In questo spazio tra me e il mondo c'è il mio romanzo fiume. Crescerà con me e con gli appassionati del tempo: che non ci travolga ma ci permetta di riempirlo di sostanza e di fantasia. Buona lettura. P.s.: si legge al contrario, da Simbiosi verso l'alto.
Co2
sabato 10 maggio 2014
I luoghi dell’ordine politico Persuasione e inganni nella scrittura di Silvia Redente
Consiglio di visualizzare la fotografia di August Endell, facciata dello studio fotografico «Elvira», 1897-1898 Monaco di Baviera. L’edificio oggi non esiste più.
Ciò che si tratta di distruggere è la durata,
cioè la connessione ineffabile dell’esistenza: l’ordine,
sia quello della continuità poetica o quello dei segni romanzeschi,
quello del terrore o quello della verosimiglianza, è un omicidio intenzionale.
Roland Barthes
Di cosa stiamo parlando quando parliamo di ordine e di potere? Che tipo di rapporto intrattiene la
socialità con l’istituzione sociale? Rivisitiamo queste domande capovolgendone il punto di vista e
chiediamo alla scrittura stessa di verificare l’oggetto di cui stiamo cercando le tracce.
Esistono differenze che specificano i rapporti tra politica e istituzioni sociali? I rapporti sociali
sono rapporti dialogici. Il dialogo è interpretazione. Gli interlocutori o attori del dialogo sono gli
interpreti di almeno due drammi. Quello della loro vita e quello che stanno attuando in quel preciso
dialogo. Non c’è dialogo, azione comunicativa linguistica che non sia interpretazione. Il ritmo, la
punteggiatura del dramma e della tragedia, della musica e dell’arte deve essere visibile per essere
compreso. Ciò che è visibile è ciò che è interpretabile. Di base non vi è alcuna persuasione senza
interpretazione. Cosa vuol dire interpretare un testo? Questa domanda richiede la scoperta della
propria chiave di lettura, che si può trovare almeno nel piacere del testo, intratestuale, come nel
racconto, o fuori dal testo, nelle mani di un lettore qualunque. Ma esiste almeno un altro luogo per
abbordare l’apertura testuale? Il dialogo è quel processo che avviene in almeno due sensi, ossia da
testo a lettore e da lettore a testo. Il risultato (non necessario) di questo processo è l’interpretazione.
Il senso dell’illimitatezza interpretativa fluttua tra la visione della conclusione e l’impossibilità di
raggiungere la fine del discorso. Ma lo spazio tra prodotto o processo e risultato pone l’accento
sulla questione del finito (poiesis?). Può un discorso finire nella mente dell’interprete? Chiaramente
no. Ma qui dobbiamo capire se è il testo a produrre il movimento di interpretazione, se è il testo
ad essere visibile per intero o ciò che è realmente visibile è ciò che è fuori dal testo, tra oralità e
Nel pensiero di Roland Barthes vi è almeno un punto in cui è visibile come non tutte le forme di
scrittura sono persuasive ed assolutamente non tutte sono chiamate ad esserlo. Differenziare la
scrittura politica da quella del romanzo da quella poetica e da borghese è un gesto che va oltre la
classica diversificazione per generi. Sulla scia di questa differenziazione ritorniamo alla questione
dell’interpretazione ed in particolare al ruolo che lo scrittore ha nel movimento testuale. L’azione
individuale dello scrivere non è il testo scritto. La meraviglia dello scrittore è forse asociale, riflesso
dell’individualità necessaria di un gesto che cerca la sua identità per differenziarsi. Ma la chiusura
del gesto singolo e ripetitivo è la base per un’identità fatta di etichette e di generi. Cosa vuol dire
“scrittura marxista”? Quando si sta parlando di scrittura marxista si sta identificando un valore
rispetto alla storia extratestuale, se così si può chiamare, ma il gesto dello scrittore non può avere
attributi di genere. Lo scrittore non è una marionetta nelle mani del destino o del fato o fatto che
accade, ma la responsabilità del singolo non limita il senso del testo scritto. Identità e impiego sono
infatti proprietà dei segni, sono, insieme ai loro reciproci e opposti, ciò che è parte del valore dei
segni. Ma attribuire un valore a un segno vuol dire accettarne la morte. I contenuti sono eternamente
repressivi, ogni qual volta si chiude o circoscrive una forma.
Difficoltà nella prassi – il teatro senza luoghi
Di certo ostinazione ed esuberanza non sono equivalenti a persuasione. Ed è per questo
probabilmente che non c’è lettore nel testo che debba esser persuaso e, dal lato della testualità,
l’autore non è un buon lettore di se stesso.
Se, come abbiamo visto, il contenuto è definitivamente e definitoriamente una chiusura, ossia
repressione come non-espressione del senso è chiaro come la persuasione stessa sia semplice
attributo dei discorsi, esclusione del testo. Una definizione dei generi è una chiusura dei sensi
possibili. È una sentenza pronunciata da un despota. La forma esplode perché devia il naturale fluire
del discorso. La prigione è una chiusura politica. Come la menzogna pronunciata in televisione. Ma
essa è costruita per un pubblico imprigionato nel tono di voce oltre-forma, incapace, non perchè
Il tono di voce dell’evento è una prigione in tutti i sensi (e qualcuno direbbe di tutti i sensi), da
cui è praticamente impossibile fuggire. In questo senso possiamo vedere l’equivalenza tra oralità
e scrittura. Infatti il discorso in atto della comunicazione verbale, speech o parole, è un evento
che come tale non può evolversi, ma, d’altro canto, la scrittura non può essere annullata e la
cancellazione equivale a un cambiamento. Perciò la sua evoluzione più essere solo nella riscrittura
che è un ricostruire con mattoni simili un testo diverso. In questo senso di uguaglianza si vede in
maniera pervasiva e trasparente l’opposizione tra parole e scrittura, ed è così che vediamo i due
sistemi di lingua e scrittura coevolvere1
con la specificità di ciascuna forma di testualità discorsiva, ma di fatto si cristallizza in due forme
diametralmente opposte. La solidità della scrittura non ha niente a che vedere con l’evanescenza
della parole. Sarà il suo eterno desiderio. Concedere alla scrittura il suo desiderio corrisponderebbe
. Infatti l’irreversibilità si confonde in entrambi i sistemi
Ritorniamo qui alla questione del valore e dell’identità. L’impiego permette all’identità di muoversi,
di spostare il valore dei segni. Potrei, come scrittore-scrivente usare un segno lasciandomi guidare
dall’impiego? Di fatto è possibile. Ciò non riduce, tuttavia, la responsabilità dell’uso.
Se la scelta (di cosa diremo dopo) è un gesto che vive nell’istante irreversibile del momento-evento,
la scrittura, tuttavia, non è il risultato di questa azione individuale3
.
Bisogna ritornare sull’evento della scoperta scientifica senza parlare di scoperta né di scienza.
Barthes affonda così sulla questione della scrittura, dicendo che si può spiegare solo nel suo
dispiegarsi, avvicinandosi alla nozione derridiana di Grammatologia come utopia dello scrittore-
scienziato. Dopotutto in entrambi ciò che non vorrebbe esserci è un contenuto chiuso, dando al
significante il ruolo dell’apertura del senso, o attività del significato. Lo spazio della scrittura è così
uno spazio aperto, e l’apertura è il luogo dell’interpretazione, del movimento del differire del segno.
Ma come riconoscere il significante? Se, come abbiamo detto, ciò che è visibile è ciò che è
interpretabile, come esser sicuri di star osservando proprio il significante? In altre parole può
l’interpretazione essere già di per sé persuasione? Se la retorica è il luogo del discorso, come
Una sorta di confusione linguistica avviene nelle forme di discorso on-line, come nei blog o ancor più nei forum di
discussione. In chi identificare l’autore dei messaggi e solo una delle problematiche che si pone rispetto alle forme di
Che di fatto è individuale solo in parte, poiché è sempre una questione di responsabilità dell’uso che non potrebbe
portare il non luogo, quello aperto e perciò non circoscritto, nella scrittura senza mutarne la forma,
stravolgendone i sensi? In altre parole, fino a che punto il testo è circoscrivibile da ciò che non è
testuale? Possiamo definire i generi come forme d’uso che prescindono dall’impiego possibile?
Rappresentare l’interpretazione con una retta non è sufficiente, il sistema non è tale finché non
si definiscono le unità e dunque i tipi di relazioni che sussistono, insegna Saussure. È così che
possiamo differenziare i generi, senza dimenticare che lo scopo o fine non è determinato prima
dell’azione dialogica che ogni testo offre ai suoi lettori per altri testi o forme testuali.
Se è vero che l’interpretazione può compiersi e si compie lì dove si intravedono spazi, non visibili
nella loro interezza, allora vi sono delle faglie, delle fratture che mostrano il districarsi del ritmo.
Ma la scrittura possiede le forme che rappresenta? Non c’è modo di abbordare una forma se non
attraverso la rappresentazione di questa. Noi esseri umani vediamo forme rappresentative, siamo
animali interpretanti. Di più, siamo animali che sanno usare le rappresentazioni e stravolgerne i
sensi, in una serie indefinita e indefinibile (Saussure direbbe incalcolabile) di micro rivoluzioni che
mutano e modificano l’equilibrio (che poi si attua nello squilibrio) del sistema sociale.
Se rappresentare un segno richiede come condizione necessaria riconoscerne l’identità, non
possiamo che porci nella deriva dei segni, tra le fluttuazioni ma ci sarà almeno un punto in cui
ritrovare l’ordine, un punto da cui osservare senza dover rinunciare all’identità pura del segno?
Derrida risponde negando questa possibilità, poiché il significante è già da sempre contaminato,
sporcato dal movimento stesso di significazione e, viceversa, non vi può essere un significato
puro, un contenuto chiuso, poiché esso è già da sempre differenziale rispetto agli altri significati
e significanti. Il residuo della differance è il punto di focalizzazione del significato, come realtà
fondante e attuale della lingua e di tutti i sistemi semiotici. ossiamo a questo punto, ancora,
ricercare un qualcosa, entità, proprietà, che renda specifico il nostro oggetto? È solo con la scrittura
che possiamo avvicinare la scrittura? Non potrebbe darsi che la scrittura vive nella scrittura, ma
possiamo riconoscere una lingua scritta, ossia una specificità dei suoi significati rispetto ad ognuno
La rappresentabilità della scrittura ha una sua specificità rispetto alla rappresentabilità dell’oralità.
Essa corrisponde alla visibilità del segno scritto. Rappresentare vuol dire almeno vedere il segno
scritto e riconoscerlo tra gli altri. La scrittura, sostiene Saussure, serve per rappresentare il sistema
della lingua e possiamo riconoscere le stesse caratteristiche tra il sistema della lingua e quello
della scrittura, tanto da esemplificare la prima con la seconda. Questo vuol dire che per abbordare
la scrittura possiamo usare gli stessi mezzi usati per la fondazione di una scienza della lingua
rinnovata, quella che Saussure ha prospettato nel terzo corso di linguistica generale e nei suoi scritti.
(74) La langue et l’écriture sont deux systèmes de signes don’t l’un a pour mission <uniquement> de
représenter l’autre. Il semblerait que leur valeur respective et réciproque ne court pas de risque d’être
méconnue, l’une n’est que la servante ou l’image de l’autre.
Ma c’è dell’altro. Infatti la lingua stessa non può essere riconosciuta se prima non viene ripulita
<Non dégagée de l’ècriture, la langue est un objet non défini>.
Il rapporto tra scrittura e lingua è intimo, tale da dover formulare dei modi per rompere l’intreccio
tra le due. Ad un certo punto, infatti, la scrittura usurpa il ruolo principale della lingua, tendendo
trappole e insidie. Per questo, suggerisce Saussure, è necessario conoscere il proprio nemico
per potersene distanziare. In realtà Saussure ne elimina la problematicità solo dal punto di vista
sistemico o sincronico della sua teoria linguistica. Ma dal punto di vista diacronico, ossia della
massa parlante rispetto all’oggetto linguistico nel tempo, dovremmo ammettere che la lingua
saussuriana è eternamente sporcata dalle scorie della scrittura. Ma non è questo che ci interessa
qui, per adesso. Possiamo abbordare la scrittura seguendo le tracce che Saussure ha lasciato, e qui
in particolare considereremo l’aspetto maggiormente sentito negli scritti di Saussure riguardante
la scrittura. Seguendo questo percorso vogliamo semplicemente suggerire un modo per guardare
alla problematica dell’ordine del linguaggio, considerando in particolare due modalità di azione
linguistica come modalità degenerate di persuasione, ossia le sentenze e gli ordini.
Come un acerrimo nemico, la scrittura invade i territori della lingua, violandone lo sviluppo
(83) L’ècriture arrive à voiler ce qui existe dans la langue. D’auxiliaire pour l’étude de langue elle devient
I casi di invasione (teratologici) sono innumerevoli, poiché il pericolo maggiore si erge lì dove
non è più possibile riconoscere la provenienza di un valore, in altre parole non è più possibile
riconoscere l’identità di un segno. Questo avviene ogni qual volta si dimentica che la mutabilità
della lingua non corrisponde a quella della scrittura, che spesso la scrittura resta immobile e
fissa, mentre a correre verso altre direzioni è la lingua. Il pericolo è la maschera che la scrittura
fa indossare alla lingua, rendendola falsa, come un feticcio o un’immagine riflessa. Ci chiediamo
qui se può esservi un pericolo nella lingua per la scrittura pari almeno al pericolo che la scrittura
è per la lingua. La risposta è affermativa e si basa sull’azione verbale di ordini e sentenze. Meno
sono comprensibili, più li si prende come base – sono le deformità, l’oltre-forma che se restasse
evanescente non riuscirebbe ad andare a buon fine – considerando che questo buon fine è l’ordine
imposto, la violenza. Diremo qui che la violenza della lettera è un’immagine sbagliata, che rischia
di confondere le forme della scrittura con forme che ad essa sono estranee (almeno quanto estranea
Ordine e sentenza sono chiusure degli impieghi possibili. La scrittura è naturalmente ciò che non
è necessario (è naturale²). Avrebbe potuto non emergere nel corso dell’evoluzione. La specie
dell’homo sapiens avrebbe potuto sopravvivere anche senza scrivere. Lo scarto tra lingua e
scrittura è il gioco tra necessario e non necessario. Ogni qual volta si ritrovano nella scrittura degli
ordini, delle sentenze, si sta cercando di usare la scrittura con gli strumenti che ad essa non sono
conspecifici, cercando di attribuire ad essa un tipo di forza che non dovrebbe possedere. Ecco le
mostruosità nella scrittura simili a quelle della scrittura nella lingua. Si tenta di ricongiungere le
estremità del nastro di Möbius, ormai tagliato, spezzato.
(83) Moins l’écriture correspond à ce qu’elle a puor mission de marquer, plus se renforce la tendance de
Qual è la missione della scrittura? Barthes afferma che la scrittura non può che dichiarare,
affermare. Un esempio importante per la nostra domanda iniziale è ciò che Hanna Arendt afferma
a proposito di quella che in genere viene chiamata menzogna, ancora senza distinzione di questa
rispetto all’inganno, nella sfera di azione politica dello Stato:
La segretezza e l’inganno (...), usati come mezzi legittimi per il raggiungimento di scopi politici, ci sono
familiari fin dagli albori della storia scritta. (p. 88)
Tuttavia la familiarità dell’inganno e della segretezza, se pur portati dalla scrittura, non sono effetto
di questa. Seguiamo così la linea che Saussure ha tracciato per la scrittura. Vedremo in che senso:
(84) Moins elle est compréhensible, plus on la prend pour base. Toutes les règles, les formules s’attachent au
In quel complesso sistema di segni che è il linguaggio dobbiamo riconoscere le specificità dei
sistemi che lo compongono. E tra i sistemi sostare solo per il tempo utile a delinearne la struttura
e le proprietà. Ma è necessario, al fine di comprendere ciascun sistema, immergerci all’interno
di ciascuno di essi, solo così si possono mostrare le dinamiche interne. La lingua che Saussure
vuole portare alla luce non deve essere contaminata dalla scrittura. Ma questa è un’impresa ardua
se non impossibile. È anche per questo che il punto di vista del sistema deve mantenere la sua
. Il punto di partenza che ci offre Saussure è decisivo. Maggiori
saranno i caratteri di opposizione e differenza tra i sistemi di lingua e scrittura, maggiore saranno le
possibilità di avvicinarne e circoscrivere le unità, ciascuna nella sua specificità.
Ad un certo punto la scrittura può non essere comprensibile a tutti i parlanti di una comunità in
cui diffonde la sua forza. Ed è a questo punto che essa si manifesta nella sua specificità sul terreno
del linguaggio. Tutte le regole e le formule, abbiamo visto dire a Saussure, si uniscono al sistema
grafico. Le regole dell’ortografia si connettono con quelle della lingua che perdendo la sua naturale
evoluzione, finisce per riversare le sue regole sulla scrittura. Ad un certo punto sarà estremamente
difficile attribuire ad uno dei due sistemi la specificità di quella unità usata dalla massa parlante
che si sta prendendo in considerazione. Come una calamita, la scrittura si muove tra le polveri
metalliche della lingua e delle regole linguistiche, fino a costituirsi come un sistema di una tale
complessità da essere un pericolo per la lingua stessa.
(73) <Nous ne pouvons faire abstraction d’écriture> Qu’est-ce que cet instrument de l’écriture dont nous
usons, en quoi est-il utile ou dangereux par les pièges qu’il peut tendre, par les erreurs qu’il peut susciter?
Affinché non sembri fuori luogo il viaggio di ritorno alla lingua rispetto a ciò di cui stiamo
parlando, ricordiamo che l’animale umano è l’unico in grado di mediare con i suoi simili,
di prendere accordi, di pattuire con incontri a metà strada la sua esistenza sociale, in virtù
di quella istituzione sociale che è la lingua. Poniamo la parola potere dal lato del senso di
potenza, immaginiamo questo termine nella sua naturalità più estrema e poi nelle sue forme di
interpretazione. Le azioni che ne derivano sono le sue forme d’impiego attualizzate. Accettiamo le
sfumature delle forme e circoscriviamole in unità, per opposizione le une rispetto alle altre. Qui non
Ma chissà - direbbe il nostro avversario scaltro - se avesse scritto il suo libro, Saussure avrebbe superato questa idea,
seguendo le specificazioni sul ruolo della massa parlante e della temporalità. Sì, rispondiamo qui, può darsi, ma in
fondo non sarebbe cambiato molto: (86) Il est toujours complètement vain de s’addresser à l’écriture pour une question
Cette influence va plus loin, elle exerce une action sur la masse, action qui se reflète sur la langue, et y provoque des
Dopotutto la risposta di Saussure è alla tradizione a lui contemporanea e la micro-rivoluzione o il lungo passo in avanti
che apporta è proprio quella della sincronia e della (eterna) vita della lingua, escludendo i casi di morte violenta esterni
vi è possibilità di identità trasparenti e neutrali. Non vi sono generi né etichette. Siamo nelle forme
della lingua e delle lingue, possibilità logiche visibili e perciò realtà del segno.
Il testo è un luogo sociale. Così mostra la sua apertura nel movimento delle sue parti. A scomparire
è, ad un certo punto, la dinamica interno/esterno di una intratestualità che si scontra con ciò che
non è testuale. Quando l’extratestuale prende piede nel testo, la scrittura cade nella trappola del
linguaggio, inevitabile collisione tra sistemi semiotici o semiologici5
elementi che non sono parte cooperante del progetto di scrittura testuale, e che si insinua tra le
pagine della storia trasportato da ciò che si definisce in modo inappropriato scrittura.
Se è vero che vi sono forme diverse di segreti e di inganni e di base l’inganno non è specificità
dell’animale umano, dobbiamo distinguere inganno da menzogna. Diciamo qui che la menzogna
è parte specifica del progetto della scrittura, poiché vive in una testualità che è ciò che permette
l’interpretazione. È persuasione non ingannevole. Qui la possibilità di errore o di cattive intenzioni
tende a zero, poiché ci troviamo al di là di quella logica del bene e del male che pregiudica un certo
tipo di verità e di falsità. Qui, «siamo liberi di cambiare il mondo e di dare inizio a qualcosa di
nuovo» (Arendt, p. 89), poiché qui negare non è mai ingannare.
Quando interviene il restauratore del nastro di Möbius la scrittura si deforma e si attribuisce alla
lettera la violenza. Ma in questo modo si attribuisce la causa ad un oggetto che, come tale e nella
sua specificità, non ha alcun legame con la causalità attribuitagli.
Ancora riprendendo Saussure dal punto di vista del sistema e della convergenza tra i sistemi
semiologici, la scrittura, ora possiamo dirlo, usa la lingua. Ma quando è la lingua che tenta
di appropriarsi del suo predominio (cerca di riacquistare il potere dell’esclusività antica), nel
tentativo di far abdicare la scrittura, qui usurpa il ruolo di questa. La violenza, ancora riprendendo
un’immagine di Saussure, è il corsetto che la lingua, in questo caso, tenta di stringere intorno alla
scrittura. La violenza è nella lingua verbale l’inganno di ordini e di sentenze, ma ciò non vuol
dire che gli ultimi due siano esattamente allo stesso livello logico del primo. L’inganno può non
essere verbale, e solo in un senso gli animali non umani comunicano attraverso ordini e sentenze.
Ossia potenzialmente ogni tipo di interazione non umana è estremamente efficace, in un certo
senso ogni effetto è stato ordinato da una causa. Tuttavia nel campo di interazione verbale, ordine
e sentenze sono potentemente efficaci nei luoghi che gli sono propri. Gli esempi sarebbero troppi
Bisognerebbe scegliere forse uno dei due termini? Visti gli usi differenti che finora sono stati adoperati, spesso
perdendosi in sfumature che una parola in sé non può trattenere, proponiamo qui al lettore la scelta dell’opzione che il
. L’inganno è uno degli
e non piacevoli. Ma il tipo di ordine che la lingua porta con sé non corrisponde ad una sentenza
pronunciata da un despota. Perché la sentenza è un inganno sociale. Finché non è stato riconosciuto
come tale esso si è cibato della menzogna di cui era mascherato. Nell’intreccio complesso dei
sistemi semiotici che è la cultura umana, l’inganno delle sentenze e degli ordini (dei quali in altra
sede faremo dovute distinzioni ma che qui pensiamo unitariamente, legati dalla forma dell’inganno
sociale) permette di mostrare solo una faccia nel panorama pluridimensionale delle interpretazioni
possibili, in ciascun momento individuabile come tale. L’inganno intrecciato nella storia scritta è la
violenza di un corpo estraneo alla scrittura. Essa vuole reagire, mentre la scrittura è lo spazio delle
ragioni e del caso, anche, ma soprattutto della cooperazione intertestuale.
Lì dove il potere si camuffa con ordini e inganni lì si sta mistificando la scrittura. ordini e sentenze
non sono persuasione, ma agenti esterni e fuori luogo. Se esistono testi scritti per ingannare, essi
non sono porte per arrivare alla scrittura, in cui la menzogna vive come forma testuale, come nei
romanzi, ma non può dare ordini, non può esercitare violenza sui significati. Il luogo della scrittura
è un luogo aperto, perciò significante e significativo. Nella lingua non vi possono essere rivoluzioni,
poiché essa vive nelle relazioni di continuità delle parti o unità segniche e nella comunità di
parlanti. Nella scrittura nessun inganno, nessun ordine né sentenza è possibile. Nel linguaggio
umano vi sono continue micro rivoluzioni, una delle quali è l’uso della lingua nella scrittura. Le
forme di scrittura sono forme di politica aperta, luoghi in cui i significati giocano senza farsi guerra.
La frase è paragonabile all’attività del compositore di musica (e non a quella dell’esecutore).
della frase non è ascrivibile alla parole. Durante lo svolgimento di un dialogo
i parlanti una lingua non pensano di dover comporre forme nuove. L’identità è data dalla
composizione, da ciò che non è manifestato, dalla struttura sistemica della lingua. Dicendo struttura
sistemica non immaginiamo una forma sovraordinata e a priori, ma la struttura della lingua scritta
a partire dalle regole dell’ortografia. Chiaramente abbiamo visto come non sia possibile trovare in
natura² una lingua purificata dalla scrittura, e come le regole ortografiche assorbano e compongano
con nuove note i residui della lingua. Perciò la composizione musicale non è che il modo in cui
Nalla nota relativa (n°138) De Mauro fa notare come qui Saussure si avvicina all’idea di progettualità della frase
prendendo le distanze dall’esecuzione e dalla parole.
la scrittura usa la lingua. Nel sistema della scrittura ci sono tuttavia verità formali irremovibili.
Tutte le esecuzioni oltre-forma, di cui abbiamo accennato ad una e forse la più importante per
la sua eccedenza rispetto alla scrittura non sono parte del progetto, non ne sono la chiave da cui
partire per delineare i caratteri della scrittura. Il pentagramma è pronto ad accogliere le note, e tutte
quelle esistenti potranno essere assorbite su di esso. La nota stonata o oltre forma che è indicata dal
pentagramma sarà riconosciuta solo dopo l’esecuzione. Per evitare la ripetizione della stonatura si
dovrà cancellare la nota, e ricomporre, riscrivere la composizione.
La lingua suona la sua melodia tra i parlanti, nella dialogicità dei loro rapporti. Poter ricomporre
con note diverse un’altra melodia è la forza che la scrittura dà alla lingua, e la possibilità di continua
ricostruzione che forma i rapporti verbali. Ma è chiaro come sia necessario, per poter ricomporre
il pentagramma, essere in grado di scegliere le note da riutilizzare. Proprio perché avviene, come
nell’apprendimento di una lingua, che ad essere imparate devono essere le eccezioni, mentre le
regole possono non essere necessariamente riconosciute ma soltanto messe in opera. L’opera
primaria della scrittura è proprio quella di mostrare le regole che sottostanno alle regolarità. Così, se
dovessimo cercare un modo per vedere lo scarto tra lingua e scrittura, potremmo parlare di tonalità.
Vi è un tono del discorso. Esso si differenzia sostanzialmente dal tono di voce dell’evento fonico
della lingua parlata. È qualcosa di simile alla domanda: cosa differenzia un suono qualunque da un
tuono? La politica del terrore è quella della violenza dei contenuti, definitoriamente chiusi, costretti
da un tono di voce oltre-forma. Vi è un tono del testo scritto che non è lo stesso del genere con
il quale si differenziano i tipi di scritture comunemente. Una politica dei luoghi aperti vive nella
fluttuazione di un tono che forma nel suo stesso formare. La scrittura è il suo contesto. Qui non ci
sono inganni, né ordini, né fratture, ma spazi aperti. Come la bottiglia di Klein.
Bibliografia
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Austin, J., 1955, Come fare cose con le parole, Marietti, Genova.
Barthes, R. 1966, Critica e verità, Einaudi, Torino.
Id., 1973, Il piacere del testo, Einaudi, Torino.
Id., 1953, Il grado zero della scrittura, Einaudi, Torino.
Id., 1985, L’avventura semiologica, Einaudi, Torino.
Derrida, J., 1967, Della Grammatologia, Jaca Book, Milano.
Saussure, F., 1922, Corso di linguistica generale, Laterza, Roma-Bari.
Id., 2002, Écrits de linguistique générale, Éditions Gallimard, Paris.
Id., 2005, Scritti inediti di linguistica generale, Laterza, Bari 2005.
D. Gambarara, 2005, Come bipede implume, Bonanno Editore, Acireale-Roma.
Id., 2005a, Mente pubblica e tempo storico in Forme di vita – L’animale pericoloso: natura umana
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Mazzeo, M., 2005, L’animale pericoloso: rito versus spettacolo in Forme di vita – L’animale
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Wittgenstein, L., 1953, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino.
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