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sabato 10 maggio 2014

I luoghi dell’ordine politico Persuasione e inganni nella scrittura di Silvia Redente



Consiglio di visualizzare la fotografia di August Endell, facciata dello studio fotografico «Elvira», 1897-1898 Monaco di Baviera. L’edificio oggi non esiste più.

Ciò che si tratta di distruggere è la durata,

 cioè la connessione ineffabile dell’esistenza: l’ordine,

 sia quello della continuità poetica o quello dei segni romanzeschi,

 quello del terrore o quello della verosimiglianza, è un omicidio intenzionale.

Roland Barthes

Di cosa stiamo parlando quando parliamo di ordine e di potere? Che tipo di rapporto intrattiene la

socialità con l’istituzione sociale? Rivisitiamo queste domande capovolgendone il punto di vista e

chiediamo alla scrittura stessa di verificare l’oggetto di cui stiamo cercando le tracce.

Esistono differenze che specificano i rapporti tra politica e istituzioni sociali? I rapporti sociali

sono rapporti dialogici. Il dialogo è interpretazione. Gli interlocutori o attori del dialogo sono gli

interpreti di almeno due drammi. Quello della loro vita e quello che stanno attuando in quel preciso

dialogo. Non c’è dialogo, azione comunicativa linguistica che non sia interpretazione. Il ritmo, la

punteggiatura del dramma e della tragedia, della musica e dell’arte deve essere visibile per essere

compreso. Ciò che è visibile è ciò che è interpretabile. Di base non vi è alcuna persuasione senza

interpretazione. Cosa vuol dire interpretare un testo? Questa domanda richiede la scoperta della

propria chiave di lettura, che si può trovare almeno nel piacere del testo, intratestuale, come nel

racconto, o fuori dal testo, nelle mani di un lettore qualunque. Ma esiste almeno un altro luogo per

abbordare l’apertura testuale? Il dialogo è quel processo che avviene in almeno due sensi, ossia da

testo a lettore e da lettore a testo. Il risultato (non necessario) di questo processo è l’interpretazione.

Il senso dell’illimitatezza interpretativa fluttua tra la visione della conclusione e l’impossibilità di

raggiungere la fine del discorso. Ma lo spazio tra prodotto o processo e risultato pone l’accento

sulla questione del finito (poiesis?). Può un discorso finire nella mente dell’interprete? Chiaramente

no. Ma qui dobbiamo capire se è il testo a produrre il movimento di interpretazione, se è il testo

ad essere visibile per intero o ciò che è realmente visibile è ciò che è fuori dal testo, tra oralità e

Nel pensiero di Roland Barthes vi è almeno un punto in cui è visibile come non tutte le forme di

scrittura sono persuasive ed assolutamente non tutte sono chiamate ad esserlo. Differenziare la

scrittura politica da quella del romanzo da quella poetica e da borghese è un gesto che va oltre la

classica diversificazione per generi. Sulla scia di questa differenziazione ritorniamo alla questione

dell’interpretazione ed in particolare al ruolo che lo scrittore ha nel movimento testuale. L’azione

individuale dello scrivere non è il testo scritto. La meraviglia dello scrittore è forse asociale, riflesso

dell’individualità necessaria di un gesto che cerca la sua identità per differenziarsi. Ma la chiusura

del gesto singolo e ripetitivo è la base per un’identità fatta di etichette e di generi. Cosa vuol dire

“scrittura marxista”? Quando si sta parlando di scrittura marxista si sta identificando un valore

rispetto alla storia extratestuale, se così si può chiamare, ma il gesto dello scrittore non può avere

attributi di genere. Lo scrittore non è una marionetta nelle mani del destino o del fato o fatto che

accade, ma la responsabilità del singolo non limita il senso del testo scritto. Identità e impiego sono

infatti proprietà dei segni, sono, insieme ai loro reciproci e opposti, ciò che è parte del valore dei

segni. Ma attribuire un valore a un segno vuol dire accettarne la morte. I contenuti sono eternamente

repressivi, ogni qual volta si chiude o circoscrive una forma.

Difficoltà nella prassi – il teatro senza luoghi

Di certo ostinazione ed esuberanza non sono equivalenti a persuasione. Ed è per questo

probabilmente che non c’è lettore nel testo che debba esser persuaso e, dal lato della testualità,

l’autore non è un buon lettore di se stesso.

Se, come abbiamo visto, il contenuto è definitivamente e definitoriamente una chiusura, ossia

repressione come non-espressione del senso è chiaro come la persuasione stessa sia semplice

attributo dei discorsi, esclusione del testo. Una definizione dei generi è una chiusura dei sensi

possibili. È una sentenza pronunciata da un despota. La forma esplode perché devia il naturale fluire

del discorso. La prigione è una chiusura politica. Come la menzogna pronunciata in televisione. Ma

essa è costruita per un pubblico imprigionato nel tono di voce oltre-forma, incapace, non perchè

Il tono di voce dell’evento è una prigione in tutti i sensi (e qualcuno direbbe di tutti i sensi), da

cui è praticamente impossibile fuggire. In questo senso possiamo vedere l’equivalenza tra oralità

e scrittura. Infatti il discorso in atto della comunicazione verbale, speech o parole, è un evento

che come tale non può evolversi, ma, d’altro canto, la scrittura non può essere annullata e la

cancellazione equivale a un cambiamento. Perciò la sua evoluzione più essere solo nella riscrittura

che è un ricostruire con mattoni simili un testo diverso. In questo senso di uguaglianza si vede in

maniera pervasiva e trasparente l’opposizione tra parole e scrittura, ed è così che vediamo i due

sistemi di lingua e scrittura coevolvere1

con la specificità di ciascuna forma di testualità discorsiva, ma di fatto si cristallizza in due forme

diametralmente opposte. La solidità della scrittura non ha niente a che vedere con l’evanescenza

della parole. Sarà il suo eterno desiderio. Concedere alla scrittura il suo desiderio corrisponderebbe

. Infatti l’irreversibilità si confonde in entrambi i sistemi

Ritorniamo qui alla questione del valore e dell’identità. L’impiego permette all’identità di muoversi,

di spostare il valore dei segni. Potrei, come scrittore-scrivente usare un segno lasciandomi guidare

dall’impiego? Di fatto è possibile. Ciò non riduce, tuttavia, la responsabilità dell’uso.

Se la scelta (di cosa diremo dopo) è un gesto che vive nell’istante irreversibile del momento-evento,

la scrittura, tuttavia, non è il risultato di questa azione individuale3

.

Bisogna ritornare sull’evento della scoperta scientifica senza parlare di scoperta né di scienza.

Barthes affonda così sulla questione della scrittura, dicendo che si può spiegare solo nel suo

dispiegarsi, avvicinandosi alla nozione derridiana di Grammatologia come utopia dello scrittore-
scienziato. Dopotutto in entrambi ciò che non vorrebbe esserci è un contenuto chiuso, dando al

significante il ruolo dell’apertura del senso, o attività del significato. Lo spazio della scrittura è così

uno spazio aperto, e l’apertura è il luogo dell’interpretazione, del movimento del differire del segno.

Ma come riconoscere il significante? Se, come abbiamo detto, ciò che è visibile è ciò che è

interpretabile, come esser sicuri di star osservando proprio il significante? In altre parole può

l’interpretazione essere già di per sé persuasione? Se la retorica è il luogo del discorso, come

 Una sorta di confusione linguistica avviene nelle forme di discorso on-line, come nei blog o ancor più nei forum di

discussione. In chi identificare l’autore dei messaggi e solo una delle problematiche che si pone rispetto alle forme di

 Che di fatto è individuale solo in parte, poiché è sempre una questione di responsabilità dell’uso che non potrebbe

portare il non luogo, quello aperto e perciò non circoscritto, nella scrittura senza mutarne la forma,

stravolgendone i sensi? In altre parole, fino a che punto il testo è circoscrivibile da ciò che non è

testuale? Possiamo definire i generi come forme d’uso che prescindono dall’impiego possibile?

Rappresentare l’interpretazione con una retta non è sufficiente, il sistema non è tale finché non

si definiscono le unità e dunque i tipi di relazioni che sussistono, insegna Saussure. È così che

possiamo differenziare i generi, senza dimenticare che lo scopo o fine non è determinato prima

dell’azione dialogica che ogni testo offre ai suoi lettori per altri testi o forme testuali.

Se è vero che l’interpretazione può compiersi e si compie lì dove si intravedono spazi, non visibili

nella loro interezza, allora vi sono delle faglie, delle fratture che mostrano il districarsi del ritmo.

Ma la scrittura possiede le forme che rappresenta? Non c’è modo di abbordare una forma se non

attraverso la rappresentazione di questa. Noi esseri umani vediamo forme rappresentative, siamo

animali interpretanti. Di più, siamo animali che sanno usare le rappresentazioni e stravolgerne i

sensi, in una serie indefinita e indefinibile (Saussure direbbe incalcolabile) di micro rivoluzioni che

mutano e modificano l’equilibrio (che poi si attua nello squilibrio) del sistema sociale.

Se rappresentare un segno richiede come condizione necessaria riconoscerne l’identità, non

possiamo che porci nella deriva dei segni, tra le fluttuazioni ma ci sarà almeno un punto in cui

ritrovare l’ordine, un punto da cui osservare senza dover rinunciare all’identità pura del segno?

Derrida risponde negando questa possibilità, poiché il significante è già da sempre contaminato,

sporcato dal movimento stesso di significazione e, viceversa, non vi può essere un significato

puro, un contenuto chiuso, poiché esso è già da sempre differenziale rispetto agli altri significati

e significanti. Il residuo della differance è il punto di focalizzazione del significato, come realtà

fondante e attuale della lingua e di tutti i sistemi semiotici. ossiamo a questo punto, ancora,

ricercare un qualcosa, entità, proprietà, che renda specifico il nostro oggetto? È solo con la scrittura

che possiamo avvicinare la scrittura? Non potrebbe darsi che la scrittura vive nella scrittura, ma

possiamo riconoscere una lingua scritta, ossia una specificità dei suoi significati rispetto ad ognuno

La rappresentabilità della scrittura ha una sua specificità rispetto alla rappresentabilità dell’oralità.

Essa corrisponde alla visibilità del segno scritto. Rappresentare vuol dire almeno vedere il segno

scritto e riconoscerlo tra gli altri. La scrittura, sostiene Saussure, serve per rappresentare il sistema

della lingua e possiamo riconoscere le stesse caratteristiche tra il sistema della lingua e quello

della scrittura, tanto da esemplificare la prima con la seconda. Questo vuol dire che per abbordare

la scrittura possiamo usare gli stessi mezzi usati per la fondazione di una scienza della lingua

rinnovata, quella che Saussure ha prospettato nel terzo corso di linguistica generale e nei suoi scritti.

 (74) La langue et l’écriture sont deux systèmes de signes don’t l’un a pour mission <uniquement> de

représenter l’autre. Il semblerait que leur valeur respective et réciproque ne court pas de risque d’être

méconnue, l’une n’est que la servante ou l’image de l’autre.

Ma c’è dell’altro. Infatti la lingua stessa non può essere riconosciuta se prima non viene ripulita

 <Non dégagée de l’ècriture, la langue est un objet non défini>.

Il rapporto tra scrittura e lingua è intimo, tale da dover formulare dei modi per rompere l’intreccio

tra le due. Ad un certo punto, infatti, la scrittura usurpa il ruolo principale della lingua, tendendo

trappole e insidie. Per questo, suggerisce Saussure, è necessario conoscere il proprio nemico

per potersene distanziare. In realtà Saussure ne elimina la problematicità solo dal punto di vista

sistemico o sincronico della sua teoria linguistica. Ma dal punto di vista diacronico, ossia della

massa parlante rispetto all’oggetto linguistico nel tempo, dovremmo ammettere che la lingua

saussuriana è eternamente sporcata dalle scorie della scrittura. Ma non è questo che ci interessa

qui, per adesso. Possiamo abbordare la scrittura seguendo le tracce che Saussure ha lasciato, e qui

in particolare considereremo l’aspetto maggiormente sentito negli scritti di Saussure riguardante

la scrittura. Seguendo questo percorso vogliamo semplicemente suggerire un modo per guardare

alla problematica dell’ordine del linguaggio, considerando in particolare due modalità di azione

linguistica come modalità degenerate di persuasione, ossia le sentenze e gli ordini.

Come un acerrimo nemico, la scrittura invade i territori della lingua, violandone lo sviluppo

(83) L’ècriture arrive à voiler ce qui existe dans la langue. D’auxiliaire pour l’étude de langue elle devient

I casi di invasione (teratologici) sono innumerevoli, poiché il pericolo maggiore si erge lì dove

non è più possibile riconoscere la provenienza di un valore, in altre parole non è più possibile

riconoscere l’identità di un segno. Questo avviene ogni qual volta si dimentica che la mutabilità

della lingua non corrisponde a quella della scrittura, che spesso la scrittura resta immobile e

fissa, mentre a correre verso altre direzioni è la lingua. Il pericolo è la maschera che la scrittura

fa indossare alla lingua, rendendola falsa, come un feticcio o un’immagine riflessa. Ci chiediamo

qui se può esservi un pericolo nella lingua per la scrittura pari almeno al pericolo che la scrittura

è per la lingua. La risposta è affermativa e si basa sull’azione verbale di ordini e sentenze. Meno

sono comprensibili, più li si prende come base – sono le deformità, l’oltre-forma che se restasse

evanescente non riuscirebbe ad andare a buon fine – considerando che questo buon fine è l’ordine

imposto, la violenza. Diremo qui che la violenza della lettera è un’immagine sbagliata, che rischia

di confondere le forme della scrittura con forme che ad essa sono estranee (almeno quanto estranea

Ordine e sentenza sono chiusure degli impieghi possibili. La scrittura è naturalmente ciò che non

è necessario (è naturale²). Avrebbe potuto non emergere nel corso dell’evoluzione. La specie

dell’homo sapiens avrebbe potuto sopravvivere anche senza scrivere. Lo scarto tra lingua e

scrittura è il gioco tra necessario e non necessario. Ogni qual volta si ritrovano nella scrittura degli

ordini, delle sentenze, si sta cercando di usare la scrittura con gli strumenti che ad essa non sono

conspecifici, cercando di attribuire ad essa un tipo di forza che non dovrebbe possedere. Ecco le

mostruosità nella scrittura simili a quelle della scrittura nella lingua. Si tenta di ricongiungere le

estremità del nastro di Möbius, ormai tagliato, spezzato.

 (83) Moins l’écriture correspond à ce qu’elle a puor mission de marquer, plus se renforce la tendance de

Qual è la missione della scrittura? Barthes afferma che la scrittura non può che dichiarare,

affermare. Un esempio importante per la nostra domanda iniziale è ciò che Hanna Arendt afferma

a proposito di quella che in genere viene chiamata menzogna, ancora senza distinzione di questa

rispetto all’inganno, nella sfera di azione politica dello Stato:

La segretezza e l’inganno (...), usati come mezzi legittimi per il raggiungimento di scopi politici, ci sono

familiari fin dagli albori della storia scritta. (p. 88)

Tuttavia la familiarità dell’inganno e della segretezza, se pur portati dalla scrittura, non sono effetto

di questa. Seguiamo così la linea che Saussure ha tracciato per la scrittura. Vedremo in che senso:

(84) Moins elle est compréhensible, plus on la prend pour base. Toutes les règles, les formules s’attachent au

In quel complesso sistema di segni che è il linguaggio dobbiamo riconoscere le specificità dei

sistemi che lo compongono. E tra i sistemi sostare solo per il tempo utile a delinearne la struttura

e le proprietà. Ma è necessario, al fine di comprendere ciascun sistema, immergerci all’interno

di ciascuno di essi, solo così si possono mostrare le dinamiche interne. La lingua che Saussure

vuole portare alla luce non deve essere contaminata dalla scrittura. Ma questa è un’impresa ardua

se non impossibile. È anche per questo che il punto di vista del sistema deve mantenere la sua

. Il punto di partenza che ci offre Saussure è decisivo. Maggiori

saranno i caratteri di opposizione e differenza tra i sistemi di lingua e scrittura, maggiore saranno le

possibilità di avvicinarne e circoscrivere le unità, ciascuna nella sua specificità.

Ad un certo punto la scrittura può non essere comprensibile a tutti i parlanti di una comunità in

cui diffonde la sua forza. Ed è a questo punto che essa si manifesta nella sua specificità sul terreno

del linguaggio. Tutte le regole e le formule, abbiamo visto dire a Saussure, si uniscono al sistema

grafico. Le regole dell’ortografia si connettono con quelle della lingua che perdendo la sua naturale

evoluzione, finisce per riversare le sue regole sulla scrittura. Ad un certo punto sarà estremamente

difficile attribuire ad uno dei due sistemi la specificità di quella unità usata dalla massa parlante

che si sta prendendo in considerazione. Come una calamita, la scrittura si muove tra le polveri

metalliche della lingua e delle regole linguistiche, fino a costituirsi come un sistema di una tale

complessità da essere un pericolo per la lingua stessa.

(73) <Nous ne pouvons faire abstraction d’écriture> Qu’est-ce que cet instrument de l’écriture dont nous

usons, en quoi est-il utile ou dangereux par les pièges qu’il peut tendre, par les erreurs qu’il peut susciter?

Affinché non sembri fuori luogo il viaggio di ritorno alla lingua rispetto a ciò di cui stiamo

parlando, ricordiamo che l’animale umano è l’unico in grado di mediare con i suoi simili,

di prendere accordi, di pattuire con incontri a metà strada la sua esistenza sociale, in virtù

di quella istituzione sociale che è la lingua. Poniamo la parola potere dal lato del senso di

potenza, immaginiamo questo termine nella sua naturalità più estrema e poi nelle sue forme di

interpretazione. Le azioni che ne derivano sono le sue forme d’impiego attualizzate. Accettiamo le

sfumature delle forme e circoscriviamole in unità, per opposizione le une rispetto alle altre. Qui non

 Ma chissà - direbbe il nostro avversario scaltro - se avesse scritto il suo libro, Saussure avrebbe superato questa idea,

seguendo le specificazioni sul ruolo della massa parlante e della temporalità. Sì, rispondiamo qui, può darsi, ma in

fondo non sarebbe cambiato molto: (86) Il est toujours complètement vain de s’addresser à l’écriture pour une question

Cette influence va plus loin, elle exerce une action sur la masse, action qui se reflète sur la langue, et y provoque des

Dopotutto la risposta di Saussure è alla tradizione a lui contemporanea e la micro-rivoluzione o il lungo passo in avanti

che apporta è proprio quella della sincronia e della (eterna) vita della lingua, escludendo i casi di morte violenta esterni

vi è possibilità di identità trasparenti e neutrali. Non vi sono generi né etichette. Siamo nelle forme

della lingua e delle lingue, possibilità logiche visibili e perciò realtà del segno.

Il testo è un luogo sociale. Così mostra la sua apertura nel movimento delle sue parti. A scomparire

è, ad un certo punto, la dinamica interno/esterno di una intratestualità che si scontra con ciò che

non è testuale. Quando l’extratestuale prende piede nel testo, la scrittura cade nella trappola del

linguaggio, inevitabile collisione tra sistemi semiotici o semiologici5

elementi che non sono parte cooperante del progetto di scrittura testuale, e che si insinua tra le

pagine della storia trasportato da ciò che si definisce in modo inappropriato scrittura.

Se è vero che vi sono forme diverse di segreti e di inganni e di base l’inganno non è specificità

dell’animale umano, dobbiamo distinguere inganno da menzogna. Diciamo qui che la menzogna

è parte specifica del progetto della scrittura, poiché vive in una testualità che è ciò che permette

l’interpretazione. È persuasione non ingannevole. Qui la possibilità di errore o di cattive intenzioni

tende a zero, poiché ci troviamo al di là di quella logica del bene e del male che pregiudica un certo

tipo di verità e di falsità. Qui, «siamo liberi di cambiare il mondo e di dare inizio a qualcosa di

nuovo» (Arendt, p. 89), poiché qui negare non è mai ingannare.

Quando interviene il restauratore del nastro di Möbius la scrittura si deforma e si attribuisce alla

lettera la violenza. Ma in questo modo si attribuisce la causa ad un oggetto che, come tale e nella

sua specificità, non ha alcun legame con la causalità attribuitagli.

Ancora riprendendo Saussure dal punto di vista del sistema e della convergenza tra i sistemi

semiologici, la scrittura, ora possiamo dirlo, usa la lingua. Ma quando è la lingua che tenta

di appropriarsi del suo predominio (cerca di riacquistare il potere dell’esclusività antica), nel

tentativo di far abdicare la scrittura, qui usurpa il ruolo di questa. La violenza, ancora riprendendo

un’immagine di Saussure, è il corsetto che la lingua, in questo caso, tenta di stringere intorno alla

scrittura. La violenza è nella lingua verbale l’inganno di ordini e di sentenze, ma ciò non vuol

dire che gli ultimi due siano esattamente allo stesso livello logico del primo. L’inganno può non

essere verbale, e solo in un senso gli animali non umani comunicano attraverso ordini e sentenze.

Ossia potenzialmente ogni tipo di interazione non umana è estremamente efficace, in un certo

senso ogni effetto è stato ordinato da una causa. Tuttavia nel campo di interazione verbale, ordine

e sentenze sono potentemente efficaci nei luoghi che gli sono propri. Gli esempi sarebbero troppi

 Bisognerebbe scegliere forse uno dei due termini? Visti gli usi differenti che finora sono stati adoperati, spesso

perdendosi in sfumature che una parola in sé non può trattenere, proponiamo qui al lettore la scelta dell’opzione che il

. L’inganno è uno degli

e non piacevoli. Ma il tipo di ordine che la lingua porta con sé non corrisponde ad una sentenza

pronunciata da un despota. Perché la sentenza è un inganno sociale. Finché non è stato riconosciuto

come tale esso si è cibato della menzogna di cui era mascherato. Nell’intreccio complesso dei

sistemi semiotici che è la cultura umana, l’inganno delle sentenze e degli ordini (dei quali in altra

sede faremo dovute distinzioni ma che qui pensiamo unitariamente, legati dalla forma dell’inganno

sociale) permette di mostrare solo una faccia nel panorama pluridimensionale delle interpretazioni

possibili, in ciascun momento individuabile come tale. L’inganno intrecciato nella storia scritta è la

violenza di un corpo estraneo alla scrittura. Essa vuole reagire, mentre la scrittura è lo spazio delle

ragioni e del caso, anche, ma soprattutto della cooperazione intertestuale.

Lì dove il potere si camuffa con ordini e inganni lì si sta mistificando la scrittura. ordini e sentenze

non sono persuasione, ma agenti esterni e fuori luogo. Se esistono testi scritti per ingannare, essi

non sono porte per arrivare alla scrittura, in cui la menzogna vive come forma testuale, come nei

romanzi, ma non può dare ordini, non può esercitare violenza sui significati. Il luogo della scrittura

è un luogo aperto, perciò significante e significativo. Nella lingua non vi possono essere rivoluzioni,

poiché essa vive nelle relazioni di continuità delle parti o unità segniche e nella comunità di

parlanti. Nella scrittura nessun inganno, nessun ordine né sentenza è possibile. Nel linguaggio

umano vi sono continue micro rivoluzioni, una delle quali è l’uso della lingua nella scrittura. Le

forme di scrittura sono forme di politica aperta, luoghi in cui i significati giocano senza farsi guerra.

La frase è paragonabile all’attività del compositore di musica (e non a quella dell’esecutore).

 della frase non è ascrivibile alla parole. Durante lo svolgimento di un dialogo

i parlanti una lingua non pensano di dover comporre forme nuove. L’identità è data dalla

composizione, da ciò che non è manifestato, dalla struttura sistemica della lingua. Dicendo struttura

sistemica non immaginiamo una forma sovraordinata e a priori, ma la struttura della lingua scritta

a partire dalle regole dell’ortografia. Chiaramente abbiamo visto come non sia possibile trovare in

natura² una lingua purificata dalla scrittura, e come le regole ortografiche assorbano e compongano

con nuove note i residui della lingua. Perciò la composizione musicale non è che il modo in cui

 Nalla nota relativa (n°138) De Mauro fa notare come qui Saussure si avvicina all’idea di progettualità della frase

prendendo le distanze dall’esecuzione e dalla parole.

la scrittura usa la lingua. Nel sistema della scrittura ci sono tuttavia verità formali irremovibili.

Tutte le esecuzioni oltre-forma, di cui abbiamo accennato ad una e forse la più importante per

la sua eccedenza rispetto alla scrittura non sono parte del progetto, non ne sono la chiave da cui

partire per delineare i caratteri della scrittura. Il pentagramma è pronto ad accogliere le note, e tutte

quelle esistenti potranno essere assorbite su di esso. La nota stonata o oltre forma che è indicata dal

pentagramma sarà riconosciuta solo dopo l’esecuzione. Per evitare la ripetizione della stonatura si

dovrà cancellare la nota, e ricomporre, riscrivere la composizione.

La lingua suona la sua melodia tra i parlanti, nella dialogicità dei loro rapporti. Poter ricomporre

con note diverse un’altra melodia è la forza che la scrittura dà alla lingua, e la possibilità di continua

ricostruzione che forma i rapporti verbali. Ma è chiaro come sia necessario, per poter ricomporre

il pentagramma, essere in grado di scegliere le note da riutilizzare. Proprio perché avviene, come

nell’apprendimento di una lingua, che ad essere imparate devono essere le eccezioni, mentre le

regole possono non essere necessariamente riconosciute ma soltanto messe in opera. L’opera

primaria della scrittura è proprio quella di mostrare le regole che sottostanno alle regolarità. Così, se

dovessimo cercare un modo per vedere lo scarto tra lingua e scrittura, potremmo parlare di tonalità.

Vi è un tono del discorso. Esso si differenzia sostanzialmente dal tono di voce dell’evento fonico

della lingua parlata. È qualcosa di simile alla domanda: cosa differenzia un suono qualunque da un

tuono? La politica del terrore è quella della violenza dei contenuti, definitoriamente chiusi, costretti

da un tono di voce oltre-forma. Vi è un tono del testo scritto che non è lo stesso del genere con

il quale si differenziano i tipi di scritture comunemente. Una politica dei luoghi aperti vive nella

fluttuazione di un tono che forma nel suo stesso formare. La scrittura è il suo contesto. Qui non ci

sono inganni, né ordini, né fratture, ma spazi aperti. Come la bottiglia di Klein.

Bibliografia

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Id., 1985, L’avventura semiologica, Einaudi, Torino.

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