiva, l’idea di SOLE esterna alla lingua che fa l’immagine: è semplicemente l’opposizione con altri termini che risultano anche loro più o meno appropriati come étoile, astre, clarté, unité, but, joie, encouragement, [ ].[131]

C’è un senso che vive nella prassi umana comunicativa e che la scrittura racchiude in forme diverse, come la lingua letteraria e la letteratura, con le sue regole. Queste forme si muovono da una base che ne suggerisce le diverse forme, che è la divisione in diversi sistemi, ideografico e fonetico, che è, seguendo Saussure, alfabetico e sillabico, e tra questi differenzia le qualità dei segni, giocando ancora nel movimento tra naturalità, convenzionalità e arbitrarietà dei segni. La lingua scritta non può avere luoghi circoscritti, poiché ha bisogno di vivere nella massa parlante, e questo è necessario per la sua conservazione e per i suoi mutamenti. Di fatto le due estremità materiali parola scritta/parola parlata non hanno vita del tutto autonoma, poiché tendono continuamente a ricongiungersi. Quando Saussure assume la scrittura, in generale, e le lingue scritte, in particolare, come termine di confronto per chiarire tutta la questione linguistica vediamo come siano le caratteristiche proprie della forma scritta a mostrare la sistematicità della lingua. La composizione del sistema, le lettere o l’alfabeto di per sé, di fatto, non sono equivalenti alla sistematicità. La forma non è la struttura, essa richiede un sistema ed è così un modo per vederne l’equivalenza con l’unità significativa, proprio per il fatto che è falso ed è impraticabile, secondo Saussure, opporre la forma al senso.

«La valeur d’une forme est tout entière dans le texte où on la puise, c’est-à-dire dans l’ensemble des circostances morphologiques, phonétiques, orthographiques, qui l’entourent et l’éclairent.[132]»

Non è, infatti, come abbiamo detto, un mero elenco di parole e frasi che costituisce la sistematicità della lingua, ma sono le combinazioni relative tra i segni che realizzano in ogni atto fonico il quadro, per differenza rispetto a tutto ciò che non è pronunciato dal parlante in quel determinato atto fonico. Proprio per il fatto che la lingua letteraria non è soltanto la letteratura, ma quella lingua che appartiene ad ogni parlante, essa è la lingua di tutti. Effettivamente non si tratta, allora, di una letteratura ma di una letteralità che ha a che fare con l'operazionalità del sistema linguistico. È questo ciò che ci suggerisce Saussure quando ci propone di dimenticare la vecchia nozione di segno preconfezionato destinato ad un concetto e di aprire la porta ad un significante come differenziatore di significati attuali.
             
La lingua letteraria valica da ogni lato i limiti che sembra tracciare la letteratura: si pensi all’influenza dei salotti, della corte, delle accademie. D’altra parte la lingua letteraria pone la grossa questione del conflitto che sorge con i dialetti locali; il linguista deve altresì esaminare i rapporti reciproci tra la lingua dei libri e la lingua corrente, dato che ogni lingua letteraria, prodotto della cultura, giunge a distaccare la sua sfera d’esistenza dalla sfera naturale, quella della lingua parlata.[133]

Una lingua generale implica necessariamente l’uso della scrittura? Questa è la domanda che viene posta nel terzo corso di Linguistica generale e che qui abbiamo ripreso in un senso per larghi tratti. L’uso scritto richiede necessariamente un sistema e, nei diversi sensi che abbiamo visto e, se la forma scritta è rappresentazione della lingua, immagine di questa, specchio dal quale riconoscere i punti per fare un passo avanti nel percorso della ricerca di tipo linguistico, allora essa diventa canale di approdo al simbolico e alla lingua condivisa da una comunità, in cui la lettera non è soltanto indice di una lingua preesistente, ma modo di realizzazione delle lingue. Se è vero che è generale ciò la cui forma eccede ogni sistema aprioristico, allora la lingua letteraria è già il risultato di una de-strutturazione poiché deriva da una prassi socio-simbolica di un’azione verbale letterarizzata la cui forma scritta ne mostra alcune specifiche caratteristiche. In questo senso un punto di osservazione anti-sistemico è la negatività, l’oblio del senso linguistico. Il sistema, dunque, non è equivalente ad un mero mezzo statico di attivazione sociale (non è un interruttore da spegnere e accendere da una volontà superiore), ma un oggetto sociale privilegiato e già ordinato perché riordinabile. Se la lingua è in ogni istante rinnovata dall’azione in atto tra i parlanti, si configura come il luogo in cui significati e significanti linguistici si ritrovano a dialogare.

«Remarque semblable sur structure d’un mot. Encore une de ces images qui sous l’illusion de la clarté recouvrent des mondes d’idées fausses et mal conçues. Un mot n’a aucune structure. Dès qu’on fait abstraction du sens des différentes parties. [134]»

È la dimensione linguistica che si affaccia sul campo della semiologia. Il segno, considerato nella sua totalità, rispecchia un mondo, quello linguistico che è già significativo. L’inganno della scrittura non è altro, dunque, che il limite della lingua. Essa rappresenta, infatti, uno stato di lingua che non è più presente sulla scena della lingua parlata: l’inganno saussuriano della scrittura è di fatto una menzogna della storia della lingua, tuttavia inevitabile testimone oculare di questa. La scrittura si costituisce come risultante semiologica delle lingue, diagramma complesso dell’azione letteraria. Saussure ha teso la mano alla ricerca di quelle entità che possono essere riconosciute come mutevoli. E nel riconoscimento vi è già uno scarto dal terreno di gioco comune della massa parlante. Gli anagrammi ne sono un esempio: riconoscere regolarità mascherate dal testo è possibile là dove i segni di questa sono tangibili, visibili, fermi. Il poter retrocedere e commutare della dialogicità della scrittura richiama un continuo ritorno al testo. L’attenzione che Saussure suggerisce al Pascoli reticente è su di una forma linguistica emergente come fenomeno astratto che riproduce la periodicità delle lettere scritte, come forme specifiche del segno linguistico. Eppure non vi sarebbe stata alcuna irresponsabilità da parte del poeta, se mai non avesse pensato a quello che di anagrammatico stava facendo, oltre a comporre un’opera letteraria, naturalmente. L’azione della lingua in uso vive di analogie e associazioni complesse, già date alla competenza esecutiva e dal senso comune che guida i parlanti. Anche il simbolo, naturale risultato di un processo di economia del senso, si costruisce come forza parallela sul piano del significante a quella della lingua parlata. La simbolicità che abbiamo visto in Peirce come una cosa vivente, rimandando alla vita delle lingue antiche che Saussure ha ritrovato nel sanscrito e in tutti quei sistemi marginali alla lingua maggiormente usata ma che si interpongono ad essa, come le lingue dei segni, e i sistemi cifrati, ma anche lo sviluppo della scrittura non letteraria ma scrittura formale di una comunità: potrebbe essere questo un modo per vedere il simbolo peirceano come il significato che lentamente ma inesorabilmente si sviluppa, incorporando nuovi elementi ed eliminando i vecchi residui. La letteralità della scrittura collassa invece sulla lingua e ne costruisce non una super-identità, ma una negazione del senso delimitato dalla comunità. Ciò che di linguistico è visibile eccede la classificazione semplicistica e si pone come entità complessa nel gioco tra i significanti e i significati linguistici. Tutto ciò che supera questo nel circoscrivere significati e sensi, tesse e imbriglia il mondo preverbale, convenzionalizzandolo e perciò liberando la strada verso l’arbitrarietà, proprietà intrinseca che non è possibile ridurre ad un modello predefinito e definitivo. L’intervento di nuove forme di significazione nel sistema, movimenti che anche conservando l’effimerarietà della testimonianza si manifestano sempre come testualità, là dove ci sono forme di scrittura rigenerabili perché accessibili culturalmente, perciò trasformabili, è basato sull’unico modello generale che è la lingua.

5. Conclusioni



La premessa dell’isomorfismo sistemico tra lingua e scrittura, che abbiamo visto considerare nella linguistica saussuriana, è in accordo con i due modi di considerare la lingua, ossia come modello generale e come struttura formale di significazione di riferimento per i sistemi semiotici. La relazione stretta tra lingua e scrittura fa sì che la diagrammaticità, complesso di rapporti iconici e indicali, sia fondamentalmente la base del significato, rendendo alla forma linguistica la necessaria reciprocità che si instaura con i sistemi di segni al limite tra lingue e semioticità generale. La dinamicità della significazione si pone come terreno di approdo alla linguisticità, risultato dell’apprendimento socio-semiotico in cui la lingua scritta permette già la piena articolazione dei significati. La determinazione grafemico-linguistica dei grafi esistenziali peirceani dà alla forma segnica una specificità nell’organizzazione dei significati attraverso gli argomenti. Tuttavia non va dimenticato che il carattere dialogico dell’argomentazione non è in Peirce fondamentalmente un rispecchiamento della logica naturale. Riprendiamo a questo proposito il commento di Ferriani:

«Da un lato Peirce ritiene che per certe finalità occorra allontanarsi il più possibile dal linguaggio naturale, costruire diagrammi per sperimentare, non restare intrappolati nelle forme codificate delle lingue che usiamo di solito; dall’altro emerge il suo orientamento volto alla ricerca di invarianti o universali linguistici, di categorie fondamentali di tipo grammaticale-speculativo operanti sia nei linguaggi formalizzati sia in quelli non formalizzati.[135]»

Al di là della ricerca del parallelismo più o meno presente tra i sistemi, tuttavia, abbiamo visto che la continuità della significazione ricopre i diversi piani o livelli semiotici, dai quali possono essere estrapolate le caratteristiche principali della lingua, congiunzioni delle entità segniche in cui la relazionalità complessa perde la concordanza semiologica per trattare la materia estranea alla lingua come un pezzo di mondo che si oppone essenzialmente alla mutabilità propria della significatività linguistica. Il passaggio dal motivato all’arbitrario si rivela dunque nei rapporti iconico-indicali della corrispondenza sistemica tra i livelli semiologici, in cui si forma la determinazione ex novo delle realtà linguistiche. Riprendiamo ancora un passo di Peirce in cui il filosofo precisa il legame tra realtà sensibile o fenomenica e realtà proto-linguistica:

«Yet it must be remarked that the only effect of a quality of feeling is to produce a memory, itself a quality of feeling; and that to say that two of those are similar is, after all, only to say that the feeling which is the symbol of similarity will attach to them. Thus, the feeling of recognition of a present idea as having been experienced has for its signification the applicability of a part of itself.[136]»

La simbolicità vista nel senso saussuriano riporta sulle linee di una narratività che si interpone tra le frequenze del segno linguistico attraversandone i luoghi della tradizione. In questo senso la semiologia acquista in Saussure una realtà stabile, attraverso il documento scritto considerato nel senso di intermediario simbolico, e non soltanto come sfondo oggettuale. La testimonianza della lingua come documento storico diventa allora parte della normatività linguistica, dimensione effettiva della comunicazione umana, in cui la preverbalità cammina al fianco della coscienza pluridimensionale delle lingue scritte che il parlante possiede. Da quella che si configura come una individualità irriducibile emerge un limite significativo che seleziona la forma linguistica evidenziandone la struttura e la portata sistemica. Non si tratta unicamente di una narratività pregressa ed irreversibile, che nei termini peirceani potremmo vedere come una iconicità strettamente funzionale a se stessa, dunque a-linguistica, ma di un continuo ripresentarsi di forme generali che la scrittura registra e rielabora nella struttura normativa che le è propria. In effetti, la lingua letteraria riadatta la componente lineare dei segni restituendo l’univocità del significato letterale e permettendo così che lo strumento linguistico abbia una organicità intesa come organizzazione delle classi di sensi. È dal sentimento linguistico, nei termini saussuriani, che la forma scritta, interrompendo il flusso del linguaggio parlato, diventa raffigurazione verbale o rappresentazione dei sensi in uso, che possono avere referenzialità nella letteratura ma che si agganciano alla semiologia della lingua parlata. Se le polarità intese come posizioni non limitrofe delle significazioni della scrittura rispetto a quelle a-linguistiche sono esempi di un movimento interrotto dei sensi, come nel caso delle civiltà ancorate alla tradizione orale, quegli strumenti artificiali che sono le lingue scritte diventano portatori di significatività riattualizzabile nel gioco della comunicazione, della quale la scrittura è testimonianza linguistica.
La simbolicità come proprietà dei segni rispetto alla scrittura è, in un certo senso, quel lâcher la lettre saussuriano che determina una posizione di reciprocità sistemica, non istantanea o assoluta, ma che si erige nella realtà concreta come se ciascun segno fosse un insieme di citazioni operative nella lingua intesa come sistema, che comprende quindi le differenziazioni linguistiche senza circoscriverne la significatività (che è sempre manifesta). Quello che abbiamo considerato significativo per la differenzialità, attraverso l’affermazione di una negatività non arginabile, si configura, dunque, come modalità di realizzazione del valore linguistico che la lingua intreccia nella rappresentazione grafica in cui ci sono unità significative specifiche di ciascun sistema che supera la naturalità della parola. Non sono le semplici impressioni acustiche a realizzare la significatività, ed è parallelo vedere nella singolarità delle lettere scritte una raffigurazione che di per sé, chiaramente, non è lingua. Ed in questo abbiamo trovato il limite della concezione peirceana della rappresentazione grafica che, se fosse vista in senso assoluto, sarebbe una rinuncia alla ricerca di una semiosi grafemica, realmente legata, invece, alla portata fenomenologica della linguisticità presente tra i parlanti, che è indipendente, diciamo nei termini saussuriani, dal mezzo di produzione. Tuttavia, la necessità di cui la ricerca peirceana è espressione, ci riporta sulla specificità della materia grafica che si configura come modello strumentale alla particolare funzione della lingua di assumere nelle forme semiotiche un carattere formale, riproducibile e dunque formulabile in contesti e usi diversi. La diagrammaticità porta con sé il pericolo di un’uniformità degenerativa che è tuttavia il punto a partire dal quale Peirce classifica i simboli come segni genuini, e riporta alla sintassi grafemica, rendendone la stabilità fondamentale alla significazione linguistica. Gli abiti o simboli, nel senso peirceano, assumono in questo modo la forma del segno grafico come trasformazione omogenea della sintatticità linguistica. Utilizzando insieme i linguaggi della matematica insiemistica e della visualità intuitivo-iconica che va a formare una lingua semi-artificiale, ma con un fondamento indicale, dunque legato alla natura della visione umana ed alla logica naturale dell’invariabilità numerica, siamo arrivati alla necessità di spostare la riflessione dalla riproducibilità tecnica, che è sfondo inerte se non la si considera parte di un sistema più ampio e omogeneo di reciprocità semiologiche, alla possibilità della sospensione di giudizio che nei termini saussuriani è oblio narrativo, in cui la dialogicità abbandona la generalità normativa e diventa abito, insieme sistematico di simboli relazionali. La pratica della scrittura è da considerare come pericolo soltanto se si intende questo come segnale della presenza di una lingua differente rispetto a quella in uso. In questo senso abbiamo parlato di forme di traduzione simbolica, cercando di guardare alle forme semiotiche come ai luoghi della significazione generale, e di cogliere dai percorsi tracciati dai due autori di riferimento i ripiegamenti e le curvature che hanno dato alla scrittura diversi ruoli, da quello della semplice trascrizione, che implica già il riconoscimento, ossia il sapere come utilizzare un sistema nelle sue parti, fino alla letteratura ed alla lingua letteraria di cui la prima tra queste ultime due è parte portante.
Tra Peirce e Saussure abbiamo visto due modi rilevanti di presentazione delle proprietà specifiche della scrittura come lingua e delle lingue scritte. All’interno del percorso pragmaticista, strettamente legato al pensiero di Peirce, dunque, la scrittura dei grafi è una forma di azione pratica prodotta da un insieme strutturato di norme iterate, dunque prassi che può diventare abito, segno linguistico o segno maggiormente convenzionale, se usato all’interno di un sistema artificiale come quello dei grafi esistenziali. Separiamo quindi la diagrammaticità, come proprietà delle rappresentazioni di ogni tipo, visiva, acustica dalla grafematicità in cui le proposizioni e gli argomenti sono soltanto visibili: da questo punto di vista non si è più all’interno di una lingua, ma della pura rappresentabilità di un sistema già esistente, come nei termini saussuriani è una fotografia rispetto alla realtà che ne è impressa. La riflessione di Saussure, complessivamente, ricopre almeno tre livelli: quello epistemologico, della ricerca nel campo del linguista, quello di analisi e confronto fenomenologico e quello del funzionamento sistemico. Nelle ramificazioni intricate delle leggende, inoltre, abbiamo trovato un monito rispetto ai monumenti letterari, opere che testimoniano le rovine della storia, mostrando l’incongruenza dei nomi nei mutamenti dei personaggi che, perdendo l’identità stabile che sta dietro il nome proprio, manifestano il principio linguistico dell’alterazione temporale che si nutre di continuità esterna alla linguisticità. In questo senso i simboli runici hanno le stesse proprietà dei personaggi, per il fatto che muovono i sensi e mutano il valore rispetto alle altre entità dello stesso sistema, trasformandone il nome nell’uso. La vera continuità peirceana è un modo per avvicinare la ricerca di una relazionalità forte tra i segni, che possiamo considerare nei termini di una arbitrarietà relativa ai sistemi semiologici. Il segno è determinante e non determinato, nel suo rapporto all’oggetto e in virtù di un interpretante che ne ferma il senso ancorandolo alla logica del simbolo o abito formato che può essere modificato da altri segni. Rispetto alla dinamicità della significazione, l’appello saussuriano all’abbandono della lettera in sé, come punto di riferimento per la comprensione delle lingue, permette di avvicinare il punto essenziale per la problematicità della questione. Si tratta di un richiamo che deve essere rielaborato nel momento in cui si deve spiegare il funzionamento linguistico: l’essenza doppia del linguaggio è in relazione alla pluridimensionalità del segno linguistico, che non può essere mai singolare, ma composto da rapporti tra entità semiologiche, delle quali i segni della lingua ritagliano i significati attraverso l’azione materiale della significatività. Il simbolo si trova in una posizione duplice, poiché è significante non strettamente linguistico, e non è completamente arbitrario, poiché il suo radicamento è nella tradizione, nell’uso sedimentato nella lingua. La problematicità emerge dunque dal rifiuto saussuriano della visione organicistica della lingua, che contrasta con l’effettività del filo conduttore della prassi linguistica che è l’essere umano. Se è da questa prospettiva che l’identità saussurianamente non è considerata un problema, il bisogno di rafforzare la struttura astratta della differenzialità delle forze significative sta proprio nella categoria del valore di un segno che in Saussure è semplice impressione, dapprima, laddove se ne intravede la specificità quando lo si affianca ai termini di forma, senso, e segno. Come abbiamo accennato, la lingua è ancorata a diverse forme di interpretazione che diventano linguistiche e quindi letterarie nel passaggio attraverso codici diversi e complementari e classi di sensi corrispondenti nei sistemi semiologici più generali, ed è da questo punto che il fatto che la lingua è testimonianza storica ne rielegge la possibile similarità con il sistema linguistico scritto. Non è sufficiente affermare l’esistenza della lingua di per sé per arrivare alle radici delle differenzialità sistemiche, né è sufficiente una prospettiva fenomenologica, seguendo per grandi linee l’approccio saussuriano. Il fatto che la scrittura mostra caratteristiche di un sistema linguistico e conserva la materialità di altri tipi di segni è la base da cui si possono disvelare gli aspetti forti di una nozione di significato che incorpori la simbolicità di un sistema letterario non circoscritto negli usi di pochi, ma realizzato nella coscienza della mente collettiva.




 



Glossario / Indice analitico



Atto (linguistico): la nota nozione è di J. Austin e può essere riassunta nel motto “dire è già fare”. I diversi atti sono classificabili sulla base del tipo di forza che entra in gioco in un contesto comunicativo verbale. Cfr. J. Austin, 1955, How to do things with words, The William James Lectures at Harvard University, London, Oxford University Press, 1962 (trad. it. di Marina Sbisà, 1991 [1975-1978], Come agire con le parole. Tre aspetti dell’atto linguistico. In Gli atti linguistici, Milano, Feltrinelli, pp. 61-80). Si veda qui p. 87, 93 e la voce “contesto”.
Contesto: secondo Jakobson il contesto è l’intreccio di variabili che possono intervenire in un atto comunicativo effettivo tra parlanti. Cfr. R. Jakobson, 1963, Essais de linguistique générale, Paris, Editions de Minuit (trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966). Si veda qui p. 9, 22, 51, 68, 73, 84, 89.
Dialogicità: nozione ampia che riguarda la proprietà delle menti umane di comunicare attraverso segnali. Per alcuni spunti e riflessioni cfr. D. Gambarara, 2005, Come bipede implume. Corpi e menti dei segni, Acireale-Roma, Bonanno Editore. Si veda qui p. 18, 55, 101, 106.
Grafematicità: possibilità materiale di realizzazione meta-rappresentativa della semiosi attraverso la scrittura. Si veda qui p. 7, 11, 22, 87, 104.
Negatività (linguistica): secondo Saussure è necessaria per la linguisticità. In breve, ciò che è negativo è linguistico, poiché è nella sistematicità oppositiva che, per differenza interna al segno, è possibile la significatività. Cfr. F. de Saussure, in bibliografia. Si veda qui p. 8, 32, 57, 81, 84, 92, 96, 97, 100, 105.
Norma: secondo Prieto «Una norma determina una comunità di soggetti nella misura in cui, grazie al suo carattere condiviso, ognuno dei soggetti che l’adottano svolge per gli altri il ruolo di altro simmetrico di cui ognuno ha bisogno per riconoscersi come uno» (1991 : 193). Cfr. L. J. Prieto, 1991, Saggi di semiotica, vol. II : Sull’arte e sul soggetto, Parma, Pratiche. Si veda qui p. 16, 88.
Scrittura: lingua generale che determina la coevoluzione e la coesistenza con il sistema di riferimento; strumento storico del pensiero verbale, come insieme di regole condivisibili perché normative e testimone della linguisticità nella prassi socio-simbolica specifica. O, in altri termini, un sistema semiologico di tipo linguistico, in cui i segni grafici si piegano alla combinatorietà delle regole linguistiche basate sulla linearità del significante. Si veda qui p. 8, 38, 45, 55, 73, 82, 96, 98. Sulle forme di scrittura si veda: scrittura diagrammatica e grafi esistenziali nel primo capitolo, scrittura formale : 99.
Scrivibilità: è una nozione che può essere ricondotta ad Ammonio come possibilità della voce di essere trasferibile nella scrittura alfabetica, che in Aristotele è caratterizzata dall’accordo tra parlanti. Da Franco Lo Piparo è vista come la terza dimensione della lingua (Lo Piparo: 2003, pp. 98-102). Qui è usata come nozione di base con uno stampo fortemente saussuriano in relazione alla pluridimensionalità della lingua nella tendenza ad essere scritta. Cfr. F. Lo Piparo, 2003, Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua, Roma-Bari, Laterza. Si veda qui n° 118, p. 75.
Segno fonico: in Prieto è quel segno i cui significati sono realizzati con le fonie, ed è il segno della lingua per opposizione reciproca al “segno grafico”. Cfr. L. J. Prieto, in bibliografia. Si veda qui come “atto fonico”, p. 69, 73, 91, 92, 94, 99.
Segno grafico: nell’accezione di Prieto è la realizzazione dei significanti con le grafie. Cfr. L. J. Prieto, in bibliografia. Si veda qui p. 9, 19, 44, 51, 54, 69, 71, 84, 87, 91, 106.
Semiologia: seguendo Saussure è la scienza generale dei sistemi di segni o delle forme e si differenzia quindi dalla semiotica peirceana intesa come scienza dei sensi dei segni e della significazione generale. Cfr. F. de Saussure, in bibliografia. Si veda qui p. 7, 8, 29, 32, 36, 37, 47, 90, 100, 104, 105.
Semiotica: il termine è qui usato nell’accezione di Peirce, in breve, la dottrina formale dei segni che abbraccia la capacità dei segni di significare (ogni semiotica ha in sé una semantica). Cfr. Peirce, in bibliografia. Si veda qui p. 8, 12, 17-21, 23, 26, 30, 49, 61, 63, 78, 89, 97.
Sistema: è il termine intorno al quale ruota la riflessione saussuriana che si allontana dall’idea di struttura in sé per comprenderne le proprietà. Il sistema è il modello di riferimento per individuare le correlazioni tra i segni ma anche una classe dinamica di entità ed un paradigma: ogni codice di tipo linguistico è un sistema. Cfr. Luis. J. Prieto, in bibliografia. Si veda qui p. 8, 9, 13-17, 20-24, 27-33, 35, 38, 43-56, 59, 61, 63, 68-99, 101-109.
Teridentità: la nozione è di stampo peirceano, ed ha una forte ricaduta negli studi contemporanei. In breve è la possibilità di una relazione semantico-sintattica di essere rappresentata attraverso un’identità di per sé che può essere una semplice proposizione. Oppure, in altre parole, è la realizzazione proposizionale di una unità triadica di cui la forma proposizionale ne esibisce la sintassi. Per alcune esemplificazioni cfr. N. Houser, 1997, Studies in the logic of Charles Sanders Peirce, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, pp. 252-263. Si veda qui p. 20.
Trascrizione (simbolico-linguistica): segno iconico o segnale verbale; la trascrizione fonetica, per esempio, è una trasposizione, ossia una prima forma di trasformazione simbolica; essa implica già il riconoscimento, ossia il sapere come utilizzare un sistema grafico nelle sue parti e la realizzazione attraverso l’uso. Si veda qui p. 26, 69, 72, 103.












Abbreviazioni



ICLG = Primo corso di Linguistica generale;
IICLG = Secondo corso di Linguistica generale.

IPG = Prima prolusione ginevrina;
IIPG = Seconda prolusione ginevrina;
IIIPG = Terza prolusione ginevrina.






















Bibliografia



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[1] Cfr. M. K. Halliday : 1985.
[2] Pensiamo ad alcuni che incontreremo in questo lavoro, come Luis J. Prieto, e ad altri che hanno fortemente influenzato gli studi contemporanei, tra cui Roland Barthes, ed oggi si può pensare a Carlo Sini, Rossella Fabbrichesi Leo, ecc.
[3] Saussure : 2002.
[4] Peirce, 1998 [1893], p. 1.
[5] Ibidem.
[6] Manteniamo qui l’idea che il tipo di organizzazione segnica categoriale sia asistematica, rispetto al significato di sistema che Saussure introduce nella sua semiologia. Tuttavia non possiamo negare una forma di sistematizzazione che precede e accompagna l’azione segnica nei suoi rispettivi passaggi da iconica a indicale e infine a simbolica.
[7] Peirce, 1998 [1894], p. 5.
[8] Cfr. Peirce, 2003 [1906], p. 169.
[9] Peirce, 1998 [1894], p. 6.
[10] Peirce, 1998 [1906], n° 25, p. 545.
[11] Come vedremo meglio nel terzo capitolo di questo lavoro.
[12] Peirce, 1998 [1894], p. 10.
[13] In realtà si tratta di quasi-menti.
[14] Gli ideogrammi sono la base a cui tendono i simboli di ogni lingua scritta. Essi vivono di questa possibilità attuata e attualizzabile di rappresentare la forma linguistica.
[15] Cfr. Peirce, 1998 [1906], pp. 477-478.
[16] Cfr. Peirce, 2003 [1906], pp. 175-176.
[17] Secondo Jakobson, infatti, i diagrammi sono icone indicali. Cfr. Jakobson : 1965.
[18] Peirce, 1998 [1904], p. 303.
[19] Ivi, p. 322.
[20] Peirce, 1998 [1903], pp. 194-195.
[21] Nel terzo capitolo riprenderemo alcuni luoghi della riflessione di Peirce nei quali l’autore rifiuta la definizione di continuità strettamente matematica.
[22] Peirce, 1998 [1904], p. 324.
[23] Peirce, 2003 [1906], p. 140.
[24] Saussure, 1996, ICLG, p. 4.
[25] Ivi, p. 6.
[26] Ivi, p. 9.
[27] Ivi, p. 10.
[28] Ivi, p. 23.
[29] I fenomeni analogici propri della scrittura rimandano alla visione di Aldo Prosdocimi (1983) degli innesti nelle leggende germaniche. È nel sistema letterario che si creano forme nuove interconnesse su uno stesso piano, come vedremo meglio nel terzo capitolo.
[30] Saussure, 1996, ICLG, p. 63.
[31] Cfr. Saussure, 1996, p. 81.
[32] Ivi, p. 99. Nel secondo corso Saussure accosterà la questione dell’etimologia popolare ad un paragone con il fenomeno patologico.
[33] Saussure, 2002, p. 105.
[34] Cfr. Saussure, 1996, p. 102.
[35] Il termine usato da Saussure è “prospectif”.
[36] È come pensare che un corpo fisico non subisce forze esterne: la lingua pavimenta il proprio palazzo senza tener conto dei fenomeni a-linguistici. Questa nozione forte è abbandonata nel secondo corso, in cui largo spazio è dato all’influenza dei fenomeni esterni alla lingua, tra i quali è compresa la scrittura.
[37] Saussure, 1957, p. 12. Il punto è fondamentale per la questione, sulla quale Saussure ritorna. Cfr. Saussure, 1922, pp. 45-46; e che è presente già nel primo corso (cfr. Saussure, 1996, pp. 5-9).
[38] Saussure, 1957, p. 14.
[39] Ivi, p. 15.
[40] Ivi, p. 17.
[41] Ivi, p. 19.
[42] Cfr. Saussure, 1957, pp. 24-25.
[43] Ivi, p. 26.
[44] Ivi, p. 44.
[45] Il paragone parallelo è quello del gioco degli scacchi e del valore relativo nel senso di relazionalità di ciascun pezzo rispetto agli altri.
[46] Ivi, p. 47.
[47] Appare qui una contraddizione, poiché la massa parlante che riconosce la significazione non può non distinguere il valore.
[48] È anche in questo senso che qui la questione identità-unità in generale non è messa in questione da Saussure.
[49] Ivi, pp. 81-82.
[50] Seguiamo da qui il sesto quaderno di Riedlinger in Saussure (1997).
[51] Saussure, 1997, p. 82.
[52] Ivi, pp. 82-83.
[53] Ivi, p. 84.
[54] Ibidem.
[55] Saussure conserva l’ambiguità che questo termine porta con sé fino a far capire la necessità di un capovolgimento di prospettiva per abbordare l’oggetto linguistico. Il pericolo è quello di continuare sulla strada della vecchia linguistica che non distingueva le regole ortografiche dalla lingua.
[56] Ivi, p. 87.
[57] Ivi, p. 91.
[58] Saussure, 1922, pp. 165-166.
[59] I rapporti tra elementi vocali e tra elementi morfologici si realizzano su due piani, quello del sintagma o parole effettiva, e quello della parallelia o parole potenziale.
[60] Saussure, 1922, p. 45.
[61] Harris denomina “differential identification” la problematica del carattere oppositivo delle entità linguistiche (cfr. Harris : 2000a).
[62] Saussure, 1922, p. 111.
[63] Saussure, 2005a, p. 9.
[64] Saussure, 1986, p. 30.

[65] Cfr. Prieto : 1983.
[66] Saussure, 1922, p. 30.
[67] Cfr. Saussure, 2005a, pp. 51-52 e 2005b, p. 223.
[68] Cfr. Saussure, 1922, p. 64.
[69] Da qui il richiamo all’idea di scrittura in rapporto alla lingua come l’immagine impressa di una fotografia in rapporto all’immagine dal vivo: «È un po’ come se si credesse che per conoscere qualcuno sia meglio guardare alla fotografia che guardarlo in faccia.» (Saussure, 1922, p. 45).
[70] Vi è un senso in cui il segno scritto eccede la stessa condizione di simbolicità del segno nell’associazione tra almeno due elementi eterogenei.
[71] Saussure, 1922, p. 101.
[72] Saussure, 1922, p. 111.
[73] Saussure, 2005a, p. 108.
[74] Cfr. Saussure, 1922, p. 60.
[75] Secondo Prieto il verbo firmare ha il proprio referente nella scrittura (cfr. Prieto : 1983).
[76] Cfr. Saussure, 2005b, pp. 224-226.
[77] Cfr. Sébastianoff : 2006.
[78] Cfr. Saussure, 2002, p. 72.
[79] Cfr. Peirce, 1992 [1892], p. 316.
[80] Ritroviamo la questione anche in Peirce, 1992 [1877], On a New Class of Observations, suggested by the principles of Logic, pp. 106-108 e Peirce, 1998 [1903] The Nature of meaning, pp. 208-225). Per ciò che riguarda il senso di generale riportiamo la nota di PAP: «Naturalmente, uso sempre “generale” nel senso consueto di generale relativamente al suo oggetto. Se voglio dire che un segno è generale relativamente alla sua materia, lo chiamo Type, o Typical.» (Peirce, 2003 [1906], n°1, p. 175).
[81] Peirce, 1998 [1904], p. 324.
[82] Cfr. Bonfantini, 2003, pp. 1171-1172.
[83] Cfr. Peirce, 2003 [1906], pp. 134-136 e Peirce, 2003 [1906], pp. 168-169.
[84] Vimercati, 2005, p. 58.
[85] Ivi, pp. 58-59.
[86] Cfr. Peirce, 2003 [1906], p. 135.
[87] Peirce, 1998 [1904], p. 317.
[88] Peirce, 2003 [1906], p. 171.
[89] Peirce, 1933 [1885], p. 180.
[90] Peirce, 2003 [1906], pp. 183-184.
[91] Ivi, p. 172.
[92] In stretta relazione vi è la teoria alla base della Faneroscopia (cfr. Peirce, 2003 [1906], p. 178).
[93] Saussure, 1986, p. 312.
[94] Cfr. Saussure, 2005a, p. 19.
[95] Cfr. Saussure, 2005a, p. 109.
[96] Saussure, 2002, pp. 115-116.
[97] Cfr. Saussure, 2005a, p. 93.
[98] Cfr. Saussure, 2002, p. 95.
[99] Saussure, 2005a, p. 93.
[100] Saussure, 1922, pp. 183-184.
[101] Cfr. Prosdocimi, 1983, p. 73.
[102] Cfr. Auroux, 1994, pp. 94-104.
[103] Cfr. Cardona, 2002 [1980], p. 73
[104] Cfr. Saussure, 1922, p. 41.
[105] Saussure, 1922, p. 164.
[106] Saussure, 2002, p. 107.
[107] Cfr. Saussure, 1967, n° 86.
[108] Saussure, 1922, p. 44.
[109] Saussure, 1922, p. 267.
[110] Saussure, 1969, p. 86. Cfr. Saussure, 1922, p. 113.
[111] Possiamo parlare, dunque, di scrivibilità.
[112] De Mauro, 2004, p. 10. Nella traduzione francese scripta è langue écrite (cfr. De Mauro : 2006).
[113] Saussure, 2006, IPG, p. 98.
[114] Saussure, 2006, IIPG, p. 106.
[115] Cfr. Peirce, 1998 [1901].
[116] Cfr. Saussure, 1922, p. 304.
[117] Saussure, 1922, p. 103. Cfr. Saussure, 2005b, pp. 222-223.
[118] Cfr. Saussure, 1996, p. 113.
[119] Cfr. Saussure, 1957, pp. 66-67.
[120] De Mauro, 2004a, pp. 111-112.
[121] Saussure, 1922, p. 32. E il commento di De Mauro è fruttuoso: «Saussure si pone proprio questioni di semantica, e si incammina su una strada che già allora lo avrebbe portato a sostenere che i significati, e non solo i significanti, ritagliano in modo arbitrario, diverso da lingua a lingua, i materiali di cui vogliamo parlare.» (De Mauro, 2004a, p. 113).
[122] Saussure fin dal primo corso divide la pura analisi dalla effettiva costruzione linguistica: in una lingua artificiale tutto è analizzabile (cfr. Saussure, 1996, pp. 90-91).
[123] Cfr. Avalle, 1983, p. XI.
[124] Peirce in Bonfantini, 2003, p. 149.
[125] Peirce, 1998 [1894], p. 9.
[126] Saussure, 2002, p. 81.
[127] Saussure, 2002, p. 32. 
[128] Saussure, 2005a, p. 83.
[129] Cfr. Saussure, 1986, pp. 30-31.
[130] Cfr. Saussure, 2005b, pp. 222-228.
[131] Saussure, 2005a, pp. 80-81.
[132] Saussure, 1922, p. 317.
[133] Ivi, p. 41.
[134] Saussure, 2002, p. 115.
[135] Ferriani, 1990, p. 400.
[136] Peirce, 1998 [1904], p. 320.