Scritture e Lingue dei Segni
- Introduzione
La corrispondenza tra le forme
codificabili e quelle altre non ancora rese tali dalla sistematicità del
linguaggio è evidente nella relazione tra le scritture e le lingue dei segni.
Il quesito del luogo comune presente tra i diversi sistemi è quello del
riconoscimento di un nucleo al quale riferirsi per la realtà delle forme
linguistiche. Poiché è nel gioco dei segni che la prassi è determinante, il
passaggio dall’immotivato all’arbitrario diventa gioco linguistico se ancorato
alla ricognizione di questo. Pensiamo, a questo proposito, a cosa si intende
per lingua naturale e a cosa, invece, per lingua artificiale. Nel primo caso
esiste una conformità tra mondo e parole, anche se questo non è un modo diretto
e semplice di correlazione; nel secondo, invece, c’è un elemento esterno al
sistema in gioco che interviene come una sorta di interferenza a disturbare la
realtà segnica. Per vedere più da vicino quest’ultimo aspetto pensiamo alla
standardizzazione come modo di omologazione delle variabili linguistiche: il
carattere forte delle forme logiche passa attraverso la trascrizione dei
rapporti spazio-temporali che vivono nelle lingue impiegate dai soggetti
parlanti. Si tratta di considerare il peculiare rapporto che un mezzo esterno
alla forma linguistica naturale ha nella più generale realtà logica di
appartenenza: dal punto di vista del gioco dei segni non è rilevante il punto
di arrivo inteso come forma cristallizzata ma è piuttosto la tendenza ad esso,
fino ad assumere caratteri formali. Questi caratteri di per sé non hanno alcuna
definizione. Essi sono infatti determinabili ma non determinati, proprio perché
vivono nella realtà pratica dei giochi linguistici. Nelle forme di scrittura
che vediamo oggi ci sono nette separazioni, in molti casi, tra il modo di
produzione delle testimonianze linguistiche che assumono caratteri letterari e
le forme in uso. Anche nelle lingue dei segni troviamo questa complessità; non
è definibile, infatti, una lingua madre dalla quale discendono le altre lingue
“minori”. Non c’è alcuna gerarchia che rimandi ad una conformità iniziale,
originale, alla quale aggiungere o sommare la lingua ufficiale: quello che si
pensa come standard non è la vera corrispondenza tra i segni scritti nei
dizionari e le grammatiche utilizzate effettivamente. Da un lato, nelle lingue
dei segni i diversi tratti morfofonologici ovvero più strettamente grammaticali
hanno caratteristiche afferenti a diversi livelli del discorso: anche qui la
materia dell’espressione non è unica, poiché intervengono tratti
sovrasegmentali specifici che hanno a che fare anche con la fisiognomica, la
gestualità naturale, i caratteri simbolici complessi non soltanto linguistici.
Dall’altro, la nozione di scrittura, considerata come lingua, permette di
affacciarsi alla questione della corrispondenza tra pratiche linguistiche e
realtà epilinguistica e metalinguistica. Si pone tra i due livelli di discorso
il problema del come avvicinarsi alla rielaborazione formale senza perdere i
caratteri naturali che danno alla lingua il valore di cui si nutre nelle realtà
sociali. È in un certo senso ricollocare tra le forme linguistiche
visivo-gestuali e quelle vocali e scritte la questione dell passaggio da segni
iconici e ipoiconici a quelli simbolici e arbitrari. Ma qui vorrei
riallacciarmi alla definizione di scrittura e di lingue che si realizza
nell’analisi delle forme naturali e nella distanza che da queste, in gradualità
differenti, si costituisce un’arbitrarietà non più sensibile all’incompiutezza
della memoria linguistica, laddove il senso comune viene abbandonato per un
grado di analogicità in eccesso, quello delle lingue standardizzate. Esse si
nascondono nei livelli di espressione impliciti ed espliciti, nelle lingue
vocali come nelle lingue de segni dalle quali la scrittura emerge come oblio
differenziale. In questo modo di guardare alla scrittura i rapporti specifici di
essa con le lingue si manifestano nelle forme di poesia delle lingue segnate.
Già Diderot evidenzia come l’energia del linguaggio non è riducibile
all’espressione della lingua, riferendosi alle lingue vocali: è l’energia del
gesto a manifesta, invece, il sublime[1].
Esattamente al contrario dei registri artificiosi e standardizzati, il
linguaggio poetico asserve la scrittura facendone emergere le forme libere,
come quella del processo abduttivo che si esprime nelle forma analogiche e
nelle assonanze, ma che vediamo presentarsi anche nel meccanismo che regola le
anafore ed in parte le metafore e le metonimie. Ciò che regge il movimento
della differenzialità sistemica e della variabilità non è dunque una
convenzionalità pura e semplice, come quella dell’accordo tra due individui che
per ellissi sono sempre al di là della sistematicità produttiva, se considerati
come la rappresentazione di uno stato linguistico. Poiché ogni sistema presenta
una autodeterminazione mai definitiva ma sempre mutevole nel dominio linguistico,
la realtà che si sottopone alla trasmissione delle forme specificatamente
letterarie, come quella poetica, è naturale. La funzione dello scritto non
riduce tuttavia la questione della distanza tra la forma scritta e quella
visivo-gestuale. Nell’analisi di una poesia in Lingua dei Segni Italiana Russo
evidenzia come si manifesta nella poesia segnata quella capacità
metalinguistica riflessiva[2] tipica della coscienza linguistica. È da questo
primo punto che emerge la necessità di una divisione specifica tra la scrittura
in senso tecnico e la trascrizione attraverso il sistema Sign Writing (SW)[3]
delle lingue dei segni. Il rapporto tra la metalinguisticità manifesta nelle
lingue verbali il riconoscimento della possibilità di rielaborazione testuale.
In effetti, nella lingua dei segni c’è un rapporto iconico forte tra la
rappresentazione visiva e il documento scritto: la dimensione iconica è
naturale, perché configurata rispetto alla reale forma di cui i segni sono
portatori. Se pensiamo al legame tra la scrittura e la gestualità possiamo
vedere meglio il rapporto tra la forma visivo-gestuale e realtà
morfofonologica, tra la realtà formale perché relazionalità emergente nei
rapporti sociali e ciò che perdura come documento storico al di là della
cognizione del presente.
1. La nascita delle scritture nella Lingua dei
Segni
- Lingue dei segni, LIS e scrittura
Vico evidenzia[4]
che esiste una stretta relazione tra le “lingue mutole” e i caratteri
ideografici scritti. Esiste, in effetti, una simmetria tra i due piani
dell’espressione in gioco ossia quella gestuale-visiva delle lingue dei segni e
quella spazio-visiva delle lingue scritte. Cosa intediamo per complementarità
tra due lingue lo spiega bene Prieto e credo possa valere anche per il tipo di
complementarità tra la LIS (Lingua Italiana dei Segni) e le lingue italiane,
scritta e vocale. In tal senso possiamo ricercare i nessi tra i caratteri
rilevanti che definiscono i tratti specifici di ciascuna lingua. Come Russo ha
rilevato insieme al suo gruppo di ricerca ci sono diverse tipologie di
approccio ai caratteri relativi alle proprietà sintagmatiche e paradigmatiche
decisive per la corrispondenza dei segni gestuali con i segni delle lingue
vocali. Quello che si evince è, tuttavia, un’insufficienza spesso presente del
rapporto tra linguisticità orale (dei segnanti in LIS come nelle lingue vocali)
e linguisticità scritta. In effetti, data la sostanzialità relazionale tra i
tipi di segni in gioco la temporalità relativa a ciascun tipo di sistema linguistico
ridetermina la portata significativa[5]
che si posiziona tra i simboli propri di ciascuna lingua. Possiamo così
riaccostarci all’analisi in strutture che dalla lingua scritta si riaggancia
alla sintesi del sistema vocale. Prendendo in considerazione i lavori di Kendon
notiamo come sia possibile diagrammatizzare in simboli diacritici le gestualità
spontanee che accompagnano i modi di realizzazione vocale delle lingue e che
vanno dalla prossemica alle sequenzialità simultanee della lingua verbale.
Esiste, dunque, un codice morfosintattico visivo che associa tra di loro il
tipo di disegni utilizzati nei dizionari per la diffusione della LIS e delle
lingue dei segni sviluppate nel mondo fino ad oggi. C’è una tradizione
determinata poiché già riconosciuta dagli studi socioantropologici[6],
per esempio, sui modelli sviluppati nei monasteri di diversi ordini religiosi;
ci sono, in effetti, diversi modi di esprimere in segni visivo-gestuali lo
stesso senso o lo stesso oggetto d’uso comune. La verbalità delle lingue dei
segni è tale poiché queste presentano i caratteri di prima e seconda
articolazione, ed i cheremi come unità specifiche di tali lingue sostengono tra
di essi una relazione linguistica complessa.
- Giochi e Segni Simbolici: la naturalità della scrittura
Poiché per analizzare un gesto
bisogna scandire in unità quella che potremmo chiamare la cadenza che la totalità del gesto verbale rappresenta nella
sua complessità nel ritmo specifico che si costituisce come forma, si installa
la necessità di una separazione tra struttura e processo formativo che possiamo
ritrovare sia nella Lingua Italiana dei Segni che in ogni altro sistema
linguistico, anche se in gradi o gradualità differenti in ciascun idioma. Si
tratta, in effetti, di un modello semiotico generale che astrae dalla forma
linguistica la necessaria reciprocità del gioco tra segni e tra tipi di segni
diversi nell’esplicitazione dell’iconicità arbitraria della significazione.[7]
È in tal senso necessario riconsiderare alcune nozioni di base come quella di
contesto, in relazione di inclusione ma anche antinomica, per certi aspetti,
con quella di cotesto che sembra escludere la relazionalità semiotica generale
delle regolarità non-linguistiche. Se è possibile far corrispondere le unità di
ciascuna lingua, almeno fino a un certo punto è anche possibile distinguere ciò
che è mero strumento di veicolarizzazione delle forme significative da ciò che
invece appartiene al senso comune proprio della lingua in questione. Pensiamo
alla definizione di senso proprio che Saussure rifiuta[8]
e a come può essere tradotta all’interno delle lingue segnate per mezzo della
relazionalità afonica con la forma visivo- gestuale. C’è una classificazione
che permette già di vedere negli schemi corporei l’effettiva modificazione tra
i paramentri di analisi e la reale iconicità linguistica che nelle lingue dei
segni è esplicita anche perché fortemente legata ai contesti. Ne troviamo un
esempio nelle forme onomatopeiche come il segno “telefono” in LIS, in cui il
gesto rappresenta esattamente il mezzo “telefono” che è anche l’oggetto del
discorso e che è identico nel gesto naturale dei bambini piccoli non udenti e
udenti, fino al punto in cui nei secondi interviene l’articolazione vocale e
abbandonata in parte quella gestuale. Nel Corso di Linguistica Generale
Saussure evidenzia che ci può essere una identità linguistica, in virtù del
fatto che ciò che è psicologico nella lingua è sociale[9],
poiché radicato non tanto al carattere fonico della lingua ma a quella dualità
incessante che muove il dominio del linguaggio. I segni della lingua devono
avere non soltanto costanti formative, come la materia di cui un segno è
costituito, ma sottoporsi all’aspetto dell’arbitrarietà. Ciò significa che non
c’è una sottomissione definitiva dell’oggetto al segno e viceversa, nel
rapporto tra oggetto e segno: si tratta di una relazione complessa (ad esempio,
la parola scritta cane è isomorfica
alla parola vocale “cane” e alla parola segnata “cane”), e non relativa ad una
mera entità materiale, quale quella della voce o dell’inchiostro, o, anche,
delle parole visibili su uno schermo come quello che sto usando adesso. Il
punto di vista dell’oggetto linguistico è la forma identitaria della forma
stessa, che eccede la semplice entità per sottoporre la significazione alla
variazione spazio-temporale della socialità effettiva. Ma ci chiediamo qui cosa
accade quando quella speciale corrispondenza biunivoca perde la referenzialità
che viene in qualche modo sostenuta dalle unità di ciascuna lingua ricadendo in
un’altra forma che passa attraverso un’ulteriore traduzione simbolica. La trascrizione delle lingue segnate in forme
sempre più complesse e distanti dalla naturale forma di scrittura che usiamo
diventerebbe una forma di artificio estremo, di mera standardizzazione, tale da
ridurre il rapporto indicale e iconico di cui l’arbitrarietà linguistica si
nutre.
2. Dalla storia alla semiosi
- Il tempo storico e la semiosi
La possibilità di iscrizione
della variabilità linguistica con il suo potenziale di oblio nella contingenza
dei monumenti letterari non è tanto nella storia, ma è il principio della
storicità in quanto tale. In questo senso, possiamo considerare la nozione di
identità come principio pratico che si istalla nella pertinentizzazione della
significazione. Per meglio dire, è necessario considerare la consapevolezza
linguistica di cui Russo parla a proposito
della poesia: Per consapevolezza
linguistica intendiamo, in questo
caso [che è quello del linguaggio poetico], la capacità di cogliere il rapporto
tra la forma espressiva di un segno (o di una parola) e il suo significato e la
capacità conseguente di costruire sequenze ritmiche, assonanze, parallelismi
adatti a veicolare proprio quel contenuto.[10]
Ad esempio, se ci poniamo dal punto di vista della sequenzialità
temporale diacronica ci accorgiamo di quello che nei generi letterari si
denomina personaggio: esso racchiude una serie di proprietà e di caratteri
mutabili che diventano un abito fittizio di cui il documento letterario è
portatore. Questo ci serve per dire che la coscienza letteraria ingloba quel
particolare tipo di riflessività di cui
Prosdocimi ci parla a proposito delle analisi saussuriane sulle Leggende
Germaniche. Egli evidenzia come esiste una realtà relativa alla forma simbolica
delle lingue e delle lingue letterarie tale da formare una dimensione ulteriore
di significazione che può essere denominata arbitrarietà metastorica[11].
È questo tipo di relazione simbolica che qui vorrei considerare come esempio di
rapporto della letteratura con la capacità comunicativa attraverso la quale si
parla. In effetti, è nella simbolicità che si racchiude la possibilità di
pertinentizzazione della realtà logico-formale rispetto ai segni in uso nei
nostri giochi linguistici. Questa premessa ci libera dalla ricerca di una
storia di per sé, che sarebbe sterile e vuota se assunta come semplice
variabile della significazione. Anche se consideriamo l’esistenza di gradi di
significatività, non possiamo prescindere dalla possibilità di rapportare
ciascun luogo o insieme di valori ad un contesto d’uso comune. Cosa si intenda,
tuttavia, per contesto sembra non essere tuttora chiaro. A mio parere, esso è
legato all’idea di sistema, nel senso più ampio che in Peirce è riconducibile
alla riduzioni in tassonomiche in categorie, realtà fenomeniche che permettono
di ricondurre ciascuna azione comunicativa, ad ogni livello, alla presenza
materiale della lingua. In tal senso, il linguaggio diventa origine immutabile
e sempre rinnovabile (pensiamo al paragone di Saussure con il ruscello, di
parmenidiana memoria) e riporta alla luce la frammentarietà del gesto storico
in cui il significato resta in oblio, in dimenticanza in quanto tradizione,
tale da essere sempre riportabile ad un altro punto della linearità delle
lingue. Se si assume l’avvenimento come vero (esso manca del proprio contrario,
dunque è non-negabile) si può descrivere la portata del fenomeno come
costrittiva: è in un reale stato linguistico che avviene, attraverso la
risonanza con lo spettro d’azioni comuni, il riconoscimento del complesso. In
che senso, allora, parlare di relazionalità tra mente e mondo esperibile? La
possibilità della emergenza di forme nuove di tipo semiotico all’interno della
logica del senso comune, per esempio, è un modo per avvicinare la funzionalità
delle lingue considerate ciascuna strutturalmente speculare ad un'altra, come
nel caso delle lingue complementari,
nell’accezione di Prieto[12].
All’interno delle Lingue dei Segni, in base alle ricerche recenti, si ritrova
una serie di caratteri sistematici che possono richiamare in campo le proprietà
emergenti delle lingue orali e scritte, con particolare attenzione ai caratteri
specifici di assorbimento iconico tra una lingua e un’altra che mi propongo di
analizzare. Ad esempio, afferma Russo che nella dattilologia le singole
configurazioni delle mani vengono utilizzate per riprodurre la sequenza di
lettere di cui è composta una parola. In questo caso è possibile utlizzare le
configurazioni per introdurre nella comunicazione parole che non hanno un
equivalente esatto in segni o termini specifici del gergo tecnico. La
dattilologia rappresenta, quindi, un modo per traslitterare in lingua dei segni
elementi della lingua vocale scritta, ma non è un procedimento base della
grammatica segnata, che è invece autonoma dalla lingua vocale e scritta.[13]
In questo senso la ricerca di una
relazionalità determinata quale è quella di una definitorietà delle relazioni
tra le variabili e le costanti presenti in un contesto linguistico diventa la
problematica principale, alla quale si legano quelle di identità, di unità e di
equivalenza nelle lingue, come già Harris[14]
ha rilevato rispetto alla teorizzazione di stampo saussuriano.
- Segni e lingue vocali
Tutte quelle pratiche epi e
metalinguistiche che di solito troviamo all’interno dei sistemi semiotici
complessi delle lingue hanno una serie id implicazioni nell’organizzazione
delle dimensioni della significazione. Come emerge dalle analisi delle lingue
dei segni rispetto, ad esempio, alle lingue scritte, ci sono dei rapporti
iconici particolari e specifici di ciascuna lingua e all’interno di
micro-sistemi e delle unità significative. Il principio di storicità alla base
dell’indagine tra la dialettica saussuriana di sincronia e diacronia rispetto
alla possibilità di classificazione categoriale periceana ci permette di
avvicinare la dimensione propriamente linguistica attraverso quelle che
possiamo considerare gradazioni di significatività che vanno a delineare
tipologie diverse di forme logiche. Assumendo la prospettiva del pragmatismo di
Peirce, in particolare delle sue influenze in Italia[15],
possiamo porci l’interrogativo sulla pecularità relazionale tra la continuità
delle lingue letterarie e l’inesauribile operazionalità della significazione. I
tratti determinanti specifici di ciascuna lingua permettono così di arginare le
possibilità di una sorta di deficit che viene spesso attribuito alla realtà
linguistica dei soggetti non udenti. Non soltanto, infatti, il soggetto
parlante è in grado di elaborare elementari giochi linguistici legati già alle
prime forme di relazionalità con i genitori, ma anche di sviluppare forme nuove
e innovative attraverso l’uso contemporaneo di più sistemi. Prendiamo ad
esempio i casi di bilinguismo, che possiamo ricondurre a proprietà specifiche
della materialità linguistica, poiché si tratta di una duttilità della
significazione che ha a che fare con la linearità del significante: l’ordine
del discorso è quello della diagrammatizzazione formale che riveste ciascuna
relazione logica.[16]
Ci sono classificazioni che dal linguaggio muovono la semiosi e ne ritroviamo
gli aspetti più evidenti nelle lingue storico naturali. Nella LIS, in
particolare, ci sono 15 luoghi, 38 configurazioni, 6 orientamenti e 32
movimenti[17] che si
appellano alle regole normative sottomesse a ciascuna relazionalità e a ciascun
rapporto tra forma dell’espressione e contenuto. Non soltanto, infatti,
dobbiamo ricordare che quelli che erano denominati sordi erano anche gli
“stolti”, e quindi emarginati dalla partecipazione alle prassi sociali e ai diritti
legislativi, ma essi erano anche privati della possibilità di esprimersi nelle
stesse comunità attraverso i gesti, poiché tacciati di immoralità da parte
della chiesa. Tuttavia, superata la divisione tra metodo oralista e manualista
e con l’intervento dell’abate De l’Épée intorno al 1750 e l’istituzione del
primo istituto per sordomuti, le possibilità di uno sviluppo sociale adeguato
alle capacità delle persone sordomute sono aumentate notevolmente. Le diverse
comunità che si sono venute a costituire sia all’interno che all’esterno
dell’istituto hanno portato con sé la normatività propria della lingua segnata,
permettendo una relazionalità equivalente, nel tempo, anche a quella di una
lingua non segnata. I caretteri specifici, come i cheremi e i tipi di iconicità
che caratterizzano le lingue dei segni sono stato convogliati nella LIS
attraverso la quale si può oggi contare per uno sviluppo sociale adeguato e
alternativo alla lingua italiana. I testi segnati permettono di rimettere in
gioco i modi tradizionali di approccio alle lingue e alla funzionalità di esse.
In particolare è stato evidenziato come esista una reale connessione tra
aspetti individuali e realtà collettive; in particolare la struttura in
relazione alla composizionalità simbolica è evidentemente una costante in tutte
le lingue segnate. In effetti, il tipo di tradizione che emerge dagli studi
sulla storia delle lingue dei segni mostrano che il grado di artificiosità o
chiusura di ciascuna lingua è molto alto, anche negli stessi periodi storici e
in luoghi molto vicini tra di essi. Anche all’interno di uno stesso istituto si
creavano più idiomi, e gli studenti, come in una lingua naturale, avevano e
hanno tuttora un proprio gergo, con i suoi idioletti e le sue forme specifiche,
che con il passare del tempo destrutturano la lingua ufficiale, malgrado non
sia ancora affermata, soprattutto in Italia, addirittura nelle stesse famiglie,
accrescendo la complessità del problema come evidenzia Caselli: Ma qual è la lingua madre dei bambini sordi figli di
genitori udenti? È quella che si realizza sul canale integro, ma che i genitori
non conoscono – e dunque non usano – e che devono imparare insieme ai loro
figli? O è quella della comunità di origine – la lingua parlata – che però
richiede al bambino un lungo e faticoso processo di apprendimento?[18]
In effetti, il criterio linguistico e socio-geografico è meno unitario
nel caso dei sordi. Johnson e Erting[19]
stabiliscono due criteri oggettivi per la differenziazione della comunità dei
segnanti: il criterio di paternità, della vita biologica e le caratteristiche
delle forme di vita costrette dalla sordità. Nel sistema da loro evidenziato il
nucleo centrale è più denso ed è costituito dal fatto di essere figli di sordi
e sordi fin dall’infanzia. Poi ci sono, nel secondo circolo “cellulare”, i
sordi che segnano fin da piccoli ma non sono figli di sordi, al terzo gli
udenti che segnano ed infine gli udenti che non segnano e i sordi che non
segnano, che in realtà non si considerano del tutto appartenenti alla comunità
sorda.
3. Artificiosità dei tentativi di trascrizione
- Universali linguistici e azioni pratiche
Le caratteristiche iconiche e
ipoiconiche della LIS seguno alcune forme normative che nei diversi tipi di
configurazioni rendono visibile l’ordine sintattico e grammaticale che nelle
lingue dei segni è legato all’uso dei luoghi dello spazio fino ad instaurare un
rapporto diretto tra luoghi ed oggetti nelle relazioni tra significati e
significanti. La natura della lingua è dunque specificamente iconica, legata
naturalmente all’ecologia ambientale. Ad esempio, si chiama morfologia
affissativa la possibilità di certi
movimenti di avere significato grammaticale, detto morfofonologico[20],
poiché i luoghi dello spazio hanno le stesse caratteristiche dei morfemi con
alcune determinazioni grammaticali. L’uso di anafore e di continui richiami
testuali permette di costruire il rapporto tra l’oggetto, il soggetto e il
luogo, quest’ultimo costruito prima dell’enunciazione e epifania di questa. Non
ci sono quindi che rapporti sincronici che tengono insieme ciascuna forma di
azione pratica, che in questo caso porta con sé la necessaria dimensione
simultanea, insita nello sviluppo diacronico dell’azione in presenza. Nelle
lingue dei segni ci sono sia registri fortemente iconici, come quelli poetici,
che registri più standardizzati attraverso i termini specifici stabili. La
forma stabile della significazione è una forma di artificiosità che provoca una
chiusura associativa, poiché, come in molte lingue e per molti registri linguistici,
l’analogia viene bloccata e inibita. È questo che accadde nelle forme di
scrittura più elaborate ma che realizzano una significazione in cui non
soltanto è diversa la materia dell’espressione, ma si modifica in larga parte
la realtà di riferimento, perdendo le caratterittistiche specifiche della forma
visivo-gestuale, come la spazialità e l’espressione facciale, sebbene i
classificatori inseriscano in qualche modo il formato simultaneo
dell’informazione. Tuttavia questo non è sufficiente anche a livello
neurobiologico, in cui a decadere è il tipo di rapporto diretto tra la visione
delle azioni e la capacità di riprodurle. Non è infatti scontanto che il
comunicare di cose visive con segni visivi sia sullo stesso piano della
classificazione restrittiva della semplice simbolizzazione di tipo
convenzionale, come vediamo per esempio nell’uso di segni diacritici di alcune
forme di trasposizione scritta. L’iconicità che si manifesta nelle immagini
verbali dei segni visivo-spaziali è evidente nelle fotografie e nei disegni
necessari alla riproduzione ed alla trasmissione delle lingue dei segni. La
forma di iconismo presente nelle metafore ci permette di fare una distinzione
tra le metafore vive e quelle morte: queste espressioni linguistiche
sottolineano il collegamento tra due campi semantici che usualmente non sono
legati. Mettono in evidenza, quindi, implicitamente, un aspetto dei due campi
semantici che potrebbe sfuggire. Ci sono metafore che non ci accorgiamo di
usare, come “ci aspettano giorni migliori”, che è una metafora cristallizzata,
mentre altre sono morte, poiché talmente insite nelle parole da restare legate
alla analisi in tratti semantici. Esse sono maggiormente legate al livello
grammaticale. Mentre nelle lingue vocali sono affidate al piano della
contestualizzazione diacronica, che si nutre di potenzialità forti, poiché ad
essere messe in gioco sono proprietà formali fortemente stabili, nei gesti esse
sono legate alla struttura del lessico, malgrado un legame metaforico si possa
riscontrare in tutti i segni. Il legame metonimico svolge una funzione simile,
poiché esso può essere considerato una forma specifica di metafora. In effetti,
la metonimia si riferisce indirettamente ad un significato particolare per
indicare e rimandare ad uno più generale, riferendosi ad una parte del segno in
uso. Metafore e metonimie sono i due modi principali attraverso i quali nelle
lingue dei segni si organizzano nuovi paradigmi lessicali. L’interazione tra
metafore e ipoicone è uno dei luoghi significativi in cui avviene l’incontro
tra iconicità e arbitrarietà ed è in questo senso che le metafore maggiormente
caratteristiche dei segni sono metafore morte, poiché di uso comune, delle
quali non ci accorgiamo dell’esistenza. Possiamo quindi affermare che le metafore
morte fanno parte del lessico mentre le vive si riferiscono maggiormente alla
sintassi e ai rapporti formali tra i segni. Un caso specifico è quello
dell’apprendimento dei sordi della scrittura: le parole non possono essere analizzate dal bambino in movimenti
articolatori e, dunque, gli si stampano globalmente nella mente come singole
immagini: il bambino se le ricorda sotto forma di immagini mentali. Da qui la
creazione di una comparazione non letterale basata sull’immagine della “parola
che si stampa nella mente del segnante come fosse una fotografia”. La metafora
innescata potrebbe essere descritta come “fare una fotografia mentale” oppure:
memorizzare è fotografare con la mente, dal momento che il segno RICORDARE in
LIS è eseguito nello stesso luogo (sulla testa).[21]
In particolare, pensiamo alla poesia come luogo di convergenza delle
forme significative diverse, vocali e scritte, con quella segnata. Il mutamento
di registro non fa che ricoprire ancora due campi semantici, quello del
fotografare mentalmente un luogo semiotico e quello del memorizzare. Questi due
realia permettono di rendere viva la
metafora iconica che rende realizzabile la comunicazione dei segnanti. Tuttavia
non è chiara la distinzione tra la forma linguistica dell’azione
visivo-gestuale e quella della realizzazione che occorre tra i segnanti una
lingua dei segni. Fino a che punto, infatti, è possibile dare ai caratteri
fisici della gestualità una corrispondenza con la rappresentazione scritta?
- La poesia segnata e il senso poetico
La premessa rilevante per una
nomologia delle lingue scrivibili si basa sul fatto che le lingue dei segni
sono al pari delle lingue non segnate lingue verbali: la relazione tra i
cheremi è infatti di tipo linguistico. Kendon[22]
evidenzia come ci sia un vero e proprio modello di trascrizione della
gestualità che accompagna le lingue vocali. Tuttavia questo sistema è
fortemente artificioso fino a perdere completamente i rapporti con la
linguisticità manifesta nella presenza dei soggetti parlanti. Se è possibile ripensare
i rapporti tra la forma linguistica della scrittura e la struttura delle lingue
alla luce dei testi dei segnanti, la dimensione simbolica della trascrizione
che passa attraverso la traduzione da una materialità ad un’altra, oltre che
attraverso piani dell’espressione diversi, installa uno scarto tra processo
formativo e forma. La teorizzazione più recente che riguarda la simbolicità
manifesta delle forme si presenta alla luce della ricerca basata sulle analisi
di posizioni diverse. In particolare, quando ci avviciniamo alla realtà della
prassi comunicativa umana notiamo come ad essere introdotte sono norme e fatti
linguistici, nei termini saussuriani, ma anche variabili non emergenti, come la
storia dei cambiamenti e le interazioni tra di essi. La nozione di forma del
messaggio o linguistica, da Saussure a Jakobson a De Mauro, prima, ma fino alle
recenti applicazioni della pragmatica del linguaggio, come nel caso specifico
delle lingue dei segni affrontato da Russo, permette di riaffrontare le questioni
principali che riguardano i fondamenti della comunicazione. Se ci poniamo di
fronte alla necessità di una interazione tra i registri differenti della parole, ad esempio, avremo un determinato modello di
pensiero che dovremmo piegare alle regole che si insinuano laddove si porta a
compimento un’altra forma di pensiero, attraverso forme simmetriche di
simbolicità linguistica, fino a modelli artificiali dai quali neanche le lingue
naturali sono esentate. Ma fino a che punto è lecito tradurre una forma naturale
in una sequenza di regole puramente convenzionali? I tentativi degli studiosi
contemporanei come Kendon ci avvicinano ad un modo di guardare alla memoria e
all’impiego della scrittura in maniera meno semplicistica. La performance
diventa un vero e proprio luogo indipendente dalla forma scritta, se intendiamo
per scrittura e scrittura quel sistema semiologico di tipo linguistico in cui i
segni grafici si piegano alla combinatorietà delle regole linguistiche basate
sulla linearità del significante. Pensiamo a Peirce nel tentativo di
realizzazione di forme linguistiche scritte circoscrivibili ad alterazioni
della prassi quotidiana attraverso i grafi esistenziali: i nessi e le relazioni
logiche che costituiscono un argomento, una o più proposizioni ed enunciati
hanno una forma che realizza uno stato reale del discorso[23].
Probabilmente legati a fini simili lo sviluppo delle lingue dei segni è il
frutto di una necessaria riattivazione dei giochi linguistici fini a se stessi
nella comunità dei parlanti. Ma non è ancora statto chiarito se si tratti di
una reale antinomia o di un rapporto complementare ed è a questo fine che
propongo di considerare entrambi gli aspetti, quello empirico di manifestazione
delle lingue segnate e quello teorico. L’applicazione teorica deve dunque
tenere conto della rilevanza fattuale del fenomeno poetico vivente tra i
segnanti.
Appendice
Propongo uno studio sperimentale
che permetta di rilevare le performance specifiche delle poesie in Lingua
Italiana dei Segni che si tengono periodicamente in Italia, attraverso il
contatto con l’attività diretta dei poeti che segnano è un modo per avvicinare
la realtà dei parlanti la LIS. Non è sufficiente, infatti, scorrere le pagine
di un dizionario della lingua italiana dei segni per capire la natura del
significato gestuale. Se la relazionalità tra scrittura e segno vivo è
indiretta è allora necessario fare un passo indietro per guardare alle forme
impiegate dai parlanti una lingua più o meno naturale. Il grado di
artificiosità delle trascrizioni dovrà allora comprendere una codifica non
puramente convenzionale, ma derivata dalla funzione che ha all’interno delle
comunità e più o meno evidente a seconda dei nuclei do contatto con le comunità
dei non sordomuti. Per non ricadere in semplici artifici della ragione
puramente convenzionali è necessario uno sviluppo dell’interazione trai sistemi
di segni che non si ancori soltanto alle forme antinomiche di confronta tra le
diversità più evidenti, ma che si ancori alla posizione di ciascuna realtà
vivente come modello di pensiero da prendere in considerazione.
Bibliografia
S. Auroux, 1994, La
rivolution technologique de la grammatisation. Introduction à
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[1] Cfr. D. Diderot, 1751, pp. 8-12.
[2] T. Russo, 2007, pp. 103-116 (in T. Russo – V.
Volterra : 2007), pp. 115-116.
[3] Cfr. A. Di Renzo, 2006, in A. Di Renzo, L. Lamano, T.
Lucioli, B. Pennacchi, E. Pizzuto, L. Ponzo, P. Rossini, 2006.
[4] Cfr. G. Vico : 1744, L. II, sez. II, cap. 4, § 446,
pp. 186-187.
[5] In senso tecnico (cfr. V. Welby : 1986).
[6] Cfr. J. U. Sebeok – T. A. Sebeok : 1987.
[7] Cfr. W. Sandler e D. Lillo-Martin, 2006, pp. 493-499.
[9] Cfr. F. de Saussure, 1916, pp. 13-23.
[10] T. Russo Cardona, 2007, p. 96.
[11] Cfr. A. Prosdocimi, 1983, p. 86.
[12] Cfr. L. Prieto : 1983.
[13] T. Russo, 2007, p. 141, n°2.1.
[14] Cfr. R. Harris : 2000a.
[15] Cfr. G. Papini : 1907.
[16]
Saussure
sostiene che una regola di sintassi e una regola morfologica «per un legame
profondo e indistruttibile appartengono allo STESSO ORDINE DI FATTI, e cioè al
gioco dei segni, per mezzo delle loro differenze in un momento dato» (F. de Saussure,
2005, p. 31).
[17] Cfr. V. Volterra : 1987 (ristampa 2004).
[18]
M. C. Caselli,
2006, p. 204 (in M. C. Caselli –
S. Maragna – L. Pagliari Rampelli – V. Volterra : 2006).
[19] Cfr. R. Johnson e C. Erting : 1992.
[20] Cfr. T. Russo, pp. 70-83.
[21] T. Russo, 2007, p. 90 (in T. Russo – V. Volterra :
2007).
[22] Cfr. Kendon : 2004, ma già Kendon : 2002.
[23] Cfr. C. S. Peirce, 2003 [1906], p. 140.
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