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mercoledì 14 maggio 2014

Semiotica - Silvia Redente Sull’indicalità delle forme linguistiche


Silvia Redente
Sull’indicalità delle forme linguistiche


Come il resto di noi, capiva solo quello che capiva, però quello lo capiva intensamente (P. Roth, 2007 [1991], p. 75).


0. Introduzione

Possiamo considerare l'interpretante emozionale peirceano in due sensi. Il primo in relazione al rapporto tra il segno e l'oggetto, dunque come interpretante semplice (immediato o dinamico, in base alla tendenza che vogliamo considerare); ed in questo caso non si deve che applicare la logica alla quale ogni tipo di segno si adegua. Il secondo caso che mi sembra più interessante in virtù della propria specificità che cercheremo di mostrare è quello di un interpretante emozionale come punto di riferimento esterno al segno; esso si colloca, nella terminologia peirceana come segno energetico, la cui energeia è la base di un comportamento simbolico. Il problema che si pone è quello di una detenzione soggettiva della forma, o in altre parole, di una universalità tale da non poter essere soddisfatta dalla forza pura, che nel senso peirceano è portatrice di degenerabilità. Il primo modo per vedere la forma di degenerabilità è quello della comprensione come vaghezza che è propria del realismo:

This is usually defined as the opinion that there are real objects that are general, among the number being the modes of determination of existent singulars, if, indeed, these be not the only such objects. But the belief in this can hardly escape being accompanied by the acknowledgment that there are, besides, real vagues, and especially real possibilities. For possibility being the denial of a necessity, which is a kind of generality, is vague like any other contradiction of a general (Peirce, 1998 [1905], p. 354).

Ci sono elementi di attenuazione della credenza poiché “la vaghezza è l’analogo antitetico della generalità. Un segno è oggettivamente generale in quanto concede all’interprete il diritto di completare la determinazione da solo” e “un segno è oggettivamente vago in quanto lasciando la propria interpretazione più o meno indeterminata, riserva a qualche altro possibile segno o esperienza la funzione di completare la determinazione” (Proni, 1990, pp. 338-339). In questo senso riaprire la questione della irreversibilità dei mutamenti leggittima la convizione di una generale discordanza tra forma e contenuto nelle lingue. Al contrario di Proni che evidenzia l’anti-intuizionismo di Peirce, Potter (1996) riporta i passi in cui Peirce si affida all’intuizione percettiva per dare senso alla nozione di antropomorfismo e al senso comune critico come due termini interrelati. È il senso della mente pre-scientifica che possiamo ricondurre alla quasi-mente o mente presimbolica.

1. Funzionalismo e categorie come strutture emozionali

Quando le strutture sintattiche incontrano le funzioni sociali si realizza la significazione. Per sostenere ciò dovremmo ricordare l’anti-strutturalismo secondo il quale la parola non ha una struttura (cfr. Saussure, 2002, p. 115). Soprattutto dobbiamo pensare che le forme di realizzazione dei significati valgono in ogni funzione, o meglio per ogni funzione, e non ci sono che differenze. Ma non è un dilemma quello che ci troviamo ad affrontare, quanto piuttosto una realtà divergente dalla sistematicità della semplice credenza che i parlanti una lingua sostengono irrimediabilmente. La realizzazione grafica permette di decifrare e fermare le ambiguità della legge linguistica. Se accettiamo che i segni grafici sono nella scrittura immagini verbali del senso che rappresentano e indici di un significato, sono allora essi stessi luoghi del simbolico. Prodotto irriducibile del linguaggio e parte del movimento di forme e significazioni, la scrittura è una forma simbolica maneggiabile senza compromessi. Possiamo parlare allora di una traduzione simbolica alla base della quale non ci sono che forme linguistiche portatrici di nuovi sensi. Tuttavia non possiamo relegare l’identità linguistica alla sola sintesi passiva propria di una frammentarietà insita nei documenti scritti. Peirce (1901) dà un nuovo senso alla discretezza del linguaggio nel senso della scrittura anche attraverso la nozione di vaghezza che già Hume aveva affrontato. Non soltanto nella critica negativa all’autore dell’Enquiry Concerning Human Understanding ma nei modi effettivi del “dover” testimoniare nelle logiche della verità. Si è quindi ancora nel gioco delle impressioni che contrastano o accompagnano le opinioni umane. La logica quaternionale del calcolo dei predicati attraverso gli insiemi dei grafi esistenziali non può sostituire il reale argomento, malgrado dia un senso all’errore che potrebbe essere presente in un documento scritto. Nella relazione tra segno, oggetto e interpretante il valore della testimonianza può essere un modo di rappresentare l’immagine storica. Tuttavia, se ci poniamo il quesito della sua dimensione antistorica ricadiamo nella logica del nominalismo neocartesiano di un mondo come oggetto e non come senso. Il referenzialismo freghiano riconsegna la selezionabilità delle scelte a una divinità inasprita dal tempo: la “natura delle cose”. Per il fatto che il simbolo è una relazione genuina tra categorie (una prescissione astratta) e representamen (oggetto-segno) il suo derivare la significazione da altri tipi di segni lo costituisce come il primo attributo o proprietà della forma logica. Tradurre un tipo di segno da un altro è sintomatizzare una forma di significazione in un sistema limitrofo più ampio. Questo implica almeno due conseguenze: la prima è che in un certo senso l’errore peirceano è di tipo epistemologico, poiché non tiene conto degli argomenti frammentari a-simbolici e del loro significato. Il secondo è che c’è la necessità di un’ulteriore analisi che porta alla teoria causalistica che Peirce stesso cerca di confutare. Affinché non si ricada nella discrepanza oppositiva tra mente e mondo ovvero tra mente e senso comune dobbiamo allora chedere alla linguisticità (intesa come proprietà dei segni di linearizzare i propri sensi) di non ricadere nella rete della biologia della materia. Organicizzare in parti il significato significa infatti tradurre in relazioni tra le parti l’essenza duplice e complessa del linguaggio. In diversi punti Saussure indica la necessità di una ramificazione delle proprietà formali della lingua. Come si è evoluta una lingua e come si manifesta nelle forme di uso comune, così come nelle realtà che si dimostrano semiologicamente simili o dissimili, rintracciabili in categorie sintagmatiche e associative ossia paradigmatiche. Vorrei riprendere qui la massima pragmatica peirceana secondo la quale, parafrasandola, è necessario considerare quali effetti che potrebbero avere concepibili condotte pratiche concepiamo come l’oggetto della nostra concezione: la nostra concezione di questi effetti è l’intera nostra concezione dell’oggetto. L’azione pratica che si produce è irriversibile, in virtù della forza bruta e di ciò che essa rappresenta sul piano della terzità. A questo punto l’esperienza alogica diventa logica dell’esperienza, e non causalità: non basta inserire un gettone nel cervello di un uomo per farlo agire linguisticamente.

2. L’irreversibilità linguistica

Il disegno peirceano allontana dal desiderio delle fonti certe e ridà al senso umano la forza della semioticità storica in tutti i piani e i parallelismi rintracciati nelle sue ramificazioni. Cosa intendiamo qui per forma simbolica dello scritto? In un certo senso la realtà semiologica che è parte della simbolicità manifesta una forza significativa diversa a seconda della sua portata epistemica. “Saper dire che” c’è un quadro appeso alla parete di una stanza è diverso dal guardare il quadro; e raccontare che il quadro è stato fatto in un certo modo è ancora diverso dal volerne soltanto evidenziare i particolari. Non si tratta quindi di una sorta di ipoteca sulla volontà del dire qualcosa, quanto piuttosto di considerare come indecifrabile le premesse di un discorso nella logica del senso comune critico. Quella che è un’analisi peirceana della nozione di vaghezza si può riscontrare nei luoghi in cui Saussure suggerisce l’indeterminabilità della significazione. Per distaccarla dall’indeterminatezza matematica di russelliana memoria possiamo parlare di indeterminabilità come rotacismo simbolico-linguistico. La trasmissione della tradizione dei simboli nelle Leggende Germaniche analizzate dal linguista ginevrino permette in definitiva di accettare i cambiamenti morfologici come paralleli alla matrice linguistica di appartenenza. E mi pare che in questo senso si possa pensare alla scrittura attraverso i segni grafici come ad un essere fittizio tale da annullare il legame con lo spazio fisico contestuale che colui che scrive crea intorno a sé. In effetti la radice comune delle forme logiche permette di riportare la stabilità delle logiche della scrittura alla dimensione pratica e pragmatica. Quello che Peirce ha evidenziato rispetto al tipo di argomentazione abduttivo-simbolica è che non ci sono termini di confronto reali, tali da essere circoscrivibili (scrittura e abduzione) in un unico campione o prototipo. Già l’esempio delle figure ambigue (l’anatra-coniglio) evidenzia questa formatività semiologica del segno grafico che Peirce ha affiancato alla plurivicità dei sensi della forma scritta. In questo senso la rappresentazione non è soltanto una potenzialità pregressa delle forme che manipoliamo nella logica commune, ma è realtà modificabile al di fuori di essa. Nel pensiero contemporaneo autori come Bianca (2007) hanno giocato con queste forme fino a portare l’immagine grafica a livello di significazione autonoma dalla lingua. Non c’è ancora su questo un accordo ma possiamo importare alcuni aspetti fondamentali nella loro semplicità alle associazioni di strutture formative della mente sociale. La grafematicità come proprietà dei segni scritti di essere forma logica autonoma dalla semiosi non verbale permette di riformulare la destrutturabilità linguistica all’interno di uno stesso insieme di segni. Penso ad alcuni esempi prietiani, come alla firma che va a realizzare un referente che non ha altri piani significativi se non all’interno della scrittura, ma anche ai tipi di analisi simbolica della forma che Peirce compie attraverso i grafi esistenziali. Non è una mera coincidenza che le riflessioni impostate sulla ragione grafica delle argomentazioni ricadono nelle forme di strutturazione del circuito della lingua e del modo in cui esse prendono autonomia da insieme a insieme. Possiamo affermare che la grafematicità è nel circuito della lingua e non della parole. Per sostenere questa tesi pensiamo alle forme linguistiche più comuni, dalla semplice indicalità alle complessità delle scritture romanzesche e dei modi di produzione linguistica tipici delle grandi strutture sociali alfabetizzate.

3. Per una destrutturabilità progressiva: scrittura e LIS

Perché la grafematicità è propria della lingua e non della parole? Non abbiamo detto che l’abduzione è tipica delle forme di pensiero più semplici, proposizionali e non? È proprio a questo punto che dobbiamo fare alcuni esempi. In un ambiente comune, una scuola, o un parco, ogni persona è prestata ad attività di tipo sociale, esplicate in gesti condivisi. I linguaggi usati, del corpo, vocali, sono il rimedio alla solitudine sociale che invece sperimentiamo in luoghi privati, come a casa propria. Cosa afferma ciascuno non è che una risultante di altri modi di rapportarsi alla realtà, come conferma Peirce, poiché non c’è l’illusione di una comprensione onnicomprensiva. Nelle scritture complesse, invece, necessaria è proprio la tensione all’universalità dei sensi e del significato: ciò che si cerca è proprio di ricoprire contesti condivisibili in ogni pezzo di mondo, e non importa più chi è la fonte della parola. Si tratta quindi non tanto di dimenticare le specificità di ogni gesto sociale, ma di riassumerli in fatti corrispondenti in più punti della manipolazione linguistica complessa, ricavando dalle forme semplici contenuti che possono essere rielaborati anche a grande distanza di tempo e luoghi. L’ignoranza dell’origine è, come lo stesso Saussure afferma, accettabile nella logica della lingua, anzi la comprensione tra i parlanti passa proprio dall’azione antidiacronica, da un lato, e dall’altro c’è la forma linguistica che si struttura come attrazione sincronica tra gli atti di ciascun soggetto parlante. È in questo senso che non ci sono realtà apodittiche nella lingua così come nella scrittura. Il circuito della lingua non è come quello della parole: la semplice trasmissione dei sensi non è lingua né scrittura, e non può eleggere allora alcuna forma di significato. Le innovazioni che avvengono nel parlato non sono rintracciabili nella parole, ma si nutrono di altri piani del significato. In quello che è il senso della pluridimensionalità dei significati troviamo le lingue dei segni come focolaio vivo della significazione complessa e in continua costruzione. Proprio per il fatto che le lingue dei segni dei sordi non sono ancora complete rispetto alla rete di rapporti che ha la comunità dei sordi e dei linguisticizzati alla LIS: c’è un numero o insieme di necessità maggiore rispetto alle strumentazioni linguistiche oggi in uso. Possiamo quindi osservare come le lingue in generale e le lingue dei segni attraversano fasi di mescolanza della materia del contenuto e di piani diversi del significato. Gli studi recenti hanno evidenziato che la plurivocità dei sensi della lingua dei segni si confonde con la realtà linguistica indipendente di ciascuna comunità. E le strutturazioni comuni raccolte nella LIS che vediamo usate nei mezzi pubblici mediatici sono il risultato di una sperimentazione non conclusa delle forme comuni ma che come un rasoio di Ockham hanno fatto perdere la reale esembianza delle sfumature linguistiche spontanee delle lingue e dei linguaggi dei sordi segnanti. Proprio perché ci sono persone che segnano e non segni che vivono indipendentemente da essi, in altri orizzonti di significazione. La confusione tra determinazione e astrazione è ciò che fa perdere la realtà linguistica se la si riduce a pura analisi e non si considerano le relazioni tra le parti. Quelle parole che noi consideriamo la base della nostra quotidianità diventano plurivoche mostrando più di un senso a lasciando agli altri la decisione di abbracciarle come proprie o di allontanarle.

4. Abduction: definizioni come argini alla positività relazionale dei segni

Nelle lingue umane ci sono alcuni aspetti che vengono raccolti soltanto da poche categorie ma che si abbandonano nella ricerca di un luogo comune che si realizzi in ogni forma linguistica. Soprattutto nella logica comune ci accorgiamo di quanto dura sia la sistematicità che ci appare preformata perché estranea alla vera essenza linguistica. Possiamo pensare che ci sia abduzionabilità nella dinamicità delle forme linguistiche e delle relazioni diverse che si instaurano tra di esse. Questo eufemismo permette di vedere anche il senso negativo della semiosi perché indica una proprietà che potrebbe essere attribuita a qualunque processo mentale e fisico. Ma sulla base del pensiero peirceano non si può abdurre una conclusione se prima non si rielabora la concezione che stanzia nelle menti dialogiche. Nell’induzione Peirce individua tre modi di realizzazione di essa: quella cruda, quella quantitativa e quella qualitativa. La prima è caratterizzata da un’assenza di istanze, la seconda mette in campo la probabilità e il limite dei segni e la terza è intermediaria tra le due. L’induzione qualitativa che il primo Peirce mette in luce si nutre di una generalità che è propria dell’antecedenza virtuale che ciascun segno possiede rispetto al successivo e al precedente. Allo stesso modo l’aposema saussuriano è lo sviluppo del sema e ciò che ne permette di vedere l’evoluzione. Possiamo pensare quindi che la base esperenziale dell’argomento abduttivo si regola non in virtù di una discendenza genealogica ma in relazione alla plurivocità della forma linguistica che deve essere analizzata in base alla sua specificità e non ridotta a semplicistici prototipi artificiosi. Nella deduzione il progredire naturale dell’argomento si risolve per il fatto che entra in gioco la probabilità: l’ipotesi iniziale può restare probabile anche senza tale rafforzamento, ma la deduzione ne aumenta l’azione in virtù della sintesi che compie. Il caso del foglio strappato è un esempio peirceano utile a capire la relazione tra premesse e conclusioni anche di un argomento abduttivo, in cui le premesse rappresentano la conclusione perché si coimplicano. L’estensione semantica che la definizione impone in contrasto con l’inerzia semantica permette di ripiegare le ipotesi in immagini grafiche, o di articolarle in gesti e infine di creare uno spazio linguistico di sensi. Le antinomie linguistiche permettono di duplicare le immagini linguistiche. Questo accade nelle lingue parlate come nelle lingue dei segni. È il caso non soltanto dei sinonimi ma delle parole e frasi che rendono comprensivo l’affidare alla lingua comune il proprio pensiero. Auroux (1994) ha evidenziato come esistano finzioni razionali che rendono il discorso possibile. La grammatizzazione è ancorata a saperi di riferimento che possono realizzare paradigmi naturali che risolvono in sé il problema della limitazione che si è posto nel corso della storia della linguistica saussuriana. Prampolini (2004) che ha evidenziato come l’analogia permette di comprendere i mutamenti linguistici sottolinea la connessione tra creazione analogica e digitale attraverso il tempo. Tuttavia si è già rilevato che la problematica emersa dalla differenzialità negativa della lingua non può essere risolta soltanto nelle pratiche verbali dei parlanti, ma necessita la disambiguazione della linguistica. È per questo motivo che Saussure appare anche nei sentieri esegetici di chi si occupa di semiosi e non soltanto di lingua e linguaggio. Sembra così che le posizioni sostenute dallo strutturalismo siano capaci di favorire la formulazione di ipotesi più certe che si affidano alla linguisticità come proprietà della lingua e non della parole. Il sistema saussuriano è diventato così un anti-sistema nel corso delle idee linguistiche. A questo punto è necessario estrapolare una finalità del percorso saussuriano celando le inadempienze del significante e riaffacciandoci al senso della superficie assimilabile alle funzioni sociali della lingua-simbolo peirceana.










































Bibliografia

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