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sabato 10 maggio 2014

L’arte e il pensiero di Silvia Redente


L’arte e il pensiero
di Silvia Redente

Abstract

Nietzsche considera l’arte come espressione della volontà, nel senso che essa si manifesta attraverso i due stili in concorrenza tra di loro, ossia l’apollineo e il dionisiaco. Il punto cruciale è l’emozione attualizzata nel materiale sentimentale dell’immaginazione. La preminenza dell’immagine è legata alla relazione tra la forza artistica e la volontà intesa in senso schopenhauriano, in cui la poesia epica rimanda all’arte figurativa. L’azione affettiva che muove la musica e la pittura si differenzia nella rappresentazione, non fisica ma mentale rivelando la concezione morale dell’essere umano.

1. L’eterno ritorno

Nella “Volontà di potenza” l’arte è in opposizione alla decadenza dell’uomo[1]. Il culmine dell’operazione artistica è il congiungersi dei due stili apollineo e dionisiaco. Le arti considerate sono la poesia, in particolare quella epica, la pittura e la musica. I frammenti della riflessione sull’arte nell’intera opera del filosofo tedesco si riconnettono a un’ermeneutica riguardante la delineazione dell’intero pensiero umano, a partire dal linguaggio. All’idea di un eterno ritorno del dionisiaco e dell’apollineo privo, fin dall’inizio della storia, di un ritmo preciso, si oppone la sincronia continua della comunicazione.

«La condizione estetica possiede una stragrande ricchezza di mezzi con cui comunicarsi, insieme a una estrema suscettibilità agli stimoli e ai segni[2]

Come prospetta nella “Nascita della tragedia”, le teorie sulla metafisica dell’arte sono prive della visione socratica mentre abbracciano la filosofia di Schopenhauer e l’opera musicale wagneriana. La chiarezza delle due forme di pensiero, una strettamente filosofica e l’altra di creatività vera e propria, si oppone alla storicità della visione aristotelica. Il dionisiaco e dell’apollineo si manifestano come azione effettiva della metafisica artistica. In questo senso la filosofia non si allontana dalla produzione dell’arte vera e propria, bensì la riflette come se non ci fosse una rottura critica tra le due forme di pensiero. Il mito e la religione, d’altro canto, non segnano che una fase della vita dell’umanità nella visione di una negazione dell’uomo succube della realtà. La critica alla concezione aristotelica del legame tra l’operazione artistica e lo stato si colloca nella visione antistorica dell’eterno ritorno di dionisiaco e apollineo. L’arte ha una connessione misteriosa con lo stato, mostrando in superficie il bello.

2. L’oggetto dell’intuizione artistica

L’eliminazione dell’innaturalezza propria dell’arte è in primis una fuga dalla civilità e dalla cultura[3]. Alla fine di un periodo determinato di alternanza tra il dionisiaco e l’apollineo diventa invece la tendenza stessa a un determinato livello culturale. In opposizione all’idolatria del pensiero socratico, Nietzsche considera la musica come culmine della soggettività[4]. La successione della musica della tragedia greca ha il fine della coesistenza nella contemporaneità del filosofo. La differenza tra le manifestazioni della volontà è la rappresentazione, ossia un concetto che si sviluppa nella mente umana[5]. Mentre la musica è considerata una forma che nella sua soggettività è una patologia, uno stato primitivo, la nuova arte è la pittura. In effetti, l’esaltazione dell’individuo è tipica del Rinascimento, il periodo per eccellenza nel quale l’opera pittorica è rivelatrice della concezione strutturale del mondo, come nel caso della prospettiva.
Il punto di unione tra la musica e la pittura è la sensibilità artistica nel senso della moralità legata al sentimento. L’opposizione netta tra la passione e l’arte permette di cogliere ancora meglio in che senso non sia possibile la produzione delle opere pittoriche e di musica per l’uomo ingenuo primordiale[6]. Il dionisiaco non rivela alcuna formazione che abbia un senso universale, negando l’equilibrio apollineo: l’arte ha luogo al culmine dell’allinearsi dell’immagine e della volontà. Non c’è modo di vedere il dionisiaco senza la manifestazione apollinea: il bisogno artistico è contemporaneo, si può manifestare insieme alla lotta per l’esistenza dell’essere umano. In particolare nell’arte greca si forma come il lavoro dell’uomo, poiché l’impulso artistico ha forza coercitiva: la cultura è quindi un veritiero bisogno d’arte[7]. L’intuito dell’artista non cambia il rapporto con la realtà, allo stesso modo l’istinto del poeta. La differenza che si crea nell’oggetto artistico è quel fine che permette l’equilibrio dello stato.

3. L’immaginazione come volontà

La perfezione insuperata dell’arte greca ha una connessione stretta con l’organizzazione e l’archetipo dello stato, poiché anche il lavoro del guerriero è finalizzato alla dignità umana, come il lavoro in generale. L’arte quindi può rappresentare il potere statale: lo stato stesso è un’intuizione poetica[8]. Per il fatto che le forme primordiali nella natura sono mostrate dagli artisti, nella visione nietzscheana non vi è alcuna antitesi tra la poesia, la musica o la pittura, proprio in virtù dei modelli iniziali dell’arte. Quello che è morale non è in opposizione alla struttura della realtà, come nell’arte greca, in cui vi è una verità orrenda alla base della sua creazione.
Nietzsche considera il legame tra un combattente, un poeta e un filosofo: colui che incarna i tre uomini sarebbe un eroe vero e proprio, con una conoscenza tragica della realtà ma intriso della serenità greca. La volontà storica si differenzia nel corso dello sviluppo delle culture come una volontà immediata, nelle contingenze della civilità. La connessione tra la conoscenza e l’arte ha la propria anteriorità nella natura[9]. L’esempio principale è quello della musica. Essa diventa un’esemplificazione di un concetto universale, uno schema che si basa sul sentimento.

«Il poeta lirico interpreta per se stesso la musica attraverso il mondo simbolico degli affetti, mentre egli stesso, nella quiete dell’intuizione apollinea, è sottratto a quegli affetti[10]

In tal senso, attraverso la visione la musica avvicina al dionisiaco, nella continua antitesi con l’apollineo. Tale modalità di relazione con la realtà esprime l’impulso vitale nella musica. Il legame tra la musica e la pittura è quello dell’esaltazione della seconda tramite la prima, così come è prospettato dalla visione schopenhaueriana. Le immagini non sono prive della melodia neanche nel teatro, in particolare con la tragedia. Tuttavia è tipico dell’arte greca che la musica decada del tutto alla fine. Le arti sono le uniche che abbiano una relazione stretta con la natura, come è tipico della tragedia greca.

4. Il pensiero etico e l’arte

La coesistenza dell’arte come tendenza alla cultura e contemporaneamente come bisogno primario dell’essere umano permette di prospettare l’etica sotto l’influsso dell’arte. La costruzione della morale delle civiltà e dei gruppi sociali non interrompe la necessità di una formazione artistica. Nella contemporaneità del filosofo, nei tempi moderni, l’opposizione infinita tra il dionisiaco e l’apollineo non porta a compimento solo un aspetto limitato della civiltà ma impone una vera e propria continuità legata al pensiero.
L’arte e l’artista creano la compiutezza dell’uomo e trasferiscono tutti i suoi impulsi nella civiltà. In particolare si tratta della presenza di una vera e propria capacità artistica che non si forma in base ai concetti ma nelle immagini che costituiscono il giudizio artistico. L’uomo ignoto a se stesso dell’antichità diventa in seguito capace di guardare avanti ossia di dare un’interpretazione attraverso l’arte. Attraverso il materiale sentimentale dell’immaginazione l’oblio che permette la memoria si trasforma. Con la civiltà che fa dell’uomo una realtà opposta all’animalità il senso dell’alternanza tra il dionisiaco e l’apollineo diventa quello dell’etica. Già nell’antichità l’arte pone riguardo allo spettatore, all’uomo ricettivo.

«L’intera umanità antica è piena di delicati riguardi per lo “spettatore”, essendo un mondo essenzialmente pubblico, essenzialmente manifesto, che non sapeva immaginarsi la felicità senza spettatori e feste[11]

Nel rispetto della vita umana nasce lo spettacolo che vede nella tragedia l’arte più diffusa in Grecia. Le forme di rappresentazione scenica non distinguono il bene dal male ma mettono in mostra i simboli di “buono” e di “cattivo”, delineando gli atteggiamenti umani. L’istinto della libertà che porta l’artista anche verso la negazione della civiltà, verso l’uomo ascetico, accomuna l’arte alla guerra. Tale egoismo è comunque anteriore alla creazione dell’opera[12]. Wagner mostra il ribaltamento del senso portato dall’ascetismo artistico senza cadere nel contrasto tragico tra il dionisiaco e l’apollineo[13]. Il trascendente libera l’opera in modo da estrinsecarne il senso, per cui l’isolamento profondo dell’artista non ha alcuna importanza.
L’arte ha una vera e propria indipendenza come nella visione kantiana, così come in quella nietzscheana il valore dell’opera è universale. Ricade in questo ambito di idee il concetto di contemplazione estetica, fondamentale per non eccedere nel giudizio riguardante l’artista[14]. L’arte è in un certo senso contrapposta all’ideale ascetico nella sua effettività.

5. Conclusione

L’azione delle arti si differenzia nella rappresentazione, non fisica ma mentale, rivelando un’etica. La musica avvicina al dionisiaco relazionandosi con la realtà, nello stesso modo in cui la pittura ravviva la cultura. Il tesoro della conoscenza non è privo della tendenza umana all’istinto artistico. Il sentimento che rende l’uomo simile a ciò che lo rende tale anticipa la storicità propria dell’essere umano attraverso l’arte. Il culto dell’asceta non può essere in alcun modo un riflesso dell’arte, mentre la filosofia è una via per avvicinarsi alla poiesis. Il formarsi stesso del pensiero artistico è prezioso per mettere alla prova il concetto di sentimento.

































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[1] Nietzsche pensa alla filosofia come a una forma d’arte: parla di filosofo-artista (cfr. Nietzsche, 1906 : 430).
[2] Ibidem, p. 439.
[3] Cfr. Nietzsche, 1871 : 115.
[4] Ibidem, p. 121.
[5] Ibidem, p. 123.
[6] Ibidem, p. 139.
[7] Ibidem, pp. 156-157.
[8] Ibidem, p. 170.
[9] Ibidem, p. 186.
[10] Ibidem, p. 194.
[11] Nietzsche, 1887 : 58.
[12] Ibidem, pp. 76-77.
[13] Ibidem, p. 90.
[14] Ibidem, p. 97.

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