Mai dire mai
In questo spazio tra me e il mondo c'è il mio romanzo fiume. Crescerà con me e con gli appassionati del tempo: che non ci travolga ma ci permetta di riempirlo di sostanza e di fantasia. Buona lettura. P.s.: si legge al contrario, da Simbiosi verso l'alto.
Co2
lunedì 20 aprile 2015
Il problema della verità
All’interno della riflessione
filosofica il problema della verità emerge laddove il legame tra ciò che è
evidente di per sé e ciò che diventa significativo si scontra con quella che si
denomina falsità. Io sostengo che esiste
la possibilità di districare quella che può essere considerata la portata
significativa dei fenomeni semiotici attraverso la forma logica e l’analisi di
essa. I maggiori filosofi del linguaggio e i precursori delle ricerche
contemporanee hanno lasciato in eredità la complessità della questione. Mi
propongo di analizzare alcuni degli aspetti che C. S. Peirce e F. de Saussure
hanno affronato a sostegno della mia tesi.
Nella topologia peirceana ci sono
due luoghi specifici che a mio parere risultano significativi: in “New
Elements” (1904) Peirce fa dell’arbitrarietà della lettera il modello di
riferimento per l’analisi dei rapporti tra materia e forma semiotica; in “On the
Logic of Drawing History from Ancient Documents” (1901) il filosofo delinea il
nucleo d’osservazione per una vera analisi della struttura storica del reale.
Dal lato saussuriano, invece, considero rilevanti al nostro proposito tre
nozioni: quella di sistema, di flusso linguistico e di oggetto. Le prime due
possono essere considerate come nozioni antinomiche rispetto a quel particolare
modo di stringere la verità nella complessità del linguaggio. Sistema e flusso
linguistico, insieme al problema epistemologico (ma non solo) dell’oggetto,
riconducono all’analisi della forma linguistica, laddove il problema della
verità si aggrappa a quello della differenzialità del sistema segnico.
1. Dall’unione dei due articoli
di Peirce rispetto al nostro problema emerge la necessità di introdurre lo
strumento dinamico di analisi e realizzazione della forma logica che è quello
dei grafi esistenziali. Il testimone storico è infatti ancorato in ogni caso,
che sia vivo o morto, nella profondità della materia significativa del sistema
semiotico di cui è segno in-relazione-a un oggetto e un interpretante. Gli
elementi di senso che la materia trasporta sono portatori di energia: essa è
Firstness, potenzialità pura. In tal senso il secondo Peirce risulta più chiaro
nella spiegazione del passaggio da una categoria all’altra, proprio in virtù
della struttura comune della portata
fenomenica del dato con il modello categoriale che è la stessa semiosi.
Possiamo definire grafo esistenziale la rappresentazione diagrammatica di una
specifica relazione logica. Dal lato dell’analisi del dato che emerge da
ciascun grafo-segno, dunque, non è possibile altra funzione linguistica se non
quella del mostrare la verità. Ma dall’altro lato, quello che si mostra come
luogo della singolarità del segno in sé, ossia della sua Firstness (degenarata
rispetto alla sua terzità e secondità emergente), la funzione logica assume
caratteri inanalizzabili. Gli autori che si occupano specificamente del modello
dei grafi esistenziali (pensiamo a Carlo Sini, Rossella Fabbrichesi Leo, ecc.)
hanno evidenziato il carattere non definitrio della forma logica del grafo. Per
far sì, effettivamente, che la trascrizione (in senso tecnico) sia realmente
ancorata alla realtà segnica è necessario domandarsi, ancora, cosa c’è oltre la
grafematicità nel suo senso più comune. Peirce : 1901 affronta proprio questo
problema. Parafrasandolo ancora possiamo chiederci se è lecito attribuire alla
materialità grafica la funzione di verità alla quale Peirce si appiglia. È
davvero possibile che la diagrammaticità risolva di per sé la complessità delle
relazioni di cui i grafi ed ogni significato riconosciuto come tale portano con
sé?
2. In Saussure il problema della
verità è equivalente al problema della verità linguistica, che richiama la tesi
di De Mauro, ad esempio, nel rapporto tra verità storico-naturale delle lingue
e verità scientifica. Si tratta di riconsiderare in abstracto (e non in
vitro=artificialmente) le realtà linguistiche per poi riconsegnarle alla massa
indistruttibile di significatività che il soggetto parlante porta con sé. È il
problema del luogo, inteso non tanto come antinomia tra contesto e
cotesto ma nella definizione saussuriana di FORMA. Il segno è la forma ed
eccede qualsiasi entità che abbia la funzione di SOMA, involucro o, in altri
termini, mera apparenza. In questo senso dobbiamo riprendere in considerazione
il problema della differenzialità così come è stato posto da Roy Harris nel suo
articolo del 2000 (cfr. Harris : 2000a). La nozione di sistema è quella che a mio
parere risulta problematica ma efficace proprio rispetto al problema della
verità. Il breve item in Saussure : 2005 (cfr. Saussure, 2005, pp. 14-15)
mostra come Saussure pone in primo piano l’idea di punto di vista. È il punto
di vista che permette, possiamo dire, di circoscrivere la realtà linguistica
del segno. Ora, cosa comporta rimarcarne il senso rispetto alla verità che
ci interessa è proprio la difficile questione che Saussure, afferma Harris,
lascia irrisolta. È anche qui che Harris riporta l’idea saussuriana dei
rapporti differenziali all’analisi del sistema linguistico. Partendo dalla
premessa dell’isomorfismo tra lingua e scrittura – che abbiamo specificato come
lingua scritta e lingua vocale – Harris rivela l’irrisolutezza della
conclusione di Saussure che vede il segno come unione quaternionale di
Significato e Significante.
Potremmo azzardare l’ipotesi (di certo la sua verità è un’altra cosa) che non
c’è alcuna verità nel sistema saussuriano. In qualche modo il segno per essere
vero deve poter essere irriconoscibile di per sé. È nel paradosso
dell’irriducibilità della forma con l’informe o massa amorfa del linguaggio che
si perde la definibilità del dato di senso del segno. Se il flusso linguistico vive in ciò che è amorfo può la
verità risiedere nella materia segnica? La risposta di Saussure è in parte
negativa: in parte perché la materia non può rispecchiare la forma linguistica
in ogni suo aspetto. È necessario quindi ricomporre l’oggetto secondo il punto
di vista linguistico. Come nota Harris, esso è nient’altro che il circolo
vizioso saussuriano.
3. Come abbiamo visto in Peirce,
per poter accedere ad un modo, un tipo di segno e dunque alla vera qualità
significativa di cui è portatore, è necessario poter decostruire attraverso le
categorie la realtà fenomenica più evidente che ci appare come segno
indipendentemente dalla materia di cui è costituito. Se per materialità
consideriamo invece che la separazione segno/oggetto l’interpretante del segno,
possiamo ricondurre ad esso il problema della logica della verità. L’insolubilità
della questione non ha a che fare, dunque, con la risposta alla domanda “cosa è
la verità” ma con quali logiche se ne determina la funzione; è così che
possiamo riguardare l’idea saussuriana di punto di vista e che può essere
ricondotto, come idea di base, a quella di forma significativa che Peirce
espone in Man’s Glass Essence. Cosa
comporta relazionare il codice linguistico alla semiosi che vive nel mondo
organico e inorganico, nelle piante e nei cristalli ed infine nell’uomo? In Evolutionary
Love Peirce costringe il segno alla
continuità, alle occasioni che sono, in qualche modo, i luoghi della verità.
Nell’indeterminatezza delle Triadi signficanti possono essere enucleate le
variazioni tra le menti e tra i segni come menti.
4. Non c’è alcuna questione che
non rimandi a quella della verità. Questo può essere considerato un corollario
della tesi che propongo, nel senso in cui abbiamo accennato più su. Il rapporto
del dato vero con l’errore è un modo che pemette di avvicinare in molti casi
alla nozione considerata. La realtà logica che risiede nella forma linguistica
deve quindi avere caratteri discreti nel senso di determinanti e non
determinati (già da qualche altra parte o per un mezzo esterno alla propria
forma). Come ha rilevato Harris non ci sono “gaps”, rotture, zone d’ombra, o
irreversibilità nello spazio linguistico. La possibilità del fallibilismo che
Peirce analizza è parallela a quella del riconoscimento della verità. Non
soltanto perché è vero che si può essere in errore, secondo uno schema
tautologico, ma è necessaria la rielaborazione della strada, del percorso che
dalle cause porta alle ragioni. Ciò che in Peirce differenzia le “chances”
dalle cause lo si comprende attraverso la nozione di sinechismo, che è la
tendenza di ricognizione di una vera continuità tra mente e mondo dei segni.
In un’ultima analisi possiamo
ricondurre la nozione di verità a quella di una reale corrispondenza tra le
forme codificabili e altre non ancora rese tali dalla sistematicità del
linguaggio. A tal proposito vorrei richiamare il Wittgenstein di The Brown and
the Blue Books, in cui l’autore evidenzia come il senso comune delle azioni
razionali e dunque pratiche sia ancorato alla natura della relazionalità tra i
segni. Il gioco linguistico non è legato (come in altri termini afferma anche
Peirce) al risultato (che è certamente vero) ma è esso stesso il Valore
dell’azione. In questo senso non ci sono che logiche delle verità, determinabili perché scomponibili attraverso i
sensi della prassi umana. Nei giochi linguistici la tendenza non è tanto quella
di una determinazione assoluta, di una sorta di legge o assioma non
discutibile, ma è al contrario la possibilità di un passaggio INDETERMINABILE
dall’immotivato all’arbitrario, attraverso un modello di riferimento non
risolvibile in una singola pratica. È un po’ come del caso di “oblio” che
Saussure espone a proposito delle Leggende Germaniche (cfr. Prosdocimi : 1983)
: l’indeterminatezza è ancella della significazione, di una memoria vera perché
realizzabile tra i margini dell’inconoscibile. Il senso dell’incompletezza è
nel movimento di cui la forma logica si nutre, legandosi a norme, codici, segni
visti come testi, al di là delle singole occorrenze antinomiche. Tuttavia, non
sarebbe possibile alcuna conoscenza (intesa come una ricognizione) senza la
pratica dell’analisi formale dei giochi linguistici. Un’analogia portata agli
estremi, una sorta di macchina a-logica, sarebbe irreale, falsa, poiché
condurrebbe ad un grado di artificiosità estrema. In effetti, la
standardizzazione che ritroviamo nelle leggi antiche, ad esempio, ci appaiono
così lontane per una distanza dei luoghi logici, una distanza che rende la
difformità di pratiche che hanno perso l’ancora sociale o mentale. Dal punto di
vista retrospettivo che Peirce e Saussure considerano rilevante non è, dunque,
in dubbio la necessità di un termine di paragone tale da essere normatività
costante e non costrittiva dell’impiego piuttosto che del mero uso dei segni.
Simbolicità e scrittura
Abstract
In this paper I consider the relationship between writing and the other
semiological systems in the recent discussion.
In the first chapter I explain something about Peirce’s consideration of existential graphs related to diagrammatic
thought. His approach permits to convey the overlap of
a semiotic approach to pragmaticism in which the link between symbols and
writing becomes clear. According to Peirce, the irreversible process of semiosi, in the terms of a passage from a logic interpretant to another one, is
a habit related to another sign that realizes the acts of communication. Further,
the hypothesis of a construction of the signification is one of the most
important for an approach to pragmatism as well as it’s maintained by modern
philosophers. The sense of communicative verbal symbols is, at first, a way to
explore the human communication, because of the sketch of linguistic games in
which the diagrams meet the reconstruction of scientific thought is the
question connected to writing in his alliance with the linguistic systems of
signs.
In the second chapter I consider Saussure’s semiological approach to
writing. In his three courses of lectures on General linguistics, Saussure
explains the isomorphism between writing system and langue through two proprieties: the analogical likeness and the homological
correspondence. However, there are more levels in semiological dimensions, and
the signs of writing maintain the semiotic autonomy in their significant forms.
According to Luis J. Prieto there is a non-realized symmetry between graphical
signs and phonetic signs in two or more complementary languages. In a deep
analysis of linguistic forms there is an incomplete parallelism between writing
and languages systems. In Saussure’s thought the anagrams are a land of investigation to
explain the literary evidence of the linguistic structures, in which rules and
norms are connected with the symbolic forms of writing. Effectively, if we take
advantage of his research in the Germanic Legends, we’ll see the insurance of the alliance between symbols and linguistic
signs, in which poetry is not a closed recipient, because it is linked with
speakers.
In the third chapter there is a reconsideration of what the two authors
suggested. The signs of writing are semiological forms that permit to formulate
some hypotheses of any systematical existence of writing that in verbal
communication are as transformations of parallel systemic characters that can
be jointed. In that sense every system of symbols is related to linguistic and pre-linguistic
symbolic form. Verbal and non verbal communication,
in fact, maintain a link in pragmatic inquiry through existential graphs and
their application in Peirce's literature. Continuity, unity and identity are three terms strictly connected to the
semiological forms. I try to illustrate some points that Peirce and Saussure
have in common in the formulations of their thesis to build an image of the similar
matters they have and the resolution of their speculation about writing considered
through the positions of contemporary authors.
In the fourth chapter I connect Saussure and Peirce to contemporary
debate. I explain in what sense writing is a witness of language in the general
linguistic model, as a form of complex scheme of the relationship between signs
that maintain the verbal thought. The signs of writing are not mere
manifestations of what is expressed by linguistic systems. The iteration of
symbolic forms is a first materialization of the tendency of the significance
in writing to realize the point of conjunction with the other semiological
systems in which more levels are connected. Tullio De Mauro’s reflection on langue as a historical document (referred to Saussure’s thought) permits to
bring out the possibility of a reconsideration between the scientific
recognition of Saussure’s research and the signs of writing in the linguistic
system, from literature to writing languages.
In conclusion, the vastitude of formulations that look for writing as an
artificial instrument of the langue needs the intervention of a consolidation of the different forms of writing and the necessity of a limit not only in structural systems,
but also in the incongruities as well as the singularity of sign, through the
dimensions that realize the signification. It is necessary to exclude the
history of symbols incorporated in linguistic context to take the specific
significance of writing. The writing forms are not only the graphic signals as
pure image or impression, because of the complex characters of writing
representations are not any syntheses of linguistic tradition, or positions in
social groups in which the signs of writing take place; further, to discuss about
writing languages as well as a mere instrument of thought is redundant.
0.
Premessa
Nella
discussione recente che riguarda la semiologia della scrittura i sistemi
scritti hanno un ruolo parallelo a quelli parlati[1]
e manifestano strutture simili, la coincidenza delle quali è stata analizzata
da linguisti, semiologi e filosofi[2]
che hanno avvicinato le forme linguistiche sulla base della necessità di
comprenderne il funzionamento o la struttura o, ancora, il modo di
realizzazione nei diversi contesti d’uso. Facendo un passo indietro nella storia
delle riflessioni inerenti alla realtà semiologica ci sono due punti di
riferimento principali, precursori degli studi contemporanei e riformulatori
delle ricerche a loro vicine, che hanno segnato il termine di una riflessione che
si presentava, invece, spesso frammentaria e non omogenea. Si tratta di Charles
Sanders Peirce e di Ferdinand de Saussure, i cui nomi risuonano in ogni manuale
e in molte delle ricerche contemporanee, e la preminenza dei quali sembra non
poter essere abbandonata né ignorata. Riprendiamo in questo lavoro alcuni fili
conduttori della ricerca che sono impliciti a quelli di molti studi odierni,
cercando di dare uno spunto per allinearne i sensi di indagine rispetto alla
riflessione che riguarda specificatamente la scrittura.
Nel primo
capitolo affrontiamo i luoghi in cui Peirce delinea le categorie e dunque le
relazioni triadiche in connessione non soltanto alla significatività del
simbolo, ma anche ad una grafematicità intesa come possibilità materiale di
realizzazione meta-rappresentativa della semiosi. In effetti, la degenerabilità
delle categorie permette di guardare al percorso che va dall’iconicità alla
simbolicità attraverso la diagrammatizzazione delle inferenze. La ricerca
peirceana sui diagrammi si interpone nello spazio di riflessione che il
filosofo dedica fin dalle prime considerazioni sulla logica algebrica e sulla
semiosi. Le categorie, così come sono presentate da Peirce, hanno un ruolo
cardinale rispetto alla formazione della sintassi diagrammatica, fondamento
della relazionalità tra i segni iconici e indicali.
Alla luce degli
studi più recenti, legati al problema peirceano della rappresentazione grafica
di una scrittura configuratesi come lingua, si pone necessaria la domanda sulla
relazionalità semiologica di lingua e scrittura che, in effetti, quasi in
nessun caso si configurano l’una come specchio dell’altra. La possibilità dei
grafi esistenziali di costituirsi come base del pragmaticismo mette in luce il
tentativo di Peirce, che è anche la questione che si sono posti alcuni tra gli
studiosi contemporanei, di guardare alla dinamicità della significazione e di
abbandonare la preminenza dell’immutabilità di senso nei processi di
significazione. Appare così necessario considerare l’approccio che dalla
semiotica della scrittura si accosta alla caratterizzazione linguistica del
sistema semiologico di riferimento.
Nel secondo
capitolo vogliamo delineare, ai margini della semiologia saussuriana, i luoghi
principali che ruotano attorno alla nozione di scrittura, nei termini più
presenti tra gli scritti pubblicati del linguista ginevrino. La scrittura è
considerata da Saussure nei termini della differenziazione tra le lingue, e si
costituisce come sintesi del percorso che il linguista compie negli anni delle
lezioni dei tre corsi di Linguistica generale. Poniamo quindi a confronto il
primo ed il secondo corso degli studenti di Saussure con il terzo corso e
rispetto ad alcuni punti citati negli Écrits de linguistique générale[3]
attraverso il percorso saussuriano che dalla scrittura come sistema si avvicina
alle diverse forme di scrittura, e avviciniamo i luoghi in cui la spiegazione
saussuriana delinea uno iato tra linguistica e semiologia.
Nel terzo
capitolo cerchiamo di tenere in mano i punti essenziali che i due autori ci
hanno suggerito, e dunque da un lato, la semiosi dei grafi esistenziali e
dall’altro la scrittura come lingua generale che determina la coevoluzione e la
coesistenza con il sistema semiologico di riferimento. I segni della scrittura,
considerati come testimonianza della negatività linguistica, permettono di
formulare un’ipotesi di sussistenza sistemica della lingua scritta rispetto alla
lingua parlata che nella comunicazione rimane trasformazione o residuo di
proprietà sistemiche parallele ma non incongiungibili.
Nel quarto
capitolo vediamo in che senso possiamo dire che ci sono proprietà che abbracciano
il campo semiologico che escludono alcuni aspetti relazionabili alla lingua
scritta. Possiamo, infatti, riguardare le proprietà specifiche della scrittura
che delimitano il sistema linguistico: la scrittura è testimone delle età
linguistiche all’interno del modello generale che è la lingua, attraverso la
forma di schema complesso della relazionalità segnica che regge il pensiero
verbale. La vastità della formulazione che guarda alla scrittura come ad uno
strumento artificiale che si pone nella naturalità della lingua richiede l’analisi
di forme diverse di scrittura e la necessità di tenere in considerazione non
soltanto le sistematicità strutturali ma le incongruenze, tra le quali quella
individuale del segno è la base, nelle dimensioni che ne realizzano le forme
significative. Si tratta allora di de-storicizzare la simbolicità interna ad
ogni contesto linguistico per poter cogliere la significatività specifica della
scrittura, nella forma che supera il valore del segno grafico considerato di
per sé come pura immagine o impressione. Il carattere complesso della
rappresentazione scritta non può dunque essere sintetizzato dalla tradizione
linguistica, né dalla posizione che la scrittura assume in un gruppo sociale;
tuttavia, anche parlare di semplice strumento del pensiero risulta ridondante.
1.
Scrittura e diagrammaticità
Doubt and Belief, as the
words are commonly employed, relate to religious or other grave discussion. But
here I use them to designate the starting of any question, no matter how small
or how great, and the resolution of it.
C. S. Peirce, 1992 [1878], pp. 127-128.
1.0. Premessa: le categorie
e la logica grafemica nella riflessione di Charles Sanders Peirce
In Peirce le
categorie e dunque le relazioni triadiche delle dieci tricotomie mostrano gradi
diversi di relazionalità non manifeste nell’osservazione immediata, ma che si
delineano come substrati della significatività del simbolo. La grafematicità
come possibilità materiale di realizzazione meta-rappresentativa della
scrittura permette di districare la portata filosofica della posizione di
Peirce rispetto ai grafi. Se possiamo affermare che esiste una degenerabilità
delle categorie, possiamo anche considerare il percorso inverso dal simbolo
all'iconicità dei segni in cui la permanenza della degenerazione di ciascuna
forma si mostra nella diagrammatizzazione delle inferenze. La ricerca peirceana
sui grafi si interpone nella spazio di riflessione che il filosofo dedica fina
dalle prime riflessioni sulla logica algebrica e sulla semiosi. In effetti, le
categorie, così come sono presentate da Peirce, hanno un ruolo cardinale
rispetto alla formazione della sintassi diagrammatica, fondamento della
relazionalità tra i segni iconici e indicali. È attraverso la categoria della
Secondità che dobbiamo, infatti, approcciare al discorso peirceano della
simbolicità. Tra tradizione e innovazione, i diagrammi si costituiscono come
punto di riferimento nella ricerca scientifica quotidiana, evidenziando come le
lingue e la scrittura non sono le une specchio dell’altra ma ciascuna porta con
sé una specificità pregressa che si corrisponde nella sintassi grafemica. La
concezione filosofica di fondo che emerge dalle parti più accessibili degli
scritti peirceani è quella del pragmaticismo che ribalta l’antica credenza
della staticità della rappresentazione. Il segno non già determinato è invece determinante, portatore di significazione.
1.1. I simboli come luoghi della semiosi
I luoghi della
continuità che si manifestano nelle categorie peirceane destinate a
classificare l’esperienza e le differenti tipologie segniche, si basano sulla
premessa di un isomorfismo tra ragionamento, logica e semiotica. Risulta
inutile e insensato, seguendo Peirce, andare alla ricerca di una distinzione
netta tra il modo attraverso il quale conosciamo i fenomeni governati da leggi
esistenti e la logica, dunque i segni attraverso i quali il ragionamento si
dispiega. In effetti, affinché le forme del ragionamento abbiano una premessa
fondata sull'effettiva relazionalità segnica è necessario ripercorrere gli
spazi logico-simbolici dei sistemi semiotici. La continuità logica, di per sé,
come proprietà dei sistemi semiotici implica che, qualsiasi sia il punto dal
quale scegliamo di iniziare per affrontare il percorso tra le variabili del
ragionamento dispiegato attraverso le forme segniche, l’incontro con almeno un
altro degli elementi tra quelli considerati sia inevitabile.
«I carry the doctrine so far as to
maintain that continuity governs the whole domain of experience in every
element of it.[4]»
Le categorie
sono generali applicabili ad ogni tipo di forme esistenti, del mondo organico e
inorganico, e sono la Primità (Orienza o Originarietà), la Secondità
(Obsistenza o Binarità) e la Terzità (Transuazione o Mediazione) che muovono
incessantemente i processi di trasformazione segnica, da icone a indici a
simboli. Peirce chiama Sinechismo lo
sviluppo evolutivo dei segni che avviene nello scambio ininterrotto tra mente e
mondo, nella tendenza dell’uno di appropriarsi dell’altro.
«The word synechism is the English form of the Greek
συνεχισμός, from συνεχής, continuous. For two centuries we have been affixing -ist and –ism to words, in order to note sects
which exalt the importance of those elements which the stem-words signify.
Thus, materialism is
the doctrine that matter is everything, idealism the doctrine that ideas are
everything, dualism the philosophy which splits everything in two. In like manner, I have
proposed to make synechism mean the tendency to regard everything as continuous. [5]»
In questo senso
l’origine della continuità è il ragionamento, ossia l’arte di ordinare segni.
Poiché ogni mente può manipolare segni, secondo Peirce, dobbiamo pensare di
condividere un sistema di segni, dai simboli, segni genuini, agli indici e alle
icone, rispettivamente segni degenerati di grado minore e degenerati di grado
maggiore, in base ai tipi di spostamenti categoriali tra la mente (utterer)
emittente e la mente ricevente (interpreter) dei segni e i relativi mutamenti
interni a ciascun segno[6].
In questo senso l’iconicità è sempre in gioco nella comunicazione, nell’azione
specificatamente umana che è dialogica. Riconoscere un evento come tale
attraverso segni implica assumerlo come segno: ad esempio, è iconico qualsiasi
segno riconosciuto come tale poiché se ne riconosce la somiglianza con un altro
segno. Non ci sono segni più iconici o meno iconici in sé, ma solo all’interno
del sistema in cui si muovono e dunque per le menti che li condividono. Anche
in questo senso, la possibilità di esistenza è comunque nella semiosi, nel
ragionamento, nella logica. Il segno degenerato di grado maggiore, l’icona, è
dunque inevitabilmente legato (e continuamente rimanda) agli altri tipi di
segni.
«There are three kinds of signs.
Firstly, there are likeness, or icons; which serve to convey ideas of the things they represent
simply by imitating them.[7]»
L’icona è allora
il punto di inizio del processo semiotico e logico. In effetti, il ragionamento
matematico ne è pervaso ed è proprio da questo tipo di ragionamento che Peirce
prende le mosse per spiegare il tipo di sintassi diagrammatica dei grafi
esistenziali, forma innovativa di creazione logica. È nel sistema dei diagrammi
che si lega, infatti, la prima forma di sistematizzazione del pensiero nel
ragionamento che Peirce definisce necessario[8].
«The reasoning of mathematicians
will be found to turn chiefly upon the use of likeness, which are the very
hinges of the gates of their science. The utility of likeness to mathematicians
consist in their suggesting, in a very precise way, new aspect of supposed
states of things.[9]»
La capacità dei
simboli di incorporare l’iconicità diagrammatica si basa sulla differenza tra i
diversi tipi di segni ma anche sulla stretta relazionalità tra di essi.
Seguendo Peirce, infatti, e la tripartizione del segno in oggetto, interpretante e representamen,
un’icona ha un oggetto, un segnale che permette di avere un incontro con esso
e, malgrado non abbia di per sé un interpretante, è un segno che interviene nei
processi logici dei ragionamenti simbolici attraverso l’interrelazione con gli
interpretanti e dunque i simboli. Nel dibattito più recente sull’iconicità si
ritrovano spesso messi a confronto alcuni aspetti che non riguardano tanto
l’iconicità come proprietà di un segno e dunque di qualità inerente ad esso e,
dunque, nella semiosi, capace di condividerne la base con un segno ad esso
vicino, ma come pura somiglianza. La complessità della semiosi non è riducibile
ad una semplice qualità condivisa, poiché l’iconicità può, nell’ottica
peirceana, porsi all’interno della logica abduttiva, per esempio, come ipotesi
all’interno del processo di interpretazione.
1.2. L’interpretante
e la semiosi grafemica
Ci sono
proprietà della semiosi che vanno a completare la categorizzazione tassonomica
che caratterizza l’esistenza di ciascuna forma significativa. Una di queste è
la determinazione dei segni complessi, nel loro stesso formarsi come tali. In
effetti, il primo punto che si può pensare come luogo di stallo tra forma
semiosica in sé e azione pragmatica è quello del segno che si realizza in se
stesso, attraverso dunque un oggetto, un interpretante e un representamen.
Peirce considera un segno che è, nella sua forma, perfetto.
Consider
then the aggregate formed by a sign and all the signs which its occurrence
carries with it. This aggregate will itself be a sign; and we may call it a perfect
sign,
in the sense that it involves the present existence of no other sign except
such as are ingredients of itself. Now no perfect sign is in a statical
condition: you might as well suppose a portion of matter to remain at rest
during a thousandth of a second, or any other long interval of time. The only
signs which are tolerably fixed are non-existent abstractions. We cannot deny
that such a sign is real; only its mode of reality is not that active kind
which we call existence. The existent acts, and whatsoever acts changes...
Every
real ingredient of the perfect sign is aging, its energy of action upon the
interpretant is running low, its sharp edges are wearing down, its outlines
becoming more indefinite.
On the
other hand, the perfect sign is perpetually being acted upon by its object,
from which it is perpetually receiving the accretions of new signs, which bring
it fresh energy, and also kindle energy that it already had, but which had lai
dormant.
In
addition, the perfect sign never ceases to undergo changes of the kind we
rather drolly call spontaneous, that is, they happen sua sponte but not by its will. They are
phenomena of growth.
Such
perfect sign is a quasi-mind. It is the sheet of assertion of Existential
Graphs...
This
quasi-mind is an object which from whatever standpoint it be examined, must
evidently have, like anything else, its special qualities of susceptibility to
determination. Moreover, the determinations come as events each one once for
all and never again. Furthermore, it must have its rules or laws, the more
special ones variable, others invariable.[10]
Le leggi e le
regole valide all’interno del segno perfetto che è il foglio di asserzione, con
i vincoli che lo delimitano, realizzano la sintassi diagrammatica dei grafi
esistenziali. Si tratta di una significazione impossibile di per sé, poiché la
sua verità materiale è necessariamente subordinata alle operazioni e ai giochi
logici della sintassi diagrammatica, ossia alla forma. La classificazione dei
segni attraverso le tassonomie, da un lato, e le leggi o regole che governano la
realtà delle proprietà che agiscono come qualità relazionali, dall’altro, si
incontrano nella costruzione logica dei grafi. Applicando delle convenzioni al
foglio bianco che è l’esistente, i grafi esistenziali permettono di vedere i
passi che avvicinano attraverso le trasformazioni alla conclusione degli
argomenti. Si apre quindi la questione dei grafi esistenziali che accompagnano
il pensiero del filosofo che permette di ricostruire attraverso gli strumenti
della riflessione logico-matematica le specificità dei sistemi semiologici.
Nel rapporto
dinamico tra le forze dei segni, in base alla forma (tale perché ciascun segno
è legato al proprio oggetto) iconica, indicale e simbolica, le relazioni tra
oggetto, representamen e interpretante si manifestano attraverso il tipo stesso
di segno che si manifesta. Tuttavia, malgrado il grafo esistenziale sia un
diagramma complesso, esso non è che una parte del segno che rappresenta. Nella
sua costituzione materiale, manifesta, infatti, alcuni attributi o proprietà che
vanno a intrecciare le caratteristiche dei simboli. Lo spazio del foglio è già
segno con un certo valore esistenziale, la cui esistenza, cioè, ha un valore
logico di verità, ovvero una realtà oggettuale di riferimento. Peirce afferma
che anche la prima scrittura di un grafo è la modificazione del grafo già
scritto. Di fatto l’uomo-segno è un simbolo, legato al suo oggetto attraverso
il legame correlativo e immutabile, in generale, nel suo continuum. La
questione che Peirce pone in relazione alla determinazione grafemica dei segni
è quella dell’identità del simbolo[11].
Se vi è un sistema normativo questo è il sistema rappresentazionale dei grafi,
contemporaneamente regola e forza logica. La verità rappresentativa dei grafi
si basa su un’immagine che deve essere in qualche modo connessa con un simbolo
che ne permetta l’interpretazione, perciò si scompongono le parti del simbolo e
vanno a costituirsi le leggi del grafo stesso, leggi che possono essere
modificate attraverso l’introduzione di convenzioni specifiche. Una classe di
queste è costituita dalle ultime lettere (maiuscole) dell’alfabeto, i selettivi
violano la legge del sistema introducendo un’altra legge, secondo la quale
l’occorrenza più esterna di ogni selettivo ha una forza significativa diversa
da ogni altra occorrenza. Se è vero che l’interpretante (che per essere tale
deve aderire alle massime del pragmaticismo) è il luogo privilegiato per
rappresentare le forme conoscitive attraverso una formulazione teorica
universale, esso assume caratteristiche specifiche là dove si guarda ai tipi di
oggetti, in virtù del fatto che la semiotica è il primo mattone per la
costruzione dell’ontologia. Quello dell’oggetto del segno è un aspetto del
pensiero peirceano che permette di circoscrivere la sezione problematica del
rapporto tra simbolico e linguistico passando attraverso la via della
diagrammaticità, primo passo esemplificativo della categorizzazione peirceana
delle entità semiotiche. Si tratta, ancora, di stabilire la determinazione
della forma significativa in questione, nel suo imporsi come significazione
che, come tale, è ancorata all’instabilità o mutabilità del significato.
L’indeterminatezza del segno, infatti, è essa stessa radicata nel rapporto
effettivo di dipendenza dall’oggetto. Quella che si pone come funzione continua
tra interpretante, segno e oggetto, infatti, è una realtà oggettiva del segno
stesso in rapporto ad una delle forme o entità di cui esso è composto. Fra i
tre tipi di modi in cui l’oggetto si collega al segno, ossia in rapporto al suo
interpretante, al representamen o al suo oggetto è in base all’oggetto che si
costituisce come fatto materiale regolato e normativo.
Quella
particolare forma di scrittura che governa la semiotica peirceana, lontana
dall’essere il risultato di un’azione esterna proiettata sul foglio di
asserzione dei grafi esistenziali che si basa su un’azione prende le mosse da
una sorta di assioma idealista, secondo cui la logica mostra la verità. Peirce
propone dunque quello che di fatto si configura come un calcolo intuitivo
basato sulla forma costitutiva del foglio di asserzione. L’esistenza è il
foglio stesso, icona, di per sé, della verità intesa come stretta appartenenza
ai segni ed alla realtà che essi manifestano attraverso la costruzione
grafemica, fino alla manifestazione della realtà del segno nell’abito o
interpretante logico finale. I grafi esistenziali
sono, in questo senso, ciò che permette ai pensieri non ancora linguisticizzati
di essere visibili e dunque assumere la prima forma immediatamente successiva
nella sua prossimità a quella dei simboli linguistici. La mente, così, trova i
suoi spazi là dove vi è una mancanza rappresentativa. Il limen, la soglia di
attraversamento dal versante puramente iconico a quello simbolico, permette
dunque di riconoscere sommariamente e a volte puramente quantitativamente le
parti nel loro ordine.
«The reasoner makes some sort of
mental diagram by which he sees that his alternative conclusion must be true,
if the premise is so; and this diagram is an icon or likeness. The rest is symbols;
and the whole may be considered as a modified symbol. It is not a dead thing,
but carries the mind from one point to another.[12]»
L’intuizione
iconica che avvicina ad un altro punto dell’enunciazione, se pur in maniera
frammentaria, si proietta su una corrispondente prima forma di scrittura in cui
un’esistenza è data dall’affermazione, dal giudizio sul foglio. Il passaggio da
iconicità a indicalità è segnato dall’intervento di un abito logico da
indossare nei luoghi della dialogicità che mostra la virtualità della
realizzazione diagrammatica protosimbolica. C’è, in effetti, una previsione
virtuale che si realizza tra mente e mente, o tra mente e quasi mente, come nel
caso dei grafi esistenziali. Il rapporto quasi simbiotico tra grafista e grafo
è quello di una protosimbolicità che si instaura tra due menti[13]
preludio dell’azione dialogica da segno a segno, specchio di quella simbolicità
arbitraria e convenzionale della dialogicità umana. Il lavoro di costruzione
semiotica è intrinsecamente legato alle leggi della mente, leggi normative e
libere, perché inscritte in una necessità logica universale, nei termini in cui
il pensiero non è necessariamente connesso con un cervello, ma appare
nell’attività delle api, dei cristalli, e attraversa il mondo puramente fisico.
Se parliamo di
diagrammaticità, dunque, come della possibilità attualizzabile che ogni essere
umano possiede geneticamente di pensiero complesso, non possiamo negare che la
rappresentazione grafica sia di gran lunga la più plausibile per essere
riconosciuta come schizzo primario della forma scritta[14].
Vi è un senso forte peirceano, allora, in cui le idee esistono nella scrittura,
ossia non potrebbero esistere che nel tipo di rappresentazione diagrammatica. E
vi è un senso più debole che permette di affermare che non c’è motivo per
escludere dalla rappresentazione segnica scritta la tracciabilità
cristallizzata delle idee, o, detto altrimenti, la messa in atto della forma
della scoperta scientifica quotidiana. Non c’è motivo di negare la veicolarizzazione
materiale che il segno grafico importa nelle idee: il principio sociale è
intrinsecamente radicato nella logica, e implica almeno una lingua. Ma se la
semiotica è il luogo della costruzione ontologica, le categorie sono la prima
realizzazione in cui il pensiero peirceano si sviluppa per arrivare al
pragmaticismo. C’è una Primità fatta di sentimento non analizzato, in cui non
c’è alcuna ragione, ma l’istante, nel suo momento a-temporale, base dell'idea
d’origine o di riferimento, causa senza effetto o effetto non riconosciuto, una
Binarità, seconda categoria, vale a dire esperienza, reazione, emozione e
dubbio, e una Terzità, ossia il futuro che agisce sul presente, con
l’aspettativa. L’azione non è più un dato, un fatto, ma essa è mediata, è progettata
e realizzata nella mente, prima di essere attuata nel mondo delle cose e degli
altri spettatori attivamente interrelati all’azione attraverso
l’interpretazione. Così i modi del passaggio da una categoria all’altra sono
rappresentati dagli interpretanti. L’Interpretante immediato agisce
sull’Interpretante dinamico (l’azione pratica che produce) che si costituisce come Pensiero o Interpretante Logico,
fino a costituire una Regola, un Abito, quello dell’Interpretante logico
finale. Per arrivare all’interpretante logico finale, che è esso stesso un
simbolo, è necessario attraversare le categorie.
Il simbolo ha in
sé la dimensione pragmatica, poiché compie l’azione di significazione
dell’interpretante. Ci sono leggi che governano il mondo della logica che si
sovrappongono, mutando, alle leggi della fisica della materia. Riconoscere la
struttura dell’atomo, ad esempio, non è, secondo Peirce, così diverso dal
riconoscere cosa vuol dire una parola in una frase, quando si osserva su di un
foglio, a lungo, da un certo punto di vista, per questo il segno è, in un certo
senso, perfetto là dove può essere rappresentato graficamente e interpretato. L’inevitabile
paradosso dell’azione convenzionale che i grafi esistenziali importano dalla
teoria peirceana è il fatto che il significato è instabile ed è instabile anche
nei grafi stessi, ad esempio nei grafi connessi, legato agli stessi movimenti
regolativi di ciascun grafo o unità minima significativa di per sé. È, anche
nel caso dei grafi, nell’oggetto immediato, indizio dell’azione dinamica che
l’interpretante compie sul referente per mettere in moto la dinamicità segnica,
che va a confluire nell’oggetto dinamico[15].
Ci sono, in effetti, non soltanto modi di presentazione dell’interpretante,
ossia immediato e dinamico, ma, nella costruzione del pragmatismo grafico,
anche un Interpretante Simbolico Iniziale e un Interpretante Eventuale che
muovono il corso del processo semiotico inferenziale[16].
Il grafo ha la natura di una legge e perciò è generale. Per il fatto che in una
comunità di parlanti ci sono leggi alle quali la lingua deve necessariamente
sottostare, ma non necessariamente esse devono essere riconosciute come tali
dai membri sociali in gioco, la semiotica di Peirce segna di fatto lo iato tra
uomo-segno-mondo. Il sistema di grafi è dunque una protorealizzazione del
pensiero pragmatico. L’universo che i grafi esistenziali rappresentano è quello
di un particolare tipo di semiosi, in cui non c’è che un irriducibile
partecipante, unico ma mai isolato.
Per comprendere
la specificità dei grafi esistenziali all’interno del sistema scientifico
peirceano dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alla base logico-semiotica. Di
fatto vediamo anche qui presentarsi modalità di composizione articolata secondo
tre punti di vista interni al sistema di pensiero dell’autore. La teridentità
che emerge nei grafi esistenziali non è altro, dal punto di vista semiologico,
che l’azione visibile di ciò che si sente come appartenente ad uno stesso segno
tra gli altri segni. È per questo motivo che le dieci tricotomie dei segni non
devono affatto apparire superflue o frutto di una degenerazione. Potrebbero
dunque essere ulteriormente scomposte fino a costituirne delle nuove relazioni
triadiche tra di esse. La scomposizione delle forme è una ricostruzione che non
si basa soltanto su un’azione a posteriori di strutture preesistenti o schemi
inseriti a mo’ di contenitore ermetico delle forme, ma, al contrario, di un
processo di analisi scientifica che costituisce la semplificazione e l’azione
semiotico-pragmatica nei processi di comunicazione umani. Le relazioni
diagrammatiche mostrano i caratteri relativi ciascuno ad un membro della
relazione segnica e devono essere necessariamente connesse in maniera se non
sistematica almeno sostanziale con il segno corrispondente, altrimenti non
sarebbe possibile la comprensione (malgrado lunghi addestramenti, questi
risulterebbero vani)[17].
Il rapporto indice-icona, infatti, non è mai in Peirce luogo neutro di
classificazione, proprio per la natura stessa delle sue categorie che pagano la
loro non totale convenzionalità, e sono legate necessariamente all’arbitrarietà
segnica (semiotica e linguistica). Affinché una frase sia compresa è necessario
che la disposizione interna delle parole funzioni in qualità di icona; ma una
frase è una delle forme del simbolo (sono simboli i termini, le proposizioni e
gli argomenti), e allora anche qui ci imbattiamo in quello che diventa una
conclusione basilare, ossia che non ci sono segni puri, ma sempre complessità
segniche, caratteri meticci e mai composizioni puramente lineari nel mondo dei
segni, mai giustapposizioni semplici. È proprio questo il surrogato segnico,
che vede la presenza di una perfezione data dalla presenza eterogenea di
elementi (altri segni-oggetti) capaci di dare regolarità dinamiche al processo
di significazione, anche se asistemico. Se là dove c’è un generale vi è
un’esistente allora ogni qual volta il generale è riconosciuto, lì vi è un
segno, un simbolo che è necessariamente un’esistenza. Il simbolo ha una mutabilità
che lo caratterizza e ne specifica la posizione rispetto agli altri segni. In
questo senso vediamo che l’oggetto dinamico affonda le radici nella possibilità
di essere rappresentato da un oggetto immediato attraverso l’azione
dell’interpretante, la mente che opera attraverso i segni, nella logica del
ragionamento scientifico, principalmente diagrammatico. I tre tipi di grafi
(alfa, beta, gamma), si pongono come representamen – oggetti immediati del
segno. Ma quali sono le ragioni della rappresentazione? Peirce cerca il luogo
in cui realizzare formalmente la categorizzazione della struttura logica nella
dottrina del pensiero. Nei New Elements
Peirce chiarisce che nel segno ci sono tre fasi di sviluppo, tra le quali la
rappresentazione è quella fase che differenzia un segno da una pura qualità o
feeling.
Grafematicità e
simbolismo condividono quindi la rappresentazione diagrammatica, mentre
ciascuno si costituisce nelle sue parti come segno complementare. Si tratta di
una complementarità dinamica, legata ai movimenti evolutivi della simbolicità
che attraverso la Secondità porta alla categoria della Terzità, luogo della
mediazione simbolica.
«A symbol is essentially a purpose,
that is to say, is a representation that seeks to make itself definite, or
seeks to produce an interpretant more definite than itself. For its whole
signification consists in its determining an interpretant; so that is from
interpretant that it derives the actuality of its signification.[19]»
La simbolicità
come proprietà dei segni di significare, è sensibile, dunque, al contesto d’uso
dei segni. In questo senso la Secondità è il luogo dell’indicalità che, come
tale, è esso stesso spazio semiosico, è semiosi possibile perché attualizzata
nel segno. Ciò che si determina è un’entità molteplice e non un semplice ente,
poiché è almeno duplice la forma significativa, composta cioè da representamen
e oggetto. La necessità della semiosi è dunque interna alla possibilità causale
di un segno nella determinazione di un altro segno, come nel caso
dell’indicalità. La possibilità di una porzione di lingua di essere trasformata
all’interno stesso della sua rappresentazione o configurazione materiale
attraverso un meccanismo logico sensibile al contesto è allora il primo dei
punti che si possono ripercorrere a ritroso nella categorizzazione peirceana
dei segni, da Primità a Secondità e Terzità. La Secondità assume in questo
senso la stessa proprietà che l’Entelechia trasporta nei nessi causali eventuali
dell’indicalità fino alla determinazione di un interpretante del segno,
mediatore ed esecutore dell’azione pragmatica nell’universo dei simboli[20].
1.3. Il
ruolo dei grafi esistenziali nelle categorie cenopitagoriche
Ogni espressione
linguistica, nei termini peirceani, è un simbolo o si richiama ad esso.
Tuttavia, se, come sostiene Peirce, i suoni delle lingue erano originariamente
in parte iconici e in parte indicali, come nel caso degli ideogrammi, allora
deve esistere un’iconicità protosimbolica. Ma la configurazione del simbolo,
complesso di termine, proposizione, argomento rinvia ai grafi esistenziali, e
ritroviamo qui le pratiche del ragionamento di deduzione, induzione e abduzione
come configurazioni ulteriori, rispettivamente, di indicalità, simbolicità e
iconicità nel rapporto tra premesse e conclusioni. La previsione virtuale,
conseguenza sperimentale dedotta dall’ipotesi, è un simbolo che permette la
scelta fra le possibili conseguenze. In questo senso non c’è affatto una
separazione tra segni, grafi e azione comunicativa simbolica, ma deve esserci
un limite che permette di realizzare lo spostamento categoriale, proprio in
virtù del fatto che non si tratta di un’applicazione predeterminata di ciascuna
categoria, né quindi di una serie di postulati. Il processo di astrazione, in
particolare, è simile al ragionamento matematico ed è costituito da tre
momenti: diagramma o schema, considerazione sulle ipotesi, ed esame
dell’ipotesi, in un’osservazione auto-riflessiva. Ma l’intelligenza matematica
non è sufficiente alla semiotica pragmatica, ed è ancora dalla tripartizione
del segno che è necessario muovere le prime suddivisioni delle scienze. Nei
termini peirceani, infatti, la possibilità di cambiamento sarebbe data dal
movimento degenerato delle icone e degli indici fino alla generazione di forme
segniche genuine o simboliche. Partendo dal movimento iconico, fino
all’indicale e al simbolico si configura, infine, un rapporto diretto tra
segno, oggetto e interpretante, ma resta insoluto il problema del tipo di
relazioni tra i segni in gioco. È, infatti, indefinibile proprio per il fatto
che ciascun segno è determinato di per sé, in base al suo interpretante ed in
relazione al suo oggetto. Vi è in questo senso, tuttavia, un modo per guardare
alla determinazione mutevole dei segni come ad una catena di realizzazioni in
cui la semiosi non è altro che una limitazione delle infinite relazioni
possibili tra segni e segni e tra parti di ciascun segno[21].
Il fatto che il
segno sia diverso dal suo oggetto è arbitrario, poiché ci sono casi in cui un
segno è una parte di un altro segno che dovrebbe essere simbolo, appunto, nel
senso originario. Non si tratta dunque di un'eccezione, per il fatto che una
cosa per essere segno deve poter comportare uno slittamento di senso, sempre
all’interno del segno. La mediazione segnica è essa stessa conoscenza diretta e
non ci sono ragioni esterne al segno. Le relazioni triadiche di comparazione,
realizzazione e pensiero (rispettivamente possibilità logiche, fatti esistenti
e leggi) presentano ciascuna, infatti, un primo, secondo e terzo correlato, che
non permette di uscire dalla relazione segnica, malgrado ne mostri alcune
differenze di fatto possibili. Affinché si costituisca, allora, un punto di
rottura che permetta il passaggio da una forma segnica ad un’altra, o un
interpretante, è necessario ricostruire le relazionalità che ciascuna forma
determina nell’azione semiosica. Se c’è una soglia tra le tre differenti
categorie che non è sovradeterminata, essa deve essere ricercata nel modo
stesso di costituzione dei segni. Non sarebbe possibile, infatti, parlare di un
interpretante se questo non fosse un segno di qualche altro sistema semiotico.
Deve esserci, infatti, un sistema di relazioni alla base di ciascuna forma
segnica, condivisibile da tutti e tre i modi di realizzazione del segno e
quindi suscettibile di entrare nel gioco delle tricotomie nell’infinità di
determinazioni possibili della forma segnica. Per il fatto che ci sono ci sono
differenti relazioni tra segno, oggetto e interpretante, e poiché il segno è un
esistente che si autodetermina nella sua complessità semiosica, allora le
relazioni sono indefinibili di per sé. Nella formulazione peirceana relativa ai
termini categoriali il segno sta per qualcosa, il suo oggetto, e questo non
vuol dire che è quella cosa, ma che è rappresentativo della cosa (non sotto
tutti i punti di vista, ma in riferimento alla base del representamen), dunque crea nell’altra mente un
segno equivalente, ossia l’interpretante del primo segno. Il segno
è una relazione triadica che possiede un Primo, un Secondo, un Terzo Correlato.
Il Primo Correlato è della natura più
semplice dei tre, è pura possibilità e non è una legge (a meno che non
sono tutti e tre di quella natura); il Terzo correlato è della natura più complessa dei tre; è
una legge
(se qualcuno dei tre
è una legge) e non è pura possibilità (a meno che tutti e tre siano di quella
natura); infine, il Secondo Correlato: è di complessità media (dei tre), è
un’esistenza
effettiva e se due sono della stessa natura, allora il Secondo Correlato è di
quella stessa natura, cioè legge o pura possibilità o esistenza effettiva.
Ancora, il Representamen è il
Primo Correlato di una relazione triadica e determina il Terzo Correlato o Interpretante. Il Secondo Correlato è il suo Oggetto. A sua volta l’Interpretante è il Primo Correlato
della stessa relazione tradiaca con lo stesso oggetto per qualche altro
possibile Interpretante. L’univocità dell’oggetto intorno a cui ruota il
processo di semiosi determina un’assoluta inconciliabilità delle
differenziazioni tra i segni. In realtà, se assumessimo questo come punto di
osservazione, la relazione triadica sarebbe sempre vincolata ad un oggetto
completamente idealizzato, rispetto ad un interpretante-segno che, con il suo
interpretante, permette di dar vita alla semiosi illimitata tra un segno e
l’altro. Vi è dunque un tipo di continuità non definibile in se stessa, come
proprietà indipendente dalle relazioni segniche. Se il rapporto tra segno,
oggetto e interpretante cade su un unico oggetto si ha, ipotizzando la continua
riformulazione dei rapporti tra segno, oggetto e interpretante, un insieme di
representamen e interpretanti indistinguibili, poiché le interpretazioni non
hanno fine. In effetti, anche nel foglio di asserzione dei grafi esistenziali
l’interpretante diventa representamen indipendentemente dall’oggetto, se si
esclude la prima relazione, in cui esiste un tipo di relazione con l’oggetto.
Interpretante e representamen diventano, infatti, indipendenti dall’oggetto,
poiché è il grafista ad essere interpretante del segno - oggetto. I segni di
primo e secondo tipo, ossia indici e icone, sono la rappresentazione degli
oggetti, vale a dire i segni stanno per gli oggetti, sono in una relazione tale
da poter essere trattati, per alcuni scopi, come se fossero quell’oggetto.
Nella semiosi grafemica l’oggetto può non
essere riconosciuto come tale ma sopravvivere all’azione semiotica. Tuttavia
finché permane così, fermo e puro aggregato o surrogato, risultante da un processo
da cui è subordinato, il segno non evolverà. Affinché lo sviluppo e dunque la
trasformazione categoriale avvenga è indispensabile l’azione di un
interpretante. È perciò necessario decostruire i tipi di relazione anche per la
realizzazione delle tricotomie che attraverso l’applicabilità dei simboli si
aprono individuando ciascuna un tipo di relazione sempre triadica ma tra tipi
di segni differenti. Ciò che è al limite è ciò che deve ancora essere scoperto,
nella dimensione che è esterna comunque, in qualche modo, al simbolo.
«A symbol is an embryonic reality
endowed with power of growth into the very truth, the very entelechy of
reality. This appears mystical and mysterious simply because we insist on
remaining blind to what is plain, that there can be non reality which has not
the life of a symbol.[22]»
Il lavoro
peirceano dei grafi esistenziali apre il germe della significazione, mostrando
uno dei piani operazionali della lingua, muovendosi da uno stadio del simbolico
come risultato di azioni degli interpretanti sui segni non simbolici fino alla
ricostruzione di forme strettamente simboliche o che si configurano come tali.
Si tratta di conoscere regole e applicarle, come nel caso dei grafi
esistenziali, attraverso inserzioni, tagli, cancellazioni. La relazione di un
segno alla mente dell’emittente e dell’interprete e la struttura o natura dei
giudizi, ovvero il modo di composizione dei pensieri, sono i due campi di
ricerca che muovono Peirce alla realizzazione diagrammatica della semiosi
grafemica. Il valore dei grafi esistenziali è, in un certo senso, il valore di
un abito o una forma, ossia lo stesso tipo di valore di un simbolo. In questa
veste, tuttavia, la scrittura è ancora vista come sinonimo di segno iconico, nei
termini di una pura trascrizione. Essa non è messa in questione da Peirce, ed è
soltanto attraverso la giunzione tra la teoria dei segni e la logica dei grafi
che si ripercorrono le caratteristiche di un sottosistema che conserva le
stesse proprietà di un sistema di rappresentazione e utilizza le variabili e le
costanti della lingua scritta. Ad essere modificato è, nei grafi esistenziali,
il rapporto tra segno e oggetto, poiché quest’ultimo oltre ad essere base espressiva diventa vincolo per l’interpretante del
segno.
«Ogni segno di
questo sistema è perfettamente interpretabile da una proposizione, ovvero è
necessariamente vero o falso, ed ogni proposizione può essere rappresentata
secondo le convenzioni di questo sistema. Ogni espressione di una proposizione
che segue le convenzioni di questo sistema è detta o un grafo o un’occorrenza di grafo.[23]»
Il grafo porta
alla luce, infatti, almeno due aspetti fondamentali all’interno della teoria
peirceana: la necessità logica della significazione e la proprietà specifica
dei segni di essere soggetti ad un interpretante, nella maniera in cui la forma
del segno rispecchia quella della semiosi continua ed evolutiva (o mutabile),
in cui ciò che è interpretante può essere per un altro sistema triadico di
segni representamen o referente, ed in cui l’oggetto diventa il punto di
congiunzione tra le triadi significanti.
2.
Scritture, lingue e sistematicità
Une société entière ne
pourrait changer le signe […].
F. de Saussure, 2005b, p. 222.
2.0. Premessa: il primato sistemico della
scrittura nella semiologia di Ferdinand de Saussure
Mettiamo
ora da parte la posizione peirceana negli aspetti che abbiamo considerato per
avvicinare, nei punti maggiormente interessanti per la nostra riflessione,
l’approccio di Ferdinand de Saussure alla scrittura. Cerchiamo di delineare
così, ai margini della semiologia saussuriana, i luoghi principali che ruotano
attorno alla nozione di scrittura, nei termini più presenti negli scritti del
linguista ginevrino all’interno dei quali si muove il pensiero sulla
sistematicità. La scrittura è considerata da Saussure, nel terzo corso, nei
limiti della differenziazione tra le lingue, e si costituisce come sintesi del
percorso che Saussure compie negli anni delle lezioni dei tre corsi di Linguistica
generale. Poniamo qui a confronto il primo ed il secondo corso degli appunti
degli studenti di Saussure con il terzo corso e rispetto agli appunti
manoscritti per vedere i movimenti del valore che Saussure attribuisce alla
scrittura, quali tipologie di scrittura prende in considerazione e in quali
luoghi la spiegazione saussuriana delinea uno iato con il mondo semiologico,
avvicinando invece le caratteristiche comuni alla lingua come sistema. Non
soltanto, infatti, si tratta di considerare le funzioni demarcative della
differenziazione delle lingue, malgrado la difficoltà di un approccio univoco e
a-prospettico: l’abbandono della vecchia linguistica fa suggerire al linguista
un essenziale rispecchiamento tra i diversi sistemi semiologici e una
contraddizione nella classificazione delle materie interne alla linguistica in
cui ciò che è esterno è intrecciato alla lingua stessa condividendone la
geografia della significazione, o il modello basato sui parlanti una lingua
comune.
2.1. Il Lâcher la lettre nelle
note sulla scrittura dei primi corsi saussuriani
Nel primo corso
di linguistica generale Saussure fa della scrittura una ancella della lingua:
c’è un’indipendenza della lingua dalla scrittura. Il fatto che deve esserci un
passaggio della linguisticità attraverso la parola scritta non impedisce
l’autonomia semiotica. Si tratta di rilevare come la preminenza che la
scrittura dà alla competenza del parlante, nel senso di possibilità di
delimitare i significati di una lingua parlata, abbia effetti diversi sulla lingua.
In particolare, fanno parte degli errori linguistici quegli errori dati dalla
presenza della scrittura. I due tipi di errori, quelli generali e quelli
particolari, hanno un modello di riferimento, che è il segno scritto.
«Tout naturellement nous accordons au signe
écrit la prééminence sur le signe parlé: le signe écrite est pour nous le type ou le
modèle du signe parlé.[24]»
L’insieme delle
regole grammaticali che la scrittura porta con sé come pura convenzione diventa
un codice che permette di invertire i rapporti tra, possiamo dire, ciò che è
detto e ciò che è pronunciato. La similitudine di Saussure è quella del
rapporto esistente tra la nota e lo strumento che la esegue, come se la voce
dicesse il segno scritto. Questo significherebbe dimenticare la necessaria
arbitrarietà dei due sistemi e riporterebbe all’idea da cui Saussure vuole
allontanarsi del legame naturale tra il “concetto” e il “segno-in-sé”. La
scrittura, non potendo dare alla lingua un modo definitivo di presentarsi,
rimane dunque un altro sistema a cui il
segno scritto deve fare riferimento. Questa autonomia serve a Saussure per
delineare l’oggetto della linguistica che è risultato del rapporto tra parola
scritta e parlata. Laddove la parola scritta è il documento, invece, il
pericolo maggiore sta nell’ortografia a causa dell’automatismo che essa porta
con sé. Ma la colpa non è del segno scritto: esso è rimasto immobile, mentre la
lingua si è naturalmente modificata. In questo paradosso si muove la
sistematicità oppositiva della dinamica tra immobilità o immutabilità, e
movimento o mutabilità che preannuncia la sintesi del terzo corso.
«Nous avons deux systèmes qui se correspondent,
celui des signes écrits et celui des sons; les sons changent, les signes
restent les mêmes, par là se produit <indirectement> un déplacement de la
valeur des signes, l’équation basée sur la valeur convenue des signes devient
fausse et cela par le côté des sons.[25]»
La
convenzionalità dei codici linguistici perde il suo valore nell’uso sistemico
della lingua e ci sono, quindi, cambiamenti diretti e indiretti che la
scrittura detiene. Nel caso in cui la scrittura è un mezzo che l’individuo usa
per distaccare la sfera del parlato si tratta di una convenzione libera, in cui
il cambiamento indiretto non ha preso piede. In altre parole è questo un caso
di uno stato ipotizzabile ma non reale nella lingua, al pari di una creazione
ex novo. L’esempio saussuriano è quello di un punto x di invenzione del primo
alfabeto greco, un caso limite se considerato indipendentemente dalle lingue
che ne hanno dato testimonianza diretta. È chiaro che negli esempi la scrittura
si configura come insieme di segni discreti basati sulla logica lineare i cui
caratteri dipendono dalla presenza o dall’assenza della possibilità di una
corrispondenza biunivoca delle lettere con i suoni della lingua. È nella
corrispondenza che il Saussure di Riedlinger cerca di mostrare i rapporti tra i
due sistemi ed offre una prima nota sulla complessità del valore (per esempio
vi è l’affermazione che sono almeno due i segni che stanno per o costituiscono
un valore).
«Le signe écrit en effet est: 1) extérieur à la
langue, 2) arbitraire; donc si un mot faussement écrit est ensuite faussement
prononcé il y a vraiment falsification.[26]»
La
falsificazione della lingua attraverso il segno scritto è data dall’importanza
stessa che assume la scrittura rispetto alla lingua parlata nella produzione
delle trasformazioni fonetiche. Le complessità, nella lingua, si mostrano attraverso
due assi semiologici:
«On a alors dans la langue
deux axes sémiologiques; même si l’on considère ces phénomènes de falsification
comme réguliers et non pas comme pathologiques, on a deux sciences linguistique
et il faut considérer la langue parlée tout à fait séparément de la langue
écrite.[27]»
Saussure inizia
quindi a mettere in evidenza le forme di scrittura: una differenza tra la
scrittura e l’ortografia, che implica una socialità della semiologia per il
fatto che il sistema ortografico è nell’uso comune. Il linguista usa così la
dialettica tra scrittura, regole e sistema per introdurre la necessità della
fonologia come ausilio per la delimitazione delle unità irriducibili nello
studio della lingua nella sua complessità, e attraverso il legame tra la catena
parlata e l’alfabeto: la delineazione dell’unità sillabica è strumentale alla
poesia.
«Nous sommes venus à la
physiologie phonologique par l’écriture et à l’occasion de l’écriture: il
fallait fixer le moyen de sortir des incertitudes de l’écriture.[28]»
I limiti dovuti
agli errori della scrittura sono tali per il fatto che essi introducono
un’alterazione nella sistematicità linguistica. Il parallelismo più o meno
completo tra suono della parola e parola scritta inizia, dunque, dalla
divisione sillabica naturale, che precede l’unità astratta usata dal parlante
per identificare il segno scritto con il segno della lingua. Inoltre, la
mutabilità della lingua rispetto alla scrittura ha un altro legame, ossia quello
con la politica e l’influenza che essa ha per differenza o negatività rispetto
alla lingua che segna una distorsione anomala, insieme con l’influenza che una
corte, le accademie, la scuola e la scrittura hanno sul sistema in uso. Tra
mediazione e modificazioni dirette sulla mente sociale si attuano i cambiamenti
interni all’epoca o allo stato di lingua. Nel secondo quaderno di Riedlinger Saussure
spiega le irregolarità dovute all’alternanza di forme diverse all’interno della
lingua, come nel caso dell’Ablaut e dà un senso importante per la comprensione
della differenzialità dei rapporti nella lingua, che si esplica nei fenomeni
analogici[29].
«Nous ne devons <donc>
voir dans le phénomène analogique que des créations, que des innovations (des choses qui se créent à nouveau),
créations, non pas du néant, mais <dont> tous les éléments sont donnés comme
dans toute création littéraire, artistique.[30]»
Nelle lingue
semitiche, per esempio, le vocali non sono scritte proprio per il fatto che
l’unità è tale nel sentimento della lingua o coscienza dei parlanti. È l’unità
astratta o immaginativa che è sintesi di scrittura e lingua nell’individuo[31],
in relazione all’istinto del parlante che lega la grammatica (non quella dei
grammatici) ai fatti di lingua riconoscendo immediatamente ciò che deve esser
detto. Successiva alla spiegazione dell’analogia e del ruolo di mutamento e
conservazione, c’è nel terzo quaderno un altro punto che riporta il discorso
alla scrittura nel primo corso di Linguistica generale. Si tratta di assumere la
scrittura come testimonianza di un fatto di lingua passata. Saussure parla di
“prova grafica” e di “documento grafico” in rapporto all’etimologia popolare
che lascia al commento degli studenti:
«S’écrit aujourd’hui rhabilleur; l’étymologie populaire a-t-elle agi
aussi sur ce mot? Je le laisse à votre appréciation (de Saussure)[32]»
Appare così uno
dei primi sensi della scrittura che abbiamo preso in considerazione come modo
di mostrarsi delle regolarità della lingua e dunque anche delle deformazioni o
degli errori. La dipendenza più o meno presente al sistema ortografico è ciò
che rimane in sospeso e di fronte al quale Saussure lascia la parola agli
ascoltatori. Tra i modi di dire comuni e la scrittura si pone la domanda
implicita sull’origine dell’innovazione vocale non significativa della materia,
punto indefinito che Saussure scarta, suggerendolo agli studenti come movimento
di creazione di nuove forme. La spiegazione sembra seguire le tracce della
determinazione di una forma che sia senso, ma che non ha valore sistemico
all’interno della lingua. Possiamo qui pensare che si tratti di quello che gli
appunti di Saussure è l’aposema, considerata
come voce preverbale.
Item. Aposème a l’avantage qu’on peut
le prendre comme on voudra: chose déduite et abstraite d’un signe, ou chose dépouillée de sa
signification,
ou de signification, cela revient au même pour la clarté.
Item. L’aposeme est
l’enveloppe vocale du sème.
Et non
l’enveloppe d’une signification.
Le sème
n’existe pas seulement par phonisme et signification, mais par corrélation avec
d’autres sèmes.[33]
Saussure
introduce così la comparazione tra cambiamento fonetico, creazione analogica e
etimologia popolare, nei due punti di vista della prospettiva diacronica,
ovvero così come sono presentati alla coscienza presente, e in maniera retrospettiva,
ossia comparativa di stati di lingua diversi. Secondo la visione saussuriana
del primo corso, dunque, per cercare di vedere il punto di vista più naturale o
sincronico della lingua la scrittura va eliminata dall’osservazione dei
cambiamenti linguistici[34].
Saussure introduce l’analisi del punto di vista che accentua la differenza tra
formazione normale della lingua e etimologia popolare, che riprenderà nei corsi
successivi. Quest’ultima è esclusa dalla linguistica evolutiva sia in
prospettiva[35] che dal
punto di vista retrospettivo, ancora una volta ad evidenziare come i
cambiamenti accidentali non sono in continuità con l’evoluzione linguistica[36].
Nel
secondo corso la riflessione sulla scrittura appare non appena Saussure apre la
questione della diacronia: la dualità tra lingua e storia della lingua.
«La langue et l’écriture. Il
semble que ce soit solidaire, et cependant il faut distinguer radicalement
entre elles. Le mot parlé seul est l’objet de la linguistique.[37]»
Inizia una
distinzione tra scrittura e lingua scritta: la lingua si scrive e non sarebbe
possibile classificare e riconoscere una lingua se non esistesse la scrittura
che retroagisce sulla lingua parlata. La dualità dei sistemi di segni è tale da
aumentare lo scarto tra lingua scritta e parlata all’accrescersi della
complessità del sistema di scrittura, come nel caso del cinese antico scritto in
cui la sintesi diventa inevitabile. Nelle lingue in cui la lingua scritta
diventa letteraria, dunque, si pone il problema del rapporto tra linguistica e
filologia. M. L. Havet è un esempio dei sostenitori della dipendenza parallela
tra le due scienze. Gautier specifica che Havet crede che la linguistica segue
le tracce della filologia e tende a confondersi con essa. Ma emerge un Saussure
che si distacca da questa opinione. Dando una consistenza sequenziale agli
appunti degli studenti si ha:
«Je ne partage pas cette opinion. Dans chaque
groupe de langues, quand l’écriture devient courante, se crée un type de langue
écrite, qui devient la norme, qui ne peut être ignorée à côté des dialectes locaux. Dès qu’elle est
écrite, il se mêle tout de suite quelque chose d’artificiel, mais qu’on ne peut
distinguer de la langue elle-même. La langue grecque écrite offrirait l’exemple
de quatre ou cinq langues artificielles, suivant les dialectes.[38]»
Vicina alla distinzione
tra lingua scritta e lingua letteraria, che si costituisce come specie della
lingua ma che può correlarsi a quell’altra specie di natura artificiale che è
la lingua scritta, è la distinzione tra semiologia, la scienza generale dei
sistemi di segni o delle forme e la semantica, o scienza dei sensi dei segni
della lingua.
«Il doit donc exister une
science des signes plus large que la linguistique. (Systèmes de signes:
maritimes, des aveugles, des sourds-muets, et enfin le plus important:
l’écriture elle-même!).[39]»
Segue il più
conosciuto paragone tra i due sistemi, di lingua e scrittura, con le principali
caratteristiche, dalle quali estrapolare quelle che caratterizzano la
scrittura. Qui Saussure fa un passo avanti nei confronti della lingua scritta.
In effetti, oltre ai quattro caratteri principali, di arbitrarietà del segno
che implica la necessità del valore negativo e differenziale e l’opposizione,
dunque, dei valori, e dell’indifferenza totale del mezzo di produzione, ci sono
una serie di caratteristiche che eccedono l’omogeneità dei sistemi essendo
esterne ad essi.
«L’écriture suppose un accord
de la communauté, un contrat entre ses différentes membres.[40]»
Accanto
all’aspetto convenzionale dell’arbitrarietà c’è l’impossibilità di cambiamento
da parte dell’individuo. È qui che la scrittura ha le stesse proprietà del
simbolo delle leggende, come proveremo a vedere più avanti, ma in più determina
i cambiamenti delle lingue che si succedono nel tempo. Ancora una volta sono
due proprietà della lingua in uso, ma che si accompagnano all’impossibilità di
una ricerca di un’identità perfetta. La necessità di una semiologia è tale
proprio per allontanare la domanda sull’origine o la corrispondenza biunivoca
tra i segni dei due sistemi di lingua e di scrittura. Immediatamente successiva
ad una prima caratterizzazione esemplificativa di gesto verbale simbolico o
simbolo, Riedlinger registra la questione della semiologia che nel secondo
corso assume un dominio più generale:
«Toutes les formes, tous les
rites, toutes les coutumes ont caractère sémiologique par leur caractère
social.[41]»
Saussure pone
così il problema del limite nell’indagine di ricerca semiologica, laddove i
costumi, gli abiti, sono manifestazioni di carattere semiologico e di
artificialità non naturale delle lingue in rapporto ai cambiamenti di senso
delle abitudini sociali. L’unità semiologica è il punto di partenza da
considerare nella definizione degli oggetti specifici di ciascuna scienza.
Troviamo qui una posizione saussuriana avversa alla psicologia ed alla
filosofia che il linguista abbandona già poco più avanti, in cui assume la
forma di un punto di vista più generale[42].
Saussure introduce ancora una volta i principi basilari della propria scienza
attraversando la via della semiologia e dunque dei caratteri che si appoggiano
anche ai segni non linguistici. Se pensiamo che al pari di una avversione per
l’etichettatura del nominalismo c’è un rifiuto che emergerà subito dopo
l’introduzione per la visione organicistica della lingua, notiamo che Saussure
muove il timone della sua barca in modo tale da circoscrivere un territorio
interno alle rotte già segnate dalle scienze interconnesse, come si evidenzia
maggiormente nel Corso di linguistica generale (CLG). Più avanti, nel corso
dell’introduzione, c’è un’altra nota negativa nei confronti dei filosofi del
diciottesimo secolo in cui la lingua è vista come legislazione puramente
convenzionale. Delimitare la rotta della linguistica senza escludere il valore
apportato dalle scienze interconnesse significa tradurre i segni destinati ad
analisi esterne alla specificità dell’oggetto in un'altra lingua, nel passaggio
da una grandezza all’altra, per seguire il paragone saussuriano di tipo
matematico.
«C’est dire que la langue est un produit
sémiologique, et que le produit sémiologique est un produit social. Mais
quel est-il de plus près? [43]»
La questione
dell’unità dell’oggetto in questione viene mantenuta marginale: essa è il
valore, poiché si confonde con le altre cose, gli altri segni. La scrittura
assume così la forma di iscrizione, all’interno della questione sulla
continuità del discorso. I tagli necessari per la comprensione di una lingua
straniera, per esempio, possono essere detti da una antica iscrizione greca che
fa come una fotografia per dire il discorso, taglia cioè i segmenti linguistici
ma ne conserva lo stato complesso: un valore è costituito da almeno due unità
diverse. Le unità significative, nell’unità astratta riconsegnata alla sanzione
dei parlanti, è delimitata dalla significazione stessa che si rende concreta,
secondo un criterio che è presente nella coscienza di ciascun parlante, in
gradi differenti. L’anti-organicismo e lo sviluppo letterario sono elementi di
contrapposizione alla naturalità in sé.
«Ici se pose la grosse question de la naissance
des langues littéraires entrant en lutte avec les dialectes locaux.[44]»
Le limitazioni
sono date dai caratteri di ciascuna lingua, ma che non sono lingua di per sé, poiché
non ne toccano l’organismo interno che già nella lezione successiva è sistema. In questo senso la lingua letteraria è anormale:
essa entra in gioco soltanto quando un popolo arriva ad un certo grado di
civilizzazione. La separazione permette alla lingua letteraria di guadagnare
chiarezza, che naturalmente non ha senso in sé fino al momento in cui entra in campo,
come in un gioco d’echi[45].
Saussure fa a questo punto una precisazione che ci è utile per comprendere il
rapporto tra lingue letterarie e lingua generale, in cui non c’è un giudizio
qualitativo tra elementi interni o esterni, ma puramente quantitativo:
Est intérieur [interne]: ce qui est susceptible de
changer les valeurs à un degré quelconque. Ou: chaque fait externe n’est à
considérer pour la théorie que dans la mesure où il peut changer les valeurs.[46]
Il gioco di echi della
materialità in sé è utile per la materia universale, ma non ne istituisce il
valore. Gli illetterati, secondo Saussure, ignorano la separazione esatta delle
parole.[47]
Dal punto di vista delle unità, Saussure fa un commento sui vantaggi di uno
studio dei cambiamenti non soltanto su carta, ma così come avvengono nei fatti
particolari e individuali, nelle variazioni fonetiche, paragonando il movimento
della parole ad una corda di un’arpa
spezzata, che causa un carattere imperativo del mutamento, ovvero accidentale
in opposizione ad un arrangiamento musicale: questo è il caso del punto di
vista diacronico in rapporto al sincronico. Quest’ultimo è quello che permette
di occuparsi delle differenze significative. La nozione di sintagma fa luce,
ancora, sull’aposema, importante per comprendere i rapporti differenziali tra i
segni e il loro raggruppamenti in unità[48]
semi-naturali e la relativa problematicità dell’indeterminatezza che
caratterizza i rapporti sintagmatici, ovvero il modo attraverso il quale la discorsività
si dispiega, per opposizione all’intuizione associativa:
«Ici, alors, les différentes éléments que nous
groupons sont soumis aux conditions de l’étendue: il y a un ordre qui est
donné ; il y a quelque chose qui doit précéder, quelque chose qui doit
suivre [il y a une gauche et une droite (c’est-à-dire un avant <et un>
après, antérieur <et> postérieur].[49]»
Sul piano
diacronico la scrittura è in generale il documento indiretto che fa come una
massa infinita di fotografie della lingua, di notazioni esatte di momento in
momento per camminare così in avanti e seguendo il corso del tempo. Questa,
afferma Saussure, è una visione ideale di praticare la linguistica, per il
fatto che da questo punto di vista non c’è grammatica: si tratta di un’attività
retrospettiva dei movimenti già avvenuti nella lingua.
La seconda metà del corso inizia con le riflessioni sulla linguistica
indoeuropea[50], sul
sanscrito e gli studi di Grimm e Bopp. A proposito del legame con la scrittura
Riedlinger riporta, anche in questo corso:
«On peut dire que toute la première période de la
linguistique indo-européenne est restée très incomplètement dégagée de
l’écriture et qu’elle a pris à tout moment l’un pour équivalent de l’autre, ou
en tout cas <qu’elle n’a pas cru> que son seul objet est ce qui est
parlé.[51]»
È spiegato in
questo modo il motivo per il quale il periodo della linguistica indoeuropea non
è durato molto tempo; vi è ancora un paragone con la fotografia e il suo legame
con uno stato di lingua:
«L’écriture <se trouve dans cette situation
particulière que> considérée vis-à-vis de la langue, est une chose qui est
nulle. Même si elle était photographiquement exacte, ne constituerait
qu’un simple document (comme l’image de l’objet <n’est pas substituable à
l’objet qu’on étudie>). Mais <en même temps> elle reste <presque
toujours> le seul moyen direct de connaître les langues (bien que n’étant
<en soi> qu’un moyen indirect !).[52]»
La scrittura
come documento delle lingue passate è la riproduzione che sostituisce la lingua
parlata e trasporta con sé gli errori e le imprecisioni che testimonia rispetto
alla natura dell’oggetto. All’interno della scienza della lingua, Saussure
destituisce la scrittura dalla sua funzione sistemica:
«Elle n’est pas même une coquille, mais une
guenille.[53]»
Per opposizione
alla vecchia linguistica si pone la necessità saussuriana di lasciar
allontanare la lettera, lâcher la lettre[54].
Non è detto, infatti, che l’oggetto fisso che la testimonianza scritta tiene in
pugno rispecchi effettivamente la stabilità dell’unità dell’oggetto
linguistico, poiché, di fatto, non c’è quasi mai fissità diacronica e la
scrittura non è simmetrica ai cambiamenti di pronuncia.[55]
«Il vaut la peine de préciser la formule où
l’erreur est très répandue <et où il est très difficile de la corriger dans
le public:> en fait il est infiniment rare que deux formes de langue
fixées par l’écriture <à des dates successives> se trouvent
<linguistiquement> dans la verticale par rapport l’une à l’autre.[56]»
L’eccezione è
quella in cui la scrittura manifesta la reciprocità della lingua, ma
normalmente vi è uno scarto, non soltanto tra epoche ma tra dialetti diversi
compresenti in uno stesso periodo. Ci sono diversi modi, dunque, di considerare
la testimonianza, e la scrittura ne è un possibile punto di partenza, o di
arrivo, per ricostruzione a ritroso, ma non è la legge dei cambiamenti
linguistici. L’importanza di un metodo è essenziale per Saussure, come
sottolinea Riedlinger, ed è soprattutto questo punto quello che deve essere
visto da un’altra prospettiva per riformulare la questione del rapporto tra
monumenti storici testimoniati dalla scrittura e lingue parlate, tra movimenti
spaziali e rapporti sincronici. Il fatto che ci sono mutamenti non testimoniati
dalla scrittura determina la perdita di alcuni modi di realizzazione dei
cambiamenti, ma di fatto la lingua riassembla i tratti che caratterizzano i
termini comuni, e non ha bisogno di un’origine. Ancora un appunto sulla lingua
letteraria omerica in rapporto al latino e le tracce che ne restano:
<Ainsi
c’est une affaire d’appréciation.> Par parenthèse: parmi les choses qui
troublent la certitude, c’est les emprunts: un mot peut arriver après coup
<de proche en proche> chez les différentes peuples par le commerce (ainsi
le chanvre n’est venu, connu que très tard dans le bassin de la Méditerranée,
puis <fut> transporté du sud au nord et avec lui son nom). Et il est
possible de confondre cette coïncidence avec celle qui suppose l’existence
primitive.[57]
Nell’idea
saussuriana William D. Whitney e la vecchia linguistica comparavano i documenti
senza fare storia, immaginando la lingua come un tipo di vegetazione che si
sviluppa in sé. L’analogia riapre il discorso sul movimento linguistico e la
variabilità dei rapporti tra i segni della lingua che non sottostanno a leggi
generali già date, assolute. Nei rapporti spazio-temporali la differenziazione
delle superfici multilinguistiche non è uniforme e l’esempio saussuriano è
della penisola italica che nell’epoca moderna ha un frazionamento dialettale tale
da arrivare all’incomprensione da parte di un milanese di un’opera scritta nel
dialetto napoletano. La difficoltà della distinzione tra lingue e dialetti è
dovuta in particolar modo alla presenza della lingua letteraria che può fare di
un dialetto una lingua. L’unità non è,
infatti, data a priori, poiché quelli che si danno sono dei fenomeni o
caratteri linguistici; è vano, dunque, cercarne il limite di separazione netta,
poiché, ad esempio, se si considera la teoria geografica come teoria delle
onde, si complica la cronologia rappresentata dall’albero genealogico per la
differenziazione dei dialetti e, in generale, delle lingue. La coesistenza di
due lingue in una stessa età politica rende ancora più difficile la
delimitazione. Per esempio, Pompei ha accolto il latino e l’osco, come è
testimoniato dal ritrovamento delle iscrizioni.
La questione
della scrittura come intermediario nei luoghi in cui si manifesta come
monumento storico è alla base della considerazione che Saussure porta avanti
nel terzo corso. La scrittura si colloca qui nella parte dedicata alle lingue e
Saussure ne fa consacrare un capitolo agli studenti, suggerendone il titolo Rappresentazione
della lingua mediante la scrittura in cui vi
è una rielaborazione più omogenea degli aspetti toccati nei primi due corsi, in
cui oltre ad una spiegazione compatta della rilevanza della scrittura vi è un
raggruppamento delle famiglie di lingue nell’influenza più o meno reciproca tra
i sistemi. In effetti, dalla considerazione delle differenze tra le famiglie e
l’influenza tra di esse o i contatti interni in ciascuna tra i dialetti che ne
costituiscono la geografia di una forma più generale, Saussure trova le
generalità che la scrittura condivide con il sistema della lingua ed è da
questo punto principale che porteremo avanti alcune riflessioni interne alla
considerazione saussuriana.
2.2.
La scrittura e la lingua come sistemi autonomi
Ripresi i punti
principali in cui Saussure fa emergere la variabile della scrittura come punto
di riferimento o correlato necessario alla intermediazione tra le lingue, si
ripropone la riflessione sul carattere differenziale della lingua, e si mostra
di fondamentale importanza all’interno della teoria linguistica, in particolare,
nei luoghi in cui incontra due variabili principali, strettamente interconnesse
tra loro, ossia la trasmissione e la tradizione dei segni. I segni grafici e i
segni fonici delle lingue, seguendo Saussure, si presentano all’interpretazione
dei soggetti parlanti come oggetti diversi di una stessa relazionalità
indivisibile. In particolare i segni della scrittura mostrano, dal punto di
vista sincronico, alcuni caratteri emergenti del sistema di cui sono parte come
luoghi di azione interpretativa del sistema linguistico.
Dato che un identico stato di cose si
constata in quell’altro sistema di segni che è la scrittura, lo assumeremo come
termine di confronto per chiarire tutta la nostra questione. Infatti:
1. i segni della scrittura sono arbitrari; nessun
rapporto, per esempio, tra la lettera t ed il suono che essa designa;
2. il valore delle lettere è puramente negativo e differenziale;
così una stessa persona può scrivere t con varianti come [...]. La sola cosa essenziale è che questo segno non
si confonda sotto la sua penna con quello di l, d,
ecc.;
3. i valori della scrittura non agiscono che per la
loro opposizione reciproca in seno a un sistema definito, composto d’un numero
determinato di lettere; questo carattere, senza essere identico al secondo, è
strettamente legato con quello, perché entrambi dipendono dal primo; il segno
grafico essendo arbitrario, poco importa la sua forma, o piuttosto non ha
importanza se non entro i limiti imposti dal sistema;
4. il modo di produzione del segno è totalmente
indifferente perché non interessa il sistema (ciò deriva altresì dal primo
carattere). Scrivere le lettere in bianco o in nero, incidendole o in rilevo,
con una penna o con uno scalpello è senza importanza per la loro
significazione.[58]
Saussure rileva,
dunque, una sistematicità propria della scrittura che rispecchia perfettamente
quella della lingua. In questo senso la posizione che la scrittura assume
rispetto alla sistematicità linguistica è quella di una forma più stabile nella
significazione in virtù del suo stesso carattere autonomo proprio della funzione
sociale che delimita nel suo stesso formarsi. Parole effettiva e parole potenziale, e dunque rapporti sintagmatici e
associativi, trovano unità nella coscienza del parlante, come nel caso delle
parallelie[59]: che la
frase appartenga alla libertà individuale o alla potenzialità della langue, che siano realtà del dominio fisico o psichico, le
differenze trovano soluzione nello spirito o coscienza dei parlanti. In questo
senso la scrittura è di fatto ciò che permette la delimitazione dei caratteri
essenziali e perciò maggiormente riconoscibili della lingua tra i sistemi
semiotici e le significazioni che costituisce.
«Ma il vocabolo
scritto si mescola così intimamente al vocabolo parlato di cui è l’immagine,
che finisce con l’usurpare il ruolo principale; così si arriva a dare
altrettanta e anzi maggiore importanza alla rappresentazione del segno vocale
che al segno stesso.[60]»
Se esiste la
possibilità di guardare alle unità che compongono le trame della lingua come ad
una continua linea che nel suo stesso costituirsi si espande, e,
conseguentemente, se è possibile pensare che ci sono gradazioni che non
predeterminano la composizione e la formazione delle unità sistemiche della
lingua, allora si può guardare anche alla scrittura come ad un insieme di
regole condivisibili perché normative, attraverso le quali i rapporti tra i
segni linguistici abbandonano l’associazionismo per aggregazione e coabitano in
una famiglia di idiomi trasformandosi, seguendo e accrescendo continuamente
l’unità del sistema che è strettamente connessa alla mutabilità. In effetti, i
segnali delle lingue scritte si presentano quasi sempre come se contenessero
non una, ma due sistematicità, di cui una è pregressa, quella di istituzione
dell’ortografia, appunto, ed una attuale, nell’uso di quell’ortografia con le
sue tracce storiche. Per il fatto che i segnali di ciascun sistema si
realizzano come repliche contenenti un’unica strutturazione sociale, da ciò che
non può essere ignorato, la materialità dei segnali, appunto, il vincolo che
unisce questi alle relative significazioni si mostra come formazione stabile
perché sistematica.
La dispersione
della continuità segnica che si interpone tra le unità significative del
sistema linguistico è la questione che Roy Harris pone in rilievo affrontando
il problema del carattere oppositivo delle entità linguistiche che egli chiama
dell’identificazione differenziale[61].
La delimitazione specifica e mai univoca delle unità linguistiche che risulta
dal processo di formazione delle entità sistemiche è evidente nei caratteri
discreti della scrittura, in relazione alla continuità del sistema. Harris
mostra alcuni aspetti della teoria saussuriana a proposito delle riflessioni di
Oswald Ducrot, e in particolare rispetto alla sostanziale continuità che regge
il sistema differenziale della lingua, rapportandone alcuni caratteri alla
scrittura. In effetti, non è sufficiente affermare che non si può considerare
la scrittura un sistema con una sua autonomia soltanto perché essa si basa su
un certo numero discreto di forme che non hanno un criterio esterno ad esse per
essere riconosciute come differenti rispetto al tipo di azione comunicativa
della parole. Se per criterio esterno,
infatti, si pensa ad una classificazione o ad un modello astratto da applicare
alla principale caratteristica della lingua, ossia la sistematicità, non è
possibile, di fatto, capire in che senso Saussure mostri la perfetta
coincidenza tra la scrittura e la lingua come sistema di segni. Si tratta,
invece, di soffermare l’attenzione sull’evidente analogia tra lingua e
scrittura considerate come sistemi autonomi ma omologhi. Esiste, infatti, una
logica che può essere considerata pertinente al riconoscimento da parte del
parlante delle significazioni messe in atto rispetto all’azione sistematica che
la lingua compie come portatrice di significati e sensi, in relazione ad un
luogo materiale, che è quello dei segni scritti, che può rilevarne alcune
possibilità di realizzazione significativa. In effetti, l’accento posto sulla
formazione sistemica che attraversa i valori dei segni di una lingua è relativo
al modificarsi delle significazioni tra di essi. La forza o tendenza che
permette a ciascun sistema di reggere e delimitare le unità senza circoscrivere
un nucleo perfettamente stabile, tra scrittura e espressione in atto, è di fatto ciò che è necessario considerare per
avvicinare il problema nei suoi caratteri più evidenti. Un approccio
strettamente strutturalista non aggiunge, dunque, caratterizzazioni ulteriori
all’idea saussuriana di continuità, e ne esclude le principali specificità, tra
cui quella della mutabilità e dell’immutabilità dei segni e quindi del valore e
della significazione, ma la necessaria continuità tra le forme è la premessa
della sistematicità di scrittura e lingua.
«La continuità
del segno nel tempo, legata all’alterazione nel tempo, è un principio della
semiologia generale: se ne potrebbe trovare la conferma nei sistemi di
scrittura, nel linguaggio dei sordomuti ecc.[62]»
Il processo di
composizione delle unità linguistiche che si compie tra naturalità,
convenzionalità e arbitrarietà sistemica, permette alla lingua la
differenziazione delle entità. Non sono, tuttavia, parametri chiusi ed
esclusivi di regole estrinseche al processo di costituzione delle unità
sistemiche a formare ciò che si può riconoscere come segno linguistico.
L’identità non è mai data di per sé, ma si trova sempre tra altri termini, che
ne costituiscono, ancora, per differenza, il valore.
«L’identità che
abbiamo cominciato con lo stabilire, a volte in nome di una certa
considerazione, a volte in nome di un’altra, tra due termini di natura
variabile, è assolutamente il solo fatto primario, il solo fatto semplice donde parte l’indagine linguistica.[63]»
Nessuna sintesi,
passiva o attiva, può essere fonte di identità già formate, né da formare, ma,
d’altro canto, la storia non può riconsegnare intatte le azioni differenziali
dei parlanti nel tempo. Così nelle leggende, luoghi simbolici in cui si
combinano le verosimiglianze dei personaggi, l’identificazione delle proprietà caratterizzanti
i valori si scontrano con i segni delle lingue in uso, nelle temporalità delle
narrazioni. La ricerca d’identità è anche qui priva di senso, essendo il punto
di partenza, l’elemento più semplice che il parlante manipola nell’uso.
Impossibile da frenare, il flusso della significazione è essenzialmente
illimitato, poiché illimitata è la massa di cambiamenti possibili nelle lingue.
Il significante, simbolo trasportato nella tradizione e dalla tradizione, muove
l’effettività delle lingue, nutrendone il parallelismo con i sistemi di
scrittura. La questione emerge anche, non casualmente, a proposito dei simboli
delle leggende:
«Où est maintenant l’identité? On répond en
général par sourire, comme (si c’était une chose en effet curieuse) remarquer la
portée philosophique de la chose, qui ne va à rien moins que de dire que tout
symbole, une fois lancé
dans la circulation – or aucun symbole n’existe que parce qu’il est lancé dans la circulation – est à l’istant
même dans l’incapacité absolue de dire en quoi consistera son identité à
l’istant suivant.[64]»
In questo senso
il simbolo assume i caratteri di una porzione parziale di uno spazio di
significazione, in cui la continua trasformazione del sistema, fatta di momenti
di equilibrio e di alterazione, questi non essendo altro che la controparte di
quelli, allontana il problema della posizione definitiva delle unità
linguistiche e dei sistemi in cui si realizzano. Il rapporto esistente tra le
forme di costituzione delle lingue, nei mutamenti diacronici, si instaura là
dove continuità sistemica e alterazione, dovuta ai fattori interni ed esterni
della lingua, vanno a costituire un sistema complesso mai dato come semplice
ente. Pensiamo a come le diversità geografiche si insinuano tra i fattori di
coevoluzione di due lingue diverse ma vicine, per esempio l’italiano scritto e
l’italiano parlato, i cui mutamenti, in ciascun sistema, di fatto, si risolvono
tra le maglie di ciascun micro-sistema locale, in ciascun idioma, nel suo
intrecciarsi reciproco con i fattori linguistici e semiotici che vi si legano
per necessità. La solidarietà tra le associazioni dei segni linguistici nei
casi in cui essi portano a compimento ciascun atto comunicativo in cui è il
fenomeno dell’oralità a emergere e la composizionalità insita in ciascun
risultato dell’azione stessa, quello segnato da un cambiamento all’interno del
sistema, trova una propria specificità nelle rappresentazioni scritte, nei
luoghi in cui non è possibile separare la scrittura dalla temporalità che le è
propria, per differenza rispetto a quella dell’oralità. I cambiamenti si legano
soltanto come per azione differita alla scrittura, poiché essa è in se stessa
sistema autonomo rispetto ai fenomeni diacronici esterni. Poiché non si può
parlare di uno o più tempi della lingua (e della scrittura) ma, piuttosto, di
forme differenti di temporalità dell’impiego dei segni, deve esistere un modo
di realizzazione delle forme che permetta di risolvere la questione dell’azione
differenziale.
Tra i due
fenomeni diversi di scrittura e lingua parlata si configura, allora, un luogo
in cui i mutamenti diacronici possono realizzarsi, tra tradizione e azione
creatrice, ossia azione verbale in atto. Per Saussure, il fatto che nelle
lingue grafiche ci sia diacronia in senso proprio è argomento per la loro
autonomia semiotica. Luis Prieto, nel momento in cui si occupa specificatamente
dell’analisi dei rapporti tra scrittura e oralità nelle lingue, spiega la
dinamica esistente tra i segni grafici e segni fonici all’interno di due lingue
complementari. Egli chiama difetti sintagmatici di parallelismo la differenza
che si pone nel caso in cui i segni di due lingue complementari mostrano una
discordanza irrazionale. Secondo Prieto, infatti, sono complementari due codici
che servono per dire esattamente la stessa cosa, e nei luoghi in cui questo
avviene si ha un caso di parallelismo perfetto tra i codici considerati. Un
esempio è la corrispondenza tra segni grafici e segni fonici di italiano scritto
e italiano parlato. Ma questa corrispondenza non avviene a livello sistemico,
più generale, in cui quelli che vanno a costituirsi sono generi di discorso
diversi, lingue differenti[65].
Pensiamo a due fenomeni diversi ma simili in un aspetto: le comunità basate su
una cultura prevalentemente orale e le comunità più o meno grandi in cui è
l’uso scritto che occupa lo spazio di significazione maggiore, fino ad assumere
i caratteri di una lingua letteraria. Nel primo caso, quello delle piccole
comunità, ad esempio, i cambiamenti analogici sono più rapidi, mentre alcuni
tipi di mutamento perdono rilevanza nelle lingue letterarie, attraverso le
quali, di fatto, si instaura un rapporto dinamico e non definitivo né
irreversibile tra entità eterogenee, ma necessario per la significazione. In
questo senso è possibile individuare nella scrittura la costante che permette
ai due sistemi di essere riconoscibili, nella loro differenza reciproca. In
effetti, ciò che è “differenziale” è ciò che non può mai essere una mera
sottrazione di caratteri e proprietà afferenti solo e soltanto alla scrittura o
soltanto all’uso dell’oralità, ma che è, invece, sempre un prodotto di valori,
necessariamente positivo per ciascun sistema, perché positiva è ciascuna unità
e ciascun valore, anche dal punto di vista di una pura analisi.
Per il fatto che
nelle lingue letterarie la funzione storicizzante e socializzante di queste non
è rapportabile soltanto al terreno delle lingue storico-naturali ma, in maniera
più o meno reciproca rispetto ad esse, alla scrittura, la significazione
specifica che si mette in atto nelle forme di relazionalità tra le entità
segniche si mostra, allora, nel percorso di significazione in cui esse si
costituiscono in maniera differente ma omogenea rispetto al sistema di cui sono
parte. La sistematicità delle lingue letterarie, infatti, non soltanto mira a
costituire i termini attraverso i quali un lingua storico-naturale può essere
modificata, ma riconduce ad essa insieme con i mutamenti della normatività che
la costituisce e la differenzia. Le modificazioni, come prodotto di un
processo, da un lato, e l’immutabilità come conservazione che si rapporta
inevitabilmente, in un certo senso, alla materialità della scrittura,
dall’altro, vanno realizzare la complessità sistemica delle lingue. La modalità
di costituzione, allora, non può che essere il risultato, essa stessa, di un
processo più complesso di rapporti semiotici tra valori e segni differenti. Le
norme specifiche della scrittura restituiscono, dunque, la necessaria
reciprocità tra le lingue diverse, e il legame con le lingue che esse
rappresentano e modificano è tale da conservarne alcuni aspetti e tralasciarne
altri. Le tipologie di cambiamenti, analogico e fonetico, ad esempio, agiscono
necessariamente come per retroazione sulle lingue letterarie, ignorando così i mutamenti
individuali in maniera più evidente rispetto alle lingue naturali, e,
conseguentemente e quasi in maniera paradossale, a prima vista, mostrando gli
aspetti che riguardano specificatamente la sistematicità propria delle lingue.
Il paradosso che sembra emergere è, allora, soltanto l’immagine superficiale di
un fenomeno di attivazione costante e continua delle significazioni, e di
conservazione di ciò che è, di fatto, in uso nella comunità linguistica, per
approssimazione rispetto alla totalità possibile dei parlanti una stessa
lingua. A tal proposito Saussure afferma:
«La lingua non è
una funzione del soggetto parlante: è il prodotto che l’individuo registra
passivamente [...].[66]»
Di fatto,
secondo Saussure, le immagini acustiche sono traducibili nella forma spaziale
dei tratti grafici[67].
Questa possibilità fa vedere negli alfabeti fonetici, in cui ciascun suono
semplice è rappresentato da un solo segno grafico, una scoperta geniale[68].
Da questo punto di vista non si pone soltanto la questione dell’analisi della
catena parlata, ma la possibilità del richiamo al piano simbolico del segno
linguistico e, dunque, della significazione, nel senso in cui la simbolicità è
ancorata alla materialità grafica. Anche in questo senso Saussure pensa al
sanscrito, ad esempio, come ad una cosa vivente, ad una lingua in tutti i sensi
reale. La lingua letteraria, dunque, affonda le sue radici in ciò che non può
che essere differente, rispetto alla lingua in uso, ma inevitabilmente e per
necessità ancorata ad essa, essendone essa stessa la fonte viva, poiché è parte
di essa, ne possiede i tratti essenziali[69].
L’estensione che il segno linguistico possiede è allora radicata nella logica
dei rapporti sintagmatici e paradigmatici, ed eccede qualsiasi condizione[70].
Il processo di trasmissione dei valori di significazione nei passaggi necessari
al riconoscimento delle entità è allora un modo di presentarsi
dell’arbitrarietà sistemica ma non un modello che imbriglia ciascun segno
circoscrivendone definitoriamente una o più ipotetiche entità. La relazionalità
sistemica di ciascuna unità richiede dunque che la corrispondenza tra la
materialità grafica e la materialità fonica non sia l’unica determinante per la
possibilità di riconoscimento nella catena delle significazioni. Le mutabilità
e le immutabilità dei segni permettono alle unità di ciascun sistema, secondo
le proprie regolarità, in ciascun contesto, di differenziare le specificità dei
significati che la materia grafica e materia fonica mettono in campo nelle
diverse temporalità di cui sono portatrici. È per queste ragioni che il campo
d’azione del simbolico è intrecciato alla linguisticità. Il luogo di
significazione dei simboli, di fatto, non è mai compiuto di per sé, poiché non
rispecchia mai un altro luogo, ma, rispetto ai segni linguistici e ai
significati di questi, delimita specificamente alcune entità che possono
risolvere in se stesse l’unità dei sistemi che intercorrono a costituire quel
duttile confine tra oralità e scrittura. Là dove Saussure affronta la
problematica della simbolicità pone in rilievo come essa abbia una doppia
funzione. Non soltanto è, infatti, radicata nel modo di uso comune e ancorata
alla tradizione, tanto da essere parte del patrimonio delle società
indipendentemente dalla lingua specifica che esse adottano, ma si realizza
nelle forme più specificamente letterarie, come nel caso delle leggende e dei
luoghi simbolici che queste realizzano. Così come i confini tra l’esecuzione
dei parlanti e la caratterizzazione specifica delle lingue sono sfumati e difficilmente
circoscrivibili, la sistematicità in azione tra le componenti delle lingue
letterarie e l’azione dei simboli, quali prodotti di una tradizione eccedente
rispetto alla forma in uso nella lingua considerata, non può essere soltanto
una cristallizzazione pura e semplice. In entrambi i casi, infatti, si richiama
in campo la tradizione che non è mai data e costituita una volta per tutte, ma
racchiude, senza circoscrivere, ciò che di fatto è in atto tra i parlanti.
«Il simbolo ha
per carattere di non essere mai completamente arbitrario: non è vuoto, implica
un rudimento di legame naturale tra il significante e il significato. Il
simbolo della giustizia, la bilancia, non potrebbe essere sostituito da
qualsiasi altra cosa, per esempio un carro.[71]»
È tuttavia
necessario sottolineare come non si possa escludere che la conservazione dei
simboli non corrisponde in tutti i suoi tratti alla tradizione così come è
realizzata nel caso delle lingue. Se le lingue letterarie hanno una forza
maggiore rispetto alla semplice azione effimera dei parlanti allora non vi è
possibilità di escludere il fatto che nessuna lingua può essere realmente usata
da un parlante senza richiamare alla forza simbolica della tradizione che
emerge dai documenti storici segnati dalla scrittura, come generi letterari
sempre in atto. Ciò che può essere considerato il piano simbolico del segno è,
dunque, la possibilità, sempre presente ma non necessariamente attuata
attraverso l’azione comunicativa, di una significazione mai formata una volta
per tutte. La relazione sistemica tra le entità della lingua permette di
costruire una rete differenziale di rapporti tale da far realizzare all’interno
di uno stesso sistema le sue caratteristiche specifiche. In merito a ciò,
afferma Saussure:
«L’uomo che pretendesse
di costruire una lingua immutabile che la posterità dovrebbe accettare tale e
quale, rassomiglierebbe alla gallina che cova un uovo d’anatra: la lingua da
lui creata sarebbe trasportata, volere o no, dalla corrente che trascina tutte
le lingue.[72]»
Lingua e parole, attraverso le quali gioca ogni forma significativa
o unità linguistica, realizzano la possibilità di classificare, nel senso più
comune di riconoscere e quindi di differenziare, ma non per questo
sovradeterminare, le posizioni che ciascun segno realizza per differenza
rispetto al segno ad esso più vicino nel sistema di significazione. Pensiamo,
ad esempio, al caso di un certo numero di famiglie diventate, nel passaggio da
una generazione all’altra, naturalmente esperantiste. Nella sistematicità
complessa, intrinseca, dei sistemi, emergono quindi alcuni caratteri dei segni
che permettono di portare la scrittura, insieme con la semioticità precedente,
anche non verbale, alle soglie del piano simbolico del segno. Questo processo
di differenziazione da un lato si pone come possibilità della mutabilità dei
segni, scritti o orali che siano, mentre dall’altro permette alla
rappresentazione grafica e acustica di formare per opposizione sintagmatica e
paradigmatica la sistematicità del complesso linguistico. Si pone, allora,
nella scrittura, il limite tra due differenti sistematicità, non in virtù di
una diversa origine assoluta, ma, come per una dicotomia interna ai segni, in
relazione all’azione stessa della formazione sistemica delle unità, significative
perché mutevoli. Una prima nozione di lingua è dunque basata sull’intreccio dei
valori reciproci di lingua e scrittura: la lingua è un oggetto non definito là
dove non è liberato dalle catene della scrittura. Ma questa immagine citata è
soltanto parziale. Il rapporto tra lingua e scrittura, infatti, è tale da poter
esemplificare le proprietà della prima con quelle della seconda. I due sistemi
sono, infatti, omologhi e analoghi. È da questo punto di vista che Saussure
mostra in che senso gli aspetti sistemici di lingua e scrittura sono identici
per opposizioni, valori reciproci, quantità negative e relative. Si pone qui,
allora, la necessaria riflessione sull’esistenza delle entità e delle forme che
si costituiscono. Esistenza che per Saussure non è mai data di per sé, per il
fatto che la lingua non esiste che per differenza rispetto almeno ad un altro
sistema emergente nella lingua stessa, la scrittura, appunto. Niente è se non
per differenza e nei suoi rapporti reciproci con almeno un’altra entità. La
lingua, nella sua totalità, afferma Saussure, è come un ruscello, poiché in
ogni momento esiste mentre si dice che nasce, e reciprocamente non fa che
nascere mentre si constata che esiste. Il flusso della lingua di per sé non
offre che innovazioni per improvvisazione, ma che, se si risolvessero in se
stesse, continuerebbero a compiere movimenti casuali.
«Ogni
innovazione capita per improvvisazione, nel parlare, e penetra di là sia nel
tesoro intimo dell’ascoltatore sia in quello dell’oratore, ma si produce dunque
nell’ambito del linguaggio discorsivo.[73]»
Quello degli
anagrammi è un esempio della funzione che il segno grafico ha nella formazione
delle unità linguistiche e i rapporti che intercorrono tra la sistematicità di
una stessa lingua e la possibilità di riconoscimento delle entità discrete in
rapporti specifici tra le significazioni. Ogni entità è tale da poter essere
messa in luce attraverso la peculiare appropriazione di sistematicità
differenti, e perciò interrelate, il carattere e il mutamento delle quali
permette il confronto tra le significazioni senza forzare il valore delle unità
della lingua. La possibile delimitazione delle entità linguistiche si
costituisce allora in una forma specifica in cui la semioticità pregressa va a
ristabilire il contatto sistemico con le entità della lingua. Nel gioco tra
verbale e non verbale si pone dunque non uno iato o uno scarto, ma una
possibilità di manifestazione delle formazioni dei valori sistemici che
allontana dalla referenzialità della determinazione nelle posizioni che
ciascuna unità occupa, rispetto alla successione differenziale con le altre
unità nello stesso sistema linguistico. Parlare di scrittura come di una
convenzione libera, eccedente qualsiasi condizione a-linguistica, significa
allora determinarne alcuni tratti essenziali rispetto alla realtà semiologica
del segno. Effettivamente ci sono alcuni fenomeni che non possono che essere
ricondotti alla realtà della scrittura, poiché di fatto non esisterebbero se
questa non fosse una entità sistemica stabile rispetto alla sistematicità
linguistica. Pensiamo agli esempi saussuriani dei fenomeni di costituzione
delle forme metafoniche, per esempio l’Umlaut[74],
come processi di assimilazione rappresentati graficamente (in questo caso ci
troviamo, allora, in una complementarità sistemica tra lingua e scrittura
all’interno della stessa forma di linguisticità), che richiamano continuamente
ad un discorso di attualizzazione dell’aspetto simbolico del segno e delle
rispettive significazioni.
Le unità
irriducibili delle lingue, infatti, secondo Saussure, sono testimoniate dai
monumenti poetici e dai mezzi di maggior controllo della lingua stessa, ossia
la rima e l’assonanza. Ancora qui ritorna il paragone con la composizione
musicale, in cui la frase è paragonabile all’attività del compositore e non a
quella dell’esecutore. Pensiamo, ad esempio, al caso in cui la necessità di
nuove forme nasce dalla scrittura. Un esempio semplice è quello di Prieto del
verbo firmare, che ha il proprio luogo significativo nel documento scritto[75],
che è, in un certo senso, la composizione e non l’esecuzione di un’attività
verbale. Se l’innovazione può avvenire soltanto nella discorsività, e la frase
non è mera esecuzione, allora essa si deve compiere al di fuori della
dialogicità dell’azione comunicativa verbale, al di fuori del flusso
indeterminato e amorfo della parole. Da
qui la necessità della rappresentazione per la composizione e costruzione della
frase, del supporto materiale che sia solido e permanente, fisso, che sia
strumento che si pone dinanzi ai nostri occhi, e che si risolve nella
scrittura, luogo della rappresentazione della lingua e delle idee. Si mostra
così l’urgenza di Saussure di considerare parole e langue come
due fenomeni differenti ma non opposti, laddove la langue è già un risultato delle innovazioni spontanee e
istantanee del flusso linguistico e in cui la scrittura, luogo del limite tra
le entità sistemiche di ogni asse di realizzazione, gioca con i valori
reciproci e oppositivi della lingua, fino a poter considerare la parole
un documento della lingua[76].
La lingua letteraria, come parte del sistema linguistico, non è lettera morta,
ma luogo del rapporto reciproco con la lingua corrente, per il fatto che come
prodotto della cultura giunge a distaccare la sua sfera d’esistenza dalla sfera
naturale, quella della lingua parlata, ed insieme ne delinea le specificità.
L’uso scritto richiede quindi, necessariamente, un sistema e, poiché la
scrittura è rappresentazione della lingua, immagine di questa, specchio dal quale
riconoscere i limiti della ricerca linguistica, allora essa diventa canale di
approdo al simbolico e alla lingua condivisa da una comunità, in cui la lettera
scritta non è soltanto indice di una lingua preesistente, ma modo di
realizzazione della linguisticità. La lingua letteraria è già il risultato di
un’azione in cui la scrittura ne mostra alcune caratteristiche specifiche, come
materiale significativo, nei luoghi in cui significati e significanti
linguistici si ritrovano a dialogare. Il processo di interpretazione si risolve
nella sistematicità della lingua scritta, mentre la specificità portata avanti
dalla scrittura, nelle forme letterarie e nei generi che le sono propri, va a
costituire il motore del processo di attualizzazione dei significati. Questi
due modi di formazione del segno linguistico si realizzano, come per un
paradosso interno al sistema, nell’immutabilità della materia. Per il fatto che
le trasformazioni non avvengono secondo regole e prassi già date, allora anche
nella scrittura, luogo di significazione, i mutamenti, per opposizione
reciproca rispetto alla forma fissa e stabile, sono dati dalla possibilità,
sempre presente nel documento scritto, di riappropriazione testuale da parte
del parlante, ed in questo senso si comprende la problematicità che Saussure
impone alle lingue scritte. Appare necessaria, dunque, una riflessione sui
limiti della simbolicità, attraverso i termini di unità e identità dei segni.
François Sébastianoff, per esempio, pone in relazione le unità minime grafiche
e foniche del sistema monemografico, in base alla corrispondenza biunivoca tra
le unità significative di prima articolazione del sistema della scrittura
(monemogrammi) alle unità minime della lingua (monemi), in base all’identità
del significato e del significante[77].
Nella seconda articolazione considera la relazione che può essere non
pertinente tra i grafemi e i fonemi ovvero le unità distintive della seconda
articolazione le cui parti minime non coincidono necessariamente. Le
specificità della scrittura emergono così stabilendo regolarità di fatto non
esistenti, nel senso di esistenza che abbiamo visto, che è identità negativa,
riconsegnabile alla sanzione dei soggetti parlanti, per il fatto che la
formazione stabile della scrittura ha una sua oggettualità che non è estrinseca
al processo di significazione. Sono irrisorie, seguendo un esempio di Saussure,
rispetto alla comprensione in atto, le differenze tra senso proprio e senso
figurato, in virtù della fondamentale negatività[78],
ma questo non esclude la domanda sul limite tra i diversi sensi che
affronteremo nel capitolo successivo.
3. La scrittura e il limite linguistico
Dobbiamo allora mettere per iscritto un punto, poiché senza mettere
qualcosa per iscritto non si rappresenta nulla. Ma avendo messo per iscritto un
punto, che cosa abbiamo fatto?
C. S. Peirce, 2003 [1892], p.
84.
3.0. Premessa: continuità e limiti della
semiosi
Nello spazio di riflessione che Peirce
dedica alla semiosi emerge la dinamicità della significazione che, tuttavia,
non esclude l’esistenza dei limiti necessari alla geografia dei segni, nella
peculiare frammentarietà che ciascun sistema porta con sé. Nella complessità
categoriale si pone, infatti, un cambiamento che si appoggia sulla mediazione
del simbolo-interpretante intrecciandosi con i limiti della significazione che
sono rapportabili alla semiosi dei grafi esistenziali ed alla scrittura in
generale e vanno a determinare la coevoluzione e la coesistenza con il sistema
linguistico di riferimento; laddove, in Saussure, la questione dell’identità si
unisce a quella delle unità significative, in particolare nell’analisi delle
leggende e nel ruolo dei simboli nel loro stesso mostrare i caratteri che essi
rappresentano. Continuità, identità e materialità sono tre proprietà che
entrambi gli autori considerati pongono in primo piano nelle loro riflessioni
sul piano della semanticità della scrittura come sistema semiotico rispetto ai
sistemi limitrofi più o meno complementari. In particolare, in Saussure, la
limitazione dell’arbitrarietà, dunque la solidarietà sintagmatica e associativa
interna alla lingua, consegna al parlante la facoltà di omettere la possibilità
di errore e ridona alla sistematicità per differenza la relazionalità significativa,
mentre in Peirce le forze della significazione si distribuiscono tra gli
interpretanti che costituiscono il simbolo attraverso la rappresentazione
triadica.
3.1.
Limite vs. identità
In Peirce la
forma del segno, nel passaggio da iconicità a simbolicità attraverso un
interpretante, è portata avanti dalla riflessione sugli stati di cose
sensibili, esperibili attraverso, da un lato, l’osservazione esterna al
fenomeno, dall’altro dalle forme simboliche come frutto di trasmissione tra
mente e mente. La complessità della realizzazione della scrittura esistenziale
compiuta attraverso i grafi incontra la significazione della sintassi
diagrammatica nella traccia significante. Si tratta, quindi, di considerare le
differenze specifiche che all’interno del processo semiotico permettono di
determinare ciascuna forma significante compiuta tra la realizzazione della
lingua in uso e la realizzazione materiale attraverso la semiosi grafemica che
entra in gioco nella forma di ragionamento simbolico, nei termini in cui essa è
dipendente o composta da una sintassi di tipo diagrammatico.
Ma poiché non
sono le semplici occorrenze a delimitare la significazione che si interpone tra
le menti nella continuità, è necessario riprendere quella che Peirce già in The
Law of Mind, considera come una difficoltà[79].
In effetti, Peirce propone qui di legare le questioni cardinali, che riprenderà
più tardi, di continuità, riconoscimento e identità. Abbiamo già accennato alla
“Vera Continuità”, nel primo capitolo, che si configura come un superamento
delle leggi matematiche ed assume forma logica. Prendendo spunto dalla
formulazione puramente matematica, infatti, Peirce si sposta su una più
specificatamente logica ossia semiotica, in relazione alla continuità tra
segni, menti e mondo esperibile. A proposito della continuità tra le idee,
guidata dal processo causale naturale della struttura della semiosi interna del
segno in cui ci sono gradini infinitesimali che separano le percezioni
immediate ed inferenziali, Peirce arriva a delineare in New Elements un modo di presentarsi della forma in cui la
problematizzazione dei rapporti tende a porre in primo piano il limite più
generale del significato rispetto ai sensi interconnessi[80],
nella differenza sostanziale tra i segni di per sé, come classi di sensi, e nel
movimento evolutivo complesso della significazione di forme e valori in cui la
determinazione numerica non ha il primato sulle idee.
«How could such an idea as that of red
arise? It can only
have been by gradual determination from pure indeterminacy.[81]»
La
determinazione graduale non esclude quindi la possibilità di composizione
complessa delle entità[82].
Queste, infatti, per costituirsi come unità, ossia forme riconoscibili, devono
poter essere riconducibili ad un interpretante. Un segno, infatti, per essere
tale, si rivolge a qualcuno, ovvero crea nella Mente di quella persona un segno
equivalente che si chiama interpretante del primo segno. È unità significativa,
per esempio, il risultato del rapporto quaternionale tra gli elementi del segno[83],
esempio fruttuoso di funzione relazionale che anche nella riflessione di
Saussure è un modo di esemplificare la composizione complessa del segno. La
complessità sistemica (in un senso ampio di sistema di tipo tassonomico) in
Peirce è, dunque, un punto cardinale di orientamento per qualsiasi entità
all’interno della logica dei segni. Se una classe di elementi di per sé non è
sufficiente alla significazione, né alla costituzione di segno come unità,
tuttavia è chiaro che la significazione si appoggia sulle categorie di Primità,
Secondità e Terzità. Da un lato, l’equivalenza, proprietà che appartiene al
segno di per sé, poiché ogni segno è sempre uguale a se stesso e dall’altro la
similarità, per il fatto che ciascun segno è simile almeno ad un altro segno
della stessa classe, tuttavia, entrambi i modi di realizzazione, non possono
rendere concretizzabile, di per sé, la significazione. Le relazioni della parte
al tutto sono tali da attuare la complessità attraverso la forma significante
che mostra la mutabilità dell’interpretante del segno. In opposizione alla
forma significante, infatti, vi è il vincolo delle coordinate spazio-temporali
già date che possono identificare soltanto occorrenze e non abiti o Type, grafi
o simboli. In effetti, la determinazione a priori è il luogo dell'identità che
contrasta il movimento delle interpretazioni, la tendenza all’azione degli
interpretanti. Ciò che permane è riconoscibile, infatti, come oggetto in sé,
ovvero singola occorrenza, ma la complessità che il segno manifesta è tale in
virtù delle relazioni interne tra gli elementi che lo costituiscono.
«Tracciare un
grafo non significa dunque affermare una cosa o un evento singolo, la cui
identità è limitata in un tempo e luogo dati (significante solo in quanto occorre);
esso equivale invece a tracciare una “forma significante”, che in sé comporta
una legge, una regola ed è essa stessa codice.[84]»
La sintassi
diagrammatica, che occupa tempi e spazi ben definiti dalla presenza sul foglio,
ma che non è delimitata da alcuna coordinata esterna ad essa, percuote, se così
possiamo dire, la generalità del discorso. L’azione conservatrice dei grafi,
realizzando l’operazione duplice nel percorso logico e nell’analisi
dell’estensione e della comprensione, allontana dalla semplice trama
dell’azione tra parlanti, rimandando ad un altro “tempio” della temporalità
dell’azione assertoria fino alla predicazione dell’argomentazione. La
diagrammaticità non esclude la funzione del simbolo, poiché è nell’abduzione
che si muovono i processi inferenziali di cui il pragmatismo è garante. Una
ricerca abduttiva è una ricerca che si basa sull’esperienza e
sull’osservazione, fino ai limiti della diagrammatizzazione degli argomenti
attraverso i grafi. Il simbolo, per essere tale, necessita di una relazionalità
specifica che lo differenzia da indici e icone con l’oggetto e l’interpretante
tale che questo sia un abito. Tuttavia, nell’ordine logico della considerazione
del segno in sé, o della relazione tra almeno due segni, è da considerare,
seguendo Peirce, il modo attraverso il quale l’interpretante del segno si
manifesta come tale. L’interpretante sarebbe essenzialmente inattingibile se
fosse una semplice replica, occorrenza senza autonomia semiotica, mentre il
segno delinea il rapporto esistente tra interpretante e oggetto. La
diagrammaticità, dunque, come proprietà semiotica è ciò che nella realizzazione
e modificazione attraverso l’applicazione delle regole della sintassi
diagrammatica dei grafi si configura come segno, attraverso l’azione pratica
che esso stesso produce per azione dell’interpretante. A questo punto,
tuttavia, il lavoro dell’interpretante logico non appare diverso da quello che
in senso comune viene chiamato pensiero
(e che racchiude memoria, ricordo, logica, indipendentemente da una reale
azione finale completa, finita, chiusa) e che, dunque, si configura come
ipotesi di passaggio dall’azione iconica a quella combinatoria che
interpretanti e oggetti realizzano nel modificarsi di ciascuno. L’azione
combinata, riconosciuta come tale, è essa stessa un interpretante, poiché si
muove nelle regole, abiti più o meno complessi che sono punto di arrivo nel
percorso della logica complessa dei grafi esistenziali.
«Un grafo
inserito nel complesso del sistema è una forma proposizionale o fema, e, in quanto tale, esercita una sorta di “effetto
costrittivo” sul suo interprete. Una serie di grafi interconnessi costituisce
un argomento o deloma, il quale formalmente, ossia mediante la forma che esibisce, tende ad
agire sull’interprete, dando vita a un processo di mutamento di pensiero
dell’interprete stesso.»[85]
In effetti,
Peirce introduce la nozione di fallibilismo superando così l’ideale del puro
raziocinio, ed è in questo senso che la questione dell’identità dei segni è di
per sé al di fuori della riflessione semiologica di per sé. Configurandosi come
type, il grafo è un abito, un simbolo[86].
Poiché esso è almeno una rappresentazione, porta con sé la duplice natura di
diagrammaticità indicale e di iconicità. L’interpretante, che rispetto al
diagramma costituisce uno snodo della semiosi, condividendo la natura della
Terzità, si configura come forma di relazione tra le parti.
«It will be well here to interpose a
remark as to the identity of a symbol. A sign has its being in its adaptation
to fulfill a function. A symbol is adapted to fulfill the function of a sign
simply by the fact that it does fulfill it; that is, that is so understood. It
is, therefore, what it is understood to be.[87]»
Nel ragionamento
diagrammatico l’incomprensione tra interlocutori è un confine del valore
simbolico del segno e della significazione che si impone a rispecchiare la
liminalità del discorso che ciascun parlante mette in atto nel processo di
interpretazione. Tra cambiamento e alterazione, l’azione della scrittura tende
alla determinazione e allontana dall’indeterminato. La rete di iterazioni che
si costituisce come una delle regole di base delle convenzioni dei grafi è di
fatto la regolarità che mostra lo stesso processo di interpretazione ed un
certo modo di vedere il mutamento dei sensi; nei cambiamenti diagrammatici che
si mettono in gioco nell’azione della lingua parlata, infatti, non c’è una
regola sovradeterminante che agisce sui parlanti, ed è nel gioco stesso che si
costruisce la regola e le possibili regolarità circoscritte in una classe di
sensi.
«Di conseguenza
i Diagrammi sono limitati alla rappresentazione di una certa classe di
relazioni.[88]»
La
diagrammaticità, in questo senso, si pone come terreno di passaggio dalla forma
della lingua parlata a quella scritta, nella misura in cui ad essere
riconosciuto come parte delle convenzioni è l’errore logico necessario alla
realizzazione completa dell’argomento. L’errore di osservazione della
sperimentazione ideale è di ordine arbitrario, mentre quello della sperimentazione
sensibile è di ordine costrittivo, dunque relativo ancora alla categoria della
Secondità, parte delle leggi convenzionali dei grafi. Peirce compie attraverso
la diagrammaticità un passo in avanti rispetto al tipo di rilevanza che
l’errore di osservazione ha nell’esperienza quotidiana. In effetti, le forme
interiori della Binarità, ossia dubbio, negazione, termini relativi ordinari,
similarità e identità, sono parte dei rapporti esemplificati dall’esperienza e
dal ragionamento di ordine costrittivo, escludendo, dunque, la possibilità
della domanda sull’errore e quindi il passaggio alla Terzità come categoria di
mediazione e dunque di semiosi interpretativa che si muove attraverso gli
interpretanti. La precisione dell’attenzione e la differenziazione, più
generale, tra i sensi e i significati, sono due valori che attuano quel tipo di
separazione che delimita i gradi delle modalità di impiego nell’universo dei
segni. Un caso specifico è quello dell’Identità che nella logica dei grafi
esistenziali ha un valore che non si identifica con quello della formulazione
matematica, poiché è base della “Vera Continuità” e si pone al di là della
dicotomia in sé che è la base del dubbio, contravvenendo alle regole
costrittive della Binarità, in virtù dell’ordine arbitrario dell’esperienza
ideale di sperimentazione logica finalizzata alla sperimentazione diagrammatica
e grafemica. La formula di identità è la prima icona dell’algebra che, afferma
Peirce, non giustifica di per sé alcuna trasformazione, alcuna inferenza.[89]
In effetti, identità e continuità sono termini relativi alla assoluta
arbitrarietà dei segni che allontanano dall’osservazione diretta. Vi è, dunque,
un limite non più di tipo numerico, dunque invariabile, ma materiale,
continuamente soggetto al mutamento degenerativo delle forme significative.
«Tra i Grafi
Esistenziali ce ne sono due che sono eccezionali per il fatto di essere
veramente continui sia nella loro
Materia che nella loro corrispondente Significazione. Non ci sarebbe niente di
eccezionale nel loro essere continui in uno o in entrambi gli aspetti, ma che
la continuità della Materia corrisponda a quella della Significazione è
abbastanza eccezionale da limitare questi grafi a due: il Grafo dell’Identità,
rappresentato dalla Linea d’Identità, e il Grafo della coesistenza,
rappresentato dallo Spazio Vuoto.[90]»
È dunque evidente
l’esistenza di un limite, un peso oggettuale. In effetti, quel margine
rappresentato dall’invariabilità del numero all’interno di una classe di
relazioni che è il diagramma eccede l’iconicità iniziale del processo
inferenziale che determina la continuità intesa almeno come affezione causale
tra i segni. La continuità non equivale all’identità tra i segni (semmai è il
contrario, poiché affinché ci sia continuum deve esserci possibilità di
mutamento e duttilità differenziatrice). Tuttavia, se i segni sono in un
continuum reale l’identità non dipende dalla proprietà dei segni di essere
limitati, circoscrivibili da alcuni punti di vista, o classi di sensi
impiegati. Anche la diagrammaticità si costituisce in una a-progettualità che
esibisce l’iconicità indicale jakobsoniana, come abbiamo accennato nel primo
capitolo, in cui la formazione di ciascuna entità vista come unità e dunque
complessa, ovvero costituita da parti significative, convenzionali e arbitrarie
è essa stessa al limite della logica simbolica. Per giungere alla comprensione
intesa come relazione tra almeno un agente e un interpretante è allora
necessario rifiutare la definizione di continuità strettamente matematica e giungere
alla vera continuità del pragmaticismo, come aderenza ad un proposito fattuale.
«[...] il
Diagramma non definisce esso stesso esattamente quanto lontano si estenda la
somiglianza [...] sebbene la Forma di Relazione sia in se stessa Definita, in
quanto è Generale.[91]»
Se non c’è un
inizio che non sia complesso, il limite è nell’errore e nell’incomprensione
della comunicazione effettiva, a partire dalla categoria della Secondità in cui
dubbio, negazione e identità collassano nell’ordine arbitrario dell’esercizio
diagrammatico. L’Interpretante Simbolico Iniziale è un segno dipendente da
almeno una realtà oggettuale, quindi reale, immediata, che eccede un'esperienza
complessa ma che può essere fattuale e dinamica, perché appartenente al mondo
dei segni, e parte di una relazione triadica “pura” o genuina. Si potrebbe
pensare ad un’interpretante emozionale come motore della significazione, ma
esso sarebbe parte di un’azione semplice, primaria, fatta di una causalità pura[92].
Tuttavia, affinché la diagrammaticità estenda le proprietà formali nella
simbolicità e mostri dunque in che senso la rappresentazione determini il
significato, è necessario considerare il segno non ancora nella totalità di
relazioni possibili ma nelle relazioni con almeno un altro segno, da almeno un
altro punto di vista. In questo senso l’errore è esso stesso una forma di
limitazione della comprensione, poiché va oltre la domanda sulla effettività
della relazione di un segno ad un altro. Tuttavia, per il fatto che la semiosi
non è mai di un segno in se stesso, ma almeno di un segno nel rapporto ad un
altro interpretante o segno differente, allora è necessario mostrare come la
forma significativa sia effettivamente una relazione tra valori differenti.
In Saussure, la
questione dell’identità, come abbiamo accennato nel secondo capitolo, è
marginale, poiché è opposta al linguaggio: l’identità è l’unica cosa semplice
in opposizione al fatto che il linguaggio è complesso. Riprendiamo ancora le leggende germaniche:
«L’exercice qui consiste à rechercher une
“identité” entre un personnage de l’histoire ne saurait avoir, d’avance, qu’ne
portée très limitée.[93]»
«Toute chose matérielle est déjà pour nous signe: c’est-à-dire impression que nous
associons à d’autres, mais la chose matérielle paraît indispensable. La seule
particularité du signe linguistique est de produire une association plus
précise que toute autre, et peut-être verra-t-on que c’est là la forme la plus
parfaite d’associations d’idées, ne pouvant être réalisée que sur un sôme
conventionnel.[96]»
La lingua che
circola tra i parlanti è, in questo senso, in una differenza confusa di idee scorrente sulla superficie d’una
differenza di forme[97]
che di per sé non sono analizzabili. La scrittura, invece, in virtù delle sue
differenze sostanziali rispetto all’atto fonico della parole, permane come un limite normativo per la lingua ed
in questo senso è un pericolo. In effetti, afferma il Saussure, la lingua
letteraria è il travestimento che la lingua non può non indossare là dove
arriva a possedere una sfera di diffusione separata, ossia all’interno del
libro. Questo limite della lingua letteraria fa luce sul problema che riveste
la specificità del segno grafico. Se questo fosse subordinato soltanto a
rapporti di tipo spaziale, come nel caso del quadrato tagliato da una diagonale
che mostra Saussure, è chiaro che sarebbe nient’altro che un simbolo
convenzionale tracciato per un gioco casuale e involontario[98].
Ma, poiché i segni della lingua scritta sono essi stessi significativi e
sistematici, allora essi hanno un ruolo nel sistema della lingua che non è soltanto
quello della individuazione delle unità. La problematicità della considerazione
delle forme semiologiche rispetto alla scrittura intesa come deposito della
significatività, ma anche come fenomeno complesso di tipo linguistico, è la
questione più volte ripresa da Saussure:
«Sventuratamente
per la linguistica vi sono tre maniere di rappresentarsi la parola. La prima è
fare della parola un essere esistente completamente fuori di noi, ciò che può
essere rappresentato dalla parola celata nel dizionario, almeno grazie alla
scrittura; in questo caso il senso della parola diventa un attributo, una cosa
distinta dalla parola; e le due cose sono dotate artificialmente di
un’esistenza, grazie a ciò anche indipendenti a un tempo stesso l’una
dall’altra e ciascuna anche dal nostro concepirle; esse diventano l’una e
l’altra oggettive e sembrano inoltre
costituire due entità.[99]»
I segni
linguistici si costituiscono per differenza, trovando unità nel luogo proprio
della parola, lo spirito o coscienza del parlante, afferma Saussure, il luogo
in cui la distinzione tra i due piani del segno, di significante e di
significato, trova sintesi. Il segno scritto è dunque oggetto di studio della
linguistica, mentre la lingua letteraria, che Saussure considera come un
aspetto teratologico della lingua, poiché capovolge e deforma questa
alterandone il percorso naturale, dona paradossalmente linfa alla lingua,
imponendo le sue influenze anche alla massa parlante che vive al di fuori dei
circoli e delle accademie.
«All’interno d’una
stessa lingua, tutto il movimento evolutivo può essere contrassegnato da un
continuo passaggio dal motivato all’arbitrario e dall’arbitrario al motivato;
questo va e vieni ha spesso il risultato di spostare sensibilmente le
proporzioni delle due categorie di segni.[100]»
Soltanto in
questo senso generale, dunque, per esempio, anche la trascrizione fonetica è
una trasposizione, ossia una prima forma di trasformazione simbolica in cui i
valori naturali, convenzionali e arbitrari tra i quali si realizza il processo
di composizione delle unità linguistiche sono sempre rigenerabili e mai dati
definitivamente. Nel caso letterario delle leggende germaniche dei Nibelunghi analizzato
da Saussure, la persona mitica è simbolo in virtù del nome, della posizione, e
dei movimenti che compie all’interno del sistema, dipende dunque dalla funzione
e dalla possibilità dei mutamenti. Questi sono in un continuum graduale e non
frammentario, risultato e modo di presentarsi della continuità logica, specchio
della continuità sistemica dei segni in gioco, e delle loro significazioni. Non
c’è un termine linguistico che non sia simbolico, e il simbolo è, di fatto,
quello significante. A questo proposito Aldo Prosdocimi rileva che in Saussure
l’unità drammatica si costituisce negli innesti delle leggende in cui il
significato dei simboli o delle forme linguistiche si istituisce nel continuo
interscambio e gioco di sensi tra almeno due universi diversi, non da storia a
leggenda, ma dal riconoscimento di un oblio o mancanza fino a quel “qualcosa”
che è l’evoluzione del racconto. I fattori di cambiamento si riversano sulle
lacune della storia ordinaria, attraverso la trasformazione dell’essere mitico
o simbolo in fattore positivo, ovvero in qualcosa di vivente e significativo.
Prosdocimi afferma che, in effetti, le tematiche dell’unità e dell’identità
sono legate all’apparire della scrittura alfabetica; in questo senso possiamo
vedere come il carattere alfabetico permette di fissare l’identità linguistica.
La tautologia dell’equivalenza di un tratto a se stesso, tuttavia, non chiude
le porte alle questioni più specifiche della scrittura alfabetica e dei
sistemi. Ciò che è frammentario, infatti, non può essere, in sé, un’unità ed è
perciò necessaria una intertestualità che va da leggenda a leggenda. Esiste
dunque un “individu graphique” che rientra in un più ampio “individu
sémiologique”[101], risultato
di un valore fonetico, una forma grafica, un nome e un numero. Tuttavia è nel
momento in cui le diverse forme del segno sono lanciate in circolazione che
l’esistenza individuale diventa simbolica. Persona mitica, mot (parola o segno) e lettera dell’alfabeto, possono
innestarsi in altre unità, modificando i caratteri e le qualità. Il limite si
costituisce allora nell’uso, nell’impiego dei segni come forme linguistiche. Ci
sono, dunque, alcune caratteristiche proprie della scrittura che portano alla
luce la sistematicità della lingua. La significazione si realizza
pluridimensionalmente, riunendo a sé ciò che il termine generale comprende,
ossia basandosi sulla linearità, per prima cosa, proprietà specifica di un
sistema linguistico, e attraendo a sé le logiche della grammatica e della
semantica. In effetti, ci sono dimensioni del segno, afferma Saussure, che
vanno dalla linearità monodimensionale dell’atto fonatorio alla
pluridimensionalità spaziale del segno grafico. Ha insistito su questo Sylvain
Auroux, secondo il quale non vi è alcuna grammatica, e dunque
nessuna meta-linguistica esplicita, senza scrittura[102].
A questo proposito, pensiamo anche all’idea di Giorgio R. Cardona secondo il
quale se mai fosse possibile un vero modello definitivo che definisca il
pensiero, questo dovrebbe essere tridimensionale con costellazioni, cellule
interne, intersezioni di piani.[103]
Si tratta, infatti, di pensare alla possibilità complessiva di ricostruire il
percorso della stratificazione delle unità e dei sistemi delle quali il simbolo
è rappresentazione, quindi fondamento della forma linguistica, e la domanda
ricade nella possibilità di fermare le unità in una forma semiologica stabile.
A tal proposito Saussure, nel terzo corso, si chiede che cos’è che rappresenta
le identità nella lingua, e la risposta è quella di un elemento soggettivo
indefinibile.
3.2. Il
limite della lettera
La lingua che si
costituisce attraverso la scrittura è, possiamo affermare, una realtà che si
forma nelle differenze della significazione, permettendoci così di dimenticare
la vecchia nozione di segno preconfezionato destinato ad un contenuto già dato
ed avvicinando lo spazio del simbolico. La lingua letteraria non è, allora,
lettera morta, ma luogo del rapporto reciproco con la lingua corrente, per il
fatto che essa, come prodotto della cultura, giunge a distaccare la sua sfera
d’esistenza dalla sfera naturale, quella della lingua parlata[104],
ed insieme ne delinea le specificità. L’uso scritto richiede quindi,
necessariamente, un sistema, nel senso più generale e, poiché la scrittura è
almeno rappresentazione della lingua, immagine di questa, specchio dal quale
riconoscere i limiti della significazione, allora essa diventa canale di
approdo al simbolico e alla lingua condivisa da una comunità, in cui la lettera
scritta non è soltanto indice di una lingua preesistente, ma, invece, modo di
realizzazione della linguisticità. La lingua letteraria è già il risultato di
un’azione in cui la scrittura ne mostra alcune caratteristiche specifiche, come
materiale significativo, nei luoghi in cui significati e significanti
linguistici si ritrovano a dialogare, portando come bagaglio più o meno pesante
la necessaria semioticità precedente anche non verbale. Il simbolo è, dunque,
necessariamente, segno in uso, laddove la preminenza della continuità sistemica
permette di afferrare un limite logico riconoscibile che si realizza al di
fuori della logica identitaria. Attraverso i mutamenti che hanno luogo tra le
forme di realizzazione della lingua, la differenziazione non è realizzabile
definitivamente, così come, riprendendo l’esempio saussuriano, una composizione
musicale non esiste una volta per tutte per il solo fatto di essere stata
eseguita, e appare dunque più vicina ad un modo di presentazione di un aspetto
al limite tra linguisticità e pensiero non verbale, nelle forme di
attualizzazione e conservazione che possiamo racchiudere nel termine generale
di simbolicità. Ogni lingua viva mostra i limiti di ciascun segno tra i livelli
diversi di coscienza linguistica. Pensiamo, per esempio, alla distinzione esistente
tra senso proprio e senso figurato, nel senso in cui richiama oltre il
contesto, la necessità di una tradizione che distingua le forme significative.
In questo senso la scrittura è tradizione, se considerata al margine della
lingua letteraria. Le unità irriducibili delle lingue, infatti, secondo
Saussure, sono testimoniate dai monumenti poetici e dai mezzi di maggior
controllo della lingua stessa, ossia la rima e l’assonanza. In effetti, se il
contesto non è più sufficiente ad attrarre i poli estremi dell’azione
comunicativa verbale, ci si ritrova in un terreno secondario, il limite del
quale è sempre presente nel testo scritto. La visibilità dei segni grafici che
indicano una significatività pregressa, è in Saussure, ancora una volta, indice
del movimento di significato e significante.
«Questo è ancor
più vero per il significante linguistico; nella sua essenza, esso non è affatto
fonico, è incorporeo, costituito non dalla sua sostanza materiale, ma
unicamente dalle differenze che separano la sua immagine da tutte le altre.[105]»
Un esempio di
Saussure è la sequenza dei fatti di lingua: rei, roï, roè, roa, rwa, ciascuno
in un’epoca diversa che vede nella scrittura, invece, rispettivamente,
susseguirsi rei, roi, roi, roi, roi. Per il fatto che sincronicamente vi è
sempre mutamento, dunque significazione, possiamo considerare in un senso più
generale l’identità (intesa come equivalenza) tra i sistemi semiotici, quello
di lingua e quello della scrittura, in cui si perdono le caratteristiche
specifiche di ciascuno.
«Un syncronisme se compose d’un certain nombre de termes
(termini) qui se partagent l’ensemble de la
matière à signifier.[106]»
In un movimento
a ritroso, dal riconoscimento dell’identità sistemica al segno nella sua
complessità, è necessario compiere uno slittamento attraverso l’uso, nei limiti
concessi dalla prassi. È nella manifestazione della scrittura, infatti, che si
viene a costituire un’altra lingua[107],
un diverso sistema. Per il fatto che l’arbitrarietà linguistica si regge in se
stessa, la sua conservazione e i suoi mutamenti vivono tra la massa parlante
nel tempo. In effetti, Saussure rileva come, in generale, conosciamo la lingua
mediante la scrittura e per la nostra stessa lingua materna il documento
scritto interviene di continuo[108]
come parte del sistema linguistico. In particolare, il linguista ginevrino si
chiede se una lingua implica necessariamente l’uso della scrittura, per ciò che
riguarda la lingua letteraria omerica che, possiamo dire, è già il risultato di
un’azione che deriva da una prassi socio-simbolica. Per il fatto che la lingua
è in ogni istante rinnovabile e rinnovata dall’azione della parola in uso tra i
parlanti, quel materiale grafico che eccede la pura fisicità si configura come
il luogo in cui significati e significanti linguistici si ritrovano a
dialogare. Ciò che viene a mutare è la possibilità della presa di parola che
realizza la sequenza di azioni, ciascuna delle quali è un risultato relativo
perché soggetto ad un’ulteriore e necessaria azione.
«Per
“lingua letteraria” intendiamo non soltanto la lingua della letteratura, ma, in
un senso più generale, ogni specie di lingua di cultura, ufficiale o non, al
servizio dell’intera comunità.[109]»
La
lingua letteraria, pur non dipendendo strettamente dalla scrittura, poiché non
è subordinata ad essa, ritaglia e circoscrive la lingua in uso. Il segno va
dunque considerato nella sua totalità di significato e significante, ed è in
questo senso che, come abbiamo visto nel secondo capitolo, scrivere le lettere
in bianco e nero, incidendole o in rilievo, con una penna o con uno scalpello è
senza importanza per la loro significazione. La lingua scritta si configura
allora come un modo per riconoscere i confini della realizzazione linguistica
con l’insieme di sensi che il preverbale porta con sé, liberando la strada
verso l’arbitrarietà. Se già il simbolo è di per sé conseguenza e indice di
un’azione complessa, sociale, c’è in ciascun segno l’impronta del pensiero
collettivo, nel senso in cui, afferma Saussure, il valore di un segno verbale
rispetto all’azione che lo governa si muove nel tempo, seguendo le trame della
temporalità che lo rappresentano, così come, riprendendo un esempio di
Saussure, il valore di un biglietto del treno non obliterato muta durante e
dopo la scadenza del biglietto stesso. Nella lingua tutto è negativo e
differenziale, ed è nella continuità dei propri giochi che mette in campo il
processo di semiosi, in cui ciascun segno è imprigionato nella rete dei ruoli
che gli altri segni indossano arbitrariamente.
«On arrive ainsi au principe de continuité qui annule la liberté, et qui d’autre
part implique l’alteration, c’est-à-dire le déplacement des valeurs.[110]»
La lingua
diventa, dunque, tangibile nella scrittura, tanto da poter essere considerata
essa stessa un documento storico, testimone di fatti sociali realmente
accaduti. La forma (che è il senso) diventa suscettibile al suo poter essere
scritta[111] e la forma
linguistica della scrittura muta ciò che della lingua può esser visto. Pensiamo
ancora alla Primità peirceana: questa non sarebbe visibile se non vi fosse
almeno la Binarità, ma questa, ancora, non sarebbe visibile nella sua totalità
se non ci fosse un punto di vista esterno, la Terzità, il luogo della lingua e
della semiosi interpretativa dei segni. Testimoniata dalla lingua scritta,
l’azione sociale diventa tale nel momento in cui può essere ricostruita sulle
rovine dell’informe attraverso una ricomposizione, luogo di passaggio da
un’arbitrarietà forte ad una relativa che è quella della trasmissione dei
segni. Afferma De Mauro, a proposito del terzo corso di Linguistica generale:
«E troviamo qui
una ripresa di attenzione per il ruolo particolare che la scripta ha nel costituirsi di comunità e tradizioni
linguistiche a sussidio della trasmissibilità temporale e sociale dei segni,
oltre la loro primaria vocalità e uditività.[112]»
Il sistema della
lingua e il sistema della scrittura hanno un rapporto stretto e inestricabile,
mentre la relazione che intercorre tra i due sistemi è formulabile attraverso
il principio stesso che regola le forme della prassi comunicativa verbale,
ossia l’analogia che è la forma più semplice e produttiva del movimento e della
conservazione della lingua. Possiamo quindi affermare che la lingua scritta da
un lato si evolve in se stessa, come un sistema chiuso e completo che elabora
produttivamente e naturalmente le regolarità, le regole e le differenze della
lingua; dall’altro la forma che la scrittura costruisce e mostra attraverso la
linearità dei segni evidenzia come la fluttuazione sistemica delle
significazioni determini una serie di equivalenze nella convenzionalità dei
segni che diventa limite dell’arbitrarietà.
3.3. La lingua è un documento storico
Già nelle tre prolusioni
ginevrine Saussure porta la scrittura su un piano parallelo a quello della
lingua. Se ne intravedono così le diverse sfaccettature, poiché essa si pone
come terreno di possibilità dei mutamenti linguistici, ma contemporaneamente,
anche se sotto punti di vista differenti, la lingua scritta è un vincolo tale
da diventare peso ed ostacolo per la mutabilità. Tuttavia essa non esclude il
principale modo di realizzazione della significazione che è regolato dalla
logica della continuità sistemica più generale.
«Distinguiamo la
lingua francese e la lingua latina, il tedesco moderno e il germanico di
Arminio come si distingue [ ] e allora si ammette che l’uno comincia e che
l’altro finisce da qualche parte, il che è arbitrario.[113]»
La continuità
dei segni è tale da non avere mai un vero e proprio punto di equilibrio, che
sia stabile e fisso, a meno che non ci si trovi nella “tirannia della lingua
scritta” che si configura come ostacolo nel cammino della lingua. Il
cambiamento analogico riguarda la scrittura come la lingua[114],
poiché si pone su un livello di coscienza linguistica che non teme l’errore. Il
superamento della logica identitaria si dispiega nelle due forze che regolano
la continuità e dunque la mutabilità: l’unità della lingua e il movimento della
lingua. Essi si posizionano nell’irreversibilità delle trasformazioni che
presuppongono l’assenza di entità completamente circoscrivibili: lo scarto tra mondo
verbale e sviluppo evolutivo di un organismo, inconcepibile dal punto di vista
peirceano, va contemplato invece nella avversione di Saussure nel concepire la
lingua come un essere organico e dunque naturale. Se non è possibile, dunque,
parlare di scarto all’interno della linguistica storica, esso è presente nel
senso di oblio, assenza, anti-posizionamento all’interno della sfera dei fatti
del linguaggio. La Natursymbolik di W. Müller a cui Saussure si oppone proprio
per sostenere che il fondamento di legame naturale dei simboli ad un referente,
è tale soltanto alla luce dell’arbitrarietà relativa dei fatti simbolici e non
per il fatto che il simbolo è un essere determinato in sé. La coerenza dei
fatti della scrittura sotto la forma testuale della leggenda con l’accadimento
o il fatto sociale dipende strettamente da una ricerca in cui la scrittura
perde la connotazione che Saussure dà di essa come fattore degenerativo della
lingua. In effetti, quando si parla di inganno della scrittura si fa
riferimento alla determinazione che i segni scritti oppongono all’informità
della naturalità in sé, in cui la frammentarietà è irriconoscibile anche se ha
un valore storico. La lingua è, quindi, un documento storico testimoniato dalla
scrittura che si configura a sua volta come testimone diretto di una o più
lingue. Similmente, il metodo comparativo della storia documentaria che Peirce
oppone alla storia critica[115],
inseguendo la parallela teoresi della
storia testimoniata dai soggetti parlanti, accoglie, trasformandola, la
parentela che si instaura tra le modificazioni delimitate dei simboli. Ciò che
si oppone all’arbitrario è ciò che elimina la possibilità di una evoluzione
intesa come cambiamento effettivo delle forme e delle significazioni. Gran
parte delle realizzazioni foniche, ad esempio, ricadrebbero, se così fosse, nel
calderone dell’indecidibilità sul piano del significato e ci sarebbe una
tendenza alla pura indicalità, cosa che non è possibile neppure nei segni che
rientrano nelle categorie trasformabili della semiotica peirceana. Nella scrittura
nulla è lasciato al caso o puro accidente, rimangono tuttavia aperti luoghi già
circoscritti dagli abiti del tempo, in cui la memoria si disfa continuamente
senza dare la possibilità di spiegare le ragioni delle regole sempre
rinnovabili della linguisticità. La lingua come testimonianza si manifesta nei
legami sociali in atto, da un lato, ma dall’altro si appoggia sui segni
materiali che possono essere interrogati[116].
La lingua è, allora, in un senso, un documento storico nelle manifestazioni che
dà di se stessa, là dove indica, ad esempio, un certo tipo di organizzazione
sociale. Le differenze di temporalità e usabilità tra lingua scritta e lingua
parlata lasciano intatte, risolvendosi in esse, le proprietà e i principi che
regolano ciascun sistema, nell’approssimazione che la coscienza dei parlati
rende sempre concreta. La stabilità di cui la visibilità della lettera scritta
è portatrice ha una corrispondenza sul piano della materialità significante, in
cui lo schema grafico mostra l’essenziale corrispondenza tra i sistemi.
«La linea
spaziale dei segni grafici corrisponde nei segni fonici alla successione nel
tempo.[117]»
L’isomorfismo
sistemico che il linguista rileva sembra nascondere, dunque, la preminenza
della scrittura nell’ordine del linguaggio, fino ad ipotizzare una potenziale
onniformatività della scrittura rispetto alla lingua, con una forma di
verbalità specifica della scrittura in cui l’attenzione si sposta sulla
dinamicità del significato rispetto alla stabilità del significante,
conseguenza logica della negazione, per differenza, dell’azione verbale
attualizzata dai parlanti. Le dimensioni segniche, ossia quella pragmatica,
espressiva, semantica e sintattica sono ricondotte alla linguisticità pregressa
della lingua in uso. La ricostruzione o il ripristino delle diversità che
Saussure si propone di spiegare già nel primo corso di linguistica generale[118]
si allinea con la necessità di una ricomposizione delle forme, che si lega
inevitabilmente con l’unità necessaria che si costituisce nel legame con i
monumenti scritti. Se lo scarto tra lingua e scrittura è a-progettuale,
involontario, non c’è in tutti i casi una separazione netta o assoluta tra i
piani del discorso. La parola che si pone nel cammino della lingua come unità
significativa ne altera il materiale, poiché altera il rapporto dei segni con
il pensiero. Se questo è vero per tutti i sistemi di segni, la materia è
indifferente alla determinazione delle unità. Esiste, tuttavia, una
separazione, che è un limite tra i sistemi in uno stesso stato, non puramente
qualitativa, che frammenta la realtà significativa di cui il segno è parte, che
riguarda la questione dell’identità di un segno ed è dunque simile alla ricerca
di un’appartenenza del segno ad un sistema. Ma questo significherebbe negare
l’appartenenza potenziale ad un altro, cosa che nelle lingue non può darsi.
L’autonomia sistemica si ritrova dunque sul piano strutturale, interno a
ciascun sistema che ne delinea le proprietà. Si tratta di realtà semiologiche
in cui la lingua ne ritaglia le unità ma il cui funzionamento rimane un enigma,
nell’incalcolabilità che le è propria, che non è semplice indeterminatezza. La
divisione in categorie che rispecchia quella delle unità non è dunque,
soltanto, la questione complessa che riguarda il linguaggio e la lingua, e
dunque ricade nelle conformazioni di altri sistemi maggiormente soggetti alla
frammentazione materiale, poiché dipendenti da altre forme semiologiche.
Saussure mostra come la funzione della sostanza materiale rispecchia un
paradosso che è fondamentalmente legato al fenomeno della delimitazione delle
unità e in opposizione ad una prima formulazione di valore. Questo si configura
in opposizione alla forma storica o alla storia della parola: nel percorso
saussuriano il valore è dapprima l’impressione.[119]
Considerare soltanto questa definizione porterebbe tuttavia a ridurre la lingua
ad immagine di qualche altra cosa, di un sistema come la scrittura, per esempio,
in cui vi è già rappresentazione di idee dapprima amorfe o irraggiungibili se
non attraverso l’azione dei parlanti. Si pone qui la dualità tra ciò che deve
ancora avere luogo, un’unità che è una composizione di valori differenti ma
riuniti sotto almeno un punto di vista, e ciò che è in atto ma che non può
essere compreso da alcun sistema già dato, ovvero il fenomeno semiotico di per
sé. L’identità che Saussure nega è, dunque, subordinata alla logica della forma
come fenomeno o impressione, che si esplica nel secondo corso ma che resta
irrisolta senza l’appello alla famiglia linguistica che è comunque un dato
astratto, proprio in virtù dell’illimitatezza potenziale dei rapporti tra le
lingue e i sistemi semiologici in uso. Si tratta di un circolo vizioso che
afferra tutti i sistemi, come abbiamo già visto, ma che connette i punti di
vista più generali, diacronico e sincronico, alle modalità di realizzazione
delle analisi che Saussure annette soltanto alle prospettive di tipo diacronico,
ossia la prospettiva “prospettica” e quella retrospettiva che coincide con la
ricostruzione dei fatti.
La suddivisione
tra sincronia e diacronia non è soltanto, dunque, quella di punti di vista. Si
tratta, infatti, di una necessità naturale che determina leggi diverse, in base
ai fatti eventuali (della parole), e
fonetici (rispetto al singolo individuo), che Saussure pone rispettivamente
nelle leggi sincroniche e nelle leggi diacroniche. Il carattere accidentale
della parole viene chiuso in un
proponimento sistemico che resta comunque irrisolvibile dal punto di vista
della linguistica statica, l’ordine della quale è esemplificativo ma non può
comprendere le funzionalità della lingua. Nella diacronia Saussure vede una
forza imperativa sanzionabile dal parlante che è anche il risultato
dell’avvenimento. Ma un fenomeno rappresentato come funzionalità pura non è un
fatto di lingua e non spiega di per sé la differenzialità dei rapporti tra i
segni. Il punto di vista sincronico che racchiude il livello sintagmatico e
associativo esclude le leggi dei cambiamenti fonetici probabilmente proprio per
il fatto che non è soltanto il punto di vista che forma la significazione: esso
costruisce un prototipo, una normatività cristallizzata che non può essere
segno linguistico. In questo senso rileggiamo ciò che abbiamo accennato nel
secondo capitolo a proposito della scrittura come documento indiretto che nel
terzo corso di Linguistica generale emerge come intermediario necessario per la
testimonianza della lingua. La scrittura rielegge la lingua, dal punto di vista
sincronico, a modello indefinito, mentre diacronicamente la lega ad un
carattere ideale che non è mai presente. È dunque la negatività di una forma
visibile che passa attraverso i segni grafici ed i segni della scrittura a
rafforzare la sistematicità interna alla lingua che è strutturale e si
configura, dunque, in comunione con gli altri sistemi semiotici,
allontanandosene poi, per differenza, nella pratica dei soggetti parlanti. Le
due specie di identità, quella attraverso il tempo e quella sincronica, portano
in primo piano la struttura formale dei sistemi linguistici, quello della
lingua e quello della scrittura e ne fermano il percorso nell’intreccio dei
sistemi semiologici, fino a consegnare questi al confine del linguaggio. Se la
correlazione tra i segni di diversi sistemi è un modo per non fermare la
sostanza segnica alla pura fenomenologia dell’azione parlata, le unità ne
risolvono la questione generale ma non il riconoscimento in identità. Un punto
che possiamo qui fermare, quindi, è il fatto che la lingua è ancorata a diverse
forme di interpretazione che diventano linguistiche nel passaggio attraverso
codici diversi e complementari e classi di sensi corrispondenti nei sistemi
semiologici più generali.
4. La simbolicità e le
logiche della scrittura
C’est le sens qui crée
l’unité, on le voit donc.
F. de Saussure, 1957, p. 42.
4.0. Premessa:
la scrittura e la testimonianza linguistica
I segni grafici,
considerati rispetto alla negatività linguistica, permettono di formulare
un’ipotesi di sussistenza sistemica della lingua scritta rispetto alla lingua
parlata, che nella comunicazione verbale rimane trasformazione o residuo di
proprietà sistemiche parallele ma non incongiungibili. La scrittura è
testimone, dunque, delle età linguistiche nel modello generale che è la lingua,
e attraverso la forma di schema complesso della relazionalità segnica che regge
il pensiero verbale. La vastità della formulazione che guarda alla scrittura
come ad uno strumento artificiale che si pone nella naturalità della lingua
richiede la considerazione di forme diverse di scrittura e la necessità di
valutare non soltanto le sistematicità strutturali ma le incongruenze tra le
quali quella individuale ne è l’embrione, nelle dimensioni che realizzano le
forme del segno. Si tratta allora di de-storicizzare, in un certo senso, la
simbolicità interna ad ogni contesto linguistico per poter cogliere la
significatività specifica della scrittura nella forma che supera, va al di là
del valore del segno grafico considerato come pura immagine o impressione. Il
carattere complesso della rappresentazione scritta non può, dunque, essere
sintetizzato dalla tradizione linguistica, né dalla posizione che la scrittura
assume in un gruppo sociale; tuttavia, anche parlare di strumento del pensiero
risulta riduttivo. Stringiamo così una delle posizioni più vicine a quelle che
danno garanzia della scrittura come sistema semiologico di tipo linguistico, in
cui i segni grafici si piegano alla combinatorietà delle regole linguistiche
basate sulla linearità del significante.
4.1.
Riscrivere le lingue: un’operazione semiologica
La comunicazione
verbale si costituisce, dunque, come punto di approdo del simbolico alle lingue
storico-naturali. Lo spazio che si interpone come luogo di passaggio tra la
preverbalità e la verbalità è quello di una simbolicità manifesta perché
condivisa dai parlanti, ma che si avvale di una conoscenza implicita o tacita
in cui i simboli come segni complessi e normativi realizzano i presupposti
della piena articolazione dei significati. La scrittura si istituisce, dunque,
come una lingua particolare, tale da mettere in atto i significati su un altro
piano del simbolico, fino a delimitare l’estensione e allargare i confini della
comprensione dell’azione verbale. Il pensiero scritto si nutre di lingue
diverse, già inserite nella potenzialità linguistica e potenzialmente
scrivibili. Quali sono le caratteristiche specifiche è la domanda che abbiamo
visto susseguirsi e che è utile a delineare quegli aspetti relativi alla
reciprocità sistemica con le lingue che possono essere scritte. Afferma De
Mauro:
«E quindi è vero
che nelle lingue scritte si può avere questa impressione di staticità. Ma
Saussure spiega che il prezzo della staticità è poi il crollo improvviso di
questa massa linguistica statica e l’emergere di ciò che invece era reale nel
parlato. Saussure invita sempre i suoi alunni a far attenzione alla variabilità
estrema degli usi individuali, degli usi sociali, reali di una lingua. Una
variabilità che potrebbe compromettere la comprensione reciproca. Eppure,
aggiungeva, alla fine ci capiamo.[120]»
Destituita della
sua complessità, la lingua condivisa da una comunità, sul piano operazionale,
si nutre di continui mutamenti attraverso la composizione e la scomposizione
dei testi di cui si serve e dei quali è parte. Prima di depositarsi nel tesoro
della massa parlante che ne fissa le forme suscettibili di essere comprese, il
flusso delle azioni tra i parlanti si nutre di indiscriminazioni tali da
ignorare il problema dell’errore, da sorvolarne il senso al fine
dell’attuazione dei significati che devono poter essere esperibili per essere
riconosciuti. Il passaggio alla forma successiva, di quella che intuitivamente
possiamo chiamare una traduzione simbolica e che attraversa i dizionari e le
grammatiche, è ciò che allontana il parlante dalla usuale e abitudinaria forma
di convivenza nella lingua di cui conosce implicitamente il funzionamento.
«Proprio questa
possibilità di fissare le cose relative alla lingua fa sì che un dizionario e
una grammatica possano esserne una rappresentazione fedele, la lingua essendo
il deposito delle immagini acustiche e la scrittura essendo la forma tangibile
di queste immagini.[121]»
Pensiamo, per
esempio, alla logica del funzionamento dei crittogrammi o alle scritture
segrete, alla corrispondenza tra Mary Stuart e i suoi potenziali complici della
fuga mai avvenuta. La chiave codificata è tecnicamente il mezzo che disvela la
struttura del testo, ovvero ciò che permette di scoprire l’algoritmo o il
procedimento che sta alla base della costruzione del messaggio. Chiaramente in
questo caso stiamo parlando di decifrazione, ossia applicazione di procedimenti
logico-matematici o statistici, poiché un modo per decifrare alcuni tipi di
crittogrammi è, ad esempio, analizzare le frequenze dei simboli presenti[122].
Tuttavia, sul piano delle lingue la situazione è più complessa. I casi mostrati
da D’Arco Silvio Avalle sono esempi di ricerca della commistione tra la lingua
scritta, il latino, e quella parlata, il volgare, in cui era il latino che
imitava il volgare[123].
Rispetto alla corrispondenza segreta della regina scozzese, in cui la chiave è
frutto di una decisione consapevolmente presa dai soli ideatori del codice,
quei messaggi segnaletici sono soltanto in parte strumentali ad un uso particolare
di una lingua. Si tratta invece, abbiamo visto, di considerare la lingua
scritta su due piani: quello della sistematicità e quello della materialità
significativa. Il rapporto sistemico è in Saussure potenzialmente omologo e
analogo alla lingua parlata, mentre per delimitare l’azione significativa della
scrittura rispetto alla lingua è necessario ritagliare la materia del
contenuto, ovvero circoscrivere la significazione. La scrittura appare in
questo senso parallela se non equivalente alla lingua, ma su un piano
dimensionale differente. La complementarità tra i due sistemi è sempre
irrealizzabile e sfuggente di per sé, poiché c’è uno slittamento tra le forme
tale da non avere mai una completa sovrapposizione delle unità rispettive dei
due sistemi, ovvero dei segni in uso. Il parlante non ha di fronte a sé una
lista di regole da applicare che ricoprono il campo d’azione del suo atto
linguistico. La temporalità dell’azione comunicativa non ha a che fare con
un’applicazione autocosciente delle regole linguistiche, proprio per il fatto
che non ci sono istruzioni che il parlante non può non conoscere: la lingua dei
parlanti è quella lingua i cui mutamenti non sono dovuti ad azioni esterne
all’atto comunicativo.
Il lavoro
peirceano si basa su un piano operazionale della lingua, muovendosi in uno
stadio del simbolico che può di per sé non avere alcun legame con il
linguistico. Conoscere la regola a priori e applicare la regola è un
procedimento che non ha a che fare con l’azione naturale del parlante, come abbiamo
visto nei grafi esistenziali. Si offre, in realtà, una forma spazio-temporale
simile a quella che possiamo ipotizzare come base del processo di guessing
inferenziale, ma quest’ultimo, di fatto, potrebbe situarsi all’opposto della
sintassi diagrammatica. L’interscambio tra grafista e foglio d’asserzione è
effettivamente nelle mani di un individuo, mente sociale, ma che agisce come
risultato di regole già pensate, di piani già percorsi. Nei cambiamenti
linguistici non c’è una regola sovradeterminante che agisce sui parlanti, poiché
è nel gioco stesso che si costruiscono le regole e le possibili regolarità. È
chiaro che c’è una verbalità nella lingua scritta che eccede la materia grafica
e fa del segno grafico un fatto di lingua, per il fatto che la materia
significante si disfa continuamente tra le norme sempre rinnovabili della
linguisticità. Ciò che sarebbe stata la fine della protosimbolicità può
costituirsi invece come il luogo dello scarto tra simbolico e linguistico, là
dove non è necessaria una prassi comunicativa verbale. Ma le lingue non possono
che incontrare questi elementi che vivono tra natura e cultura, tra esperienze
innate connaturate all’animale umano e l’umanizzazione linguistica che
chiamiamo verbalità. Si può immaginare di poter attraversare i percorsi
linguistici, pensando ad un mondo simbolico in cui la riflessione esperisce con
i mezzi che le sono propri, immaginando ciò che potrebbe accadere, ipotizzando
luoghi e segni dei luoghi, mentre il tempo deforma le trasformazioni dei segni
senza poter restituire ciò di cui hanno bisogno per mutarsi in norma sociale
condivisa e mostrabile. Se la lingua non interviene a colmare i solchi scavati
dalla natura simbolica in sé che i segni portano nella loro individualità, essi
non restano che nel luogo della possibile realizzazione o pura potenzialità.
Proviamo ora a
delineare le differenze sistemiche tra lingua e scrittura, intese come
proprietà specifiche. Se la parole non
può evolversi, poiché essa è un evento, la scrittura, al contrario, può
evolversi, poiché ogni scrittura è riscrittura e non può essere annullata. Vi è
inoltre un’irreversibilità della scrittura, per il fatto che è essenzialmente
lineare e perché riconosce anche una pluridimensionalità nella linearità. È
probabilmente la questione che Peirce affronta implicitamente, pur non
considerando la portata teorica della sua applicazione da questo punto di
vista. La nozione di arbitrarietà appare nei testi peirceani dal momento in cui
a proposito della spiegazione dei rapporti tra il segno e il proprio oggetto,
il filosofo si chiede fino a che punto il Segno è diverso dal suo Oggetto. Il
fatto che esso sia diverso dal suo oggetto è arbitrario. In altre parole, una
cosa per essere segno deve poter comportare uno slittamento di senso, ma sempre
all’interno del segno. Si tratta di un modo di vedere la sistematicità di un sema che porta in sé l’intera complessità strutturale
della significazione. Così un esempio di segno arbitrario è l’enunciato: Caino
uccise Abele in cui ci sono tre oggetti,
ossia Caino, Abele e Uccidere.
«Ora, il Segno e
la Sua spiegazione costituiscono insieme un altro Segno, e dal momento che la
sua spiegazione sarà un Segno, richiederà una spiegazione supplementare che
insieme con il Segno già ampliato costituirà un Segno ancora più ampio:
procedendo nello stesso modo, alla fine si raggiungerà, o si dovrebbe
raggiungere, un Segno di se stesso che contiene la sua propria spiegazione e
quelle di tutte le sue parti significanti; e secondo questa spiegazione
ciascuna di tali parti ha un’altra parte come suo Oggetto.[124]»
Il punto di
arrivo è dunque il simbolo o l’Interpretante logico, che è segno di per sé,
poiché contiene il suo oggetto. Il presupposto peirceano è che la conoscenza
diretta delle cose è fondamento della possibilità del Segno che condivide con
la struttura della conoscenza scientifica le premesse. Logica, retorica e
grammatica sono, infatti, nella classificazione delle scienze una parte della
simbolistica che a sua volta è una parte della semiotica: la simbolistica si differenzia dalla scienza delle copie e dalla
scienza dei segni. Nel pragmatismo il significato di un concetto è la credenza,
ossia ciò sulla base della quale siamo preparati ad agire; la credenza è
riconosciuta esplicitamente nel giudizio. Peirce sembra rispondere alla domanda
sull’univocità dell’oggetto e dunque sull’arbitrarietà relativa a ciascun segno
contraddicendosi. Un unico oggetto si riferirebbe, infatti, ad un unico segno,
dunque ad un significato dell’azione pragmatica in atto o possibile ma attuale
nel progetto d’azione. Il significato individuale, tuttavia, non esiste, poiché
è sempre generale. In effetti, a meno che non si adotti una convenzionalità
pura, estraendone i caratteri dal contesto di formazione dei significati,
niente è uguale, in ogni istante, nella semiosi. Facendo a meno della
convenzionalità si tratterebbe, tuttavia, di rinunciare all’idea di una natura
costante delle significazioni. È allora necessario notare che il passaggio
dalla diagrammatizzazione alla lingua è segnato dall’intervento più o meno
forte di un’aprogettualità. Di base non potrebbe esserci linguisticità senza le
forme preverbali della semiosi, in cui si incontrano le epoche dei segni e la
possibilità dell’attualizzazione, dapprima potenziale e programmatica come
quella dei grafi esistenziali, seguita da ciò che può essere realizzato perchè
già in uso. L’autonomia della scrittura rispetto alla lingua si forma al di là
della semplice circolarità della semiosi senza, tuttavia, essere subordinata ad
essa, ma attraverso punti infinitesimali in cui il processo semiotico distribuisce
i granelli della significazione.
Rispetto
all’approccio peirceano che abbiamo considerato, la relazione tra scrittura,
diagrammatizzazione e poi grafematicità, e lingua pone in primo piano la
formulazione di una coincidenza più o meno presente tra i sistemi che entrano
in contatto nel percorso della significazione. Si tratta, allora, di tener
presente i cardini intorno ai quali, sollevata la questione della simbolicità
come unione tra la sfera preverbale e verbale, si manifestano i valori e le
forme linguistiche rispetto ad una semiosi circolare e priva di riferimenti.
L’appello alla temporalità assume caratteristiche determinanti ma non assolute
rispetto alla giunzione dei domini. Le differenti temporalità della materia segnica
rimandano, infatti, alla relazionalità tra le componenti delle unità
significative. Ciò che la permanenza della significazione oppone ai limiti del
senso simbolico trasportato degli enti che compongono la complessità sistemica,
diventa l’effettiva forma “normale” della semiosi. Passato e futuro delle idee,
legati nella coscienza del parlante interprete dei segni in atto, sono connessi
inevitabilmente da una serie di passi non discreti, ovvero continui nella forma
ma non determinati di per sé come se fossero origine e fine dell’unità. Proprio
per il fatto che non ci sono livelli subordinati rispetto all’istantaneità
della significazione, ma punti relazionali tra i segni, allora la logica che
mantiene sulla stessa linea di riferimento scrittura e lingua non scritta,
implica una concezione generale dell’esistenza dei segni come prova
dell’imperfezione e quindi della perfettibilità delle classificazioni.
In Saussure la
complessità sistemica della lingua è tale se si assume il punto di vista della
linguistica statica. Guardare alla forma stabile della significazione, tenendo
presente i sincronismi tra i diversi segni, permette di riconoscere come differenti
le unità sistemiche, e dunque i valori dei segni privi di un'identità
determinata. La differenzialità è dunque una proprietà che assume la forma
mutabile del percorso irreversibile della significazione. Il principio
universale dell’assoluta continuità della lingua nel tempo, come principio
della semiologia in generale, tocca le radici della stessa riflessione sulle
proprietà dell’universo simbolico. L’aspetto convenzionale del simbolo, che a
prima vista va a scontrarsi con la cosiddetta semiosi illimitata, permette di
vedere in che senso gli abiti e le regole sono essi stessi i limiti
significativi. In questo senso possiamo riprendere ciò che Peirce denomina “risultante
cognitiva” delle esperienze passate come forma di realizzazione dei segni che
permette il passaggio da una simbolicità implicita ai segni alla manifestazione
della forma di significazione. Dal cambiamento o mutabilità che la semanticità
veicola è possibile determinare, in un certo senso, la modificazione
interpretativa del simbolo.
«Any ordinary word, as “give”,
“bird”, “marriage”, is an example of a symbol. It is applicable to whatever
may be found to realize the idea connected with the word; it does not, in itself, identify
those things. It does not show us a bird, nor enact before our eyes a giving or
a marriage, but supposes that we are able to imagine those things, and have
associated the word with them.[125]»
La generalità
della mediazione simbolica fa sì, dunque, che le parole di una lingua
significhino in virtù della loro stessa possibilità di essere mediatrici tra
menti e segni, e determinanti la forma stessa della significazione. La continuità
si posiziona a fondamento della continuità verbale, in cui la scrittura e i
sistemi di cui essa è costituita sono parte. Scrittura e lingua trovano dunque
nella complessità del linguaggio un punto di incontro tra due domini diversi.
Si tratta, in Saussure, di uniformare i valori della lingua a quelli di una
simbolicità intesa come mediazione tra sistemi di segni differenti. Punto
comune ai modi di produzione e di realizzazione segnica è la negazione di
un’esistenza. Scrive Saussure:
La linguisticità
si costituisce come una forma simbolica che interrompe il flusso dell’uso
comune per delineare i tratti caratteristici di ciascuna unità, ed è nel terzo
corso di Linguistica generale che ritroviamo il valore che il segno grafico
realizza nella lingua, dall’interno, come fattore di differenziazione e dunque
di significazione del sistema. I diversi usi determinano di per sé un certo
valore da attribuire al fenomeno in corso: dalla contingenza effimera dell’atto
fonico, il passaggio alla materia grafica distribuisce in modo nuovo perché
differente le proprietà dell’arbitrarietà relativa a ciascun parlante,
occupandone l’essenziale effettività. Nella relazione tra lingua e scrittura la
riflessione saussuriana sull’identificazione del sistema della lingua con
quello della scrittura si poggia due posizioni principali che sorreggono i tre
corsi di Linguistica generale. La prima è la complessità sistemica che è forma
del linguaggio, la seconda è la concezione dell’arbitrarietà assoluta e
relativa, di forma e materialità di ciascun sistema, in cui ci sono unità e
elementi primi da riconsegnare alla coscienza del parlante. La delimitazione
mai specifica delle entità linguistiche è dunque delineata attraverso
opposizioni segniche, in generale, ma mostra alcune delle caratteristiche
specifiche attraverso la mediazione dei simboli come segni linguistici, luoghi
di formazione delle strutture letterarie come complessi e combinazioni di
elementi formali, e dunque terreno da cui si forma il corpo della lingua come
sistema, indipendente, di per sé, da una convenzione già data come normativa.
Il campo di indagine semiologico appare dunque un insieme non omogeneo di
realizzazioni sufficienti a riconsegnare alla scrittura l’azione di
de-contestualizzazione dei cambiamenti nella lingua. Da un unicum omogeneo
perché impossibile da ricostruire linearmente, quello del linguaggio nella sua
complessità, Saussure intende delineare il campo interno ed esterno alla
linguistica senza dimenticare cosa vuole essere realmente dato alla realtà
della lingua e cosa restituito alla coscienza del singolo parlante che, come
tale, è individuo autocosciente indipendentemente dalla realtà linguistica di
appartenenza.
C’è un terreno
comune che va al di là dei rapporti reciproci di negatività e alternanza nella
linguistica saussuriana. La transitorietà della trasmissione dei significati è
tale da costituire una coercizione rispetto all’immagine trasparente del senso
realizzato in ciascun atto fonico verbale. La portata esistenziale dei segni
grafici, nei loro rapporti più o meno equivalenti ai segni fonici delle lingue
verbali, non cerca la risoluzione ma tende ad una ricerca di complementarità
che sia di per sé conclusa. In questo modo la narratività come forma di
realizzazione delle lingue scritte risulta offuscata nella protorealizzazione
simbolica dell’oralità, mentre riemerge nei rapporti sintagmatici e
paradigmatici, fino a coagulare nel senso della rintracciabilità della scrittura
nelle lingue. Quanto ci sia di sistemico e quanto di de-strutturabile non è da
ricercare poiché è esso stesso il limite soppiantato dalla sistematicità
complessiva, riassorbito in essa. L’iposemanticità di un segnale in sé sarebbe incompleta
se si ponesse specularmente al significato, come indice del mondo
a-linguistico, come una determinazione ibrida e denaturalizzata per il parlante
stesso che ne sarebbe colpito come da un pugno. Sfumati e ambigui sono i luoghi
della riflessione intesi come ricerca di cardini su cui poggiare per una
delimitazione delle identità. In questo senso, quindi, niente è uguale a se
stesso, nella lingua. I due principi che reggono la vita linguistica, il
principio della trasformazione e il principio universale dell’assoluta
continuità della lingua permettono di dare una spiegazione alle forme
linguistiche come parti non già delimitate o scindibili dal sistema. Ma quali
sono le relazioni che si instaurano fra i fenomeni complessi delle singole
azioni verbali e quali quelle il cui svolgimento è segnato dalla sistematicità
linguistica, dispiegata rispetto alla temporalità che ne comporta il
riconoscimento? Se la scrittura è esterna, in un certo senso, alla
linguisticità della massa parlante, sul piano diacronico, allora le differenze
che creano mutabilità sono il primo risultato di una discrasia che è proprietà
della lingua come istituzione. L’analogia e l’omologia tra i due sistemi
segnici è il frutto di azioni coordinate, a ritroso, tra i parlanti, come se
essi fossero obbligati a seguire un percorso già dato attraverso la formazione
analogica e l’etimologia specifica di ogni lingua storico-naturale.
Quale iato,
allora, tra scrittura e lingua? Da un lato, le significazioni che ciascun atto
linguistico porta con sé sono un prodotto tra categorie o entità linguistiche
complesse che in sé non possono rendere l’autonomia del sistema linguistico di
cui sono parte; dall’altro la lingua che si costituisce nell’alternanza di
stati di vita segnica e di annullamento del senso già formato, nel continuo
riassemblamento che si configura dinamicamente nella temporalità di ciascun
atto fonico sembra dimenticare le specificità del singolo parlante laddove
incontra un sistema simile strutturalmente ma discorde nella storia e nella
tradizione. Ci si trova, così, in uno stato estinto della linguisticità, in cui
l’indifferenziazione mostra forme dissimili come se fossero identiche tra di
loro.
«Où existe une composition musicale? C’est la même question
que de savoir où existe aka. Réellement cette composition n’existe que quand on l’exécute; mais
considérer cette exécution comme son existence est faux.[127]»
Ipotizziamo la
possibilità di analizzare il termine di una formazione significativa per la
lingua. Alla fine di uno stato linguistico, con le discrepanze che rendono la
continuità e quindi la possibilità di significazione, ci sarebbe un altro
stato, risultato di un’analisi implicita dei soggetti parlanti, fenomeno reale
perché riattualizzabile in altri luoghi e in altri tempi, con o senza un progetto
di senso specificatamente uguale in tutti i casi. La tipicità di un’azione
diventa in un caso simile un topos linguistico e la letterarietà si scontra con
la frammentazione delle possibilità di realizzazione simbolica del segno, in
cui i rapporti sincronici determinano ma non pregiudicano la costituzione delle
significazioni. Tuttavia, nella normatività linguistica dell’uso comune, il
calcolo infinito che il parlante compie è un possibile modello che egli deve
necessariamente trasmettere senza riserve per essere parte dell’azione sociale,
nel circuito della comunicazione verbale. Si tratta, allora di ripetere
un’azione di per sé nata per essere trasmessa e modificata attraverso la
trasformazione combinatoria che viene eseguita nel processo di attualizzazione
dei significati. La lingua è essa stessa il modello, punto d’incontro
esplicitato dalle comunità umane e sarebbe un errore, seguendo Saussure,
rinchiudere sensi e significati nella prigione della categorizzazione e
classificazione inattingibile dall’uso comune. L’indeterminatezza come
positività, allora, è l’unica affermazione possibile sulla base dell’azione
verbale istintiva e semplice tra i parlanti.
Nessuna sintesi,
passiva o attiva, può essere fonte di identità già formate né da formare, ma,
d’altro canto, la storia non può riconsegnare intatte le azioni differenziali
dei parlanti nel tempo. Così nelle leggende, luoghi simbolici in cui si
combinano le verosimiglianze dei personaggi, l’identificazione delle proprietà
caratterizzanti i valori si scontrano con i segni delle lingue in uso, nelle
temporalità delle narrazioni. La ricerca d’identità è anche qui priva di senso,
essendo il punto di partenza, l’elemento più semplice che il parlante manipola
nell’uso. Impossibile da frenare, il flusso della significazione è
essenzialmente illimitato, poiché illimitata è la massa di cambiamenti
possibili nelle lingue. Il significante, simbolo trasportato nella tradizione e
dalla tradizione, muove l’effettività delle lingue, nutrendone il parallelismo
con i sistemi di scrittura. In questo senso le modificazioni, come prodotto di
un processo, da un lato, e l’immutabilità, come conservazione che si rapporta
inevitabilmente alla materialità dei segni, dall’altro, realizzano la
complessità sistemica delle lingue, lasciando irrisolta la ricerca di un
parallelismo perfetto tra scrittura e oralità. La complessità del linguaggio si
mostra nel flusso della lingua che, là dove incontra la scrittura, cerca
l’unità di composizione e enunciazione, cerca infine, di stabilire le unità.
Lingua e scrittura sono allora due sistemi di segni che si codeterminano,
marcando ciascuno l’esistenza dell’altro. Il fatto che l’esistenza non è mai
semplice è determinante affinché lingua e scrittura manifestino la specificità
di ciascuna forma. Saussure porta in primo piano la necessaria coevoluzione del
piano sincronico e di quello diacronico senza cadere nel circolo vizioso dato
dalla ricerca senza fini di un’identità cristallina dei segni. È, infatti,
nella stessa arbitrarietà come vita e dunque entropia del linguaggio che la
formazione linguistica è realizzabile fino al punto liminare delle norme
letterarie, mentre il fenomeno momentaneo della contingenza pura trasporta le
azioni sociali sul piano della simbolicità verbale. L’autonomia sistemica e
potenziale, insieme con quella strumentale e differenziale della corrente
linguistica si realizza attraverso i segni delle lingue scritte, punti critici
della sistematicità verbale, mentre nella complessità sistemica la forma
scritta determina i movimenti della lingua, attraverso l’artificialità della
creazione di forme nuove. Se i segni grafici sono nella scrittura immagini
verbali del senso che rappresentano e indici di un significato, sono allora
essi stessi luoghi del simbolico, prodotto irriducibile del linguaggio e parte
del movimento di forme e significazioni.
4.2.
La traduzione simbolica
Riprendiamo in
un senso più ampio il paragone saussuriano dell’esemplificazione del rapporto
tra gli oggetti delle scienze semiologiche, che vede il passaggio da una
grandezza ad un’altra come un traduzione da una lingua all’altra: il passaggio
da motivato all’arbitrario all’interno della continuità sistemica è il punto
principale di delimitazione delle entità delle lingue rispetto alla scrittura.
Per vedere la negatività del rapporto di somiglianza tra lingua e scrittura
riconsideriamo l’esempio che Saussure fa per spiegare come anche nella
sinonimia ci sia una effettiva negatività, tra ciò che è detto e ciò a cui esso
si oppone, per differenza e ciò che, di conseguenza, richiama istantaneamente il
campo della significazione:
«Così soleil può sembrare che rappresenti un’idea perfettamente
positiva, precisa e determinata, come altrettanto la parola lune “luna” : tuttavia quando Diogene dice ad Alessandro
«Togliti dal mio sole!», in soleil
non c’è più niente di soleil se
non l’opposizione con l’idea di ombra; e quest’idea di ombra essa stessa non è che la negazione combinata di
quella di lumière “luce”, di nuit
parfaite “notte fonda”, di pénombre
“penombra”, ecc., congiunta alla negazione
della cosa illuminata in rapporto allo spazio oscurato ecc.[128]»
I rapporti di similarità
e differenza emergono nella negazione, nell’oblio del racconto o, più
semplicemente, nei rapporti sintagmatici e paradigmatici tra i segni linguistici.
Funzione, posizione, carattere e nome, come proprietà dei simboli che
determinano le forme differenti[129]
permettono di muovere e muovono il sistema semantico delle lingue. La scrittura
che si configura come una forza contraria all’impulso della lingua parlata è
essa stessa oblio, ovvero ciò che è negativo e differenziale rispetto alla
forma in uso tra i parlanti, ed è quindi presente per opposizione all’entità
manifesta. Comparare la prassi e l’azione sistemica di due lingue diverse,
ossia della lingua parlata e della lingua scritta, significa allora tentare di circoscrivere
il campo d’azione della significazione in base ad oggetti diversi. La
referenzialità del segno all’oggetto si perde nel momento in cui si riconosce
al sistema della scrittura le proprietà di autonomia semiotica, la necessaria
presenza della trasformazione sintetica che la scrittura permette come prassi
sociale. Uno stato di lingua non si manifesta, dunque, come una presenza fissa
sulla scena. La permanenza del segno in se stesso, la causalità e il limite tra
due segni, la negazione del segno di per sé e la preminenza della continuità
sistemica sono i punti che restituiscono la dinamica dei passaggi categoriali
della diagrammaticità come proprietà primaria della forma scritta. Se esiste e
rimane immutato, tuttavia, un elemento soggettivo indefinibile[130],
tale da dare comunque una identità approssimativa, ossia un’unità, le relazioni
tra gli elementi dei diversi ordini o piani della sostanza espressiva rendono
concreta la similitudine tra scrittura e significazione. In questo senso
vediamo come la stabilità significativa appartiene ad una tradizione istituita
dalla lingua letteraria e influenzata dall’attività inafferrabile in sé della
sostanza significante che, come nel caso del sanscrito considerato da Saussure,
permette di mantenere viventi lingue lontane nel tempo. La preminenza della
relazionalità significante è essenziale per capire in che senso il punto di
vista sincronico, o meglio idiosincronico, permette di vedere i mutamenti effettivi
e la dinamicità dei segni in uso delle lingue, ed esclude la storia della
lingua. Per il fatto che il segno è entità relazionale, esso incarna il
simbolo-interpretante che si muove nella negatività dell’idea di surrogato o
miscuglio che abbiamo ritrovato in Peirce e che rinvia alla similitudine
saussuriana della composizionalità dei composti e dei miscugli chimici con la
lingua. Questa concezione, tuttavia, esclude l’ordine sistematico e la
linearità della significazione.
Non c’è differenza tra il senso proprio e
il senso figurato delle parole (oppure: le parole non hanno senso figurato più
di quanto abbiano senso proprio) perché il loro senso è eminentemente negativo.
Si parla per esempio (scegliamo
espressamente un esempio relativamente [semplice]) di una persona che è stata le
soleil il sole” dell’esistenza di
un’altra. Il fatto è che
1° non si potrebbe dire che è stata la lumière
“luce” oppure
2° se esistesse in francese sia un termine
significante clair de soleil “chiaro
di sole” (come esiste clair de lune)
sia un termine significante dipendenza in cui si trova la Terra in rapporto
al Sole; sia d’altra parte due
termini per soleil a seconda che
il sole sorga o tramonti, o a seconda che lo si compari o non con altri corpi
celesti, è assolutamente dubbio che si possa impiegare soleil nella locuzione figurata che è stata impegnata.
Si impiegherebbe un altro termine forse
molto più espressivo, ma risulta da ciò che non è l’idea positiva, l’idea di
SOLE esterna alla lingua che fa l’immagine: è semplicemente l’opposizione con
altri termini che risultano anche loro più o meno appropriati come étoile, astre,
clarté, unité, but,
joie, encouragement, [ ].[131]
C’è
un senso che vive nella prassi umana comunicativa e che la scrittura racchiude
in forme diverse, come la lingua letteraria e la letteratura, con le sue
regole. Queste forme si muovono da una base che ne suggerisce le diverse forme,
che è la divisione in diversi sistemi, ideografico e fonetico, che è, seguendo
Saussure, alfabetico e sillabico, e tra questi differenzia le qualità dei
segni, giocando ancora nel movimento tra naturalità, convenzionalità e
arbitrarietà dei segni. La lingua scritta non può avere luoghi circoscritti,
poiché ha bisogno di vivere nella massa parlante, e questo è necessario per la
sua conservazione e per i suoi mutamenti. Di fatto le due estremità materiali
parola scritta/parola parlata non hanno vita del tutto autonoma, poiché tendono
continuamente a ricongiungersi. Quando Saussure assume la scrittura, in
generale, e le lingue scritte, in particolare, come termine di confronto per
chiarire tutta la questione linguistica vediamo come siano le caratteristiche
proprie della forma scritta a mostrare la sistematicità della lingua. La
composizione del sistema, le lettere o l’alfabeto di per sé, di fatto, non sono
equivalenti alla sistematicità. La forma non è la struttura, essa richiede un
sistema ed è così un modo per vederne l’equivalenza con l’unità significativa, proprio
per il fatto che è falso ed è impraticabile, secondo Saussure, opporre la forma
al senso.
«La valeur d’une forme est tout entière
dans le texte où on la puise, c’est-à-dire dans l’ensemble des circostances
morphologiques, phonétiques, orthographiques, qui l’entourent et l’éclairent.[132]»
Non
è, infatti, come abbiamo detto, un mero elenco di parole e frasi che
costituisce la sistematicità della lingua, ma sono le combinazioni relative tra
i segni che realizzano in ogni atto fonico il quadro, per differenza rispetto a
tutto ciò che non è pronunciato dal parlante in quel determinato atto fonico.
Proprio per il fatto che la lingua letteraria non è soltanto la letteratura, ma
quella lingua che appartiene ad ogni parlante, essa è la lingua di tutti.
Effettivamente non si tratta, allora, di una letteratura ma di una letteralità
che ha a che fare con l'operazionalità del sistema linguistico. È questo ciò
che ci suggerisce Saussure quando ci propone di dimenticare la vecchia nozione
di segno preconfezionato destinato ad un concetto e di aprire la porta ad un
significante come differenziatore di significati attuali.
La lingua letteraria valica da ogni lato i
limiti che sembra tracciare la letteratura: si pensi all’influenza dei salotti,
della corte, delle accademie. D’altra parte la lingua letteraria pone la grossa
questione del conflitto che sorge con i dialetti locali; il linguista deve
altresì esaminare i rapporti reciproci tra la lingua dei libri e la lingua
corrente, dato che ogni lingua letteraria, prodotto della cultura, giunge a
distaccare la sua sfera d’esistenza dalla sfera naturale, quella della lingua
parlata.[133]
Una lingua
generale implica necessariamente l’uso della scrittura? Questa è la domanda che
viene posta nel terzo corso di Linguistica generale e che qui abbiamo ripreso
in un senso per larghi tratti. L’uso scritto richiede necessariamente un
sistema e, nei diversi sensi che abbiamo visto e, se la forma scritta è
rappresentazione della lingua, immagine di questa, specchio dal quale
riconoscere i punti per fare un passo avanti nel percorso della ricerca di tipo
linguistico, allora essa diventa canale di approdo al simbolico e alla lingua
condivisa da una comunità, in cui la lettera non è soltanto indice di una
lingua preesistente, ma modo di realizzazione delle lingue. Se è vero che è generale
ciò la cui forma eccede ogni sistema aprioristico, allora la lingua letteraria
è già il risultato di una de-strutturazione poiché deriva da una prassi socio-simbolica
di un’azione verbale letterarizzata la cui forma scritta ne mostra alcune
specifiche caratteristiche. In questo senso un punto di osservazione
anti-sistemico è la negatività, l’oblio del senso linguistico. Il sistema,
dunque, non è equivalente ad un mero mezzo statico di attivazione sociale (non
è un interruttore da spegnere e accendere da una volontà superiore), ma un
oggetto sociale privilegiato e già ordinato perché riordinabile. Se la lingua è
in ogni istante rinnovata dall’azione in atto tra i parlanti, si configura come
il luogo in cui significati e significanti linguistici si ritrovano a
dialogare.
«Remarque semblable sur structure d’un mot. Encore une de ces images qui
sous l’illusion de la clarté recouvrent des mondes d’idées fausses et mal
conçues. Un mot n’a aucune structure. Dès qu’on fait abstraction du sens des
différentes parties. [134]»
È la dimensione
linguistica che si affaccia sul campo della semiologia. Il segno, considerato
nella sua totalità, rispecchia un mondo, quello linguistico che è già
significativo. L’inganno della scrittura non è altro, dunque, che il limite
della lingua. Essa rappresenta, infatti, uno stato di lingua che non è più
presente sulla scena della lingua parlata: l’inganno saussuriano della
scrittura è di fatto una menzogna della storia della lingua, tuttavia
inevitabile testimone oculare di questa. La scrittura si costituisce come
risultante semiologica delle lingue, diagramma complesso dell’azione
letteraria. Saussure ha teso la mano alla ricerca di quelle entità che possono
essere riconosciute come mutevoli. E nel riconoscimento vi è già uno scarto dal
terreno di gioco comune della massa parlante. Gli anagrammi ne sono un esempio:
riconoscere regolarità mascherate dal testo è possibile là dove i segni di
questa sono tangibili, visibili, fermi. Il poter retrocedere e commutare della
dialogicità della scrittura richiama un continuo ritorno al testo. L’attenzione
che Saussure suggerisce al Pascoli reticente è su di una forma linguistica
emergente come fenomeno astratto che riproduce la periodicità delle lettere
scritte, come forme specifiche del segno linguistico. Eppure non vi sarebbe stata
alcuna irresponsabilità da parte del poeta, se mai non avesse pensato a quello
che di anagrammatico stava facendo, oltre a comporre un’opera letteraria,
naturalmente. L’azione della lingua in uso vive di analogie e associazioni
complesse, già date alla competenza esecutiva e dal senso comune che guida i
parlanti. Anche il simbolo, naturale risultato di un processo di economia del
senso, si costruisce come forza parallela sul piano del significante a quella
della lingua parlata. La simbolicità che abbiamo visto in Peirce come una cosa
vivente, rimandando alla vita delle lingue antiche che Saussure ha ritrovato
nel sanscrito e in tutti quei sistemi marginali alla lingua maggiormente usata
ma che si interpongono ad essa, come le lingue dei segni, e i sistemi cifrati,
ma anche lo sviluppo della scrittura non letteraria ma scrittura formale di una
comunità: potrebbe essere questo un modo per vedere il simbolo peirceano come il
significato che lentamente ma inesorabilmente si sviluppa, incorporando nuovi
elementi ed eliminando i vecchi residui. La letteralità della scrittura
collassa invece sulla lingua e ne costruisce non una super-identità, ma una
negazione del senso delimitato dalla comunità. Ciò che di linguistico è
visibile eccede la classificazione semplicistica e si pone come entità
complessa nel gioco tra i significanti e i significati linguistici. Tutto ciò
che supera questo nel circoscrivere significati e sensi, tesse e imbriglia il
mondo preverbale, convenzionalizzandolo e perciò liberando la strada verso
l’arbitrarietà, proprietà intrinseca che non è possibile ridurre ad un modello
predefinito e definitivo. L’intervento di nuove forme di significazione nel
sistema, movimenti che anche conservando l’effimerarietà della testimonianza si
manifestano sempre come testualità, là dove ci sono forme di scrittura
rigenerabili perché accessibili culturalmente, perciò trasformabili, è basato
sull’unico modello generale che è la lingua.
5.
Conclusioni
La
premessa dell’isomorfismo sistemico tra lingua e scrittura, che abbiamo visto
considerare nella linguistica saussuriana, è in accordo con i due modi di
considerare la lingua, ossia come modello generale e come struttura formale di
significazione di riferimento per i sistemi semiotici. La relazione stretta tra
lingua e scrittura fa sì che la diagrammaticità, complesso di rapporti iconici
e indicali, sia fondamentalmente la base del significato, rendendo alla forma
linguistica la necessaria reciprocità che si instaura con i sistemi di segni al
limite tra lingue e semioticità generale. La dinamicità della significazione si
pone come terreno di approdo alla linguisticità, risultato dell’apprendimento
socio-semiotico in cui la lingua scritta permette già la piena articolazione
dei significati. La determinazione grafemico-linguistica dei grafi esistenziali
peirceani dà alla forma segnica una specificità nell’organizzazione dei
significati attraverso gli argomenti. Tuttavia non va dimenticato che il
carattere dialogico dell’argomentazione non è in Peirce fondamentalmente un
rispecchiamento della logica naturale. Riprendiamo a questo proposito il
commento di Ferriani:
«Da
un lato Peirce ritiene che per certe finalità occorra allontanarsi il più
possibile dal linguaggio naturale, costruire diagrammi per sperimentare, non
restare intrappolati nelle forme codificate delle lingue che usiamo di solito;
dall’altro emerge il suo orientamento volto alla ricerca di invarianti o
universali linguistici, di categorie fondamentali di tipo
grammaticale-speculativo operanti sia nei linguaggi formalizzati sia in quelli
non formalizzati.[135]»
Al
di là della ricerca del parallelismo più o meno presente tra i sistemi,
tuttavia, abbiamo visto che la continuità della significazione ricopre i
diversi piani o livelli semiotici, dai quali possono essere estrapolate le
caratteristiche principali della lingua, congiunzioni delle entità segniche in
cui la relazionalità complessa perde la concordanza semiologica per trattare la
materia estranea alla lingua come un pezzo di mondo che si oppone essenzialmente
alla mutabilità propria della significatività linguistica. Il passaggio dal
motivato all’arbitrario si rivela dunque nei rapporti iconico-indicali della
corrispondenza sistemica tra i livelli semiologici, in cui si forma la
determinazione ex novo delle realtà linguistiche. Riprendiamo ancora un passo
di Peirce in cui il filosofo precisa il legame tra realtà sensibile o
fenomenica e realtà proto-linguistica:
«Yet it must be remarked that the
only effect of a quality of feeling is to produce a memory, itself a quality of
feeling; and that to say that two of those are similar is, after all, only to
say that the feeling which is the symbol of similarity will attach to them.
Thus, the feeling of recognition of a present idea as having been experienced
has for its signification the applicability of a part of itself.[136]»
La
simbolicità vista nel senso saussuriano riporta sulle linee di una narratività
che si interpone tra le frequenze del segno linguistico attraversandone i
luoghi della tradizione. In questo senso la semiologia acquista in Saussure una
realtà stabile, attraverso il documento scritto considerato nel senso di
intermediario simbolico, e non soltanto come sfondo oggettuale. La
testimonianza della lingua come documento storico diventa allora parte della
normatività linguistica, dimensione effettiva della comunicazione umana, in cui
la preverbalità cammina al fianco della coscienza pluridimensionale delle
lingue scritte che il parlante possiede. Da quella che si configura come una
individualità irriducibile emerge un limite significativo che seleziona la
forma linguistica evidenziandone la struttura e la portata sistemica. Non si
tratta unicamente di una narratività pregressa ed irreversibile, che nei
termini peirceani potremmo vedere come una iconicità strettamente funzionale a
se stessa, dunque a-linguistica, ma di un continuo ripresentarsi di forme
generali che la scrittura registra e rielabora nella struttura normativa che le
è propria. In effetti, la lingua letteraria riadatta la componente lineare dei
segni restituendo l’univocità del significato letterale e permettendo così che
lo strumento linguistico abbia una organicità intesa come organizzazione delle
classi di sensi. È dal sentimento linguistico, nei termini saussuriani, che la
forma scritta, interrompendo il flusso del linguaggio parlato, diventa
raffigurazione verbale o rappresentazione dei sensi in uso, che possono avere
referenzialità nella letteratura ma che si agganciano alla semiologia della
lingua parlata. Se le polarità intese come posizioni non limitrofe delle
significazioni della scrittura rispetto a quelle a-linguistiche sono esempi di
un movimento interrotto dei sensi, come nel caso delle civiltà ancorate alla
tradizione orale, quegli strumenti artificiali che sono le lingue scritte
diventano portatori di significatività riattualizzabile nel gioco della
comunicazione, della quale la scrittura è testimonianza linguistica.
La
simbolicità come proprietà dei segni rispetto alla scrittura è, in un certo
senso, quel lâcher la lettre saussuriano che determina una posizione di reciprocità sistemica, non istantanea
o assoluta, ma che si erige nella realtà concreta come se ciascun segno fosse
un insieme di citazioni operative nella lingua intesa come sistema, che
comprende quindi le differenziazioni linguistiche senza circoscriverne la
significatività (che è sempre manifesta). Quello che abbiamo considerato significativo
per la differenzialità, attraverso l’affermazione di una negatività non
arginabile, si configura, dunque, come modalità di realizzazione del valore
linguistico che la lingua intreccia nella rappresentazione grafica in cui ci
sono unità significative specifiche di ciascun sistema che supera la naturalità
della parola. Non sono le semplici impressioni acustiche a realizzare la
significatività, ed è parallelo vedere nella singolarità delle lettere scritte
una raffigurazione che di per sé, chiaramente, non è lingua. Ed in questo
abbiamo trovato il limite della concezione peirceana della rappresentazione
grafica che, se fosse vista in senso assoluto, sarebbe una rinuncia alla
ricerca di una semiosi grafemica, realmente legata, invece, alla portata
fenomenologica della linguisticità presente tra i parlanti, che è indipendente,
diciamo nei termini saussuriani, dal mezzo di produzione. Tuttavia, la
necessità di cui la ricerca peirceana è espressione, ci riporta sulla
specificità della materia grafica che si configura come modello strumentale
alla particolare funzione della lingua di assumere nelle forme semiotiche un
carattere formale, riproducibile e dunque formulabile in contesti e usi
diversi. La diagrammaticità porta con sé il pericolo di un’uniformità
degenerativa che è tuttavia il punto a partire dal quale Peirce classifica i
simboli come segni genuini, e riporta alla sintassi grafemica, rendendone la
stabilità fondamentale alla significazione linguistica. Gli abiti o simboli,
nel senso peirceano, assumono in questo modo la forma del segno grafico come
trasformazione omogenea della sintatticità linguistica. Utilizzando insieme i linguaggi
della matematica insiemistica e della visualità intuitivo-iconica che va a
formare una lingua semi-artificiale, ma con un fondamento indicale, dunque
legato alla natura della visione umana ed alla logica naturale
dell’invariabilità numerica, siamo arrivati alla necessità di spostare la
riflessione dalla riproducibilità tecnica, che è sfondo inerte se non la si
considera parte di un sistema più ampio e omogeneo di reciprocità semiologiche,
alla possibilità della sospensione di giudizio che nei termini saussuriani è
oblio narrativo, in cui la dialogicità abbandona la generalità normativa e
diventa abito, insieme sistematico di simboli relazionali. La pratica della
scrittura è da considerare come pericolo soltanto se si intende questo come
segnale della presenza di una lingua differente rispetto a quella in uso. In
questo senso abbiamo parlato di forme di traduzione simbolica, cercando di
guardare alle forme semiotiche come ai luoghi della significazione generale, e
di cogliere dai percorsi tracciati dai due autori di riferimento i ripiegamenti
e le curvature che hanno dato alla scrittura diversi ruoli, da quello della
semplice trascrizione, che implica già il riconoscimento, ossia il sapere come
utilizzare un sistema nelle sue parti, fino alla letteratura ed alla lingua
letteraria di cui la prima tra queste ultime due è parte portante.
Tra
Peirce e Saussure abbiamo visto due modi rilevanti di presentazione delle
proprietà specifiche della scrittura come lingua e delle lingue scritte. All’interno
del percorso pragmaticista, strettamente legato al pensiero di Peirce, dunque,
la scrittura dei grafi è una forma di azione pratica prodotta da un insieme
strutturato di norme iterate, dunque prassi che può diventare abito, segno
linguistico o segno maggiormente convenzionale, se usato all’interno di un
sistema artificiale come quello dei grafi esistenziali. Separiamo quindi la
diagrammaticità, come proprietà delle rappresentazioni di ogni tipo, visiva,
acustica dalla grafematicità in cui le proposizioni e gli argomenti sono
soltanto visibili: da questo punto di vista non si è più all’interno di una
lingua, ma della pura rappresentabilità di un sistema già esistente, come nei
termini saussuriani è una fotografia rispetto alla realtà che ne è impressa. La
riflessione di Saussure, complessivamente, ricopre almeno tre livelli: quello
epistemologico, della ricerca nel campo del linguista, quello di analisi e
confronto fenomenologico e quello del funzionamento sistemico. Nelle
ramificazioni intricate delle leggende, inoltre, abbiamo trovato un monito
rispetto ai monumenti letterari, opere che testimoniano le rovine della storia,
mostrando l’incongruenza dei nomi nei mutamenti dei personaggi che, perdendo
l’identità stabile che sta dietro il nome proprio, manifestano il principio
linguistico dell’alterazione temporale che si nutre di continuità esterna alla
linguisticità. In questo senso i simboli runici hanno le stesse proprietà dei
personaggi, per il fatto che muovono i sensi e mutano il valore rispetto alle
altre entità dello stesso sistema, trasformandone il nome nell’uso. La vera
continuità peirceana è un modo per avvicinare la ricerca di una relazionalità
forte tra i segni, che possiamo considerare nei termini di una arbitrarietà
relativa ai sistemi semiologici. Il segno è determinante e non determinato, nel
suo rapporto all’oggetto e in virtù di un interpretante che ne ferma il senso
ancorandolo alla logica del simbolo o abito formato che può essere modificato
da altri segni. Rispetto alla dinamicità della significazione, l’appello
saussuriano all’abbandono della lettera in sé, come punto di riferimento per la
comprensione delle lingue, permette di avvicinare il punto essenziale per la problematicità
della questione. Si tratta di un richiamo che deve essere rielaborato nel
momento in cui si deve spiegare il funzionamento linguistico: l’essenza doppia
del linguaggio è in relazione alla pluridimensionalità del segno linguistico,
che non può essere mai singolare, ma composto da rapporti tra entità
semiologiche, delle quali i segni della lingua ritagliano i significati
attraverso l’azione materiale della significatività. Il simbolo si trova in una
posizione duplice, poiché è significante non strettamente linguistico, e non è
completamente arbitrario, poiché il suo radicamento è nella tradizione,
nell’uso sedimentato nella lingua. La problematicità emerge dunque dal rifiuto
saussuriano della visione organicistica della lingua, che contrasta con
l’effettività del filo conduttore della prassi linguistica che è l’essere
umano. Se è da questa prospettiva che l’identità saussurianamente non è
considerata un problema, il bisogno di rafforzare la struttura astratta della
differenzialità delle forze significative sta proprio nella categoria del
valore di un segno che in Saussure è semplice impressione, dapprima, laddove se
ne intravede la specificità quando lo si affianca ai termini di forma, senso, e
segno. Come abbiamo accennato, la lingua è ancorata a diverse forme di
interpretazione che diventano linguistiche e quindi letterarie nel passaggio
attraverso codici diversi e complementari e classi di sensi corrispondenti nei
sistemi semiologici più generali, ed è da questo punto che il fatto che la
lingua è testimonianza storica ne rielegge la possibile similarità con il
sistema linguistico scritto. Non è sufficiente affermare l’esistenza della
lingua di per sé per arrivare alle radici delle differenzialità sistemiche, né
è sufficiente una prospettiva fenomenologica, seguendo per grandi linee
l’approccio saussuriano. Il fatto che la scrittura mostra caratteristiche di un
sistema linguistico e conserva la materialità di altri tipi di segni è la base
da cui si possono disvelare gli aspetti forti di una nozione di significato che
incorpori la simbolicità di un sistema letterario non circoscritto negli usi di
pochi, ma realizzato nella coscienza della mente collettiva.
Glossario / Indice analitico
Atto (linguistico): la nota
nozione è di J. Austin e può essere riassunta nel motto “dire è già fare”. I
diversi atti sono classificabili sulla base del tipo di forza che
entra in gioco in un contesto comunicativo verbale. Cfr. J. Austin, 1955, How to do things with words, The William James Lectures at Harvard University, London, Oxford
University Press, 1962 (trad. it. di Marina Sbisà, 1991 [1975-1978], Come
agire con le parole. Tre aspetti dell’atto linguistico. In Gli
atti linguistici, Milano, Feltrinelli, pp. 61-80). Si veda qui p. 87,
93 e la voce “contesto”.
Contesto: secondo
Jakobson il contesto è l’intreccio di variabili che possono intervenire in un
atto comunicativo effettivo tra parlanti. Cfr.
R. Jakobson, 1963, Essais de linguistique générale,
Paris, Editions de Minuit (trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli,
1966). Si veda qui p. 9, 22, 51, 68, 73, 84, 89.
Dialogicità: nozione
ampia che riguarda la proprietà delle menti umane di comunicare attraverso
segnali. Per alcuni spunti e riflessioni cfr. D. Gambarara, 2005, Come
bipede implume. Corpi e menti dei segni, Acireale-Roma, Bonanno
Editore. Si veda qui p. 18, 55, 101, 106.
Grafematicità: possibilità
materiale di realizzazione meta-rappresentativa della semiosi attraverso la
scrittura. Si veda qui p. 7, 11, 22, 87, 104.
Negatività (linguistica): secondo
Saussure è necessaria per la linguisticità. In breve, ciò che è negativo è
linguistico, poiché è nella sistematicità oppositiva che, per differenza
interna al segno, è possibile la significatività. Cfr. F. de Saussure, in
bibliografia. Si veda qui p. 8, 32, 57, 81, 84, 92, 96, 97, 100, 105.
Norma: secondo
Prieto «Una norma determina una comunità di soggetti nella misura in cui,
grazie al suo carattere condiviso, ognuno dei soggetti che l’adottano svolge
per gli altri il ruolo di altro simmetrico di cui ognuno ha bisogno per
riconoscersi come uno» (1991 : 193). Cfr. L. J. Prieto, 1991, Saggi di
semiotica, vol. II : Sull’arte e sul soggetto, Parma,
Pratiche. Si veda qui p. 16, 88.
Scrittura: lingua
generale che determina la coevoluzione e la coesistenza con il sistema di
riferimento; strumento storico del pensiero verbale, come insieme di regole
condivisibili perché normative e testimone della linguisticità nella prassi
socio-simbolica specifica. O, in altri termini, un sistema semiologico di tipo
linguistico, in cui i segni grafici si piegano alla combinatorietà delle regole
linguistiche basate sulla linearità del significante. Si veda qui p. 8, 38, 45,
55, 73, 82, 96, 98. Sulle forme di scrittura si veda: scrittura
diagrammatica e grafi esistenziali nel primo capitolo, scrittura
formale : 99.
Scrivibilità: è una
nozione che può essere ricondotta ad Ammonio come possibilità della voce di
essere trasferibile nella scrittura alfabetica, che in Aristotele è
caratterizzata dall’accordo tra parlanti. Da Franco Lo Piparo è vista come la
terza dimensione della lingua (Lo Piparo: 2003, pp. 98-102). Qui è usata come
nozione di base con uno stampo fortemente saussuriano in relazione alla
pluridimensionalità della lingua nella tendenza ad essere scritta. Cfr. F. Lo
Piparo, 2003, Aristotele e il linguaggio. Cosa fa di una lingua una lingua,
Roma-Bari, Laterza. Si veda qui n° 118, p. 75.
Segno fonico: in Prieto
è quel segno i cui significati sono realizzati con le fonie, ed è il segno
della lingua per opposizione reciproca al “segno grafico”. Cfr. L. J. Prieto,
in bibliografia. Si veda qui come “atto fonico”, p. 69, 73, 91, 92, 94, 99.
Segno grafico:
nell’accezione di Prieto è la realizzazione dei significanti con le grafie.
Cfr. L. J. Prieto, in bibliografia. Si veda qui p. 9, 19, 44, 51, 54, 69, 71,
84, 87, 91, 106.
Semiologia: seguendo
Saussure è la scienza generale dei sistemi di segni o delle forme e si
differenzia quindi dalla semiotica peirceana intesa come scienza dei sensi dei
segni e della significazione generale. Cfr. F. de Saussure, in bibliografia. Si
veda qui p. 7, 8, 29, 32, 36, 37, 47, 90, 100, 104, 105.
Semiotica: il
termine è qui usato nell’accezione di Peirce, in breve, la dottrina formale dei
segni che abbraccia la capacità dei segni di significare (ogni semiotica ha in
sé una semantica). Cfr. Peirce, in bibliografia. Si veda qui p. 8, 12, 17-21,
23, 26, 30, 49, 61, 63, 78, 89, 97.
Sistema: è il
termine intorno al quale ruota la riflessione saussuriana che si allontana
dall’idea di struttura in sé per comprenderne le proprietà. Il sistema è il
modello di riferimento per individuare le correlazioni tra i segni ma anche una
classe dinamica di entità ed un paradigma: ogni codice di tipo linguistico è un
sistema. Cfr. Luis. J. Prieto, in bibliografia. Si veda qui p. 8, 9, 13-17,
20-24, 27-33, 35, 38, 43-56, 59, 61, 63, 68-99, 101-109.
Teridentità: la
nozione è di stampo peirceano, ed ha una forte ricaduta negli studi
contemporanei. In breve è la possibilità di una relazione semantico-sintattica
di essere rappresentata attraverso un’identità di per sé che può essere una
semplice proposizione. Oppure, in altre parole, è la realizzazione
proposizionale di una unità triadica di cui la forma proposizionale ne esibisce
la sintassi. Per alcune esemplificazioni cfr. N. Houser,
1997, Studies in the logic of Charles Sanders Peirce, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, pp. 252-263.
Si veda qui p. 20.
Trascrizione (simbolico-linguistica):
segno iconico o segnale verbale; la trascrizione fonetica, per esempio, è una
trasposizione, ossia una prima forma di trasformazione simbolica; essa implica
già il riconoscimento, ossia il sapere come utilizzare un sistema grafico nelle
sue parti e la realizzazione attraverso l’uso. Si veda qui p. 26, 69, 72, 103.
Abbreviazioni
ICLG = Primo corso di Linguistica generale;
IICLG = Secondo corso di Linguistica
generale.
IPG = Prima prolusione ginevrina;
IIPG = Seconda prolusione ginevrina;
IIIPG = Terza prolusione ginevrina.
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pensiero. Semiotica e fenomenologia nei grafi esistenziali di C. S. Peirce,
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[1]
Cfr. M. K. Halliday : 1985.
[2]
Pensiamo ad alcuni che incontreremo in questo lavoro, come Luis J. Prieto, e ad
altri che hanno fortemente influenzato gli studi contemporanei, tra cui Roland
Barthes, ed oggi si può pensare a Carlo Sini, Rossella Fabbrichesi Leo, ecc.
[3] Saussure :
2002.
[4] Peirce, 1998 [1893], p. 1.
[5]
Ibidem.
[6]
Manteniamo qui l’idea che il tipo di organizzazione segnica categoriale sia
asistematica, rispetto al significato di sistema che Saussure introduce nella
sua semiologia. Tuttavia non possiamo negare una forma di sistematizzazione che
precede e accompagna l’azione segnica nei suoi rispettivi passaggi da iconica a
indicale e infine a simbolica.
[8] Cfr. Peirce, 2003 [1906], p. 169.
[9] Peirce, 1998 [1894], p. 6.
[10] Peirce, 1998 [1906], n° 25, p. 545.
[11]
Come vedremo meglio nel terzo capitolo di questo lavoro.
[12] Peirce, 1998
[1894], p. 10.
[13]
In realtà si tratta di quasi-menti.
[14]
Gli ideogrammi sono la base a cui tendono i simboli di ogni lingua scritta.
Essi vivono di questa possibilità attuata e attualizzabile di rappresentare la
forma linguistica.
[15] Cfr. Peirce, 1998 [1906], pp. 477-478.
[16] Cfr. Peirce, 2003 [1906], pp. 175-176.
[17]
Secondo Jakobson, infatti, i diagrammi sono icone indicali. Cfr. Jakobson :
1965.
[18] Peirce, 1998 [1904], p. 303.
[19] Ivi, p.
322.
[20] Peirce, 1998 [1903], pp. 194-195.
[21]
Nel terzo capitolo riprenderemo alcuni luoghi della riflessione di Peirce nei
quali l’autore rifiuta la definizione di continuità strettamente matematica.
[22] Peirce, 1998 [1904], p. 324.
[23] Peirce, 2003 [1906], p. 140.
[24] Saussure, 1996, ICLG, p. 4.
[25] Ivi, p. 6.
[26] Ivi, p. 9.
[27] Ivi, p. 10.
[28] Ivi, p. 23.
[29]
I fenomeni analogici propri della scrittura rimandano alla visione di Aldo
Prosdocimi (1983) degli innesti nelle leggende germaniche. È nel sistema
letterario che si creano forme nuove interconnesse su uno stesso piano, come vedremo
meglio nel terzo capitolo.
[30] Saussure, 1996, ICLG, p. 63.
[31] Cfr. Saussure, 1996, p. 81.
[32] Ivi, p.
99. Nel secondo corso Saussure accosterà la questione dell’etimologia
popolare ad un paragone con il fenomeno patologico.
[33] Saussure, 2002, p. 105.
[34] Cfr.
Saussure, 1996, p. 102.
[35]
Il termine usato da Saussure è “prospectif”.
[36]
È come pensare che un corpo fisico non subisce forze esterne: la lingua
pavimenta il proprio palazzo senza tener conto dei fenomeni a-linguistici.
Questa nozione forte è abbandonata nel secondo corso, in cui largo spazio è
dato all’influenza dei fenomeni esterni alla lingua, tra i quali è compresa la
scrittura.
[37]
Saussure, 1957, p. 12. Il punto è fondamentale per la questione, sulla quale
Saussure ritorna. Cfr. Saussure, 1922, pp. 45-46; e che è presente già nel
primo corso (cfr. Saussure, 1996, pp. 5-9).
[38] Saussure,
1957, p. 14.
[39] Ivi, p. 15.
[40] Ivi, p. 17.
[41] Ivi, p. 19.
[42] Cfr.
Saussure, 1957, pp. 24-25.
[43]
Ivi, p. 26.
[44]
Ivi, p. 44.
[45]
Il paragone parallelo è quello del gioco degli scacchi e del valore relativo
nel senso di relazionalità di ciascun pezzo rispetto agli altri.
[46]
Ivi, p. 47.
[47]
Appare qui una contraddizione, poiché la massa parlante che riconosce la
significazione non può non distinguere il valore.
[48]
È anche in questo senso che qui la questione identità-unità in generale non è
messa in questione da Saussure.
[49]
Ivi, pp. 81-82.
[50]
Seguiamo da qui il sesto quaderno di Riedlinger in Saussure (1997).
[51] Saussure, 1997, p. 82.
[52] Ivi, pp. 82-83.
[53]
Ivi, p. 84.
[54]
Ibidem.
[55] Saussure conserva l’ambiguità che questo termine
porta con sé fino a far capire la necessità di un capovolgimento di prospettiva
per abbordare l’oggetto linguistico. Il pericolo è quello di continuare sulla
strada della vecchia linguistica che non distingueva le regole ortografiche
dalla lingua.
[56]
Ivi, p. 87.
[57]
Ivi, p. 91.
[58] Saussure,
1922, pp. 165-166.
[59]
I rapporti tra elementi vocali e tra elementi morfologici si realizzano su due
piani, quello del sintagma o parole effettiva, e quello della parallelia o parole
potenziale.
[60] Saussure,
1922, p. 45.
[61]
Harris denomina “differential identification” la problematica del carattere
oppositivo delle entità linguistiche (cfr. Harris : 2000a).
[62] Saussure, 1922, p. 111.
[64] Saussure, 1986, p. 30.
[65] Cfr. Prieto : 1983.
[66] Saussure, 1922, p. 30.
[67] Cfr. Saussure, 2005a, pp. 51-52 e 2005b,
p. 223.
[68] Cfr. Saussure, 1922, p. 64.
[69]
Da qui il richiamo all’idea di scrittura in rapporto alla lingua come
l’immagine impressa di una fotografia in rapporto all’immagine dal vivo: «È un
po’ come se si credesse che per conoscere qualcuno sia meglio guardare alla
fotografia che guardarlo in faccia.» (Saussure, 1922, p. 45).
[70]
Vi è un senso in cui il segno scritto eccede la stessa condizione di
simbolicità del segno nell’associazione tra almeno due elementi eterogenei.
[71] Saussure, 1922, p. 101.
[72] Saussure, 1922, p. 111.
[73] Saussure, 2005a, p. 108.
[74] Cfr.
Saussure, 1922, p. 60.
[75]
Secondo Prieto il verbo firmare ha il
proprio referente nella scrittura (cfr. Prieto : 1983).
[76]
Cfr. Saussure, 2005b, pp. 224-226.
[77] Cfr. Sébastianoff : 2006.
[78] Cfr. Saussure, 2002, p. 72.
[79] Cfr. Peirce, 1992 [1892], p. 316.
[80] Ritroviamo la questione anche in Peirce, 1992
[1877], On a New Class of Observations, suggested by the principles of Logic, pp. 106-108 e Peirce, 1998 [1903] The
Nature of meaning, pp. 208-225). Per ciò che riguarda il senso di generale riportiamo la nota di PAP: «Naturalmente, uso sempre “generale” nel senso
consueto di generale relativamente al suo oggetto. Se voglio dire che un segno
è generale relativamente alla sua materia, lo chiamo Type, o Typical.»
(Peirce, 2003 [1906], n°1, p. 175).
[81] Peirce, 1998 [1904], p. 324.
[82] Cfr. Bonfantini, 2003, pp. 1171-1172.
[83] Cfr. Peirce, 2003 [1906], pp. 134-136 e Peirce, 2003
[1906], pp. 168-169.
[84] Vimercati, 2005, p. 58.
[86] Cfr. Peirce, 2003 [1906], p. 135.
[87] Peirce, 1998 [1904], p.
317.
[88] Peirce, 2003 [1906], p. 171.
[89] Peirce, 1933 [1885], p. 180.
[90] Peirce, 2003 [1906], pp. 183-184.
[92] In stretta relazione vi è la teoria alla base della
Faneroscopia (cfr. Peirce, 2003 [1906], p. 178).
[93] Saussure, 1986, p. 312.
[95] Cfr. Saussure, 2005a, p. 109.
[96] Saussure, 2002, pp. 115-116.
[97] Cfr. Saussure, 2005a, p. 93.
[98] Cfr. Saussure, 2002, p. 95.
[99] Saussure, 2005a, p. 93.
[100] Saussure, 1922, pp. 183-184.
[101] Cfr. Prosdocimi, 1983, p. 73.
[102] Cfr. Auroux, 1994, pp. 94-104.
[103] Cfr. Cardona, 2002
[1980], p. 73
[105] Saussure, 1922, p. 164.
[106] Saussure, 2002, p. 107.
[107] Cfr. Saussure, 1967, n° 86.
[108] Saussure, 1922, p. 44.
[110] Saussure, 1969, p. 86.
Cfr. Saussure, 1922, p. 113.
[111] Possiamo parlare, dunque, di scrivibilità.
[112] De Mauro, 2004, p. 10. Nella traduzione francese scripta
è langue écrite (cfr. De Mauro : 2006).
[113] Saussure, 2006, IPG, p. 98.
[115] Cfr. Peirce, 1998 [1901].
[116] Cfr. Saussure, 1922, p. 304.
[117] Saussure, 1922, p. 103.
Cfr. Saussure, 2005b, pp. 222-223.
[118] Cfr. Saussure, 1996, p. 113.
[119] Cfr. Saussure, 1957, pp. 66-67.
[120] De Mauro, 2004a, pp.
111-112.
[121] Saussure, 1922, p. 32. E
il commento di De Mauro è fruttuoso:
«Saussure si pone proprio questioni di semantica, e si incammina su una strada
che già allora lo avrebbe portato a sostenere che i significati, e non solo i
significanti, ritagliano in modo arbitrario, diverso da lingua a lingua, i
materiali di cui vogliamo parlare.» (De Mauro, 2004a, p. 113).
[122] Saussure fin dal primo corso divide la pura analisi
dalla effettiva costruzione linguistica: in una lingua artificiale tutto è
analizzabile (cfr. Saussure, 1996, pp. 90-91).
[124] Peirce in Bonfantini, 2003, p. 149.
[125]
Peirce, 1998
[1894], p. 9.
[126]
Saussure, 2002, p. 81.
[128] Saussure, 2005a, p. 83.
[131] Saussure, 2005a, pp. 80-81.
[132] Saussure, 1922, p.
317.
[133] Ivi, p. 41.
[135]
Ferriani, 1990, p. 400.
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