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lunedì 20 aprile 2015

Il problema della verità




All’interno della riflessione filosofica il problema della verità emerge laddove il legame tra ciò che è evidente di per sé e ciò che diventa significativo si scontra con quella che si denomina falsità. Io sostengo che esiste la possibilità di districare quella che può essere considerata la portata significativa dei fenomeni semiotici attraverso la forma logica e l’analisi di essa. I maggiori filosofi del linguaggio e i precursori delle ricerche contemporanee hanno lasciato in eredità la complessità della questione. Mi propongo di analizzare alcuni degli aspetti che C. S. Peirce e F. de Saussure hanno affronato a sostegno della mia tesi.
Nella topologia peirceana ci sono due luoghi specifici che a mio parere risultano significativi: in “New Elements” (1904) Peirce fa dell’arbitrarietà della lettera il modello di riferimento per l’analisi dei rapporti tra materia e forma semiotica; in “On the Logic of Drawing History from Ancient Documents” (1901) il filosofo delinea il nucleo d’osservazione per una vera analisi della struttura storica del reale. Dal lato saussuriano, invece, considero rilevanti al nostro proposito tre nozioni: quella di sistema, di flusso linguistico e di oggetto. Le prime due possono essere considerate come nozioni antinomiche rispetto a quel particolare modo di stringere la verità nella complessità del linguaggio. Sistema e flusso linguistico, insieme al problema epistemologico (ma non solo) dell’oggetto, riconducono all’analisi della forma linguistica, laddove il problema della verità si aggrappa a quello della differenzialità del sistema segnico.
1. Dall’unione dei due articoli di Peirce rispetto al nostro problema emerge la necessità di introdurre lo strumento dinamico di analisi e realizzazione della forma logica che è quello dei grafi esistenziali. Il testimone storico è infatti ancorato in ogni caso, che sia vivo o morto, nella profondità della materia significativa del sistema semiotico di cui è segno in-relazione-a un oggetto e un interpretante. Gli elementi di senso che la materia trasporta sono portatori di energia: essa è Firstness, potenzialità pura. In tal senso il secondo Peirce risulta più chiaro nella spiegazione del passaggio da una categoria all’altra, proprio in virtù della struttura comune della portata fenomenica del dato con il modello categoriale che è la stessa semiosi. Possiamo definire grafo esistenziale la rappresentazione diagrammatica di una specifica relazione logica. Dal lato dell’analisi del dato che emerge da ciascun grafo-segno, dunque, non è possibile altra funzione linguistica se non quella del mostrare la verità. Ma dall’altro lato, quello che si mostra come luogo della singolarità del segno in sé, ossia della sua Firstness (degenarata rispetto alla sua terzità e secondità emergente), la funzione logica assume caratteri inanalizzabili. Gli autori che si occupano specificamente del modello dei grafi esistenziali (pensiamo a Carlo Sini, Rossella Fabbrichesi Leo, ecc.) hanno evidenziato il carattere non definitrio della forma logica del grafo. Per far sì, effettivamente, che la trascrizione (in senso tecnico) sia realmente ancorata alla realtà segnica è necessario domandarsi, ancora, cosa c’è oltre la grafematicità nel suo senso più comune. Peirce : 1901 affronta proprio questo problema. Parafrasandolo ancora possiamo chiederci se è lecito attribuire alla materialità grafica la funzione di verità alla quale Peirce si appiglia. È davvero possibile che la diagrammaticità risolva di per sé la complessità delle relazioni di cui i grafi ed ogni significato riconosciuto come tale portano con sé?

2. In Saussure il problema della verità è equivalente al problema della verità linguistica, che richiama la tesi di De Mauro, ad esempio, nel rapporto tra verità storico-naturale delle lingue e verità scientifica. Si tratta di riconsiderare in abstracto (e non in vitro=artificialmente) le realtà linguistiche per poi riconsegnarle alla massa indistruttibile di significatività che il soggetto parlante porta con sé. È il problema del luogo, inteso non tanto come antinomia tra contesto e cotesto ma nella definizione saussuriana di FORMA. Il segno è la forma ed eccede qualsiasi entità che abbia la funzione di SOMA, involucro o, in altri termini, mera apparenza. In questo senso dobbiamo riprendere in considerazione il problema della differenzialità così come è stato posto da Roy Harris nel suo articolo del 2000 (cfr. Harris : 2000a). La nozione di sistema è quella che a mio parere risulta problematica ma efficace proprio rispetto al problema della verità. Il breve item in Saussure : 2005 (cfr. Saussure, 2005, pp. 14-15) mostra come Saussure pone in primo piano l’idea di punto di vista. È il punto di vista che permette, possiamo dire, di circoscrivere la realtà linguistica del segno. Ora, cosa comporta rimarcarne il senso rispetto alla verità che ci interessa è proprio la difficile questione che Saussure, afferma Harris, lascia irrisolta. È anche qui che Harris riporta l’idea saussuriana dei rapporti differenziali all’analisi del sistema linguistico. Partendo dalla premessa dell’isomorfismo tra lingua e scrittura – che abbiamo specificato come lingua scritta e lingua vocale – Harris rivela l’irrisolutezza della conclusione di Saussure che vede il segno come unione quaternionale di Significato e  Significante. Potremmo azzardare l’ipotesi (di certo la sua verità è un’altra cosa) che non c’è alcuna verità nel sistema saussuriano. In qualche modo il segno per essere vero deve poter essere irriconoscibile di per sé. È nel paradosso dell’irriducibilità della forma con l’informe o massa amorfa del linguaggio che si perde la definibilità del dato di senso del segno.  Se il flusso linguistico vive in ciò che è amorfo può la verità risiedere nella materia segnica? La risposta di Saussure è in parte negativa: in parte perché la materia non può rispecchiare la forma linguistica in ogni suo aspetto. È necessario quindi ricomporre l’oggetto secondo il punto di vista linguistico. Come nota Harris, esso è nient’altro che il circolo vizioso saussuriano.

3. Come abbiamo visto in Peirce, per poter accedere ad un modo, un tipo di segno e dunque alla vera qualità significativa di cui è portatore, è necessario poter decostruire attraverso le categorie la realtà fenomenica più evidente che ci appare come segno indipendentemente dalla materia di cui è costituito. Se per materialità consideriamo invece che la separazione segno/oggetto l’interpretante del segno, possiamo ricondurre ad esso il problema della logica della verità. L’insolubilità della questione non ha a che fare, dunque, con la risposta alla domanda “cosa è la verità” ma con quali logiche se ne determina la funzione; è così che possiamo riguardare l’idea saussuriana di punto di vista e che può essere ricondotto, come idea di base, a quella di forma significativa che Peirce espone in Man’s Glass Essence. Cosa comporta relazionare il codice linguistico alla semiosi che vive nel mondo organico e inorganico, nelle piante e nei cristalli ed infine nell’uomo? In Evolutionary Love Peirce costringe il segno alla continuità, alle occasioni che sono, in qualche modo, i luoghi della verità. Nell’indeterminatezza delle Triadi signficanti possono essere enucleate le variazioni tra le menti e tra i segni come menti.

4. Non c’è alcuna questione che non rimandi a quella della verità. Questo può essere considerato un corollario della tesi che propongo, nel senso in cui abbiamo accennato più su. Il rapporto del dato vero con l’errore è un modo che pemette di avvicinare in molti casi alla nozione considerata. La realtà logica che risiede nella forma linguistica deve quindi avere caratteri discreti nel senso di determinanti e non determinati (già da qualche altra parte o per un mezzo esterno alla propria forma). Come ha rilevato Harris non ci sono “gaps”, rotture, zone d’ombra, o irreversibilità nello spazio linguistico. La possibilità del fallibilismo che Peirce analizza è parallela a quella del riconoscimento della verità. Non soltanto perché è vero che si può essere in errore, secondo uno schema tautologico, ma è necessaria la rielaborazione della strada, del percorso che dalle cause porta alle ragioni. Ciò che in Peirce differenzia le “chances” dalle cause lo si comprende attraverso la nozione di sinechismo, che è la tendenza di ricognizione di una vera continuità tra mente e mondo dei segni.
In un’ultima analisi possiamo ricondurre la nozione di verità a quella di una reale corrispondenza tra le forme codificabili e altre non ancora rese tali dalla sistematicità del linguaggio. A tal proposito vorrei richiamare il Wittgenstein di The Brown and the Blue Books, in cui l’autore evidenzia come il senso comune delle azioni razionali e dunque pratiche sia ancorato alla natura della relazionalità tra i segni. Il gioco linguistico non è legato (come in altri termini afferma anche Peirce) al risultato (che è certamente vero) ma è esso stesso il Valore dell’azione. In questo senso non ci sono che logiche delle verità, determinabili perché scomponibili attraverso i sensi della prassi umana. Nei giochi linguistici la tendenza non è tanto quella di una determinazione assoluta, di una sorta di legge o assioma non discutibile, ma è al contrario la possibilità di un passaggio INDETERMINABILE dall’immotivato all’arbitrario, attraverso un modello di riferimento non risolvibile in una singola pratica. È un po’ come del caso di “oblio” che Saussure espone a proposito delle Leggende Germaniche (cfr. Prosdocimi : 1983) : l’indeterminatezza è ancella della significazione, di una memoria vera perché realizzabile tra i margini dell’inconoscibile. Il senso dell’incompletezza è nel movimento di cui la forma logica si nutre, legandosi a norme, codici, segni visti come testi, al di là delle singole occorrenze antinomiche. Tuttavia, non sarebbe possibile alcuna conoscenza (intesa come una ricognizione) senza la pratica dell’analisi formale dei giochi linguistici. Un’analogia portata agli estremi, una sorta di macchina a-logica, sarebbe irreale, falsa, poiché condurrebbe ad un grado di artificiosità estrema. In effetti, la standardizzazione che ritroviamo nelle leggi antiche, ad esempio, ci appaiono così lontane per una distanza dei luoghi logici, una distanza che rende la difformità di pratiche che hanno perso l’ancora sociale o mentale. Dal punto di vista retrospettivo che Peirce e Saussure considerano rilevante non è, dunque, in dubbio la necessità di un termine di paragone tale da essere normatività costante e non costrittiva dell’impiego piuttosto che del mero uso dei segni. 

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