All’interno della riflessione
filosofica il problema della verità emerge laddove il legame tra ciò che è
evidente di per sé e ciò che diventa significativo si scontra con quella che si
denomina falsità. Io sostengo che esiste
la possibilità di districare quella che può essere considerata la portata
significativa dei fenomeni semiotici attraverso la forma logica e l’analisi di
essa. I maggiori filosofi del linguaggio e i precursori delle ricerche
contemporanee hanno lasciato in eredità la complessità della questione. Mi
propongo di analizzare alcuni degli aspetti che C. S. Peirce e F. de Saussure
hanno affronato a sostegno della mia tesi.
Nella topologia peirceana ci sono
due luoghi specifici che a mio parere risultano significativi: in “New
Elements” (1904) Peirce fa dell’arbitrarietà della lettera il modello di
riferimento per l’analisi dei rapporti tra materia e forma semiotica; in “On the
Logic of Drawing History from Ancient Documents” (1901) il filosofo delinea il
nucleo d’osservazione per una vera analisi della struttura storica del reale.
Dal lato saussuriano, invece, considero rilevanti al nostro proposito tre
nozioni: quella di sistema, di flusso linguistico e di oggetto. Le prime due
possono essere considerate come nozioni antinomiche rispetto a quel particolare
modo di stringere la verità nella complessità del linguaggio. Sistema e flusso
linguistico, insieme al problema epistemologico (ma non solo) dell’oggetto,
riconducono all’analisi della forma linguistica, laddove il problema della
verità si aggrappa a quello della differenzialità del sistema segnico.
1. Dall’unione dei due articoli
di Peirce rispetto al nostro problema emerge la necessità di introdurre lo
strumento dinamico di analisi e realizzazione della forma logica che è quello
dei grafi esistenziali. Il testimone storico è infatti ancorato in ogni caso,
che sia vivo o morto, nella profondità della materia significativa del sistema
semiotico di cui è segno in-relazione-a un oggetto e un interpretante. Gli
elementi di senso che la materia trasporta sono portatori di energia: essa è
Firstness, potenzialità pura. In tal senso il secondo Peirce risulta più chiaro
nella spiegazione del passaggio da una categoria all’altra, proprio in virtù
della struttura comune della portata
fenomenica del dato con il modello categoriale che è la stessa semiosi.
Possiamo definire grafo esistenziale la rappresentazione diagrammatica di una
specifica relazione logica. Dal lato dell’analisi del dato che emerge da
ciascun grafo-segno, dunque, non è possibile altra funzione linguistica se non
quella del mostrare la verità. Ma dall’altro lato, quello che si mostra come
luogo della singolarità del segno in sé, ossia della sua Firstness (degenarata
rispetto alla sua terzità e secondità emergente), la funzione logica assume
caratteri inanalizzabili. Gli autori che si occupano specificamente del modello
dei grafi esistenziali (pensiamo a Carlo Sini, Rossella Fabbrichesi Leo, ecc.)
hanno evidenziato il carattere non definitrio della forma logica del grafo. Per
far sì, effettivamente, che la trascrizione (in senso tecnico) sia realmente
ancorata alla realtà segnica è necessario domandarsi, ancora, cosa c’è oltre la
grafematicità nel suo senso più comune. Peirce : 1901 affronta proprio questo
problema. Parafrasandolo ancora possiamo chiederci se è lecito attribuire alla
materialità grafica la funzione di verità alla quale Peirce si appiglia. È
davvero possibile che la diagrammaticità risolva di per sé la complessità delle
relazioni di cui i grafi ed ogni significato riconosciuto come tale portano con
sé?
2. In Saussure il problema della
verità è equivalente al problema della verità linguistica, che richiama la tesi
di De Mauro, ad esempio, nel rapporto tra verità storico-naturale delle lingue
e verità scientifica. Si tratta di riconsiderare in abstracto (e non in
vitro=artificialmente) le realtà linguistiche per poi riconsegnarle alla massa
indistruttibile di significatività che il soggetto parlante porta con sé. È il
problema del luogo, inteso non tanto come antinomia tra contesto e
cotesto ma nella definizione saussuriana di FORMA. Il segno è la forma ed
eccede qualsiasi entità che abbia la funzione di SOMA, involucro o, in altri
termini, mera apparenza. In questo senso dobbiamo riprendere in considerazione
il problema della differenzialità così come è stato posto da Roy Harris nel suo
articolo del 2000 (cfr. Harris : 2000a). La nozione di sistema è quella che a mio
parere risulta problematica ma efficace proprio rispetto al problema della
verità. Il breve item in Saussure : 2005 (cfr. Saussure, 2005, pp. 14-15)
mostra come Saussure pone in primo piano l’idea di punto di vista. È il punto
di vista che permette, possiamo dire, di circoscrivere la realtà linguistica
del segno. Ora, cosa comporta rimarcarne il senso rispetto alla verità che
ci interessa è proprio la difficile questione che Saussure, afferma Harris,
lascia irrisolta. È anche qui che Harris riporta l’idea saussuriana dei
rapporti differenziali all’analisi del sistema linguistico. Partendo dalla
premessa dell’isomorfismo tra lingua e scrittura – che abbiamo specificato come
lingua scritta e lingua vocale – Harris rivela l’irrisolutezza della
conclusione di Saussure che vede il segno come unione quaternionale di
Significato e Significante.
Potremmo azzardare l’ipotesi (di certo la sua verità è un’altra cosa) che non
c’è alcuna verità nel sistema saussuriano. In qualche modo il segno per essere
vero deve poter essere irriconoscibile di per sé. È nel paradosso
dell’irriducibilità della forma con l’informe o massa amorfa del linguaggio che
si perde la definibilità del dato di senso del segno. Se il flusso linguistico vive in ciò che è amorfo può la
verità risiedere nella materia segnica? La risposta di Saussure è in parte
negativa: in parte perché la materia non può rispecchiare la forma linguistica
in ogni suo aspetto. È necessario quindi ricomporre l’oggetto secondo il punto
di vista linguistico. Come nota Harris, esso è nient’altro che il circolo
vizioso saussuriano.
3. Come abbiamo visto in Peirce,
per poter accedere ad un modo, un tipo di segno e dunque alla vera qualità
significativa di cui è portatore, è necessario poter decostruire attraverso le
categorie la realtà fenomenica più evidente che ci appare come segno
indipendentemente dalla materia di cui è costituito. Se per materialità
consideriamo invece che la separazione segno/oggetto l’interpretante del segno,
possiamo ricondurre ad esso il problema della logica della verità. L’insolubilità
della questione non ha a che fare, dunque, con la risposta alla domanda “cosa è
la verità” ma con quali logiche se ne determina la funzione; è così che
possiamo riguardare l’idea saussuriana di punto di vista e che può essere
ricondotto, come idea di base, a quella di forma significativa che Peirce
espone in Man’s Glass Essence. Cosa
comporta relazionare il codice linguistico alla semiosi che vive nel mondo
organico e inorganico, nelle piante e nei cristalli ed infine nell’uomo? In Evolutionary
Love Peirce costringe il segno alla
continuità, alle occasioni che sono, in qualche modo, i luoghi della verità.
Nell’indeterminatezza delle Triadi signficanti possono essere enucleate le
variazioni tra le menti e tra i segni come menti.
4. Non c’è alcuna questione che
non rimandi a quella della verità. Questo può essere considerato un corollario
della tesi che propongo, nel senso in cui abbiamo accennato più su. Il rapporto
del dato vero con l’errore è un modo che pemette di avvicinare in molti casi
alla nozione considerata. La realtà logica che risiede nella forma linguistica
deve quindi avere caratteri discreti nel senso di determinanti e non
determinati (già da qualche altra parte o per un mezzo esterno alla propria
forma). Come ha rilevato Harris non ci sono “gaps”, rotture, zone d’ombra, o
irreversibilità nello spazio linguistico. La possibilità del fallibilismo che
Peirce analizza è parallela a quella del riconoscimento della verità. Non
soltanto perché è vero che si può essere in errore, secondo uno schema
tautologico, ma è necessaria la rielaborazione della strada, del percorso che
dalle cause porta alle ragioni. Ciò che in Peirce differenzia le “chances”
dalle cause lo si comprende attraverso la nozione di sinechismo, che è la
tendenza di ricognizione di una vera continuità tra mente e mondo dei segni.
In un’ultima analisi possiamo
ricondurre la nozione di verità a quella di una reale corrispondenza tra le
forme codificabili e altre non ancora rese tali dalla sistematicità del
linguaggio. A tal proposito vorrei richiamare il Wittgenstein di The Brown and
the Blue Books, in cui l’autore evidenzia come il senso comune delle azioni
razionali e dunque pratiche sia ancorato alla natura della relazionalità tra i
segni. Il gioco linguistico non è legato (come in altri termini afferma anche
Peirce) al risultato (che è certamente vero) ma è esso stesso il Valore
dell’azione. In questo senso non ci sono che logiche delle verità, determinabili perché scomponibili attraverso i
sensi della prassi umana. Nei giochi linguistici la tendenza non è tanto quella
di una determinazione assoluta, di una sorta di legge o assioma non
discutibile, ma è al contrario la possibilità di un passaggio INDETERMINABILE
dall’immotivato all’arbitrario, attraverso un modello di riferimento non
risolvibile in una singola pratica. È un po’ come del caso di “oblio” che
Saussure espone a proposito delle Leggende Germaniche (cfr. Prosdocimi : 1983)
: l’indeterminatezza è ancella della significazione, di una memoria vera perché
realizzabile tra i margini dell’inconoscibile. Il senso dell’incompletezza è
nel movimento di cui la forma logica si nutre, legandosi a norme, codici, segni
visti come testi, al di là delle singole occorrenze antinomiche. Tuttavia, non
sarebbe possibile alcuna conoscenza (intesa come una ricognizione) senza la
pratica dell’analisi formale dei giochi linguistici. Un’analogia portata agli
estremi, una sorta di macchina a-logica, sarebbe irreale, falsa, poiché
condurrebbe ad un grado di artificiosità estrema. In effetti, la
standardizzazione che ritroviamo nelle leggi antiche, ad esempio, ci appaiono
così lontane per una distanza dei luoghi logici, una distanza che rende la
difformità di pratiche che hanno perso l’ancora sociale o mentale. Dal punto di
vista retrospettivo che Peirce e Saussure considerano rilevante non è, dunque,
in dubbio la necessità di un termine di paragone tale da essere normatività
costante e non costrittiva dell’impiego piuttosto che del mero uso dei segni.
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