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sabato 10 maggio 2014

Logica della poesia: da Saussure a Hjelmslev di Silvia Redente



0. Introduzione........... 2
1. Metafora e logiche poetiche........... 49
1.1.0. Lingua poetica come lingua emozionale.. 54
1.1.1. Metaforicità tra psicologia e poesia.. 56
1.1.2. La tendenza simbolista e le forme poetiche.. 58
1.1.3. Metafora e tendenza alla phronesis.. 61
1.2. Relazioni strutturate del linguaggio....... 62
1.2.0. La strutturabilità dei sensi e l’indeterminatezza.. 64
1.2.1. La struttura della logica poetica.. 66
1.2.2. Poesia e funzionalità delle lingue.. 68
1.2.3. Livelli di sistematicità tra struttura, schemi e funzioni.. 70
1.3. L’autonomia e la storicità della poesia....... 71
1.3.0. L’istintualità del linguaggio come imprinting della logica poetica.. 74
1.3.1. Distanza e prospettive figurali nella logica della poesia.. 75
1.3.2. Categorie e complessità dell’immagine verbale.. 77
1.3.3. Il corpo del linguaggio come figura.. 78
2. Poesia e verità storica........... 80
2.1.0. Veridicità e verisimiglianza del riferimento nella lingua poetica.. 83
2.1.1. Immaginazione come forma di conoscenza.. 85
2.1.2. Modularità nelle logiche dell’azione poetica.. 87
2.1.3. Costanti e finalità della scrittura.. 89
2.2. Interpretazione e stratificazione dei sensi....... 91
2.2.0. La sostanza come schematismo retorico.. 93
2.2.1. La funzione psicologica delle metafore.. 95
Bibliografia....... 98


0. Introduzione



Nella concezione aristotelica la fruibilità del mondo e l’attività teorica sono collegate da una tendenza costante verso il meglio. L’idea di una natura che permetta la concatenazione di elementi come artefatti e strutture preesistenti alla conoscenza è legata al concetto di essenza e avvicina alla finalità ultima delle attività umane che è la felicità. I due tipi di conoscenza, ovvero la conoscenza per natura e la conoscenza per convenzione nell’opera d’arte coagulano per arrivare a una funzione formativa e educativa nella società.
A fondamento della comprensione, sia dell’opera d’arte che della realtà, nella sua essenza, vi è la mimesi. La mimesi è interna all’oggetto e alla struttura dell’uomo come tendenza che dall’oggetto attraversa la relazione con le proprietà che lo caratterizzano. Elemento essenziale della mimesi è per Aristotele il racconto: la narratività che sottende la logica della poesia nella Poetica si realizza attraverso tre momenti: il nodo, l’intreccio e lo scioglimento del nodo. Il livello narratologico è dato dalla condensazione tra i nuclei temporali del racconto; l’ordine logico-metafisico è realizzato dal fatto che l’uomo è un animale imitativo. La forte influenza dell’impianto metafisico costituisce per Aristotele la possibilità di far confluire ogni attività umana nella logica categoriale, chiave di lettura della Poetica. La natura qualitativa delle differenze e degli attributi dell’essere è tale da poter essere funzione della generazione delle attuazioni nel mondo di ciascun elemento potenziale, mosso dall’energia che è fonte e causa del movimento che dà vita. L’essenza è rimessa in gioco anche nel campo conoscitivo. Essa è potenzialmente attualizzabile nel tempo attraverso la socialità che è propria dell’uomo.
La Poetica mette in campo l’apparato metafisico e categoriale che nelle opere come l’Organon e il De Interpretatione sono mirate alla delineazione delle variabili che caratterizzano le attività umane per mezzo del linguaggio. Il pensiero è alla base dell’essere che non è al di fuori del pensiero e ha lo stesso valore della natura nella creazione della realtà.

«L’essere inteso nel senso di vero e non nel senso di accidente consiste in una connessione del pensiero ed è una affezione di esso: per questo non si ricercano i principi dell’essere inteso in questo senso, ma solo dell’essere che è fuori dal pensiero e separato. […] Il fine esiste nelle cose che si realizzano per natura o ad opera del pensiero[1]

La differenza esistente tra ciò che è accidentale e ciò che costituisce l’essenza va a influire sulla realtà linguistica attraverso il nome. L’accidente è privo di causalità, oltre a possedere la caratteristica dell’indeterminatezza: non influisce nella definizione dell’essenza. Nella visione aristotelica la necessità della sostanza è una necessità ontologica, ma questa necessità non esclude che anche la definizione degli elementi necessari all’individuazione dell’oggetto sia materia dell’essere, proprietà primaria e non attributo.
La dinamica che muove gli aspetti essenziali del racconto, dal nodo allo scioglimento, è essenziale nel discorso poetico. Per il fatto che nella definizione aristotelica la sostanza è la materia formata, la forma non è una semplice funzionalità esterna all’oggetto: parlare di struttura è quindi coerente, rispetto alla struttura del pensiero e della natura. Aristotele sottolinea che i due mondi, quello del pensiero e quello della natura, non sono distanti e non si escludono a vicenda. La presenza del pensiero come logos nella sua condivisibilità, attraverso le forme artistiche e la cultura di riferimento, è un prodotto della mimesi. L’attività mimetica come condizione di realizzazione della poiesi è alla base della conoscenza che si compie attraverso l’arte. A differenza della conoscenza scientifica che necessita delle dimostrazioni, la conoscenza legata all’opera d’arte è specificamente formativa, mirata all’educazione dei cittadini.
L’apparato formativo e educativo della città si può basare sulle modalità di costruzione dei discorsi, come Aristotele espone nella Retorica, oppure è composta da forme di discorso poetico, con le regole e le direttive che sono presenti nella Poetica. In tal senso la poetica è una testimonianza della coscienza collettiva dell’epoca rispetto non soltanto alla letteratura, ma soprattutto alle fondamenta culturali.
Prima di arrivare ai tecnicismi propri della finalità del discorso poetico, la funzione sociale diventa il primo valore importante che si rende esplicito nel lavoro aristotelico di riappropriazione della letteratura conosciuta e di rielaborazione delle costanti presenti nelle grandi opere, come l’Iliade e l’Odissea, fino a quelle contemporanee al filosofo. Il suo riferimento a Omero è tale da innalzarlo a esempio illustre, sintomatico di un'elaborazione che, come vedremo, è in senso tecnico di alto livello, nella formulazione della struttura necessaria per un’opera ben compiuta. La coerenza e la compiutezza delle tragedie sono date dalla figurabilità del senso, attraverso la complessità che permette di analizzare le relazioni esistenti realmente tra gli uomini e di sintetizzarne i caratteri, nella sequenza di azioni date linearmente.
Le azioni come motori del racconto fanno in modo che la caratterizzazione del personaggio sia in realtà una relazione tra azioni che instaurano una dipendenza reciproca, fino a far sentire il personaggio come verisimile dallo spettatore o dal lettore. L’azione mimetica è quella che sfiora la natura umana e ne evidenzia la funzione unica e istintiva che è quella imitativa. Inizialmente l’istintualità non è data da una funzione diversa da quella degli animali non umani: l’imitazione è una funzione di sopravvivenza e di socialità, non distinguibile dalla generazione della cultura, come nel caso delle società complesse. Non è il personaggio a fare delle caratteristiche presenti nella società un esempio da mostrare nelle opere, bensì la configurazione di attività che si manifestano nella natura mimetica e che procede dall’imitazione alla tendenza al bene, all’opera compiuta da perfezionare nel tempo. Per il fatto che la tecnica non è opposta alla natura, l’evoluzione delle opere è una capacità dell’essere umano.
L’arte come tecnica non è dipendente da condizioni particolari esterne all’essere umano. La mimesi diventa un cambiamento che muove la causalità delle opere verso il fine ultimo della realizzazione del bene. In tal senso l’oggetto artistico migliore è quello che risponde alle esigenze di ciascuna epoca e non ha una natura soggettiva legata soltanto all’artista. Essa elude anche l’interpretazione come ulteriore modello di formazione. La consistenza dell’incisività dell’opera è presente agli occhi del pubblico nella funzione catartica che compie attraverso il pathos e la verisimiglianza, strumenti della catarsi. La dimensione di riappropriazione delle emozioni e di pietà che muovono le grandi tragedie, per esempio, dipendono dall’interazione dell’insieme strutturato dell’opera con le emozioni vere e le esperienze di senso compiute nella vita del fruitore. Effettivamente non c’è una distanza tra opera come realizzazione e opera dal punto di vista della ricezione: la buona realizzazione dipende dall’effetto che ha sul pubblico e tale effetto è parte dell’opera stessa.
Nella Poetica il lavoro di distinzione tra le parti del discorso che riguardano il racconto è finalizzato all’insegnamento della forma da rispettare per strutturare e realizzare una tragedia o un’opera epica, per esempio, ma anche per esplicitare ciò che è sotto gli occhi di chi legge un’opera. Tale lavoro di strutturazione ricompone, rispetto all’esperienza personale, uno schema che permetta di comprendere la natura dell’opera. Il tipo di processo e di progettualità della funzione comunicativa è quindi un effetto della buona composizione. Suffragando la possibilità di un ritorno della perfezione di alcune opere, come è evidente nel percorso omerico che Aristotele erge a esempio, a essere formulata è la gestibilità dell’istintualità umana. La fattibilità potenziale o l’azione è tale per ogni dinamica possibile.
Il mutamento, visto come dimensione di affrancamento dall’animalità priva di cultura, è tale da portare alla natura umana senza discontinuità con le altre specie. In tal senso i momenti di indipendenza dalle altre forme viventi sono quelli specifici della verbalità, rivestita tuttavia delle stesse condizioni di realizzazione di quelle che sono considerate arti mimetiche come la musica e la pittura. Tali arti peraltro hanno una perfezione maggiore rispetto alla poetica delle forme verbali. A dimostrazione dell’istintualità della parola non è una vera e propria forma indipendente dalla realtà non linguistica, ossia la metafora che contiene, a parere di Aristotele, elementi condivisi con le altre relazioni non verbali. Il sintomo più evidente della simbiosi tra poetica e realtà naturale è la dimensione formativa che della lingua comune fa uno strumento di rielaborazione dell’azione presente all’essere umano; le attività della parola non sono soltanto funzione di organi dedicati, ma hanno una gestibilità che oltrepassa la funzione dell’imitazione. La natura dinamica della vita umana non è nettamente diversa da quella che governa la vita degli altri animali.
La mimesi è una funzione della commistione tra fatti naturali e fatti culturali: l’essenza di ciascun oggetto e di ciascun ente è ciò che non può che essere come è. La Poetica permette di affermare che le sensazioni e le emozioni costituiscono parte del pensiero, similmente all’azione di ago magnetico di una bussola che sia utile a orientarsi nelle lingue e a incanalare quelle maggiormente condivisibili in forme del discorso.
La differenza esistente tra una rappresentazione scenica e la fruizione dell’opera come testo scritto non è affrontata direttamente da Aristotele. Il logos è considerato nel suo insieme come parti articolate, le parole e le sillabe, avvicinandosi alla natura di attività che fa dei caratteri veri e propri personaggi. Tale relazione tra le parti del discorso e la finalità articolatoria della natura poetica dell’arte porta alla divergenza tra oratoria e poetica: il tipo di complessità che troviamo nella Retorica per la definizione delle parti più consone, atte a convincere il pubblico, non è lo stesso di quello che è presente nella delineazione delle parti del discorso poetico. Non è una differenza di prestigio: la natura della poetica è qualitativamente più vicina alla natura delle azioni umane. Il retore, al contrario, deve dimenticare le azioni nella loro complessità e estrarne solo gli aspetti utili a vantaggio del concetto che vuole portare avanti, al fine di convincere e non di educare. La politica non ha a che fare con la poetica: il tipo di finalità delle due è diverso nella loro stessa origine, per il fatto che la politica è atta al governo della città, mentre la poetica mira all’educazione dei cittadini.
Il tipo di relazione esistente tra la parola scritta e la rappresentazione mimetica che porta a delineare le diverse necessità dell’arte è una formazione sempre in crescita, non artificiale, nello stesso senso delle opere di retorica. La rielaborazione delle caratteristiche che determinano la fattibilità di un’opera poetica non è una manipolazione di idee esistenti da ripresentare rispetto a eventi o al fine di difendere uno stato di cose. La forma del discorso poetico è priva di invettiva e di critica sociale: ciascuna azione è a favore della catarsi, finalizzata alla dimensione soggettiva. La catarsi è un processo che coinvolge non solo la percezione dell’opera, della quale è un effetto, ma anche l’intero apparato cognitivo dell’uomo: la visione e il riconoscimento di caratteristiche comuni tra la vita quotidiana e ciò che si vede in un quadro o si legge in un’opera, per esempio, permette di superare traumi subiti o semplicemente di sentirsi parte di un universo di emozioni condivise. Quello che sembra un fatto secondario, ossia la comunione dei sentimenti e delle emozionalità possibili che sono riprodotte in un’imitazione di azioni e di attività, è realmente funzionale alle pratiche artistiche. Non potrebbe esserci una nozione di poiesi se non ci fosse l’effetto dell’opera sul pubblico: anche se non portato in primo piano da Aristotele, il pathos, l’immergersi dello spettatore nella complessità delle azioni e delle dimensioni che pertengono all’essenza della tecnica, ovvero la dimensione formativa e quella mimetica, è parte integrante di qualsiasi oggetto artistico. Il pathos, come emozione circoscritta all’essere umano, permette un confronto tra la vita reale e la vita che si riappropria del suo presente emozionale durante la fruizione dell’opera d’arte.

«Dunque origine e quasi anima della tragedia è il racconto; seconda è la dipintura dei caratteri. E lo stesso avviene anche in pittura: se si stendono i più bei colori diffusamente, senza ritrarre un’immagine, non si soddisfa l’occhio nella stessa misura. Poi è mimesi di azione, e proprio attraverso di essa è anche mimesi delle persone che agiscono[2]

I primi due elementi della tragedia sono caratteristici dell’arte poetica: la capacità della tragedia è tale anche senza esecuzione e senza attori. Aristotele afferma che anche il linguaggio, il quarto elemento, successivo al pensiero, è simile nei versi e nel discorso. Lo spettacolo è estraneo alla composizione: potrebbe anche non essere messo in atto per la comprensione dell’opera. Tale elemento non è secondario rispetto alla definizione della natura dell’arte poetica nella sua completezza. È importante notare che l’astrazione delle azioni avvicina alla mimesi che non dipende dai fatti così come sono stati presenti agli occhi dello storico. Il poeta che osserva e conosce la realtà non diventa un dipendente della visione storicistica. Anche se quella dimensione della realtà che si coglie dalle opere è verisimile, essa non corrisponde a fatti, a azioni brutalmente presenti nel corso del tempo storico.
Cogliere gli elementi delle azioni del tempo che si concretizza con le forme umane dei personaggi è parte di un sistema che è proprio della mimesi. L’operazione compiuta dal poeta è quella di rendere immaginabile non soltanto quello che fa della manifestazione nella storia un elemento diacritico come parte della memoria cronachistica, ma soprattutto di profilare la necessità di un'imitazione che non sia simulazione priva di legami con la sostanza riflessiva, l’anima senziente che attraverso i simboli e il linguaggio diventa forma di conoscenza. La possibilità di una visione della rappresentazione come esterna e secondaria anche alla tragedia, permette di comprendere il senso profondo dell’arte poetica per Aristotele. Ciò che è evidente non è che un involucro di dimensionalità che l’autore costruisce senza muoversi al di fuori della sintesi che soltanto attraverso l’imitazione e per mezzo della mimesi può essere poiesi. È importante ricordare che l’imitazione è una fonte di rielaborazione delle azioni potenziali: riprodurre in versi qualcosa che può essere sempre comprensibile al lettore significa riuscire a distanziare l’ambiente dal quale il poeta ha iniziato a elaborare il suo progetto poetico e arrivare a riformularne la funzione anche in un contesto del tutto diverso.

«Perciò la poesia è attività teoretica e più elevata della storia; la poesia espone piuttosto una visione del generale, la storia del particolare. Generale significa, a quale tipo di persona tocca dire o fare quei tipi di cose secondo il verosimile o il necessario; e di ciò si occupa la poesia, anche se aggiunge nomi di persona[3]

L’astrazione diventa, nel lavoro della poiesi, una formula per elaborare un campo d’azione: lo schema che il poeta forma è una sintesi duttile di universi del discorso. La catarsi avviene quindi attraverso il paradigma di una circolarità in parte esperenziale dell’opera[4]. Il processo si realizza nella composizione degli elementi del racconto, muovendo la schematizzazione delle sinergie esistenti tra personaggi e vita reale. Per il fatto che non c’è una contrapposizione tra ciò che si vede sulla scena e si legge in un’opera scritta anche se non rappresentata, l’universo della mimesi non ha un luogo privilegiato: come accade all'immagine in un quadro, la realtà è mediata. In opposizione alle teorie moderne del significato, il linguaggio per Aristotele non ha una preminenza sulle altre sostanze che permettono la realizzazione delle opere d’arte.
Per il fatto che la categorizzazione delle realtà possibili, da una sintesi della percezione che relaziona l’essenza degli oggetti delle cose osservate all’essere umano, arriva fino alla teoria della dimostrazione che riguarda il linguaggio nelle sue strutture più profonde, la teoria di Aristotele sostiene la forma evolutiva e contemporaneamente la continuità tra il mondo e il pensiero. Tra i pensieri non può esservi distanza: essi si trovano nella gerarchia aristotelica, prima del linguaggio. La precedenza del pensiero sul linguaggio permette di riaccostare le due realtà della forma artistica e del lavoro scientifico nella delineazione dell’oggetto[5]. La poesia, più filosofica della storia, è tale in virtù della sua universalità. Mezzi, oggetti e maniera sono i tre elementi che differenziano le imitazioni: la mimesi che è considerata come una precondizione della realtà imitativa si compie in un modo che è ricco di legami tra le arti. Aristotele è molto preciso nella descrizione delle differenze, anche all’interno di uno stesso genere, prediligendo, tuttavia, la tragedia rispetto alle altre forme.

«Le forme della tragedia sono quattro, e tante risultano in relazione agli elementi che abbiamo illustrato. Una è quella avventurosa, che consiste tutta in peripezia e riconoscimento; una è luttuosa, come i vari Aiaci e Issioni; una è psicologica, come le Ftiotidi e il Peleo; e la quarta è spettacolare, come le Forcidi e Prometeo e le scene dell’oltretomba[6]

Tale ricerca della differenziazione delle realtà poetiche permette di rinvenire alla nozione di simbolo passando attraverso l’opera d’arte e di identificare nella poesia una parte rilevante di significazione rispetto alla mimesi come germe della connessione tra la vita naturale e l’arte. L’emozione come fonte di immanenza, nell’effetto sul pubblico e di universalità, nella maniera in cui è percepita nella forma categoriale del riconoscimento, unisce il trascendente e l’immanente, costituendo poiesi e attività teoretica.

«[…] in Aristotele non c’è distinzione tra mimesi poetica e mimesi filosofica perché non c’è più ragione per una tale distinzione[7]

La mimesi diventa una forma di sillogismo che permette l’apprendimento. Se in Platone la mimesi poetica porta a sviare altrove il nostro pensiero, a allontanarlo dall’idea originale e quindi vera, in Aristotele la mimesi è di una natura unitaria, per la filosofia come per la poesia. Il problema evidenziato è quello che riguarda il logos poetico: tra poesia e filosofia, fin dalla Teogonia di Esiodo (VIII – VII sec.), i poeti erano coloro che sapevano dire molte menzogne simili alla verità e contemporaneamente sapevano anche cantare le cose vere. Secondo Erodoto il fine dell’arte poetica è rendere verisimile la rappresentazione, verisimiglianza che permette di affermare che tutta la poesia dei primi secoli ha uno scopo conoscitivo e educativo. In qualche modo la poesia ha un fine legato alla ricerca: la poiesi permette di trovare qualcosa di esistente. Per il fatto che il linguaggio è considerato come esemplificativo per spiegare come avviene il processo mimetico, nella mimesi sono rimesse in gioco le questioni dell’apprendere e del sillogizzare. Un esempio pratico è la somiglianza istituita dalla metafora: essa riguarda il rapporto che le parole hanno con le cose. Nella massima, considerata un esempio di entimema, la metafora è una forma di consonanza dialettica. Per spiegare l’esempio di mimesi in una frase vi è la metafora, risultato di una sostituzione che avviene per via indiretta: “questo è quello”, sembra affermare, permettendo, con tale allusione, l’attuazione di una forma di apprendimento. Il radicamento alla verità è pensato come un atto di aisthesis, essendo del tutto umano: attraverso la mimesi si apprende qualcosa di più della percezione diretta. Sillogizzare significa quindi cogliere la forma dell’oggetto, comprendendo anche ciò che potrebbe sfuggire se non avvenisse la mimesi: la semplice imitazione non permette di rendere conto del lavoro mimetico.

«Sia il poeta nei suoi stadi compositivi che lo spettatore del dramma teatrale – colui che era significativamente denominato theoros – nel suo atto di riconoscimento, sono entrambi guidati dalla forma[8]

Il processo di riconoscimento che permette l’attuazione della catarsi è comune a chi crea l’opera tragica e a chi ne fruisce. Esiste, in tal senso, un principio generale di realizzazione della funzione artistica che non eccede la sostanzialità stessa della lingua. La poesia è doxastica e non epistemica poiché ha una forma di sillogismo essenziale radicato in essa: syllogos è una forma di aggregazione dei ragionamenti, per la quale il dedurre, in principio, è usato nel senso generale del riunire. La relazione forte esistente tra l’azione poetica e la forma dell’opera d’arte ha un luogo di contatto che non è estraneo all'imperfezione delle azioni umane.
L’hamartia che caratterizza l’atto deliberatorio dell’uomo è l’effetto fallimentare senza il quale non ci sarebbe la libertà: la poesia verte sulla libertà e può essere resa inerente al bene soltanto se prende piede tra i sentieri della libertà. Gli animali non umani, al contrario, non falliscono poiché possono al più essere sopraffatti dalle circostanze. Essi non possono realizzarsi al di là della riproduzione. Si tratta di una caratterizzazione che determina lo scarto netto tra la specie umana e le altre specie: nella sistematicità aristotelica il fine ultimo corrisponde al primo motore immobile: il primo è la physis, la sostanzialità messa in atto che contiene la propria essenza.
L’umanità è legata al kairos, al tempo e soltanto attraverso la prassi mimetica, nel senso ontologico di forma umana, si realizza la catarsi. L’immedesimazione che permette di trasformare un dolore in un piacere avviene attraverso la mimesi praxeos, la prassi che può essere composta da azioni artistiche che ricalcano quelle della vita naturale[9]. In ogni caso la virtù etica è condizionata dalle passioni. Esse non allontanano dalla verità, come sono invece considerate da Platone, bensì realizzano la tendenza al bene e la caratteristica principale della catarsi, ossia la ricostruzione delle esperienze che da private ritornano a essere condivisibili nella fruizione dell’opera.
Un esempio di condivisione della formazione è l’allegoria. Essa ha un fondamento nella concezione che esisteva in Grecia secondo la quale ognuno può condividere con ogni altro il possesso del suo stesso livello di formazione dell’aisthesis e della theoria attraverso la cosa manifesta. L’allegoria è lo strumento ermeneutico che come tale svela il senso nascosto, ossia il significato del significato. Esso è radicato non solo nelle credenze delle comunità, ma soprattutto nelle dimensioni letterarie e culturali che si antepongono al presente vissuto. È un’altra prova dell’aleatorietà del fatto di per sé. La poesia che non è storia pura è tuttavia una meta della verità condivisibile anche attraverso le menzogne, se esplicabili nel significato profondo dei simboli. L’età critica della poesia è quindi quella che dal politeismo della Grecia arriva al monoteismo del cristianesimo. Con l’età ellenistica avviene la demitizzazione: non si hanno le divinità poliformi radicate in natura poiché nell’esegesi allegorica si contempla la nuova concezione del vero.
La poesia diventa un effetto della serietà e della riflessione, non una pura istintività o una natura a sé rispetto alla realtà storica. Essa ne costituisce una parte rilevante che non si annulla con la divinizzazione delle cose materiali: si erge a essere considerata la forma mimetica per eccellenza, laddove Aristotele caratterizza l’uomo attraverso la verbalità che è articolata. L’allegoria permette la riduzione della poesia a finzione: Teofrasto, allievo di Aristotele, interpreta la filosofia del maestro in senso empiristico e meccanicistico, riducendo alla materialità delle cose la capacità di trasformazione che la mimesi attua. Nella concezione aristotelica, in realtà, non è contemplata alcuna forma di materialismo[10]. La possibilità di una riformulazione della capacità umana di corrispondenza della forma espressiva con la forma di comprensione che faccia delle emozioni una realtà anch’essa condivisibile indirettamente è strettamente connessa con la sinergia esistente tra la dimensione linguistica e quella mimetica. Laddove Aristotele pone in primo piano le caratteristiche della poetica confrontandole con quelle dell’arte pittorica, per esempio, la capacità di rappresentazione diventa secondaria rispetto alla specificità della normatività linguistica.
L’essenza del linguaggio non è soltanto relegata alle funzioni di duplicità di un contenuto che potrebbe anche non essere messo in relazione diretta con la prassi comunicativa. Al contrario è la prima possibilità di un'effettiva dimensione della narratività che faccia della realtà storica una formazione cooperante ma non determinante al fine della significazione.
La catarsi come sintomaticità della natura linguistica e assimilabile alla terra di approdo della lingua poetica è un fattore di snodo della sintomaticità delle emozioni verbalizzabili. I caratteri che negli altri animali rimangono fattori di determinazione dell’evoluzione della specie, nell’umanità la forma emozionale è soppesata e dilazionata in forme di gestibilità attraverso gli artefatti. Questo punto importante per capire la visione aristotelica della funzione mimetica permette di capire in che senso la catarsi sia realizzabile attraverso la poiesi. In una forma generativa di creatività, la poiesi si realizza non soltanto con le forme di tragedia e di commedia ma soprattutto con la possibilità di creare similitudini continue tra la forma linguistica e le arti liberali come la pittura, il teatro e la poesia. Tale sinestesia si ritrova in tutte le forme che possono essere considerate nei termini delle tecniche e quindi come potenziali attività specializzate.
La possibilità di una scrittura poetica che non sia solo una formula di ricognizione della realtà presente è la condizione della mimesi come di una riconsiderazione della capacità umana negata alla pura emozionalità priva di forma. Se non ci fosse la catarsi a fondamento delle emozioni pure e della naturalità di qualsiasi sentimento appreso attraverso l’opera d’arte, non sarebbe possibile ricondurre alla filosofia il lavoro di episteme, del quale la poesia in sé non può esserne partecipe. La doxa come forma d'apprendimento formativo non è speculativa, benché la catarsi sia una forma di conoscenza sottomessa a regole esatte che Aristotele cerca di delineare nel compendio della Poetica. La condizione necessaria della rappresentazione che la forma della realtà segnica presuppone rispetto alla natura della fonte allegorica è un esempio di tradizione e di circostanzialità della soggettività; la differenza sostanziale esistente tra un soggetto e un'oggettività che differenzia la storia della poesia dalla storia filosofica è radicata nella forma di percezione della realtà logica.
La logica della poesia non ha la radicalità della funzione di ricostruzione che invece si trova nella filosofia come mezzo del pensiero, ma ne ricalca la devozione, come se fosse una ricerca delle forme deduttive del senso: le condizioni di possibilità della poesia sono quelle della diversità di una rivoluzione senza armi e senza alcun bisogno di determinare un nemico. Alla poetica delle forme d’arte niente è estraneo, nessuno è un ospite, poiché ogni elemento contribuisce alla determinazione di senso, componendo, come se non ci fossero altri motivi di significazione al di fuori di quella determinata opera che si sta realizzando in quel dato momento.
A questo punto possiamo chiederci fino a che punto siano interconnesse le dimensioni del mutamento e della forma stabile nella generazione del significato. La determinazione dei luoghi in cui avviene l’intreccio tra le parti stabili e quelle dinamiche del significato è la tendenza della poesia e delle arti poetiche intese come arti liberali. Nella prima parte della Poetica le condizioni di possibilità dell’imitazione si assumono come costanti cognitive del racconto e delle forme narrative: la musica pertiene all’aspetto fondativo dell’istintualità umana.
A oltrepassare la dimensione della fantasia pura e dell’imitazione è il processo che si instaura tra il poeta e l’opera rispetto agli schemi d’azione umani. Un primo senso della molteplicità della forma è la sottile linea di separazione esistente tra la natura della lingua e la natura della riflessione sui modi d'azione della fantasia[11]. Tale punto di vista permette di corroborare l’ipotesi aristotelica di una natura comune della mimesi sia per ciò che riguarda la forma poetica sia per quella che si esplica nelle arti gestuali: tutta la prassi di base è quella in comune tra ciò che è scritto e ciò che è interpretato dallo spettatore. In altre parole gli attori, la scena, i costumi sono mezzi del significato formulato dalla scrittura dell’opera. Il riferimento alla designazione del significato nella prima fase che si sintetizza è sostanziale per la comprensione della realtà dinamica, ma non realizzabile attraverso altri veicoli che non siano quelli dipendenti dalla parola.
La concezione aristotelica del significato che si ricava dalle formule di funzionamento del linguaggio, come appare nella Poetica, rispecchia una sistematicità che non è da considerare soltanto come struttura della lingua: il piano della metamorfosi della scrittura preme sull’ontologia dell’arte. Tecnica e arte sono le uniche forme di differenziazione dell’uomo dalle altre specie. Si tratta di una struttura di raffinamento della germinazione delle lingue attraverso la corporeità e mai separata da essa totalmente, neanche per la determinazione delle variabili che operano nelle strutture linguistiche.
La natura mimetica nella Poetica di Aristotele permette di rivalutare la nozione di schema e di eleggerla a fondamento della concettualità della logica della poiesi. Per capire la possibilità della natura schematica della forma logica della poesia la duplicità del senso del linguaggio, nella chiave saussuriana, assume le caratteristiche della stratificazione linguistica che Hjelmslev rileva definitoria per la lingua. A convalidare la necessità di una funzione narratologica della mimesi che si collazioni agli altri stati di significazione vi è la poiesi come struttura logico-funzionale e di esplicitazione del senso. La natura logica della poesia è, in tal senso, la forma strutturata della ragione ultima della lingua naturale. Tuttavia, essendo precedente alla verbalità, la realtà logica diventa una possibilità che fa della gerarchia funzionale un passo successivo e consequenziale. La logica poetica, come insieme degli schemi che si fanno materia logica nel modo di costituirsi degli oggetti artistici, riunisce la significazione sotto un unico modello di osservazione dell’unione di forma e contenuto.
Se consideriamo la poesia come un oggetto d’arte e non soltanto come un prodotto della linguisticizzazione possiamo ricondurre la poeticità alla funzione principale dell’esperienza naturale nelle forme del discorso, come legame tra una funzione sociale e una solidarietà della sostanza significativa sul piano della verisimiglianza. Per fare questo passo è necessario ricordare cosa significa schema e come è utilizzato nella storia della critica aristotelica[12]. Ci sono diversi modi di vedere la nozione aristotelica di schema, ma possiamo ricollegarci alla nozione kantiana che risulta più precisa e rende meno ambigua la lezione aristotelica.
È noto che in Kant gli schemi sono alla base dei nostri concetti sensibili puri e che esiste una differenza tra l’immagine e lo schema: lo schema dei concetti sensibili è un prodotto dell’immaginazione pura a priori o, in altri termini, ciò che permette di collegare le immagini percettive ai concetti. L’importanza che Kant dà all’immaginazione, del resto, fonda l’universalità dei giudizi di gusto sull’armonia tra l’immaginazione e l’intelletto, ponendo tale questione alla base della Critica della facoltà di giudizio. Vi saranno così diversi tipi di schemi della sensibilità: lo schema della sostanza che è la permanenza reale nel tempo, lo schema della causa, della reciprocità delle sostanze rispetto ai loro accidenti, lo schema della possibilità come accordo della sintesi di diverse rappresentazioni, lo schema della realtà e quello della necessità dell’oggetto. La funzione dello schema è, in questo modo, ciò che limita le categorie dell’intelletto: è un ancoraggio della percezione alla categorizzazione. Stando a questa definizione lo schema non è una rappresentazione[13]. Per arrivare a tale forma del pensiero è necessario, per Kant, il giudizio di gusto, nell’analisi dell’arte e dei suoi principi, ma soprattutto delle attività che regolano la fondazione del giudizio. In altre parole, la diversità dipende dall’armonia esistente tra l’oggetto e il soggetto, ma le differenze permettono anche la fondazione dell’universalità del giudizio di gusto.
È proprio a partire dalla nozione kantiana di schema, ossia dell’esibizione del concetto in modo diretto, che possiamo pensare alla proposizione, nel rapporto tra immagine e concetto, come a uno schema, a partire dalla sua struttura: così, se la proposizione è uno schema dei concetti, ritroveremo in modo simile la linea mediana della concettualità poetica, una sorta di mezzo sistematico della struttura del linguaggio da riaccordare alla realtà linguistica dei parlanti.
Un esempio è quello che si sviluppa nell’analogia in cui si realizzano quattro punti di vista diversi: tra i termini medi e gli estremi vi è una proporzione che si forma e diventa funzione attraverso le distinzioni concettuali degli schemi logici. La sfera dell’ingegno ricopre la capacità sintetica attraverso la quale si scoprono le somiglianze tra le cose dissimili o tra gli eventi distanti, come accade nel rapporto con il principio metaforico. In questo lavoro mi preme affrontare il modo in cui avviene il passaggio dalla forma significativa, attraverso gli strumenti della logica, alla realtà linguistica che si manifesti come poeticità.
L’idea di una natura che sia non soltanto generazione delle cose che crescono, ma anche principio originario e immanente, principio del movimento primo e causa del principio materiale originario, come sostiene Aristotele nella Metafisica, permette di comprendere le caratteristiche di una forma espressiva che non è soltanto enunciazione in sé, ma soprattutto divergenza dalla costrizione che si compie attraverso il linguaggio poetico. All’interno della natura anche il linguaggio è una forma d’imitazione. La relazione tra i due piani, uno di enunciazione e un altro di divergenza basato sulla natura stessa del fatto linguistico, è specifico della poetica. Le opposizioni aristoteliche di potenza e atto, materia e forma, causa e effetto che appaiono come fondative nell’ontologia dell’essere umano e della natura, hanno un ricongiungimento nella struttura stessa della poiesi. Questo effetto è una caratteristica della mimesi che agisce a partire dalla funzione sociale, fino a scorgere nell’attività del poeta la risoluzione alla questione: per esempio, rispetto alla discontinuità tra azione tragica, poesia e verità storica. Aristotele spiega come sia in qualche modo comprensibile che esistano nelle forme di poetica alcune forzature che permettano di amplificare la possibilità di produrre azioni palesemente contrarie al principio della verisimiglianza. Quando si parla di pensiero e linguaggio, Aristotele evidenzia che le vicende del racconto hanno gli stessi principi del pensiero: il dimostrare e il confutare, il produrre emozioni, l’amplificare e il minimizzare alcuni aspetti della realtà. L’unica differenza tra arte poetica e realtà comunicativa diretta della parola espressa in forma dialogica tra i parlanti è che questi elementi devono emergere senza alcun commento, al contrario di quello che avviene nel discorso.

Le questioni relative al pensiero trovano il loro posto nei libri sulla retorica; è una discussione che appartiene piuttosto a quella indagine[14].

I dati che permettono di capire che sia auspicabile la correlazione forte esistente tra forma della tragedia e forma linguistica sono quindi la struttura del linguaggio e le forme logiche da un lato; dall’altro la processualità, non solo logica, della funzione che distingue il poeta da un retore o da un oratore. La forma universale delle divergenze della realtà che la poesia permette di cogliere è un lavoro di sintesi continua, rivolta a una costellazione in cui gli argomenti sono frazionati nelle gerarchie sociali dell’epoca, ma la sintesi poetica non arriva mai a corrispondere perfettamente alla realtà.
Aristotele, nella Poetica, mette in luce la carta vincente della poiesi, legata all’istantaneità dell’improvvisazione, laddove la mimesi raggiunge quello che in termini moderni si chiama il campo semiotico della lingua. Importante è sottolineare che l’istantaneità e l’improvvisazione non sono sufficienti alla significazione, al di fuori della struttura linguistica e al di fuori delle catene emozionali.
Ponendoci dal punto di vista dell’idea aristotelica di istante, di fatto non è possibile rilevare o riconoscere l’istante stesso, essendo un limite del tempo. La mimesi diventa quindi un modo per amplificare l’applicazione della percezione alla forma cognitiva, sia della ricezione, sia dell’elaborazione poetica. La ricognizione è quindi una facoltà cognitiva non esentata dalla capacità di rendere evidente l’emozionalità dell’essere umano. La nozione che spesso si integra a quella della percezione diretta, in realtà, muove l’esperienza complessa della sintesi e della selezione degli elementi presenti alla vista del poeta. L’idea di uno specchio mimetico della poiesi rispetto alla realtà storica delle azioni umane non soddisfa Aristotele. Per attivare la rappresentazione mimetica devono essere presenti due aspetti: l’artefatto da un lato e dall’altro la capacità di significare e di attivare i pattern della realtà supposta[15]. Al contrario di Platone e dell’idea di trasparenza dell’opera, Aristotele mette in campo l’aspetto duale che riguarda non soltanto il piacere delle emozioni procurate attraverso la poetica, ma anche la comprensione del mondo che viene rappresentato[16]. Per il fatto che la comprensione viene considerata come un elemento naturale dell’azione contemplativa, o meglio dell’attenzione contemplativa, la mediazione della rappresentazione tra poeta, azione scenica e pubblico è una prima forma di ricognizione. Da tale ricognizione prendono piede, nella visione aristotelica, le somiglianze (homoia). Permettendo il passaggio dalla forma individuale della visione dell’opera, diremmo oggi della ricezione, alla costituzione del significato che dal senso indivisibile dal poeta, nel legame messo in atto dalla semiologia dell’opera, le homoia arrivano alla condivisibilità. Un primo mezzo di tale processo è quello della costruzione di analogie retoriche che diventano analogie semiotiche nel momento in cui il testo è decontestualizzato dalla scena o dal luogo fisico della ricezione. In tal senso il lavoro del poeta è superiore a quello dell’attore, per il fatto che non ha appigli contestuali immediati ma solo pattern individuali di selezione dei dati a partire dai movimenti testuali. Tale selezione potrebbe essere considerata la natura fondativa del campo d'azione del significato dell’opera. Lo Piparo (2003) relaziona il potere semantico delle parole al fatto che le parole sono simboli, ossia contemporaneamente e inseparabilmente articolazioni della voce e operazioni logico-cognitive. A questo si appiglia un aspetto importante della visione aristotelica della significazione: i fatti possono essere falsi, anche se reali, mentre la verisimiglianza pertiene nella narrazione alla verità della logica, poiché è già una forma simbolizzata di verità. Un esempio aristotelico è quello del sogno: è un fatto della realtà, ma può essere falso. La necessità della forma segnica come sostanza da un lato, il riferimento all’oggetto dell’attività artistica dall’altro, porta a sviluppare la questione della ricerca della causalità dell’arte poetica nella significazione: dal punto di vista della distinzione tra causa e effetto, materia e forma, potenza e atto la significazione non potrebbe che essere centrata sulla divergenza tra ciascuna opposizione diadica e la tempestività o l’istantaneità dell’improvvisazione.
Il fattore temporale che si modella nella dimensione della centralità dell’opera come complesso e della distinzione tra la forma visiva o uditiva, in senso lato sensoriale, delle percezioni e quella logica, permette di riferirsi alle formazioni linguistiche come a funzioni della logicità del pensiero. Il problema si pone anche a livello della distinzione tra modello e processo che, nella forma delle manifestazioni della fantasia come azione creativa, permette di parlare di una continuità ricavata soltanto basandosi di netto sulle forme poetiche, dimenticando le discontinuità che le diverse forme di percezione portano a compiere nelle dimostrazioni matematiche e nelle scienze non teoretiche.
La metafisica può realizzare una funzione costitutiva di relazione tra il comportamento umano e la forma artistica, lineare e privata della sintomaticità che, invece, avvolge il mondo fisico, per il fatto che la forma umana non può essere vista come una semplice formazione fisica, ossia dipendente dalla pura causalità. Aristotele, nella Fisica, malgrado ci sia una sorta di elezione dell’oggetto fisico a prodotto imprescindibile della descrittività di un qualsiasi ente dell’universo, ricorda che le stesse sostanze sono distinte in base alla natura del loro movimento. Se pensiamo alla definizione aristotelica del tempo, come la misura del movimento secondo il prima e il poi, ci rendiamo conto non soltanto del fatto che il tempo stesso non è movimento, ma che il prima e il poi non sono concepibili al di fuori della coscienza dell’essere umano. Nessuna altra forma di vita potrebbe distinguere tali istanti nella linea spazio-temporale, malgrado possa sentirne l’azione attraverso la sensazione. Leggendo in questo modo la divergenza tra fisica e metafisica, spesso la seconda sostituisce la prima nella prassi delle azioni umane: in un certo senso la poesia, come forma di una distanza che si fa materia, permette di creare una forma di certezza della predicazione come forma assoluta non inspiegabile, come prodotto finito della civiltà. Se pensiamo alla quiddità, a una sorta di essenza non ancora formata delle lingue, possiamo portare lo stesso esempio alla percettibilità del senso pratico[17]. Rispetto alla realtà sociale il poeta possiede una sorta di privilegio che non riguarda soltanto la sua possibilità di farsi strumento della logica comune per eleggere le parti migliori delle personalità a caratteri, ma soprattutto ha a che fare con la possibilità di mostrare nel suo essere parte della società una sorta di sintesi funzionale della sua capacità mimetica. L’azione pratica ha sempre una preminenza e un valore positivo rispetto a quello negativo dell’ignoranza come non azione, stasi, rifiuto dell’attività: tale dimensione della realtà mimetica come riassorbimento della prassi nella forma della scrittura, permette di rilevare una natura duplice nella predicazione: il primo elemento della predicazione è la dimensione del fantastico e della ricerca poetica come sistema linguistico e il secondo è la funzione del poeta che non permette di dividere il senso del lavoro dalla cultura di riferimento.
Vista così la tipologia di coercizione della poesia sulla lingua dei parlanti non è un formulario già scritto di riferimento e questo accade non solo per il fatto che la descrizione non fa parte delle proprietà formali specifiche della funzione poetica, ma soprattutto in virtù dell’ineccepibilità del lavoro della poesia rispetto alla filosofia piuttosto che alla storia. Se da un lato, infatti, la divergenza principale della poesia rispetto alla verità storica è soltanto un’ipotesi, dall’altro lato parlare di verisimiglianza e non di verità non toglie valore alla semiologia della poesia. In realtà appena se ne allontana con una mossa di retoricità, essa assume le peculiarità di un vero (true) logico. Il perimetro d’azione che la poesia calcola rispetto al linguaggio è quel valore cultuale che si personifica attraverso la gestualità degli schemi d'attuazione della tragedia. Un’azione che sia unica, ma non un’unità di per sé è quella che segue un percorso avallato nella superiorità rispetto all’epica, attraverso caratteri non soltanto strutturali, del discorso, ma legati a una performatività dell’azione che si andrà a specificare da sé nella Poetica. Aristotele offre il modello di tragedia attraverso un’oscillazione che va dal valore di mimesi come simulazione a mimesi come rappresentazione, la prima ingannevole, la seconda artificio, riproduzione; la logica della poetica si può rilevare anche senza la rappresentazione dell’opera.
La tragedia è la forma più potente d'imitazione poetica, mutando radicalmente la concezione della poesia, in Platone forma di un sapere fuorviante, per il fatto che è modello di azione degli uomini. La concezione oppositiva tra visibile come falso e invisibile come vero, tra apparenza e realtà, non è concepita da Aristotele, per il quale l’imitazione poetica non è un’attività ingannevole, ma una dimensione pratica, anche se parziale, di conoscenza: per Platone l’oratore, il retore, è un mentitore. Aristotele in certi luoghi presenta la poesia come un’abitudine legata al tempo libero, per il poeta che deve dimostrare d’essere capace di rispondere alle esigenze sociali in virtù della sua libertà.

«Ora, poiché abbiamo, per nostra natura, il gusto dell’imitare, e inoltre della musica e del ritmo, ed è evidente che dei ritmi sono elementi i metri, allora avvenne da principio che quanti avevano per queste cose le migliori disposizioni naturali, procedendo a poco a poco, generarono spontaneamente l’attività poetica[18]

In tal senso i principi esposti nell’Etica Nicomachea sono da collegare agli accenni che Aristotele fa nella Poetica. Analizzando le caratteristiche della poesia e dell’attività del poeta, dal punto di vista della prassi, sia l’attività sia il risultato hanno tutte le caratteristiche delle arti liberali e lo status del poeta è quello dei saggi. La saggezza e la sapienza sono proprie degli uomini liberi, capaci di imparare e per i quali è piacevole farlo[19]. La poesia è un’attività virtuosa e come tale aumenta, rende fruttuosa l’attività stessa, nel senso in cui è autonoma e attiene a quelle attività che producono piacere agli altri uomini, avvicinando in questo modo alla felicità. Aristotele afferma che la felicità perfetta è quella dell’attività contemplativa: essa è un habitus proprio dell’anima razionale[20]. Se il fine della vita umana è la felicità e essa è caratterizzata dall’attività come prassi, dall’autonomia, dal sostegno che un uomo può dare ai cittadini, la poesia come arte mimetica è la forma più concreta di arte liberale. Dal punto di vista ontologico la felicità pertiene all’essere umano: le opere d’arte possono essere apprezzate soltanto dall’uomo e non dagli altri animali e possono avere funzione catartica: liberano l’uomo dalle passioni dell’anima irrazionale. La poesia è attività umana, tecnica e il poeta è colui che può usufruire della mimesi per liberare gli altri dalle passioni: in questo senso l’azione pratica diventa una forma di politicità della funzione dell’arte poetica.
La mimesi è quindi un’azione specificamente umana, propria delle arti liberali. L’arte è, nei termini aristotelici, tecnica mimetica e la poesia pertiene alle forme più alte di mimesi, poiché imita azioni che riguardano un contesto liberato dalla schiavitù della prassi: l’imitare è una forma di integrazione di tutti quei caratteri che portano l’uomo al sommo bene, al fine ultimo della vita umana che è la felicità. La mimesi è, in qualche modo, soprattutto un’attività. Lo è, in primis, dal punto di vista della ricezione, di un pubblico o di un lettore che non è mai passivo di fronte alla tragedia; lo è, inoltre, dal punto di vista della produzione dell’arte poetica: il poeta che incarna la possibilità dell’opera è esonerato dalle attività non direttamente dianoetiche, percepibili come dirette al sommo bene. Il tempo libero dalla costrizione al lavoro, come mezzo di arricchimento prettamente del soggetto, è tale da poter essere fruttuoso soprattutto per il pubblico e per i cittadini lettori. Il lavoro procede con la ricostruzione, in forma poetica, della parte migliore della soggettività, nei casi di livello alto della tragedia e dell’epica, in cui vengono messi in pratica gli aspetti migliori degli uomini o messe in campo le personalità dei cittadini migliori. Quindi il lavoro del poeta supera quello dello storico per il fatto che, non soltanto è legato alla conoscenza di fatti storici, di realtà realmente accadute, ma deve anche rielaborare le azioni e renderle il più vicino possibile alle logiche universali. In questo senso si può comprendere in che senso nella visione della Poetica è considerato di un livello alto il racconto complesso e invece basso il racconto semplice, privo d'intreccio. In un certo senso la materia della poesia è una forma di memoria complessa, non relegata alla semplice successione di fatti già accaduti, ma intrisa di significati, attività di riattualizzazione continua dei sensi. La tecnica di sintetizzazione è del tutto al di là di un copiare fatti già accaduti: i fatti non hanno importanza nella visione del poeta, sono, al contrario, privi di senso se non riorganizzati nella mimesi, azione pratica della semiosi ovvero, in termini aristotelici, della categorizzazione. In questo senso nelle logiche della poesia non c’è schematizzazione priva di categorizzazione.
Pensiamo al riconoscimento come a una possibilità umana di poter venire a conoscenza di ciò che accade, di prevedere la riattivazione di alcune situazioni, di avere a che fare con la memoria complessa. La riattualizzazione dei significati nei sensi che presentano l’uomo sempre copartecipe in potenza di qualche forma percettiva complessa come quella della mimesi che governa la parte razionale, porta Aristotele a deviare il percorso diadico tra schema e narratività del piano ontologico per approdare all’artificiosità come a una forma di felicità. Il divario esistente, in teoria, tra potenza e atto, non è dilazionato nella poetica in maniera meno esplicita della crescita di tipo biologico di un essere umano. In un certo senso la mimesi corregge la biologia naturale dell’irrazionalità degli organismi: nessun animale non umano, nella visione aristotelica, può simbolizzare. La libertà propria dell’uomo rispetto alle altre specie è tale per il fatto che è mimesi di azioni libere dalla causalità della dipendenza dagli istinti irrazionali e permette il riconoscimento della prassi e la rottura con l’azione dei piaceri negativi, legati all’irascibilità, all’incontinenza e al conflitto o al concupiscibile. Avendo superato l’impatto con la natura irrazionale attraverso la poiesi e la mimesi, il poeta libera chi usufruisce della sua attività e crea il movimento, la crescita che è propria dello sviluppo del soggetto, permettendo uno scarto effettivo che permette il passaggio dalla fisica alla metafisica[21]. L’idea di potenza e quella di atto, alla base del funzionamento dell’universo nella sua generazione delle forme e degli elementi, è comune alle forme naturali della materia e alle forme di creazione artistica propriamente umane, come quelle della poesia. A partire dal principio di generazione fino a arrivare allo sviluppo degli enti organici, Aristotele spiega anche l’unità drammaturgica con la metafora di un corpo che ha un’attualità, mimesi di un fatto che può sostenersi come autonomo dalla concatenazione che lo precede e in grado di funzionare come inizio di uno snodo narrativo, come per esempio la peste a Tebe. Lo sviluppo della forma, nella sua contiguità, permette di esplicitare il modo di formazione del racconto, per giungere all’epilogo nella forma più alta che per Aristotele deve essere necessaria, come una conclusione logica. Si parla, in tal senso, di una forma di tipo narratologico e non epistemico.

«Poiché il poeta fa opera di imitazione, esattamente come un pittore o un altro artista di figure, ne consegue che, tre essendo di numero i possibili oggetti, ne avrà di volta in volta da riprodurre uno, e cioè: come erano o sono, oppure come si dice o si ritiene che siano, oppure come dovrebbero essere[22]

L’apprendimento mimetico della poesia potrebbe essere un sintomo del legame tra forma e mimesi, anche per il fatto che la nozione di mimesi non è collegata esclusivamente alla nozione di verità. Esemplificativa è l’adeguazione della copia al modello che non è basata sull’esattezza della riproduzione, come nel caso della rappresentazione pittorica della cerva con le corna: la ricostruzione pittorica della cerva è funzionale a uno stato di cose, principalmente alla catarsi, mentre il linguaggio non è una struttura a priori, poiché ci poniamo sul piano dell’esperienza umana, essendo quest’ultima legata all’efficienza attraverso il piano dell’immagine. La copresenza del linguaggio e dell’immagine permette di giungere all’area di significato. La prassi messa in campo è imitativa, ponendosi come via d’accesso non alla verità ma alla stilizzazione della realtà: in questo senso la tragedia, così come è conservata nel tempo, è l’esempio di poetica per eccellenza in cui i due piani, di verità e esperienza, ritrovano al centro la poetica.
Il linguaggio poetico si attiene al sistema costituito dal livello alto e da quello basso del linguaggio, al centro del quale c’è la catarsi: opera epica e tragica, retorica e poetica si installano in questo percorso. Se riconsideriamo ancora la Fisica di Aristotele notiamo come la continuità che permette il movimento e quindi i mutamenti è alla base della creazione della sostanza. In particolare esistono quattro tipi di movimento: sostanziale, qualitativo, quantitativo e locale. La generazione che permette il passaggio dalla potenza all’atto riguarda il tempo che non è mai istantaneo, poiché l’istante è al di fuori dal tempo. Un esempio è quello del vaso, in cui il contenente e il contenuto non hanno possibilità di essere separati, tuttavia sono due aspetti diversi, percepiti come distinti. È lo stesso fattore che riguarda la duplicità delle forme concave e convesse; un altro esempio è l’istantaneità attraverso la quale l’occhio umano percepisce le forme gestaltiche come duplici. Tale fattore della riflessione di Aristotele sulla realtà fisica permette di comprendere come l’osservazione della circolarità delle relazioni tra oggetto fisico e forma di relazionalità tra le parti riguarda una dimensione inaccessibile della materia universale. Per il fatto che la potenza e l’atto sono separati da un limite, l’istante della metamorfosi, possiamo affermare che si parla di stati della realtà di dimensioni diverse, probabilmente incommensurabili l’una con l’altro: o meglio, nella visione aristotelica, privata di una geometria della forma, non ha senso chiedersi che cosa abbia a che fare l’antecedente, dal punto di vista cognitivo-sensoriale, con il conseguente. Il principio di formazione è un attivarsi continuo di un contenuto, in qualche modo già esistente, come se la realtà fosse stata creata da sempre.
Tale visione della materialità inonda la prassi umana dell’arte di un valore aggiunto che è quello che riflette l’adeguazione del contenuto alla forma e non porta a un risultato costrittivo perché generato in virtù delle causalità. I generi di poesia, tragedia, commedia e comico permettono di ricondurre la primitività delle forme di produzione artistica alla poiesi: l’attività è un fare che adegua la forma alla realtà, nel suo insieme specifico, come contributo alla sostanza. La visione della scuola pitagorica, della continuità del discreto e dell’assiomatica, permette di contrastare l’idea di un’unità del tempo e dello spazio attribuita all’opera d’arte e nello specifico alla poesia. Le strutture logiche corrispondono alla generazione di due direzioni diverse nella poesia: una sociale e un’altra percettiva o sensoriale, legata alla tecnica. Barnouw (2002) parla di adeguazione delle forme logiche alla forma significativa della poesia. In questo senso la dimensione della proposizione come segmento di cinesica, di formazione del movimento temporale dell’azione è da scegliere come dominio della forma linguistica. I livelli considerati da Aristotele sono due: il livello alto è costituito dall’epica e dalla tragedia, il livello basso è nel giambo e nella commedia.
La tragedia prende le mosse da un principio d'improvvisazione, così come è accaduto nella poesia: in entrambi i casi si parte da una predisposizione naturale, testimoniata dal fatto che all’inizio la poesia era satiresca e ballabile e si adoperava il tetrametro, e venne sostituita poi dal parlato, con il giambo. Ricorrendo alla suddivisione platonica tra poesia drammatica e diegematica, più dotata di mimeticità è la drammatica, per il fatto che un elemento importante per l’individuazione della forma poetica genuina è la catarsi, il processo che rende katharos, puro. Una simile risoluzione della forma tragica rispetto al pubblico o al lettore, non può prescindere dalle fila di situazioni permesse dell’elemento di aggregazione della parola sulla gestualità. La catarsi non è quindi soltanto una struttura logica che agisce come elemento di liberazione dello spettatore o del lettore, ma è anche e soprattutto lo schema logico, poetico, strutturale della mimesi. L’imitazione della poesia non è quindi strutturata come se fosse una forma della significazione qualsiasi, ma è invece una gerarchia di sostanza fatta forma. Al di là dell’immaginazione, la fantasia è una realtà della logica comune di realizzazione delle dimensioni storiche. La retorica, per esempio, è individuata non soltanto come campo d’azione della miscela di simboli e segni propri della lingua, ma è una sistematicità da scoprire e ricavare come le pareti di una casa senza porte e priva di ogni tridimensionalità, ma non per questo senza volume. Gli strumenti lessicali propri della poesia sono esotismi, enigmi e barbarismi che operano al di là della metafora o attraverso essa. Per quanto riguarda la ricezione (aisthesis), ossia l’effetto dell’esecuzione tragica sul pubblico, essa è giudicata esterna all’arte poetica ma necessariamente contigua, tale che anche il poeta se ne deve preoccupare. Aristotele spesso contrappone l’arte dell’attore a quella del poeta, del quale manca una trattazione specifica nella Poetica. Gli strumenti usati sono il ritmo, le parole e le note. Si considerano poetiche anche le attività strumentali e la danza. Il verisimile (eikos) è inquadrato nella categoria dell’universale (katholou) che è propria dell’esercizio cognitivo. Parlare di una predicazione ontologica permette di capire in che senso i segni non sono soltanto suggestivi, ma sono empiricamente necessari.
La forma della dimostrazione nelle logiche della poesia non ha un fondamento epistemologico. Tuttavia se la poesia è un punto di contatto o una zona di mediazione dal concetto muto alla forma proposizionale, il suo essere un luogo di significazione è come una tacca dell’unità di misura delle logiche possibili. In questo modo ha senso pensare a un luogo della poiesi, nel senso di un luogo logico come limite atemporale della cognizione umana. Anche se non si può pensare, malgrado Aristotele lo affermi, che esista una realtà priva di segni, almeno nel senso in cui non può esistere una finzione artistica senza una forma di schematizzazione del senso, la circolarità della significazione ha la sua nidificazione in una struttura causale, simile a una cordata, in cui ciascun elemento è dipendente dal precedente.
Il punto da affrontare in tal senso è: fino a che livello di formazione logica si è capaci di attenersi al discorso complesso, nei termini aristotelici, ossia a un discorso che sia basato su sillogismi e su trame d’azione che non siano paralogismi, discorsi fallaci? La poesia in sé può arrecare vantaggi nella selezione delle azioni o delle attività di predicazione, di enunciazione del parlato? In tal senso entrano a far parte dell’indagine di questo lavoro le emozioni e la complessità della significazione scritta e parlata, come una necessità inferenziale e di schemi pratici. Il senso delineato da Aristotele di una differenza forte esistente tra l’oratore o il retore e il poeta permette di formulare una domanda seria sulla distintività delle logiche della poesia. In che misura la realtà della figurabilità interseca la poesia? Esiste una verità logica di relazioni necessarie tra la sensorialità delle predicazioni e la verità della discorsività sillogistica? Gli esempi che apporta Aristotele, dell’Odissea e dell’Iliade come due esemplificazioni della consequenzialità rappresentazionale, nel campo dell’epica, sono rapportabili alla pratica analogica dalle funzioni descrittive a quelle antistoriche della poiesi.
L’imitazione, non di fatti, ma di azioni, è un primo senso che all’interno della diegesi del racconto permette di creare una gerarchia di livelli che non sia soltanto una descrizione di fatti ma soprattutto di potenzialità degli accadimenti. In effetti, parlare di potenzialità permette di rapportare alla poesia anche potenzialità di pensiero nella specificità della realizzazione delle possibilità di modellare, come si fa con l’argilla, le caratteristiche dei personaggi. La ricognizione sulla quale si basa la nozione di riconoscimento della tragedia è da considerare come un meccanismo linguistico oltre che cognitivo, basato sulle logiche della definizione oltre che su quelle dell’immaginazione. Per il fatto che non è uno schema fissato per strutture a priori, ma è una forma di sistematicità dell’arte poetica, il riconoscimento permette di attribuire alla mimesi una normatività anche di tipo linguistico.
La differenza tra la poesia come movimento degli universali e la storia come particolarizzazione di alcuni momenti della vita sociale è un elemento costitutivo della funzionalità specifica della poiesi. Come è stato rilevato dai critici contemporanei e dagli studi di Aristotele, la Poetica è esemplare su due livelli: l’ordine del discorso e la sua qualità[23]. Le attività poetiche sono tutte forme di mimesi; in quanto attività mimetica la poesia ha un proprio fondamento naturale e ha due proprietà: insegna e diletta. Il piacere è, infatti, un elemento caratteristico dei lavori di produzione della poiesi: nella tragedia, per esempio, la natura della linguisticità che fa della forma un piacere mimetico e non un piacere innaturale, sembra essere rapportabile alla giustificazione che la dimensione logica apporta al dominio della sensorialità. Nelle forme celebrative in cui la forma del discorso è una fattualità concretizzata in riti, per esempio, la parola fa del movimento causale delle sillabe e delle unità minime di significato un effettivo richiamo alla memoria e alla tradizione. Il riscontro sociale è evidente e fa della convenzione una simbolicità diffusa: la degenerazione sensibile causa il riconoscimento dell’errore. Non così nelle poesie che sono scritte per il diletto o per il sistema di riferimento non strettamente formale o assoggettato alla visione barocca in cui l’elemento sintagmatico diventa pura forma. Le forme di analogia non sono soltanto legate alla poesia come suono in sé, in cui l’analogia è vista nell’aspetto della forma della materia, come un suono “significante” di assonanza e di allofonia. Pensare a una forma di poiesi che raccolga e escluda contemporaneamente le arti gestuali nella dimensione della logicità schematica della poesia, permette di riabbracciare la visione aristotelica come in un possibile lavoro di azione del metro, delle rime, negli strumenti della logica della parola in uso.
Le categorie come forma d'intellegibilità delle arti sono alla portata della logica della poesia, di quella specifica funzione schematica dell’arte che è la forma poetica. Categorizzare non significa quindi fare della poesia uno schema da applicare alla realtà logica comune ma, al contrario, ridefinire la centralità della funzione logica astorica o privata della contingenza che invece attiene alle altre forme di linguisticità. In tal senso la natura della lingua non è più unica, esistente come dato di per sé, ma è un principio di realizzazione della significazione che in Aristotele diventa una possibilità di funzionalità della forma logica. A esclusione di ogni struttura definita della lingua in uso, la poesia distingue la fattualità della memoria come azione già passata alla giudicabilità della lingua, come legge significativa della realizzazione di un significato o di simboli. La simbolicità non presenta una dipendenza dalla lingua. Questo è lo scarto che permette di avvicinare la funzione linguistica alla realtà poetica senza una riflessione generica che lo stesso schema linguistico standard realizza e rende evidente.
L’attività poetica non è soltanto pressione della forma logica sul contenuto che si forma nell’attività di scambio frenetico dei segni linguistici: la formula della quadrangolarità dello spostamento dialettico dell’analogon non è sintetizzabile in semplici suoni adornati di forma. Un elemento fondamentale della tragedia è il racconto o mythos, considerato come la connessione degli avvenimenti. Riassumendo le caratteristiche di cui abbiamo parlato, importante è il riconoscimento (anagnorisis), elemento costitutivo del racconto complesso, insieme al rovesciamento e al pathos. Negli Analitici Secondi Aristotele tratta della dimostrazione e della conoscenza dimostrativa come di un modo per fare progressi nella conoscenza scientifica[24]. I punti principali toccati sono due: il primo è come costruire una definizione e il secondo riguarda quali proposizioni cercare come premesse di una dimostrazione. Quest’ultimo elemento costituisce lo scopo teoretico della conoscenza scientifica, mentre il punto di partenza è una domanda specifica, ossia quale sia l’esatto significato delle espressioni “dimostrazione” e “conoscenza dimostrativa”. L’altra domanda alla quale Aristotele vuole rispondere è quella che riguarda la natura della proposizione, ossia in che termini si predispongono le diverse tipologie di proposizione dimostrativa e dialettica. L’episteme o conoscenza dimostrativa è contrapposta alle verità non dimostrate o assiomi: l’arché o punto di partenza è un principio primo. I teoremi sono dimostrati attraverso sillogismi, le premesse dei quali sono gli assiomi: la dimostrazione è un sillogismo che procura peculiarmente la conoscenza dimostrativa. A differenza della conoscenza accidentale o sofistica la conoscenza dimostrativa è quell’afferrare la ragione per la quale la cosa è, la ragione di quella cosa. Aristotele cerca di spiegare la conoscenza delineandone diversi paradigmi: la definizione si lega alla conoscenza precisa e importante per capirla è la deduzione che permette di arrivare all’universalità, mentre l’induzione non è sufficiente per capire l’universalità.
Il linguaggio, nella Poetica, invece, è la composizione dei versi, mentre il racconto è la composizione dei fatti, i caratteri sono la qualità di chi agisce e il pensiero è tutto ciò che permette di dimostrare qualcosa parlando, ossia attraverso cui si esprime un giudizio. In questo senso è attendibile approcciare la poetica come fondativa per spiegare le logiche della poesia. Sull’impossibilità della realizzazione di forme logiche che non possono far parte della logica comune c’è da discutere. Di fatto ci sono motivi che regolano la lingua come dimensione della coscienza normativa: nelle linee di unione tra gesto poetico e verbo, azione pratica e arte. Un esempio è la nozione di pathos. Esso è non soltanto un modello di vicissitudini delle realtà simboliche, ma è parte della circostanzialità della lingua come filo conduttore delle emozioni. L’evento traumatico che porta alla vittoria la nozione di una mimesi come luogo delle circostanze nelle quali prende forma la relazione è un risultato del racconto, ma anche uno spazio di certezza dell’azione poetica. Non soltanto, quindi, i fatti sono, rispetto al racconto, da considerarsi come scontro, rivalsa. L’azione della logica mimetica è una forma di comportamentismo, ritrovandosi sia nella logica del personaggio e nella realtà della dimensione che nella relazione e nelle logiche sottese.
In questo lavoro cercherò di ripercorrere i modi in cui la riflessione sul linguaggio hanno permesso di riaccordare le manifestazioni sensoriali e percettive alla logica che muove ciascun discorso poetico. Si tratta di un approccio che Saussure e Hjelmslev hanno, nei termini che andrò a mostrare, in qualche modo considerato come approdo di una ricerca sul linguaggio che abbraccia la logica delle realtà cognitive e l’area cultuale delle forme scritte, nell’aura delle tradizioni conservate nella figurabilità della poiesi. Alla luce della prospettiva hjelmsleviana si può compiere una riconsiderazione delle forme logiche come relazioni tra le funzioni della poesia nella lingua. La nozione di lingua apparirà come semplice attribuzione di un campo di significazione, in una riconsiderazione della frammentarietà delle scienze che fanno delle risorse poetiche non solo un luogo di applicabilità della retorica ma soprattutto della creatività e delle creazioni fantastiche; laddove vi è la comprensione delle peculiarità degli schemi logici le emozioni non sono sorrette necessariamente dalla parola, ma ne costituiscono un’unità. La poesia non è uno scarto linguistico, ma agisce come campo semiotico specifico della figurabilità della comunicazione verbale. Se consideriamo il contesto sintattico e semantico che Hjelmslev adopera per spiegare la stratificazione del linguaggio in piani che si diramano in base al tipo di rapporto esistente tra sostanza, materia e forma linguistica, possiamo ricostruire anche la funzione della lingua poetica superando l’impasse che spesso relega la poesia a ruota di scorta della significazione linguistica, o come a un senso “latente”. In altre parole non possiamo difendere alla lettera la suddivisione hjelmsleviana se non teniamo conto che la struttura linguistica non è sufficiente da sola a dare senso alle forme di mutabilità delle sensazioni linguistiche.
La poesia non è una semplice forma di retorica, come già Aristotele ha preannunciato, ma è una dimensione della forma logica, diventando essa stessa difforme rispetto alla semplicità del discorso diretto. Nella trattazione saussuriana emergono le divergenze tra storia e leggenda e contemporaneamente la radicazione religiosa che, come sottolineano i germanisti, occupa ampi spazi nella mitologia degli studi germanici. Molinari (1980) evidenzia che la divinità Odino è la più venerata nella religione germanica delle origini: Mercurio incarna l’eccitazione provocata dall’arte poetica. Il piacere del testo poetico non è, come afferma Barthes (1973), in itinere nell’azione della relazione tra lettore e enunciazione, ma è una forma di logica della mimesi, organizzata secondo criteri formali che trovano il loro modello nel modello biologico – naturale: le condizioni di verità non cadono esclusivamente sul dominio del vero e del falso, ma del verisimile. L’informatività della lingua poetica non è legata alla logica formale nel senso classico, referenziale. Aristotele sottolinea che non sono le accentuazioni, gli elementi prosodici, a caratterizzare la forma poetica. A essere pertinenti al discorso poetico sono quegli elementi che il lettore o lo spettatore possono cogliere come indicativi perché coerenti rispetto a una credenza, a un modo di vivere, a una certezza di verisimiglianza propria di una ricerca e non mossi da semplici circostanze. La condizione di verità assoluta non riguarda le logiche della poesia, anche se l’aspetto della forma poetica non può essere soltanto una circostanzialità della materialità fono-articolatoria. A sostegno di questa tesi Saussure e Hjelmslev hanno in qualche modo reso implicito il funzionamento delle forme logiche. I due concetti intorno ai quali l’ipotesi sulla base creazionistica della poesia diventa un gioco di funzionalità e di rimandi alla percezione sensibile del testo sono quello di mathesis come forma logica della concettualità e di sensorialità emozionale. Affiancando la musica come sostanza formale dell’esperienza poetica e la gestualità come piacere efficace, fermare in poche assiomatiche le ipotesi sulla scrittura come testo da unire alla forma segnica permetterebbe di decifrare quali enigmi privano la coscienza sensibile della capacità di negare gli errori logici che permeano i campi d’investigazione delle altre scienze.
Aristotele con la sua lezione intende mostrare la relazione tra mimesi, segno e simbolo: nella sua interpretazione il segno non è un elemento atomico, come la lettera dell’alfabeto rispetto alle parole, ma è un principio attivo nella dinamica mimetica. Attraverso la poesia si costituiscono particolari tipi di significato, legando i diversi registri linguistici alla verisimiglianza e a pratiche di localizzazione della significazione. Nella Poetica è evidente che non si tratta di differenziare il modo di produzione delle tecniche: la differenza tra lo storico e il poeta non è equivalente all’uso della prosa rispetto a quello del verso, bensì è relativo al tipo di contenuto. Mentre lo storico deve raccontare i fatti reali, il poeta espone i fatti che possono avvenire, nella loro generalità. La mimesi opera in questo senso: il vero, essendo un generale, può essere dato attraverso la poesia che ha una struttura tale da adeguare alle variabili presenti, come per esempio eventi e personaggi, alle possibilità che sono pertinenti, credibili, necessarie. Necessità e verisimiglianza camminano insieme per formare il vero, ossia ciò che diventa pensabile attraverso l’opera poetica. La mimesi per Aristotele è comunque basata su una sorta di istinto naturale dell’essere umano. Il suo funzionamento è in due direzioni: in quella della comprensione, poiché produce conoscenza e in quello della sensorialità o delle emozioni, in virtù dell’effetto piacevole che avvicina alla catarsi. In tal senso la distinzione formulata da Aristotele, non insistendo su una qualità superiore delle tecniche di un’arte rispetto a un’altra ma al più distinguendo le modalità di attuazione della prassi mimetica, accentua l’idea di una natura simbolica della poesia e della sua organicità sensibile.
L’attività simbolica è costitutiva dell’esperienza umana: essa fa parte della natura logica della significazione. Un primo elemento che testimonia tale punto di vista è il fatto che il significato è basato sull’articolazione della voce. Lo Piparo (2003) fa notare che l’articolazione vocale, ossia la modalità di articolazione del linguaggio, è la differenza sostanziale esistente tra la voce degli esseri umani e la voce degli altri animali. Effettivamente, anche se non è totalmente esplicitato da Aristotele, si tratta della stessa differenza che esiste tra la disposizione naturale dei segnali degli animali non umani e la tecnica propria del simbolo. La catarsi in qualche modo doma le irrazionalità e porta all’intelletto l’azione edificata nella prassi artistica.
Al di sopra della natura, vi è l’anima intellettiva che fa dell’organo della voce umana uno strumento specifico del linguaggio: un modo di vedere la narratività come una discorsività meno convenzionale potrebbe essere quello dell’intenzionalità del simbolo rispetto a un particolare modo di formularne la definizione. La questione spesso dibattuta è quella sulla distinzione tra segno e simbolo in Aristotele attraverso il tema dell’intenzionalità. Il simbolo, nella tradizione post-aristotelica, è visto come rinvio naturale e intenzionale. Alcune posizioni hanno mantenuto la lettura più diffusa: il segno è un rimando di qualcosa a qualcos’altro (aliquid stat pro aliquo), differenziando il segno dal simbolo attraverso l’intenzionalità[25]. Il segno non intenzionale porterebbe alla semiotica che gli è propria attraverso un rinvio naturale tra due elementi, come, per esempio, un suono d’allarme che una scimmia dà ai membri della sua stessa specie. Le caratteristiche del simbolo di realtà non inerte, di nozione metalinguistica e di forma introduttiva della contrarietà e della somiglianza sembrano caratterizzare gli stati precedenti la lingua. Rispetto a questo problema possiamo capire in che senso per Aristotele vi sia un’anima intellegibile che permette la mimesi. Ciò avviene attraverso la sequenza lineare specifica della voce e attraverso l’articolazione.
La concettualità originaria che si attualizza prima della realizzazione linguistica, trova una traccia importante nella problematica che riguarda il nome[26]. Nei capitoli XXI e XXII della Poetica Aristotele compie una vera e propria personificazione dei generi delle parole come simboli: parla di un genere naturale dei nomi, come se non ci fosse che una natura propria di ogni forma esistente e la natura si fosse consolidata, composta, come un abito perfettamente tagliato rispetto all’essere umano.

«Genere naturale dei nomi: Delle parole considerate in sé, alcuni sono maschi, altre femmine, altre intermedie[27]

Secondo Aristotele la parola umana è formata da stoicheia, mentre l’onoma, la designazione, permette di arrivare al simbolo. Considerando che non è possibile che si dia un’unica definizione di due cose, coerentemente al sistema aristotelico, nome, segno e simbolo sono tre aspetti distinti e non sono sinonimi. Effettivamente, sono tre elementi diversi che permettono di creare altre forme: il verbo, per esempio, è costituito dall’universo della designazione e dal tempo. La realtà del nome è uno degli elementi del linguaggio che nella Poetica è sentito come realtà eterogenea: distinta in cinque tipi principali, il nome è designazione ma è anche parola, distinta anch’essa in quattro diverse tipologie. In primo luogo l’onoma è la parola distinta dal verbo: essa andrà a costituire insieme a quest’ultimo il logos. Il nome è un sostantivo e una parola di diverse specie: usuale, semplice o composta rispetto alla morfologia o alla semantica. Un esempio è il nome di persona nella poesia, nella commedia e nella tragedia. Per il fatto che non si tratta di distinzioni nette, la vera caratteristica sostanziale del nome è la designazione: ma poiché circoscrive un vero che non è una verità fattuale, simile a quella della storia, esso agisce per mezzo di metafore. Il movimento sensibile necessario per far vedere qualcosa è il ricorso a un nome di altro tipo nella definizione aristotelica, trasferibile, per esempio, in modo analogico. Vi è una gerarchia delle parole: la dominante è quella parola usata da tutti, la glossa è più ricercata, la metafora agisce attraverso lo spostamento e infine vi è il belletto, la parola costruita dal poeta per sé nelle sue opere.
A questo punto c’è da domandarsi quale sia il valore logico della mimesi. La sintesi logica dei nomi e dei verbi, privata di congiunzioni, è il logos[28]. La definizione di logos nella Poetica è quella di “voce composita espressiva, fra i cui elementi ce ne sono alcuni che hanno un significato per sé stessi”[29]. Per il fatto che l’indipendenza delle parti che compongono il discorso è data dai verbi e dai nomi, non ci sono altre parti del discorso con tale autonomia: le congiunzioni possono essere escluse da tale definizione, così come possono esserlo nell’esempio aristotelico della definizione di uomo come di “animale terrestre bipede”[30]. In tal senso Aristotele sembra volersi riferire proprio alla poesia che concede al verso di essere privo di congiunzioni, come accade per il logos. La designazione, anche se è una convenzione, vive nella poesia: la naturalità di questa rispetto all’artificiosità della retorica porta a concludere che non ci sia una forma più naturale di discorso. La poesia è quella forma di tecnica designativa che è un legame tra parole, ossia nomi e verbi. La definizione di logos è quella esplicitata come composto di parole significanti unite in una sintesi logica, in cui l’azione o il nome e la definizione del nome ossia il verbo, permettono la costituzione dell’oggetto. Possiamo pensare alla poesia nel senso di logos come valore di rappresentazione che non sia soltanto di ordine linguistico, ma che appaia come rapporto tra due elementi diversi: il rapporto proporzionale è l’esempio pratico di collegamento tra gli elementi di una stessa specie in rapporti matematici.
Zanatta (1997) evidenzia che la poesia è mimesi nella corrispondenza delle cause prime. Per Aristotele vi sono quattro sensi di cause: la prima è la causa che potremmo chiamare materiale, ossia la materia di cui sono fatte le cose, come per esempio il bronzo è la causa della statua; un secondo senso è quello della forma e del modello, ossia l’essenza e i suoi generi; il terzo senso è il principio primo del mutamento o del riposo; il quarto senso di causa è il fine, lo scopo delle cose. Secondo la Metafisica, in effetti, ci sono molte cause dello stesso oggetto. L’arte è sapienza poiché permette di conoscere le cause delle azioni: insieme al ragionamento differenzia gli uomini dagli animali non umani. La causa prima è il principio primo come, per esempio, lo è il padre per il figlio[31]. Effettivamente la poesia è una delle forme di mimesi, anche se non è sottinteso che se le cause sono le stesse anche la forma risultante lo sia[32]. Il capovolgimento dell’ordine nella configurazione della struttura causale e ontologica del senso aristotelico riporta anche i rapporti di significazione alla base biologica dell’essere umano. In altri termini possiamo pensare che la mimesi sia una funzione della capacità umana e che riconoscere un’azione come somigliante a un’altra sia una proprietà indipendente dalla poiesi. Il fatto che la mimesi si manifesti in diverse arti, quali, per esempio, la poesia, la musica e il teatro è il risultato di almeno due fattori: l’uso dei segni vocali e la simbolizzazione. In tal senso la capacità di riconoscere somiglianze va legata alla possibilità di elaborarne le immagini attraverso i simboli e renderli quindi componibili e continuamente riformulabili. L’imitazione astratta attraverso gli schemata è come una forma di cognitività onnivora, intrisa di possibilità diverse di attuazione attraverso i segni. Pensare all’immagine visiva come all’attuazione di una forma di schema, per esempio, permette di interpretare il modello di un dipinto paesaggista, anche se l’esistenza del dipinto non è necessariamente legata alla capacità di ricognizione visiva. L’oggetto come produzione artistica di fatto ha lo stesso valore laddove è creato da un’azione d’imitazione volontaria della realtà. Esemplificativo sarebbe, per esempio, il fatto che uno stesso paesaggio può essere riprodotto in modo diverso e conservare le stesse caratteristiche essenziali, ossia essere riconosciuto come un luogo preciso anche se riprodotto con diversi stili.
Le cause principali della mimesi sono legate al fatto che tutti gli uomini hanno la tendenza connaturata a imitare e in particolare a imitare attraverso il linguaggio, l’armonia e il ritmo. Tali caratteristiche riguardano tutte le altre arti, non solo la poesia. Ciò che caratterizza la mimesi, al di là della capacità di simulare situazioni già state presenti, come è comune a molte specie animali, è il fatto che esiste una fattualità intenzionale delle somiglianze. Aristotele afferma che la mimesi è una condizione necessaria della poetica: ciò non vuol dire che poesia e mimesi siano la stessa cosa[33]. Un modo di rapportare la semiosi alla mimesi sarebbe quello che lo stesso Aristotele suggerisce nella differenza tra schemata e energia: quest’ultima è connaturata alla materia dinamica e preannuncia il cambiamento, mentre lo schema è una forma di percezione attiva, prodotto dell’azione della cognitività. Un esempio di schema d’azione è l’Odissea: una forma di astrazione in un momento preciso della drammaturgia crea una figura atta a circoscrivere un modo di vedere le relazioni del racconto. Il nodo e lo scioglimento sono due punti essenziali esemplificativi dell’astrazione progettuale propria della natura schematica che la poetica sostiene. L’idea di logos, come di un collegamento di griglie relazionali da riempire di oggetti, di raccolta, collezione permette di capire in che senso il discorso sia quasi per definizione poetico, capace di essere modificato nei livelli sempre più raffinati di articolazione. Un esempio dell’idea di perfettibilità della lingua è l’idea di metafora che da parola meno comune, così come è classificata nella Poetica, diventa parola di uso comune nella Retorica: tutti gli uomini discutono con metafore[34]. Anche nell’Organon la metafora è considerata al di fuori della definibilità, mentre sarebbe necessario discutervi[35]. L’idea di perfezionamento è legata anche a un’idea generale del legame tra le forme di astrazione e la gestualità, i segni esteriori che i personaggi trasportano. Anche se si trovano su due piani strutturali diversi, il racconto complesso e la lingua di uso comune sono equivalenti sul piano del risultato formale di appropriazione linguistica: in un certo senso il poeta che si occupa di una realtà specifica realizza un modello che sospende la mutabilità delle forme usuali, ma le riannoda alla figurabilità che ha luogo nella narrazione. L’epica omerica presenta quelle strutture che per Aristotele oggettivizzano le forme di realizzazione delle altre opere teatrali[36]. Gli schemi come struttura non sono quindi modelli precostituiti, come matrici già risolte. Le forme dell’arte poetica sono costituite dall’oggetto e dal modo: non sono come semplici vetrine per esporre concetti già costituiti ma possibilità relazionali di svolgimento dell’azione e quindi possibilità di ricostituire una linearità che agisca su diversi livelli cognitivi e esperenziali.
L’anima senziente degli umani, separata dal corpo, sarebbe l’intellezione anche priva di schemi, l’energia che rende naturale l’articolazione della voce: i grammata stoicheia sono strumenti della significazione, malleabili soltanto attraverso le lingue e i simboli verbali. Sarà anche Hjelmslev a affermare che come una stessa manciata di sabbia può assumere forme diverse, così la stessa materia può essere formata o strutturata diversamente in lingue diverse. Mentre è un fatto condiviso che la significazione sia costituita da unità discrete, con proprietà determinate, formali e materiali, la mimesi come attività dell’anima senziente contraddistingue un campo d’azione specifico dell’animale umano. La naturalità delle lingue non sarebbe fondata, in tal senso, sulla naturalità della semiosi che è diversa nelle specie differenti, ma sulla funzione della mimesi.
Aristotele afferma che l’arte è lo stato di eccellenza del conoscere e della verità nel campo del produrre e le scienze poietiche consistono in questo. L’arte è l’abito accompagnato da ragionamento (logos) vero che dirige il produrre[37]. Il verisimile che fa della logica un abito poetico permette di produrre tutte quelle forme narrative che costituiscono la relazione tra la forma del discorso diretto e la mimeticità delle azioni drammatiche e diegematiche. Un esempio molto diffuso è quello della metafora: essa possiede chiarezza. Gli altri elementi della sua azione nel discorso sono la piacevolezza e l’esoticità, nonché il fatto che non si possono apprendere i suoi modi di funzionamento e il suo uso nel discorso dall’uso fatto dagli altri. A partire dall’azione dell’analogia le metafore appaiono nel discorso retorico come forma enigmatica e possiedono la particolarità dell’esser frutto di una ricerca profonda nel linguaggio. Le metafore devono essere ricavate da ciò che è bello per suono, per effetto, per efficacia visiva o per qualche altra impressione[38]. A dividere il discorso in generi è quanto meno la divergenza nelle designazioni e non tanto nella pratica della lingua poetica. Il carattere e la posizione della simbolicità di ciascuna opera è la proporzione relativa al soggetto descritto e mostrato, nonché l’esprimere emozioni adeguate alla situazione in modo credibile. La caratteristica principale è il rispetto del destinatario: l’anima dell’ascoltatore deve provare la stessa emozione dell’oratore, deve essere copartecipe del suo stato d’animo. Quello che è da dimostrare è che tale modificazione avvenga anche derivando le caratteristiche del discorso poetico da quello comune e da quello retorico. In molti casi Aristotele evidenzia il carattere della finzione del poeta: essa è legata alla spinta energetica che è prodotta dalla piacevolezza. La gradevolezza pertiene alla completezza della poesia. Nella Retorica è evidenziato come tutti desiderano avere chiara la conclusione, come un corridore che non sente la stanchezza perché ha in vista il traguardo. Il discorso messo in discussione da Aristotele è quello definito “compatto”, ossia che ha in se stesso una conclusione. Per questo motivo è molto più facile ricordare una poesia che non un discorso in prosa[39]. I versi hanno, nel loro farsi, il numero: il periodo è numerato, misurabile, compiuto. L’elaborazione del verso vista come una sorta di successione matematica è fondamentale e corrisponde alla compiutezza dell’opera, privandola della continuità che distoglierebbe lo sguardo dalla completezza e dalla composizione della poesia.
Pensare alla verosimiglianza come a una fonte didascalica di formazione può aiutare a comprendere la visione della poeticità come arte produttiva, artefatto sempre rinnovabile dalla cultura di riferimento, strumento linguistico. Dal punto di vista della formazione, infatti, tutto ciò che è imitato bene diventa piacevole e istruttivo. Non tanto, afferma Aristotele nella Retorica, in virtù dell’oggetto imitato: esso può non essere piacevole di per sé. A provocare ammirazione, a educare piacevolmente è la deduzione che l’artefatto corrisponda a un oggetto: l’imitazione è analoga all’istruzione e dà lo stesso effetto, ossia provoca il piacere dell’intelletto o dell’anima senziente. Il distacco dall’oggetto, la possibilità offerta dalla poesia, dal disegno, così come dalla scultura e dal teatro come piacere intellettivo, permette di abbracciare la posizione aristotelica che vede nella fantasia il legame con la natura deduttiva della mimesi. In tal senso le forme logiche che sottendono alla natura convenzionale della significazione e alla natura sensibile dell’emozionalità che ne sorregge la creazione in artefatti diventano simboli; ne segue, quindi, non soltanto la convenzionalità come riconoscimento della separazione dell’elemento imitato, ma come derivazione e processo di astrazione irripetibile: tale irreversibilità dovrebbe essere la divergenza sostanziale tra simbolo artistico e simbolo linguistico. Esemplificativa a tal riguardo è l’interrelazione di ritmo e danza nella poesia: secondo Aristotele il ritmo è come naturale per gli uomini, istintuale. Dal ritmo naturale degli esseri umani sarebbe sorta la poesia: una matematica dell’anima, ovvero una matematica universale che prende forma nella produzione artistica. Allo stesso modo la danza è vista come una forma di narratività.
L’imitazione è connaturata agli uomini fin dalla fanciullezza[40]. Riprodurre immagini che siano il più fedele possibile alla realtà visiva, per esempio, permette di imparare qualcosa dalle opere d’arte. Donini (2008) definisce l’imitare come un’operazione raffinata di selezione e ricomposizione interpretativa di aspetti del reale[41]. Quello che le immagini rappresentano è ciò su cui si può discutere: il piano della rappresentazione è quindi separato da quello che permette l’imitazione e si differenzia anche dallo schema delle cose imitate. La caratteristica istintiva dell’imitazione è legata alla conoscenza e al piacere che questa ne deriva. In tal senso non possiamo pensare alla mimesi come alla pura imitazione: essa agisce sempre per mezzo di operazioni cognitive complesse che riguardano l’oggetto artistico, mentre l’imitazione di per sé è naturale, connaturata all’essere umano[42]. Per il fatto che essa non è uno schema puramente biologico di azione sul mondo, la mimesi non è pura astrazione. La complessità risiede nella possibilità di dinamiche interpretative che riguardano l’arte come mezzo di conoscenza, nelle forme della poesia, della musica, del teatro e della danza. Per il fatto che si perde il riferimento naturale o biologico, reinterpretare il reale tramite l’oggetto artistico significa differenziare la sintesi dell’imitazione naturale dalla sintesi figurativa delle logiche del verisimile. La logica del verisimile è una pratica combinatoria che si esplica su due piani: il piano della struttura narrativa che comprende il racconto ovvero il modo per attivarla e il piano della possibilità, dato che la struttura narrativa è potenzialmente vera.
La copresenza dei due piani nella rappresentazione scenica potenzia la forma d’azione gestuale che riduce la sintesi figurativa alle dimensioni della voce e del gesto. Il movimento della forza esterna come un interpretante logico che si rafforza nel suo essere immagine della realtà rappresentata è come una simbiosi che si crea tra lavoro simbolico e narratività. La presenza di personaggi non corrispondenti del tutto alla realtà, come Medusa, sono la testimonianza della capacità di estensione della fantasia a partire dalle forme immaginate. Le immagini, nella teoria aristotelica, sono corrispondenze, in parte referenziali, alla realtà segnica e naturale. L’aspetto fisiologico è una prima forma di intenzionalità della materia, come per supplire il salto che esiste tra la materia inorganica e quella organica. Nella costituzione della realtà l’inerzia non è soltanto fisica, relazionata alle costanti dell’universo, come la forma degli elementi o la forza di gravità: l’impulso della fame negli animali non umani, il desiderio di quello che non può esistere come nelle rappresentazioni tragiche in cui il fine ultimo è il raggiungimento del bene, sono due forme di movimento che Aristotele porta a un unicum attraverso la costituzione di due regni, quello dell’arte e quello delle scienze.
Nel momento in cui l’illusione epatica avvolge la scena della poetica, lo scarto tra la realtà e l’arte si compie nel pathos e nel raggiungimento, attraverso il rovesciamento, della risoluzione: prima dell’uccisione l’arrivo di una lettera salvifica segna il rovesciamento della storia, oppure il riconoscimento improvviso della rotta da seguire. Negli Analitici Primi il logos assume la forma del sillogismo inteso come una forma di parole: la prima definizione che abbiamo considerato nella Poetica assume i caratteri della dimostrazione. Tale caratteristica è considerata parte della sostanza del discorso e così è spiegata la referenzialità delle teorie puramente logiche. La visione della sostanza come di un processo permette di riconsiderare la nozione di essenza: la materia entra nel procedimento graduale della costituzione del contenuto attraverso la costituzione della forma.

«In conclusione, per quanto riguarda l’impossibile, lo si deve introdurre in rapporto all’efficacia poetica, o alla rappresentazione del meglio, o all’opinione generale. In rapporto alla poesia, infatti, è preferibile un impossibile che sia credibile piuttosto che l’incredibile[43]

L’introduzione della necessità logica per Aristotele non coincide con una logica linguistica. Harris (2007) rileva che la questione è sollevata nel De Interpretatione in stretta connessione con la relazione tra i simboli da un lato e le affezioni dell’anima dall’altro. A essere evidente è che esistono immagini dirette degli eventi attuali, percepiti da ogni essere umano[44]. Le condizioni che sottendono ciascun essere sono tali per necessità, e non per un’attribuzione esterna di tali caratteristiche. L’impostazione di una referenzialità al mondo è tale da dare anche agli assiomi sillogistici una natura necessaria, tale da poter essere di un peso superiore a qualsiasi forma di psicologismo[45]. Più forte della credenza di un certo stato di cose è la realtà stessa, indivisibile dalla percezione dell’essere umano.
La conoscenza degli universali che è propria dell’arte è strettamente connessa al sapere e all’intendere. È importante capire che l’arte come conoscenza è la causa e la ragione della conoscenza: le azioni e le produzioni sono invece connesse al particolare e creano l’esperienza. Il dato di fatto, da un lato, quello dell’esperienza e quindi dell’induzione, le ragioni e il sapere, la conoscenza delle cause dall’altro lato, quello dell’arte, permettono di capire come in Aristotele l’arte produce un regno di senso molto più vicino alla filosofia che alla storia. La potenzialità che risiede in ogni oggetto artistico è tale da ritrovare nella sua stessa esistenza un’universalità: è possibile ciò che è vero, o che può esserlo e anche ciò che non è necessariamente falso.
La sostanza linguistica è intrisa di fenomeni non linguistici, come nel caso delle metafore e delle analogie nelle quali il linguaggio si aggancia alla realtà. L’esempio classico sarebbe quello che vede nella teoria degli insiemi un modo per collegare i concetti alla realtà sensibile. Nella visione di Cassirer il concetto non si oppone in alcun caso alle forme naturali: come vediamo nel concetto di albero i diversi tipi esistenti astratti e sintetizzati come in uno schema ricco di possibili differenze, così gli insiemi matematici vogliono essere logicamente ricchi di possibilità: un quadrilatero non è soltanto un insieme di linee, ma racchiude diverse proprietà e possibilità immaginabili a partire dalla natura delle cose. Per esempio, a partire dalla forma di una montagna possiamo pensare a un trapezio e da questo immaginare superfici sempre più complesse, ma simili, come un pentagono, un ottagono, fino al chiliagono e a figure fantastiche ma che conservino le stesse proprietà della forma data nella natura fisica. I concetti che Aristotele cerca di stabilire sono quelli della scienza naturale, sia descrittiva che classificatoria[46]. All’interno del dibattito moderno, a cominciare da Cassirer, un punto importante di superamento della teoria aristotelica, spesso considerata asistemica, è la delineazione delle categorie logiche che hanno permesso di sostituire la terminologia aristotelica con il vocabolario tecnico. Alla “cosa” è stato sostituito, in relazione al punto di vista adottato, un vocabolario specifico che, modificando l’approccio generico, ha permesso di raffinare le scienze del linguaggio. Un esempio di classificazione che a partire dall’intuizione dello spazio permette di arrivare a comprendere forme strutturate di spazio è la geometria euclidea a tre dimensioni; a essere messo in pratica è il principio di ordinamento in serie che da intuizione diventa modo sistematico di appropriazione dello spazio[47]. La funzione permette di astrarre le caratteristiche comuni a diversi enti del mondo e di porli in relazione tra di loro per mezzo della proprietà che hanno in comune. Si tratta di un procedimento completamente concettuale che realizza la conoscenza per gradi degli oggetti esperiti, superando la teoria induttiva e permettendo la deduzione sulla base della conoscenza percettiva, come unione di esperienza e di logica.
L’astrazione può essere condizione della forma linguistica: la componente dell’immaginazione sostiene la proporzionalità tra le parti del discorso di uso comune come proprietà, contraddistinguendo la forma poetica. A essere messa in gioco è la questione della verisimiglianza che si allinea a quella della definizione delle variabili divergenti del linguaggio poetico inteso come elemento da collegare, attraverso il logos, alla lingua di uso comune. Differenziando le caratteristiche che portano la funzione della scrittura alla funzione della mimesi possiamo cercare di capire come funziona la mimesi, come accade che un’opera d’arte entri in contatto con la natura umana e la trasformi. Un primo modo di formulare la definizione di mimesi è quella che vede negare la contingenza della realtà: la persona che si reca a uno spettacolo, che si pone di fronte a un oggetto artistico, rinuncia a qualche altra attività. L’atto di collegare alla propria vita un elemento artificiale e allontanarsi dalla prassi quotidiana è il primo passo che avvicina alla mimesi, anche se il processo di attuazione riguarda l’azione artistica: la mimetizzazione si attua di fronte all’opera. Immaginare che il personaggio che è sulla scena, per esempio, sia in alcune parti simile a una persona nel carattere, nelle azioni e riconoscere che potrebbe essere una persona realmente parte del gioco della vita è un primo elemento di formazione mimetica. L’atto dell’immaginazione è fondamento del legame esistente tra l’opera e il pubblico. Nella definizione stessa dei livelli alti e bassi dell’opera d’arte si evince tale rilevanza: in entrambi i casi si sintetizzano caratteristiche di uomini e si concentrano in uno stesso nucleo di azioni, ossia si fanno realizzare da uno stesso personaggio. Per il fatto che non esiste nel mondo una persona esattamente riprodotta dal personaggio tragico, esso risulta sempre portatore di nuovi significati: pone davanti agli occhi potenzialità celate ovvero esperite dal pubblico nella vita quotidiana, oppure immagini di mondi possibili. I due aspetti, di ricognizione delle somiglianze e di trasposizione dal realmente possibile sull’immaginario, sono elementi che la Poetica pone in rilievo laddove posiziona il tratto antipsicologico delle forme poetiche tra le possibilità che l’oggettivizzazione porta alla luce attraverso l’arte[48]. Il fatto che per Aristotele la realizzazione dell’opera d’arte ha un’indipendenza dall’artista e ha un valore di per sé implica che essa ha un valore semiotico oltre che mimetico, anche se per arrivare alla mimesi, nella teoria aristotelica, non è necessaria alcuna interpretazione. La mimesi effettivamente non progetta un punto di vista che sia esterno all’azione poetica, ma lo crea nell’impatto con l’opera. In altri termini la natura stessa dell’uomo è rassomigliante a quella delle opere che potenzialmente può portare alla luce. Non si tratta di una mancanza, per così dire, malinconica, al contrario, a essere sempre presente nella verisimiglianza è il rapporto emozionale che è irriducibile alla semplice pressione di un impatto senza relazione, come si potrebbe avere in uno stato di costrizione. Nell’arte non c’è alcun obbligo: la libertà è data dalla natura pratica e non aprioristica delle regole che muovono le parole di un’opera poetica, di una pièce o di una rappresentazione pittorica.
Il veicolo originario della trattazione aristotelica è la natura sempre perfezionabile dell’umanità. La connessione tra la vita sociale e il progetto poetico è tale da mantenere la positività dell’opera d’arte: essa è compresa nella generazione della forma artistica e non oltrepassa la linea che unisce il poeta all’attuazione poliforme di senso, come è richiesta dalla vita etica e pluridimensionale della città. La natura pratica e la natura poetica nella visione aristotelica sono inerenti a un unico funzionamento della socialità. La catarsi che permette il confronto tra vita reale e vita purificata dall’arte è un processo che Aristotele affianca alla direzione della mimesi. In un certo senso la mimesi per essere tale deve realizzare la catarsi, il bene che può essere raggiunto anche attraverso emozioni negative, di un’azione che attraversa fasi che non hanno un rapporto di causalità con la conclusione. La natura della lingua poetica non è quindi diversa da quella di una qualsiasi altra opera d’arte: è la sua intimità con la necessità di simbolizzare dell’uomo e di nessuna altra specie che la rende superiore a ogni circostanza, se pur complessa, dell’organizzazione sociale. Per il fatto che l’arte poetica non è emulazione della vita reale, ma al contrario parte integrante della formazione del cittadino, l’intervento della tragedia storica non intacca l’apparato di elaborazione delle strutture poetiche. Per il fatto che le strutture non sono apparati sterili da riempire attraverso contenuti storici esterni all’intuizione del poeta e neanche alla connessione con la creatività, la peculiarità della poesia pertiene l’elaborazione di una tecnica che cresce e si perfeziona in base al grado di libertà del poeta e della società nella quale si sviluppa.
Nel primo capitolo di questo lavoro affronterò il problema della metafora come utilizzo delle diagrammaticità proprie della forma poetica. La definizione aristotelica di diagramma come traccia in movimento, traccia significativa, permette di capire come la relazione tra struttura e significato che costituisce il gramma sia la base di selezione della possibilità di funzione linguistica diagrammatica. Prenderò le mosse dalla negatività linguistica intesa come forma di materia costituita dalla poesia come lingua. Accettando l’ipotesi della continuità della sostanza segnica, in ciascuna forma del mondo sensibile, la lingua poetica assume la stratificazione del linguaggio e seleziona alcuni aspetti delle gradualità significative. La tendenza simbolista, nei termini assunti da Hjelmslev, affina la ricerca della dimensione indeterminata della lingua. Nella riflessione hjelmsleviana decisiva è la coabitazione di simboli e diagrammi, cinetica dei testi poetici e forma finita del linguaggio nel caso specifico della lingua poetica. La figurabilità del linguaggio poetico è tale da rivalutare alcune sostanze frazionate delle lingue verbali: a partire dalla forma emotiva per arrivare alla forma esperenziale, la materia del contenuto diviene materia delle formazioni generali, ossia dà forma agli universali linguistici.
Il secondo capitolo è dedicato alla questione della poesia come fonte di veridicità e non di verità storica. In un certo senso, come Aristotele assume fondativo, la forma di verisimiglianza determina la certezza della sintesi passiva attribuibile al testo poetico. Accettando la necessità di superare l’induzione come metodo di approccio alla prima necessità che la lingua poetica determina, la forma deduttiva diventa un modo di essere della realtà, una forma di ontologia del senso. La nozione di lingua poetica oscilla dall’idea di fonte naturale del linguaggio all’artefatto vero e proprio. La percezione da parte del parlante di quegli aspetti sistemici come i neologismi permette di affermare che le forme d’azione logica sono inclini a essere riconosciute come regolarizzazioni della lingua sia affatto dinamica, sia dominio della forma poetica. A essere necessario è un appello alla natura logica dell’imprinting modale della poesia.
Nel terzo capitolo vorrei che fosse esplicitata la relazione della forma originaria della poeticità, come lineamento del profilo logico della lingua in generale, rispetto alla nozione di lingua poetica nella complessità logica della forma satura di senso: la funzione duplice che Saussure attribuisce alla lingua e al linguaggio trova attributi di verisimiglianza nella potenzialità mutevole della poiesi. A dare una forma determinante della gerarchia delle significazioni sarà non soltanto la forma espressiva diretta, ma soprattutto la sintonia esistente nella natura della logica visiva che la lingua ascrive nella genealogia delle predicazioni. La metafora visuale non è quindi soltanto una forma immaginativa della disgregazione tra forma e contenuto, materia e sostanza fonica, ma si realizza come genere specifico attraverso la simbiosi delle variabili in gioco che caratterizzano la comunicazione poetica.
In conclusione, i piani del linguaggio, così come sono presentati da Hjelmslev, non corrispondono a formazioni determinate della lingua, ma permettono di distribuire la narratività della lingua poetica sull’intero processo di causalità del significato. L’impatto che una figura retorica ha sulla normatività linguistica potrebbe essere riassunto con la similitudine dell’impatto visivo che ha un dipinto rispetto all’interconnessione tra scrittura e significato. Tuttavia, lo stesso tipo di riconoscimento che esiste nella logica della poesia potrebbe essere soltanto un tassello di un discorso che gli autori considerati hanno iniziato a percorrere e a delineare. Come la ricerca di unità minime di significazione non pretende di trovare uno stesso tipo di unità che sia condivisibile per la forma scritta e la forma parlata, allo stesso modo parlare di morfematicità della scrittura poetica e di morfologia della lingua potrebbe portare a indagare le ragioni della sinestesia tra il pensiero matematico e quello linguistico, dell’arte diagrammatica e delle forme di interazione espresse nel pensiero poetico.














1. Metafora e logiche poetiche


Logica e estetica possono essere considerate come due facce della stessa medaglia, soprattutto se rapportare alla poesia e alle logiche che la sottendono come lingua. Aristotele sottolinea come nella struttura della poesia la metafora è lo strumento complesso per eccellenza di quel sillogismo inteso soltanto in generale seguendo la definizione di Aristotele degli Analitici Primi, come forma di parole, come rapporto logico proporzionale e analogico che si presenta davanti agli occhi e nasconde una parte complementare, il senso immaginato.
Si tratta di pensare come si crei attraverso la forma logica della metafora una zona intermedia tra il metodo induttivo e quello deduttivo. La struttura logica della poesia è una zona franca per il fatto che è il luogo dell’emozionalità verbale attraverso la quale si compie la trasformazione del dato in fatto linguistico potenzialmente polimorfo e pluriprospettico. La Poetica di Aristotele nel Rinascimento è considerata come base di una enciclopedia, al pari di un formulario di riferimento. La fantasia del poeta è simile a quella del retore, ma mantiene il legame con l’eikos, la natura propria delle cose che Tagliabue riporta nell’analisi di Muratori rispetto alla questione dell’artificio e dell’artificiale[49]. Se consideriamo il punto di vista di Hjelmslev che vede il testo come una funzione di funzioni la modellizzazione nella poesia è diversa dalle lingue verbali e si rivela come adeguata e esauriente nella funzionalità che le pertiene. La suddivisione in sostanza, materia e forma e la coimplicazione di ciascuna nell’altra come sua forma predicativa attraverso i diversi livelli e i piani di manifestazione dei sensi e del significato permea la suddivisione in forme del discorso.
La sostanza che è la materia formata aristotelicamente è per Hjelmslev uno schematismo retorico che come tale è la lingua nelle sue forme dell’espressione e rispetto a un contenuto, sulla scia della suddivisione e della diversificazione di Saussure tra la materia della linguistica e la forma della lingua. Negli studi sugli anagrammi di Saussure la struttura della lingua diventa un modo di manifestarsi della simbolicità inespressa dalla forma esplicita delle leggi linguistiche. In un certo senso l’idea di normatività permette di arrivare a una manipolazione della lingua poetica attraverso gli strumenti della logica. L’idea di De Mauro della dissociazione segnica permette di ripensare alla testualità lirica sulla base appunto di una dissociazione che è esplicita nelle forme tropiche come la metafora. Ipotizziamo l’esistenza di una lingua speciale, una serie sistematica di avvenimenti linguistici che permetta di eseguire melodie che oltrepassino la serialità e il silenzio verbale della musica. In altre parole, una lingua che voglia vivere nell’esecuzione dei parlanti ma che sia precorritrice dei linguaggi e non corrisponda né si identifichi con le singole esecuzioni. La lingua poetica si candida a essere definita attraverso quei segni di differenziazione linguistica, segni di formazioni idiosincroniche che spoglino il silenzio e lo facciano risplendere di ritmi, versi, rime e soprattutto di una logica che sia base per ciascun tipo di lingua permeata dai segni di cui è costituita.
Nella linguistica saussuriana il lavoro linguistico nasce e si radica nelle leggende germaniche, con una forma di lingua che è poetica e che interseca la fermezza della poesia attraverso il mito. Questo tipo di relazione è molto complessa e interessante da analizzare[50]. Con Hjelmslev la realtà poetica subisce alcuni cambiamenti rispetto alla lingua comune. Nella Categoria dei casi l’uso dello stile poetico pone dei limiti di variazione rispetto ai casi generalmente più ampi dell’uso ordinario o neutro. Sulla base dei Principi di grammatica generale, lavoro che sorregge il pensiero del linguista danese e preordina la logica della visione del sistema casuale, un’altra domanda che possiamo porre è quella relativa a una possibile categoria dei casi o di alcuni casi specifici della lingua poetica. Seguendo l’ipotesi hjelmsleviana di una grammatica riformulabile e modificabile, la lingua poetica sarebbe un possibile caso che andrebbe a completare quell’optimum ipotizzato a partire dalla teoria di Wundt della costante di un minimum del numero dei casi in tutte le lingue. La logica matematica che sorregge alcuni comportamenti morfemici dei casi mette in guardia rispetto alla realtà semantica delle lingue e probabilmente anche del linguaggio. L’esempio del genitivo dell’inglese moderno permette di scandire i tempi della realtà intensiva del significato.

«L’uso dello stile poetico pone dei limiti di variazione generalmente più ampi dell’uso ordinario o neutro[51]

La glossematica potrebbe essere considerata una sorta di scienza del linguaggio generale, formando la lingua poetica, nei modi che considereremo. Attraverso gli esempi che Hjelmslev espone fin dai Principi di grammatica generale l’idea di una matematica delle strutture linguistiche soggiace fortemente al linguaggio e al modo di formulare le ipotesi di distribuzione del valore e del significato, dell’estensione e dell’intensione. L’uso della lingua comune è legato ai sincretismi casuali non permessi nell’uso elevato, in base all’ampiezza del sistema[52]. La logica dello stile poetico non è al di fuori del sistema sublogico tridimensionale, costituito da una direzione in base alla formazione di un sistema di avvicinamento e di allontanamento, di coerenza e incoerenza, di oggettività e soggettività.
Giungere alle lingue come grammatiche significa quindi fare un percorso che va dal sistema sublogico al principio strutturale, fino al piano prelogico. Esistono delle vere e proprie cellule di direzione che permettono di individuare i morfemi e le particelle che costituiscono le espressioni[53]. Altri tipi di unità minime possono costituire il differenziale minimo di significato, ossia il valore. Il valore espresso è la forma linguistica e porta Hjelmslev a concludere che qualunque idea può essere espressa in qualunque lingua, ma non in qualsiasi sistema[54]. Come vedremo nel prossimo paragrafo, quando Saussure inizia a delineare i limiti tra la linguistica e le scienze a essa connesse, la psicologia appare tra i fattori esterni all’oggetto del linguaggio. Hjelmslev riattraversa la negazione dell’estraneità con una direzione lievemente divergente. Creando ancora la diade tra oggettivo e soggettivo, formulata da Saussure rispetto alla diagnosi scientifica dello studio delle lingue, propone la formula dell’induzione e dell’empiria linguistica basandosi sulla poesia lirica. Effettivamente, la nozione di approccio diretto ovvero induttivo è presente già in Saussure nello studio sulle leggende. La semiologia linguistica della quale è intriso anche il Corso di linguistica generale, permette di delineare i fatti del linguaggio come subcoscienti e, se supportati dal piano prelogico, di arrivare a rendere l’emozione come un’espressione del pensiero fino alla coscienza del soggetto parlante. In questo aspetto entrambi gli autori sembrano trovarsi d’accordo, malgrado le divergenze introdotte da Hjelmslev. Psicologia e linguistica sono orientati a individuare e analizzare due oggetti diversi, spesso contrapposti, per non essere confusi, ossia la soggettività e l’oggettività del linguaggio. Ripercorriamo alcuni dei primi concetti che Hjelmslev accoglie rispetto alla linguistica saussuriana, in particolare nella ricostruzione dei diversi contributi che da Saussure hanno portato il linguista danese a formalizzare la grammatica come scienza. In tal senso è possibile capire come insieme alla linguistica la grammatica sia da fondamento per la logica della poesia.
Nei Principi di grammatica generale Hjelmslev inquadra la grammatica come una branca della psicologia e della logica descrittiva, ovvero come una teoria delle categorie, preannunciando il lavoro della Categoria dei casi fino a toccare alcuni concetti dell’ultimo lavoro ovvero del Resumé. Le categorie sono costituite dagli elementi grammaticali, ossia i semantemi e i morfemi che, in base alle caratteristiche specifiche che andremo a considerare, creano quella scienza pancronica auspicata da Saussure nella linguistica e ripercorsa da Hjelmslev. Nella teoria della forma la morfologia e la sintassi diventano un unicum, sostanzialmente, per il fatto che la funzione determina la forma.

«La maggior parte delle distinzioni della stilistica appartiene all’uso: un determinato semantema può essere utilizzato come iperbole, metafora o perifrasi, senza che esso cambi di funzione grammaticale. L’uso non riguarda la forma, ma rientra nel quadro del significato[55]

La nozione che permette di arrivare alla formulazione della forma come classificazione dei morfemi e dei semantemi o, in altre parole, di idee o simboli all’interno di certe categorie dalla nostra mente è quella di rection. Essa è il parametro che permane nel passaggio dall’empiria pura alla deduttività. La rection è la transitività ossia l’insieme sistematico dei tratti morfologici che indicano un rapporto stretto tra i termini di una stessa serie. Esistono due tipi di rection, una pura e una complessa, la prima manifesta un accordo o una concordanza che a sua volta può essere pura o complessa, come nel caso dei sostantivi che hanno una dipendenza da elementi preponderanti nella frase; la seconda mostra invece un ordine o una dipendenza, un carattere particolare come quello di un verbo o di una preposizione[56]. L’indipendenza della forma dalla sostanza linguistica permette di raggiungere in pochi passi la fecondità della ricerca nel campo della morfologia e quindi di trovare nella semantica la composizione della matematica della lingua o glossematica. Inoltre, l’opposizione a Jakobson da parte del linguista danese sulle nozioni di termini marcati e non marcati e la proposta di parlare di intensione e estensione permette di riaprire una parentesi sulla nozione di simbolo e sulla rete di categorie che preannunciano quel movimento sistemico alla base del tema che ci preme analizzare.

1.1.0. Lingua poetica come lingua emozionale


Le azioni narrative che la logica poetica comprende possono essere considerati modelli di verità delle differenze tra generi di discorso e mettono in luce l’insieme dei fatti linguistici e delle possibilità nella cronologia dell’azione. La simbolicità, vista come una tendenza del contesto simbolico, abbandona la tripartizione dell’azione in un inizio, un mezzo e una fine e si incarna nelle figure retoriche come le metafore e le metonimie. In effetti, i tecnicismi che mettono in relazione, per esempio, le rime, le assonanze e i paragoni hanno un valore che fa dell’iconicità della struttura più semplice del linguaggio una funzione vera e propria. Nella lingua chinook analizzata da Hjelmslev i semantemi si raggruppano in categorie secondo le diverse sensazioni.

«La struttura dei fonemi di semantemi è determinata dal bisogno di imitare vocalmente tutti i tipi di impressioni sensibili. I semantemi sono costituiti o sono accompagnati da gesti vocali descrittivi che abbozzano oppure esprimono, così come il gesto delle mani, l’atto o l’oggetto in questione. Vi sono così delle imitazioni o riproduzioni vocali per i suoni, per gli odori, per i gusti, per le impressioni tattili, per il colori, la pienezza, il grado, il dolore, il benessere[57]

In opposizione al convenzionalismo di Whitney che Hjelmslev definisce uno dei maggiori avversari dell’idea di una connessione tra idea e parola, Jespersen mette in campo la costante mentale dell’abitudine alla parola per fissare come punto di partenza imprescindibile l’arbitrarietà[58]. Come ha analizzato Garroni, il tipo di studio che Jakobson ha essenzialmente riportato alla luce si basa su una caratterizzazione precisa finalizzata alla riproduzione di un sistema esplicativo. Tale sistema si evince nell’idea della metafora, vista come esempio di ordine del sistema e di serie metaforica come paradigma sintagmatizzato: una categoria che assimila la selezione alla contiguità[59]. Un uso metaforico di una qualsiasi parte del discorso è un semantema non imitativo al contrario dell’onomatopea che si realizza per espressività, potremmo dire, ossia per esprimere qualcosa che esiste soltanto come controparte di ciò che si mostra con la parola stessa nell’accezione tradizionale. La teoria della forma è una teoria che considera il significato come corrispondente all’uso del soggetto parlante e questo aspetto dell’atteggiamento della glossematica spiega anche la necessità di una preferenza per una nozione meno drastica della distinzione tra le categorie.
Nella definizione dell’arbitrarietà emerge l’avversione per la continuità: la visione di una continuità come precorritrice del senso della lingua manipolata dai soggetti parlanti è un’illusione, per il fatto che essa è, al contrario, un luogo di annullamento della libertà, un campo di selezione, una cristallizzazione: ritroviamo questo aspetto nella caratterizzazione di figure retoriche come la metonimia[60]. L’idea che fa dell’uso la norma ricalca la nozione stessa di grammatica generale che Hjelmslev porta alla luce, nell’applicazione alle lingue e soprattutto portando a esempio quelle in cui non è ancora sviluppato un sistema di scrittura. I grafematemi alla base dello sviluppo delle lingue poetiche sono tassemi, veri e propri tasselli della derivazione gerarchico-funzionale ma anche arbitraria delle morfologie.

1.1.1. Metaforicità tra psicologia e poesia


La problematicità che si mette in campo nella soggettività contrasta la forma oggettiva del mito e in un senso che vedremo più avanti anche dell’archetipo. Nel mito troviamo la forma compiuta nella ciclicità che incessante e liberatoria allontana e rende inscindibili inizio e fine: nella poesia come in un romanzo postmoderno, si tratta di considerare il contesto come disambiguante. Per esempio, se leggiamo la frase “In dieci minuti il chirurgo guarisce dalla miopia” possiamo chiederci se il chirurgo è colui che compie l’azione o se invece la subisce, se ne è l’oggetto. Il fatto che sia scritto in un romanzo, in una poesia o su un quotidiano è determinante per comprendere la pertinenza a una delle tre possibilità.

«Come la poesia lirica, la psicologia diretta conserva sempre l’impronta della soggettività[61]

L’idea della soggettività della psicologia è sostenuta da Saussure nel Corso di linguistica generale. La soggettività di una forma idiosincronica è simile a quella che un testo scritto manipola nella sua esteriorità. Tale rapporto tra forma e testualità segna l’interdipendenza tra il movimento testuale e l’oggetto stesso della linguistica. La questione che pone Hjelmslev sulla grammatica come esteriorità della semantica intesa come significato è rapportabile non soltanto allo stile della scrittura ma anche e principalmente all’ipotesi di unità organizzate come un organismo[62]. Spazio e tempo sono privati dell’eventualità della parola quando ci ritroviamo nello spazio logico dei cenemi gestuali, per esempio, dove le emozionalità del linguaggio diventano plurivocità di intenzioni della forma linguistica[63]. Applicare una speciale dinamicità alla lingua poetica all’interno di una psicologia della forma permette di riconsiderare anche le nozioni gestaltiche nella pluridimensionalità dell’intenzione così come è presentata da Brentano[64]. La nozione di intenzionalità, formalizzata dal pragmatismo fin da William James, è legata non tanto a una interpretazione delle azioni e quindi dei segni che la compongono, quanto a una proattività che rende l’azione progettata soltanto una sutura finale. Nel quadro di un’estetica fenomenologica si parlerebbe di quella forma particolare dei significati che si realizza come appercezione, ovvero come determinazione preannunciata di una forma della percezione. Alcune realizzazioni simboliche manifestate dalla poesia assumono la forma linguistica come una pura e semplice immagine mentale. Un esempio è quello dei gesti strutturali delle lingue segnate dei sordi e dei sordomuti nei quali la sintatticità è nelle unità gestuali insieme con una grammaticità che permette di inserire elementi preposizionali, come immagini, non tanto di ciò che si dice nella corrispondente lingua verbale, italiano scritto e parlato, per esempio, ma di ciò che si crea come immagine nel senso della lingua dei segni che si sta parlando[65]. Nelle poesie delle lingue segnate i caratteri morfemici dei grafemi gestuali ricorrono alla ripetizione di tratti gestuali che richiamano immagini semi-cristallizzate dei segni linguistici. L’uso diventa stile, quindi, ciecamente, in un certo senso, ossia allontanandosi dalla logica della lingua verbale legata all’informatività e aggregando cellule significanti usualmente legate a altri sensi. Resta quindi da riconsiderare la possibilità di una funzionalità che non si limita a una semplice gerarchizzazione dei sensi letterari o della lingua parlata, ma diventando un ripresentarsi della sporadica possibilità data al soggetto parlante di presentare l’espressione come a un terreno di lancio di nuove combinazioni semantiche.

1.1.2. La tendenza simbolista e le forme poetiche


La necessità di un’alterazione dei sensi, come rileva Hjelmslev nella sua distinzione tra continuità e indeterminatezza, permane negli scritti successivi ai Principi di grammatica generale. Il suo tentativo di delineare i confini di una scienza, la glottologia, che della lingua consideri una grammatica specifica, non quantitativa o matematica in senso numerico e quindi non sottomessa agli universali della logica classica, è tangibile laddove c’è una testimonianza di analisi di lingue particolari, non toccate dalla forma scritta. Gli esempi che abbiamo visto, come quelli della lingua chinook, permettono di capire come la forma linguistica determini la direzione di marcia della significazione. In effetti, parlare di riproduzione vocale non ha senso per la sintatticità: anche le lingue più semplici ossia estese su un unico livello espressivo, ovvero che si appoggiano sui sistemi gestuali della prossemica e che quindi accompagnano il discorso, conservano un’iconicità che eleva l’azione fonica alla logicità dell'ipoicona. A essere messo in gioco è un simulacro espressivo di atteggiamenti che trovano un artificio naturale nei suoni emessi per simulare altre azioni comunicative. La complessità di tali azioni è sostitutiva di una volontà dell’azione verbale che fa della produttività creativa una scala da formare e attraversare. Nel caso particolare legato alla logica poetica possiamo esprimere la sistematicità linguistica su quattro piani differenti: quello del contenuto del contenuto, del contenuto della forma, della forma del contenuto e della forma della forma. Per il fatto che l’espressività non ha toccato la forma scritta, il piano dell’espressione non riguarda la funzione poetica di per sé. In tal senso la nozione di logica poetica è da considerare fondativa non solo della poesia ma anche, come già Jakobson mostra, di una permeabilità del linguaggio alla trasparenza del senso che non ha necessità di un involucro espressivo ulteriore. Benché la funzione espressiva non sia da attribuire alla linguisticità artificiale della lingua formalizzata o dei linguaggi matematici, le rappresentazioni che determinano le divergenze o gli slittamenti di senso decostruiscono la gerarchia funzionale nella possibilità della lingua di fermare in segni le azioni. Hjelmslev ripropone spesso, soprattutto nei lavori giovanili, il suo scetticismo per le generalizzazioni imposte dalle matematiche.
Per poter considerare il linguaggio come un caso particolare di un sistema semiotico, non è necessario guardare a quell’insieme di linguaggi che sono privi di sostanza, come nel caso di matematiche tipologiche, malgrado la forma sia da fulcro dell’azione. Questo paradosso spesso non permette di comprendere la nozione di forma che va a eludere la determinazione di una simbolicità in progressione. In effetti, l’abbandono del metodo induttivo porta a scegliere la virtualità dell’immagine grammaticale.
La funzione semiologica che permette di riunire il piano del contenuto e il piano dell’espressione è una relazione. Hjelmslev precisa che le relazioni sono tali in virtù della coesistenza dei due piani e non dell’alternatività. Nelle lingue verbali l’accento è un esempio di rection, ossia di direzione dell’unità ideale selezionata. Per il fatto che la glossematica stessa è un’ipotesi di formazione e di funzionalità della struttura linguistica, nell’introdurre le nozioni che fanno della glossematica una scienza, la linguistica assume una posizione di supporto alla nuova teoria. Se consideriamo gli sviluppi contemporanei delle applicazioni della teoria hjelmsleviana alla grammatica e alla semiologia notiamo che, effettivamente, si sintomatizza la suddivisione tra la facoltà di parola e la strutturabilità di essa, soprattutto negli studi strutturalistici. Un primo grande campo di ricerca riformula la nozione di scrittura come di una semiosi indistruttibile e quindi più facilmente analizzabile[66]. Un’istanza di distinguibilità tra la realtà mediatica e la sostanza è rappresentata dalla categoria della forma: la forma come rapporto astratto con l’indefinibile, come una sorta di modello mentale, la sostanza come materia formata, o come token, realizzazione concreta, percettiva[67]. Sarà con l’introduzione delle variabili dell’arbitrarietà che Hjelmslev richiama la sospensione della demarcazione netta tra le categorie e, come conseguenza ovvia, tra i livelli della stratificazione linguistica. A proposito di un articolo del 1923 di Johannes Hjelmslev, il padre del linguista, riguardante un caso di indeterminatezza e di introduzione del livello probabilistico, esprime la riluttanza alla formulazione di una definizione rigida di forma nella glossematica. A essere negata è la formula assiomatica, propria delle matematiche.
Per il fatto che la rection è un modo di realizzazione della tendenza alla simbolicità, la decisione del matematico di inserire la nozione di possibilità di realizzazione e non di semplice realizzazione concreta della materia geometrizzabile mette in luce il fulcro della questione: la logica binaria del sì o no opprime la realtà della percezione e insieme a questa preclude la possibilità della verità della teoria del visibile. La logica che non considera l’insieme come una sorta di contesto e che non concretizza la geometria della forma in teorie o in simboli è priva di interesse per il matematico. Non si tratta soltanto di accettare il referenzialismo, come quello fregeano, ma di un vero e proprio generativismo della nozione stessa di arbitrarietà. Gli assiomi devono poter essere arbitrari, allo stesso modo in cui noi con il linguaggio naturale diciamo “a presto” a un amico, pensando non soltanto di volere un nuovo incontro, ma anche di poter realizzare quell’evento in qualche modo indefinito ma che sappiamo possibile all’interno di un insieme di possibilità razionali.

1.1.3. Metafora e tendenza alla phronesis


La disambiguazione della sostanza letteraria permette di pensare all’espressione poetica come al metasprog, al metalinguaggio hjelmsleviano. Il ricorrere alla forma sensibile della metafora ricongiunge la compiutezza del testo alle figura del discorso poetico. La poiesi è una vera e propria praxis, un fare che è un’attività, come esperire l’energeia che è un tutt’uno con la vita. Il pathos che è quel meccanismo destrutturante del gioco tragico diventa la maschera dell’opera d’arte rispetto alla vita. In tal senso la phronesis, la saggezza, è il nucleo dell’eudiamonia, la felicità che comporta comunque necessariamente il fallibilismo, l’errore. I quattro requisiti della tragedia, ossia il valore, l’appropriatezza, la somiglianza e la coerenza sono riformulabili come forma iniziale o causa prima della figurabilità: le metafore, oltre a essere somiglianze di somiglianze, sono anche la forma maggiormente fruibile del linguaggio poetico, giocando contemporaneamente sui piani del contenuto e della forma espressiva.

«E proprio in virtù delle sue maggiori qualità sensibili: piacere, movimento, concentrazione temporale, visibilità dei fatti che imita[68]

Il riconoscimento poetico non è una semplice forma intuitiva, bensì un rimandare il senso alla causa prima dell’oggetto mimetico, costituendo il principio della metafora che muove il tragico. La saggezza risiede quindi nel pensare al ritorno alla felicità senza allontanare i diversi modi di concepire i riconoscimenti come forme di giustizia poetica. I cinque modi di presentarsi del riconoscimento, mediante segni, inventati dal poeta, attraverso il ricordo, nel sillogismo e dai fatti stessi sono metafore della realtà umana e della conoscenza. All’interno del racconto non ci sono soltanto i sensi interni tra i personaggi dell’opera, bensì i continui richiami metaforici a somiglianze che dalla storia arrivano alla letteratura costituendo un piano metastorico. Se pensiamo al mito di Edipo, per esempio, come a una ricostruzione della logica sensibile della crescita umana, capiamo in che senso la letteratura è metafora vivente[69]. L’ironia tragica di Sofocle è un modello per la letteratura: la concezione della materia storica diventa un tutt’uno con l’essenza della natura umana. La necessità di sapere conduce il protagonista alla consapevolezza della sua colpa e insieme svela al pubblico la sua innocenza. La metafora è in tal senso il continuum della base regressiva della storia: in nessun caso il mito è al di fuori dalla costituzione metaforica, ma la sussume e la rende fine della propria apparenza, immagine trasfigurata dell’epos tragico.

1.2. Relazioni strutturate del linguaggio


All’interno della visione di una realtà logica che sia precondizione del linguaggio poetico, come è presentata da Hjelmslev, la natura legislativa della norma non esclude la possibilità della creazione di forme divergenti. Una delle caratteristiche comuni alle forme normative della lingua in uso tra i parlanti e alla forma di pensiero complessa che è una logica, è la struttura vaga e ambigua. Da tale struttura è possibile ricavare la norma. Nella dimensione della sostanza dell’espressione, a livello di struttura astratta, ma non a priori della materia formata, la similitudine tra rection o direzionalità del contenuto e rection della forma permette la riflessione sulle categorie, come un insieme di regole e di tratti comuni ai diversi livelli attraverso i quali il linguaggio diventa realtà semiotica. Un pensiero non si assorbe mai completamente nella pura ripetizione di materiale idiosincronico, ma attraverso l’evoluzione della gerarchia, da unità a complesso sistemico, diventa copartecipe della funzione normativa della forma grammaticale.

«Nei due piani della lingua, nel piano del contenuto come in quello dell’espressione, sono tuttavia presenti forme che effettivamente si comportano, in linea di principio, in maniera del tutto analoga rispetto alla materia da esse formata, cioè rispetto al contenuto e all’espressione[70]

Si tratta di operare come se grammatica e lingua fossero due sistemi complessi ma articolati in maniera tale da non ridursi l’uno all’altro. Ammettere la deduzione come una forma di razionalità propria del metodo che muove la lingua come sistema, rende la norma linguistica un correlato della natura autonoma del significato. Quella che possiamo considerare una costruzione della dimensione pluriprospettica che il linguaggio assegna alla forma in uso è nella visione saussuriana il risultato di una sospensione di giudizio rispetto alla relazione esistente tra il linguaggio e la materia cognitiva.
La lexis o elocutio, propri dell’espressione, annoverano nel loro essere un piano dinamico del senso, la corrispondenza complessa con il piano del contenuto, la dianoia della poiesi[71]. Il lavoro della storia sulla lingua non ha quindi una rilevanza di tipo grammaticale. La grammatica è una struttura in movimento, mai strutturata una volta per tutte in ciascuna epoca. Le suddivisioni che sollecitano la duplicità dei sensi, dal piano dell’espressione a quello del contenuto, non hanno una forma definitiva, ma un’approssimazione ai livelli di percezione che il parlante ha della forma in uso. Le nozioni di forma, concetto e espressione, direzione e rection che condizionano la definibilità della lingua e delle logiche che muovono i modi di formazione delle diverse lingue saranno le linee guida principali della glossematica.

«D’altra parte, se l’espressione è priva di importanza per la definizione dei fatti linguistici, i fatti differenziali dell’espressione sono indispensabili allorché si tratti di riconoscere ciò che appartiene alla lingua e ciò che non le appartiene[72]

Saussure rileva che la differenza sostanziale tra segnale e segno risiede nell’impossibilità del secondo di agire come un ente a sé: per quanto il progetto sistemico ci appaia lontano, la nostra comprensione della realtà è un rapporto tra segni e significazioni[73]. La materia linguistica che presuppone la capacità dell’essere umano di agire secondo schemi e funzioni continuamente accessibili, è indipendente dalle epoche storiche. La conservazione delle tradizioni non è che una dipendenza stretta con quello che è maggiormente in relazione tra i rapporti glossematici, della lingua, come tratto di giunzione tra forma naturale e gerarchie funzionali della significazione.

1.2.0. La strutturabilità dei sensi e l’indeterminatezza


Come evidenzia Garroni il principio di indeterminatezza è un rapporto semiotico di tipo non biunivoco che abbiamo visto come una proprietà dei linguaggi matematici, di quella matematica che si basa sulla geometria euclidea e che, in qualche modo, influenzò gli studi hjelmsleviani[74]. Un principio basilare della linguistica saussuriana è quello dell’arbitrarietà che si trova non soltanto nel linguaggio verbale ma in una certa porzione di universo semiotico e, come afferma il linguista danese, non in un universale semantico, ma in una forma limitata di significazione. Parlare di sensibilità percettiva o di sensibilità estetica non significa quindi abbandonare la logica del senso comune, di quella passività che l’uomo come segno gestisce come individualità. Tuttavia la nozione di vaghezza deve ricoprire uno spazio noumenico maggiormente esteso di quella sensibilità percettiva che si esplica nella fenomenologia.
L’aprioricità o l’essere a priori della forma segnica non ha quindi a che fare con quella deduzione che si impone sia alla glossematica come scienza che alla forma come modo di realizzazione in cenemi e pleremi, in morfemi e in sillabe, fino alle parole e alla categoriazzazione dei casi. In effetti, l’esperienza non è uno dei movimenti essenziali neanche se ci si pone dal punto di vista del primo Hjelmslev, quello che nei Principi di grammatica generale parla di via induttiva come strada maestra dell’indagine sulle logiche della lingua. L’indagine induttiva prende le mosse da una discrepanza nella grammatica che segue la sincronia come metodo di analisi, senza considerare i caratteri pancronici che fanno della diacronia la giustificazione dei movimenti temporali della forma grammaticale: nella sostanzialità della nozione di indeterminatezza entra in gioco il paramentro dell’ambiguità. Considerare l’indeterminatezza come una specie particolare del genere ambiguità permette di dare anche alla vaghezza non più un valore di universale reperibile in qualsiasi luogo semiotico, ma di considerare un’altra specificazione dell’ambiguità generale e determinata. Si tratta dell’indeterminatezza delle lingue e non del linguaggio che, essendo un universale, si formula come un meccanismo ambiguo di determinazione della significazione.
Se pensiamo di poter realizzare una sorta di definibilità dell’operazione che la struttura linguistica nel suo rinnovarsi compie sulla figurabilità della logica della scrittura, come forma di semiotizzazione del senso, la teoria della gerarchia assimila alcune determinazioni dal funzionalismo. Si ha indeterminatezza non soltanto nella lingua poetica come simbolo di una sostanziale plurivocità dei piani del linguaggio, ma anche superando la duplicità della forma segnica saussuriana di una doppia faccia del segno. In effetti, si può parlare, soltanto in questi termini, di un’operazione artistica che fa della lingua una figura simbolica particolare, l’unica capace di rendere la sua azione onniformativa. Soltanto un punto di vista che sia pancronico può rendere alla nozione di schema un valore formale che sia rapportabile alla simbologia della logica.

1.2.1. La struttura della logica poetica


La tendenza simbolica di una standardizzazione delle funzioni vede con Jakobson il perdurare delle categorie generativiste: come se la lingua avesse in sé, naturalmente, la capacità di selezione e di completezza dei significati[75]. La peculiarità della funzione poetica consiste in un radicale ribaltamento della forma linguistica nelle sue funzioni di apertura del canale comunicativo e di informatizzazione, proiettando il principio di equivalenza semantica dall’asse della selezione all’asse della combinazione. La rection, affondando le funzioni nella ricomposizione delle strutture logiche, è la funzione omogeneizzante della lingua.

«In un senso nuovo pare dunque utile e necessario stabilire un punto di vista comune per molte discipline diverse, dallo studio della letteratura, dell’arte, della musica e della storia in generale, fino alla logistica e alla matematica […][76]

Possiamo domandarci come si delineano nelle forme poetiche la ripetizione e l’iterabilità nei caratteri e negli schemi dei rapporti sintagmatici e associativi. Insieme a tale questione si mette in gioco la selezione e la combinazione che si rendono manifesti nelle realizzazioni della lingua. In cosa caratterizzano la sostanza e la forma della materia segnica della poesia? Per arrivare a una delineazione dei materiali utili alla formazione sistematica di logiche poetiche attraverso la diacronia e a favore della visione pancronica della linguisticità, il lavoro della poesia è di formare ambiti che decontestualizzino la gerarchia ordinaria del senso comune. Contemporaneamente, la funzione sociale della forma linguistica inespressa e taciuta dalla versificazione compatta e diagrammatica delle forme poetiche deve trovare una via d’uscita dalla logica formale ordinaria per arrivare a realizzare forme associative nuove e insite nella fonematicità degli scambi comunicativi istintivi dei parlanti. Si tratta di una necessità non solo a priori, come evidenzia Hjelmslev, ma anche durevole nelle logiche formali. A tal riguardo pensiamo a quanto di inespresso esiste nella forma adattiva delle immagini figurali che nella poesia agiscono come personaggi storici azionati dalla macchina del linguaggio. Per analizzare il modo di delineazione delle forme del linguaggio ordinario gli schemi formali diventano modificabili dall’individuo, anche se non si tratta di una poesia di per sé e della sua struttura.
Possiamo pensare all’azione del personaggio come a un insieme di simboli considerati come schemi. Nella terminologia hjelmsleviana lo schema semiotico è l’insieme delle funzioni intrinseche nella forma di ciascun piano, ovvero come una forma pura, definita indipendentemente dalla sua realizzazione sociale. Esso può essere di due tipi: uno è quello manifestato e l’altro è quello latente. Per il fatto che la forma stessa sarebbe inattingibile senza la manifestazione dello schema, l’uso e la norma presuppongono il funzionamento.

«Un dato schema linguistico ha la sua esistenza teoretica nella sua posizione, definita funzionalmente, all’interno della catena dei tipi di lingue come possibilità realizzabile sempre presente. Il fatto che una lingua veda la luce significa perciò che uno schema linguistico comincia a essere manifestato; il fatto che una lingua muoia significa che uno schema linguistico cessa di essere manifestato, cioè diviene latente[77]

Si tratta di uno stato di eternità che lo schema non condivide con la lingua: lo schema in generale e anche lo schema linguistico non è soggetto alle leggi biologiche della nascita e della morte. Il tipo di critica che Saussure compie all’organicismo può essere spiegato proprio nei termini di un’azione degli schemi logico-matematici alla lingua. Dal versante opposto le forme di esplicitazione degli schemi linguistici sono il fulcro della visibilità del significato[78]. Quella logica poetica che Hjelmslev denomina stile, come se fosse una forma del contenuto specificamente simbolica, è una denominazione che potrebbe permettere di teorizzare una noologia del senso legata alla struttura della forma. Alcuni esempi di questo tipo sono dati nelle suddivisioni in forma del contenuto e forma dell’espressione, malgrado la ricerca sulla determinazione del ritmo e del metro non sia direttamente affrontata nella esemplificazione della nozione di schema come parametro di differenziazione delle categorie. Una assenza dei tipi di funzionalità linguistica è indice di alcune caratteristiche dell’espressione che la forma non esprime e che attribuiscono alla rection la generazione della funzione nella frase. Aristotele attraverso l’analisi e la spiegazione della tragedia mostra come lo schema è una figurabilità. Per il fatto che il destinatario dell’opera è parte dell’azione mimetica, il piano della metafora non è racchiuso in uno scrigno puramente intessuto di logica. La forma del discorso è una forma di vita: l’essere un ente nel mondo corrisponde alla simbolicità della tendenza all’eudaimonia, alla fine della regressione all’infanzia, alla dimensione della rappresentazione.

1.2.2. Poesia e funzionalità delle lingue


Per una trattazione delle lingue che facciano della poesia una forma universale di significatività, a prescindere dalla formazione delle lingua letterarie, il potenziale delle relazioni è illimitato. Pensiamo alla virtualità grammaticale delle forme come “sperare” che introducono la funzione del futuro senza coordinare necessariamente la forma che regge il futuro. Questo tipo di rection che va dalla forma alla funzione è uno degli assiomi che regge la glossematica. La virtualità che regge la forma grammaticale, dove per grammatica intediamo compreso il sentimento linguistico che il parlante inscrive nella grammatica, non sempre è completamente cristallizzato in radici, desinenze, prefissi e suffissi. Tuttavia, come afferma Hjelmslev, la nozione di grammatica deve ricoprire anche le nozioni in negativo, non mostrate della forma dell’espressione, ma radicate nell’esperienza del soggetto parlante. Come sostiene Saussure, il divorzio metaforico attuato tra la temporalità priva di soggettività e il dominio del sincronico giunge a un ponte di connettività con la materia formata della lingua soltanto attraverso le forme meno progettate, ancora simboliche, in particolare nel caso delle Leggende germaniche.

«La chronique en elle même est aussi une forme di folk-lore et peut-être la premier à considerer avec la légende. La légende n’est crée que par les adaptations poétiques[79]

L’idea di una cronistoria che sia un valore della lingua permette di ripensare alle nozioni benjaminiane di poesia privata e poesia politica, nell’idea che la semplice descrizione degli eventi che la storia come cronaca mostra sia in realtà un modello letterario[80]. La nozione che ricorre come anticipazione del senso delle leggende è quella di astratto, di astrazione che, come vedremo, rivaluta la tensione dell’apriori, della natura trascendentale del senso logico. Lavorare alla diffusione della lingua è la missione della poesia e la logica che la realizza non è una logica privata, ma che si avvale della privatezza dell’individuo semiologico, nella sua prospettiva agnostica e per così dire, innata. Quello che evidenziano gli studi sulla filosofia della logica poetica è quindi non tanto l’innovazione che la lingua poetica compie, quanto la negazione del nuovo, la privazione della linguisticizzazione spontanea che invece si radica, per ossimoro, nella periodizzazione delle cronache e dei commenti letterari epici.

1.2.3. Livelli di sistematicità tra struttura, schemi e funzioni


La tripartizione in forma, materia e espressione che Hjelmslev compie per spiegare come si sviluppa la struttura linguistica permette di selezionare le caratteristiche di ciascun linguaggio o di ciascuna lingua usata. Per introdurre la correlazione con il corpo del linguaggio il linguista utilizza una periodizzazione della razionalità linguistica, nel senso in cui guarda alla materia segnata come a una sostanza che il soggetto parlante può collaborare a gerarchizzare. Abbiamo visto come la forma stessa sia una funzione e i motivi che spingono alla schematizzazione dell’azione attraverso i diagrammi. Fin dai Principi di grammatica generale c’è una radicale entelechia del senso lingustico: il tentativo di formulare negli assi cartesiani il movimento di un mutamento linguistico prende in considerazione la spesso conclamata avversione alla matematica e riforma il piano linguistico come un piano di idee non definite, ma al contrario sostitutive di una semplicistica formula da mantenere come eterna nei principi della lingua. Il rapporto quindi non è semplicemente di avversione o di rinuncia alla matematizzazione del senso linguistico, ma è ben più complesso e raffinato.

«Pur mostrando infatti una tendenza netta a liberarsi di nozioni che, per certi aspetti, hanno reso il suo lavoro non immune da contraddizioni, Hjelmslev riuscirà ad andare oltre tali barriere teoriche solo qualche anno più tardi[81]

Come una sorta di resistenza che l’uomo-segno fa al senso poetico, una resistenza naturale alla nuova generazione della lingua, per poter essere in grado di parlare una lingua la città della metarappresentazione diventa una città di circoli semiotici, di circonferenze segniche che non hanno bisogno del limite. Non solo in virtù della sintagmaticità della funzione emotiva della lingua, quella che connette le estensioni della significazione, ma soprattutto in relazione alla straordinaria contiguità dei cambiamenti che i campi semiotici attuano sempre come lingue speciali, con il cosiddetto linguaggio scientifico. Possiamo affermare che la logica della poesia rimuove i malanni linguistici, le formazioni in potenza che non hanno ancora una motivazione nel campo del simbolo.

«Si può dire che l’opera poetica sia un possente condensatore delle valutazioni sociali non espresse: ciascuna sua parola ne è impregnata[82]

Per il fatto che non si tratta di un’indicalità del segno, ma di una funzione iconica o metaforica, la modularità dell’azione libera e arbitraria delle logiche poetiche diventa una nozione tecnica nel lavoro del linguista. Il focus dell’esperienza della forma grammaticale della poesia o ancora meglio dell’opera poetica è l’implicito, il non esperito. Le due variabili, ossia quella di un’implicita intensione delle forme linguistiche e la forma esperienziale, trovano ambivalenze, nei termini saussuriani, nell’essenza doppia del linguaggio.

1.3. L’autonomia e la storicità della poesia


Mentre Whitney con il convenzionalismo si oppone vivamente all’idea di una connessione tra parola e idea, Jespersen parla di una vera e propria costante mentale dell’abitudine alla parola. Si tratta di una simbolicità che non ricalca altre forme di normatività. La comprensione della lingua è in realtà una caratteristica naturale: ciascun parlante è condizionato dalla cultura di appartenenza che diventa il suo abito normativo. Quelli che Hjelmslev chiama semantemi sono una riformulazione della teoria jesperseniana di stampo linguistico; non soltanto il rapporto uno a uno, binario, tra idea e parola, che non avrebbe possibilità di realizzazione nell’uso, ma un’approssimazione o, in altre parole, una vaghezza che permane nell’attribuzione della semantica alle forme comunicative verbali.
L’idea di arbitrarietà che di fatto viene alla luce nella pratica linguistica non è il risultato di una sospensione di giudizio rispetto alla logica che permea il linguaggio e la lingua poetica. Le categorie sono, in tal senso, il luogo privilegiato di azione dell’arbitrarietà. Quelle che sono state studiate come forme preesistenti di regolarità della lingua sono anche intrise di mutamenti e di possibilità di decifrazione che nelle lingue classiche sono spesso contrastanti. La mutabilità permette di scoprire il funzionamento delle dimensioni del sistema casuale delle lingue. Il valore dell’orientamento esistente tra il sistema sublogico, il sistema prelogico e il sistema logico è quello di una proiezione delle regole nelle configurazioni estensionali che si trovano nella lingua. Il significato dei casi è la relazione tra il sistema di opposizioni logico-matematiche che è un fatto del linguaggio e il sistema di opposizioni partecipative che è l’insieme delle relazioni immediate del linguaggio, primo canale di approdo allo studio dei principi che lo governano. La relazione intima che permette la coerenza tra l’avvicinamento, il riposo e l’allontanamento dei casi mostra, secondo Hjelmslev, il sistema che opera a livello temporale. Tale evidenza si configura nella pratica articolatoria, nella lingua parlata, essendo in realtà una formazione del sistema sublogico.
La caratteristica principale del sistema sublogico è il fatto che è mosso dalla spazialità e si fonda sui dati astratti della sostanza della significazione. Quella che sembrerebbe una disciplina legata alla singolarità della lingua è invece nella visione hjelmsleviana una capacità duratura e stabile della significazione. L’idea che quello che si compie sulla sostanza sia una forma di calcolo richiama la possibilità di ricondurre a schemi ricostruibili attraverso lo studio delle lingue. La differenza che ricalca una visione idealistica della significazione, basata sulla relazione esistente tra il contenuto della parola e l’estensione riporta a poter approfondire attraverso le categorie, riconosciute fin dalle lingue classiche, le nozioni che si appigliano alla lingua come a strumento del pensiero. Hjelmslev, non potendosi richiamare a una sostanza specificamente psicologica della parola, si richiama alla configurazione estensionale, delle forme in atto della lingua.
Nella terminologia hjelmsleviana la parola è l’esecuzione della lingua da parte dell’individuo[83]. Il legame con la collettività non è quindi determinante nella capacità individuale, mentre è tale nella concezione saussuriana. Questo scarto relativo alla possibilità di riconoscere una capacità sostanzialmente funzionale alla necessità dell’individuo è tale, anche nella visione hjelmsleviana, soltanto se legato all’uso: la socialità non è un corollario della sostanzialità della lingua come sistema.
Come è stato concepito da Saussure il vero oggetto della linguistica è il sistema che è normativo. Un esempio che apporta Hjelmslev, sulla stessa linea, è il sistema dei casi del latino. La diminuizione della capacità di mettere in pratica attraverso la forma linguistica caratteristiche comuni ai sistemi di segni con i segni strettamente legati a categorie linguistiche delle lingue antiche, rispetto a quelle in uso, è concepibile solo osservandone la sostanzialità a distanza di tempo. Dire che una lingua è antica non impedisce di riscontrare in essa caratteristiche non ancora esplorate.

«Il latino è un sistema di regole fisse e rigide, che lasciano ben poco spazio alle improvvisazioni individuali. Ma il sistema del latino non è né semplice né chiaramente fissato. Esso presenta una complessità quasi inaudita[84]

La localizzazione della lingua non è altro che una relazione che può essere rilevata nei termini della citazione di una struttura categoriale. Mentre la grammatica, in senso classico, determinava il funzionamento della lingua e delle diverse lingue, nella proposta hjelmsleviana non ci sono dati estrinsecabili senza il comune accordo dell’arbitrarietà. Saussure evidenzia che le leggi del linguaggio non sono legate alla natura in sé ma al modo di vedere l’oggetto nel presente. Come accade in musica, esiste un arrangiamento, un ordine delle cose esistenti. Tale ordine non è che il sintomo di una coesistenza che non può essere separata dal fenomeno della parola. In tal senso le determinazioni nette nella parola non riguardano la lingua poetica, almeno dal punto di vista della capacità umana di creare campi d’azione della prassi comunicativa.

1.3.0. L’istintualità del linguaggio come imprinting della logica poetica


Il presente come fonte inesauribile di nozioni del passato e della formazione della lingua è in qualche modo astratto. Una forma di astrazione è quella che si delinea con il versante psichico della lingua. Nella visione di Hjelmslev la psiche è una strutturazione semiologica. Un esempio è l’intersezione con le strutture semiotiche che nelle varianti individuali, come in quella che è chiamata pronuncia di una parola, permette di evidenziare caratteristiche nuove che si condensino in norme.
La fenomenologia possibile che trattiene la sistematicità nella formazione delle costanti linguistiche non è quindi soltanto una dimensione alternativa alla chiave di lettura del dominio linguistico. L’elemento costante è il contenuto: nella determinazione delle variabili i morfemi diventano, all’aumentare della determinazione, semantemi. Recuperando i dati che avevano le premesse in quelle che si definiscono sintagmi e paradigmi, Hjelmslev introduce, sul versante del contenuto, il concetto di grammatema. Esso indica una classe: l’unità minima di contenuto che in base al suo livello di determinazione è da considerare variabile o visto come costante. Si tratta di un progetto auspicato da Saussure e sintomatico di una spiegazione, possibile anche al di là di una psicologia della lingua.

«Così c’è da una parte una parola (entità fisica), dall’altra la sua significazione (entità psichica). C’è nella lingua un lato fisico e un lato psichico. Questa verità di senso comune ha un senso che deve essere del tutto precisato per chi vuole studiare la lingua: si tratta di sapere quali sono le cose da raccogliere nel dominio fisico e quali sono le cose da raccogliere nel dominio psichico[85]

Si tratta di ripercorrere le tassonomie hjelmsleviane nel ruolo che spetta a una direzione del senso e non a strutture vuote da riempire con elementi di una fattezza diversa. La grammatica è quindi mirata a rendere conto delle relazioni particolari, anche senza considerare soltanto la semantica come chiave di volta della composizione linguistica. Un esempio è la determinazione dei glossemi: entità costituite da elementi che formano contenuti e elementi che formano espressioni, rispettivamente plerematemi e cenematemi. I glossemi che si definiscono sulla base della sintagmaticità e della paradigmicità sono determinati dalle loro funzioni. Le definizioni cambiano in base al piano preponderante, ovvero se sono interne allo stesso piano dell’espressione oppure al piano del contenuto. L’insieme funzionale è una sorta di unicità relazionale, data la forma istintuale nel dominio e nella selezione che avviene nella frase.

«Il rapporto riscontrabile tra la forma e la sostanza è anch’esso una funzione (detta manifestazione) che presenta a sua volta un’analogia tra i due piani. Alle funzioni omoplane è necessario aggiungere la funzione eteroplana che intercorre tra le unità dei due piani e serve a costituire il segno linguistico in quanto tale[86]

Cercando di annullare l’opposizione tra fonologia e morfologia, la presenza dei piani del discorso permette di capire come, dal punto di vista di Hjelmslev, significato e significante possono essere intervalli di significazione dello stesso tipo. Per il fatto che non può esserci assoluta indipendenza tra il piano dell’espressione e il piano del contenuto, in realtà non c’è alcuna divergenza tra i due. Si tratta di una omogeneità che si ripercuote sull’intera considerazione data alla materia linguistica e tocca la funzione dei termini.

1.3.1. Distanza e prospettive figurali nella logica della poesia


La possibilità di una logica della poesia che sia descritta dalle regole della logica grammaticale non è quindi lontana dalla visione hjelmsleviana della lingua in generale. Fino a che punto le ormai conosciute costanti della lingua parlata sono legate alla fissità della grammatica è il punto essenziale della ricerca che prende piede fin dai Principi di grammatica generale. La connessione necessaria tra il pensiero linguistico e l’azione connotativa è quindi sintomo di una piena coscienza, da parte del parlante, della forma strutturabile. Nella dialettica che riaccorda la dimensione creativa a quella funzionale, il pensiero linguistico riannoda le forme di conoscenza alla componente sensibile, associativa, della grammatica.

«L’ordine degli elementi, però, non è l’unico tratto formale che ci possa fornire il criterio secondo cui una data serie costituisce un insieme dal punto di vista della subordinazione; ve ne sono degli altri. Bisogna cercare i tratti morfologici che sono generalmente usati per indicare un rapporto particolarmente stretto tra certi termini di un’unica e medesima serie. L’esistenza di tali tratti è ben nota. Sono questi i tratti che ordinariamente si designano con il termine rection[87].»

Pensare a come abbia luogo la composizione dei tratti è il compito della glossematica. Il modo di formazione del fenomeno linguistico lascia all’immagine vocale, uditiva un posto specifico. In tal senso, alcuni momenti di recupero dei fonemi dalla catena linguistica, al fine di accellerare la funzione di ricomposizione delle morfologie potenzialmente in uso nella crescita del linguaggio sono affrontabili come contenuti categoriali. La complessità dell’immagine verbale non è indipendente dalla convenzionalità linguistica. I due elementi primari di tale complessità sono riassunti nei termini di forma e di funzione grammaticale.

«Per funzione grammaticale intendiamo:
1° la facoltà di combinarsi esclusivamente con certi morfemi dati, e
2° la facoltà di combinarsi con altri semantemi esclusivamente per mezzo di certi morfemi dati[88]

Circondando le categorie con elementi tangibili, Hjelmslev presuppone la necessità di un’idiosincronia indipendente dalla tradizione linguistica. L’elemento del dato è inizialmente un rapporto inscindibile tra il campo psicologico e quello logico, tra stati costituiti dalla materialità linguistica proiettata sulla sistematicità categoriale. Affrontare concretamente la natura doppia del linguaggio significa pensare all’evoluzione come a un riconoscimento modulare della formula grammaticale. In realtà il sistema della lingua agisce come un meccanismo che non ha un esterno da rapportare a un interno. La motivazione che tiene testa alla convenzionalità è quella di valore. Unico dato concreto, il valore, è un assoluto linguistico, tale da essere riconosciuto dal linguista nella stessa realtà logica del parlante.

1.3.2. Categorie e complessità dell’immagine verbale


La possibilità di parlare di resti fluttuanti tra le macerie della storia della lingua mostra come, dal punto di vista diacronico, sono consolidate alcune forme distruttive della catena linguistica. Non è possibile intensificare le distinzioni tra gli elementi grammaticali e il linguaggio che si sviluppa in forme occasionali. L’affezione linguistica che permette al parlante di sentire le regole che si sviluppano anche nei momenti di creazione di neologismi, per esempio, o di figure retoriche poco usuali, ricade nella psicologia comportamentista, in cui l’ideale è parte del sistema reale.
Quando si pensa a una realtà cognitiva della lingua dal punto di vista della misura normativa, le particolarità individuali non sono esterne alla parole, bensì alla lingua come sistema. Tuttavia, la norma non è opposta al contenuto. Nella manifestazione delle irregolarità sintomatiche di stati normativi di lingue, le deviazioni diventano proiezioni di un contratto sociale potenziale. Gli allievi di Saussure e in particolare Sechehaye sono stati spesso sostenitori di una specificazione delle regole linguistiche extragrammaticali, mentre la grammatica dei Greci era una teoria aprioristica, definendo le categorie in base ai significati[89]. L’intento di definire le funzioni è invece legato alla determinazione delle parti del discorso, non soltanto dal punto di vista semantico, spesso fugace.

«Il punto di vista sincronico è una realtà psicologica, mentre la diacronia è solo un’astrazione che, quando considera fatti preistorici, risulta anche di ordine ipotetico[90]

La possibilità di costruire ipotesi sulla lingua nella storia del suo sviluppo appartiene all’ordine dei dati che possono essere utili al confronto tra le epoche linguistiche diverse. Tuttavia, la relatività del metodo comparativo per la costituzione delle caratteristiche comuni a forma e contenuto nei segni linguistici è tale da poter essere abbandonata nell’effettivo uso delle regole e nello stabilire la natura di tali rapporti. Quando nella parola affiora l’istante della significazione, data la possibilità di essere una fonte di costruzione dei significati, l’unità di immagine materiale e di fenomeno naturale trova la dimensione normativa nella differenza tra i termini a essa vicini.

«Così non solamente non ci saranno termini positivi ma delle differenze ma, in secondo luogo, queste differenze risultano da una combinazione della forma e del senso percepito[91]

Oltre alla composizione delle forme della lingua Saussure riconosce la necessità di richiamare alla presenza del parlante la percezione sensibile, anche se non approda alla similitudine tra percezione diretta del mondo esperito e percezione del senso delle parole. Il segno come fatto di coscienza è un’entità semplice che tuttavia attiene a domini differenti. Poter agire con una forma che abbia sia caratteri naturali sia caratteri psicologici è il vantaggio di un’oggettività che è specifica del punto di vista linguistico.
Un fenomeno che percepiamo come parte del mondo materiale non è mai separato da un senso. Tale realtà che la sostanza linguistica condivide con le realtà del mondo fisico non è, tuttavia, quella che fa di un segno una realtà legata a un’idea. Il tentativo di Hjelmslev è quello di ricondurre le realtà della lingua a rapporti simili a quelli che relazionano le entità naturali a categorie semiologiche. Generi e specie, per esempio, sono due livelli funzionali che possono distribuire le stesse sostanze in domini diversi.

1.3.3. Il corpo del linguaggio come figura


Nella linguistica hjelmsleviana la tipologia di relazione esistente tra le forme del pensiero e l’azione linguistica è legata all’accessibilità oggettiva. La realtà è sempre collettiva, tale da poter essere ricondotta a casi tipici. Pensare alla lingua come a un fenomeno di natura vocale, dal punto di vista saussuriano, porterebbe a una riduzione della lingua a realtà non valutabili oggettivamente. D’altro canto, l’analisi di uno stato di lingua in sé non assicurerebbe alle categorie la realtà simbolica che le caratterizza.

«Si è visto che la forma e le categorie sono indipendenti da ciò che in uno stato di lingua è convenzionale. Non sono i fonemi dunque a costituire le categorie grammaticali ma, al contrario, la costruzione stessa[92]

Pensare alle categorie come a figure del linguaggio permette di riconsiderare le nozioni di grammatica e di contenuto. Hjelmslev fin dai Principi di grammatica generale delimita la lingua come modello di figurabilità della grammatica, senza escludere la costruzione matematica come una realtà prospettica. Nella connessione tra i livelli del linguaggio che permettono di sostituire alla divisione tra contenuto e forma una gerarchia strutturata, la funzione linguistica perde la semplicità propria della referenzialità e assume una complessità riconducibile a schemi figurali, parte rilevante della significazione.
Nella nozione di rection come direzione del senso linguistico si formula una possibilità della distinzione tra funzione e forma che non abolisce la possibilità del rimodellamento di una distinzione tra segno linguistico e segno logico. L’idea di una formazione legata al corpo della lingua e non a una pura astrazione, benché lontana da una definizione assoluta, genera una riformulazione della possibilità di approdare alla fonte del materiale della lingua come organismo. La struttura diventa una funzione costituita da nuclei approssimativi da ritagliare attraverso le funzioni e le categorie specificate nella glossematica. Diventa possibile realizzare una vera e propria scienza del linguaggio caratterizzata da una serie di schemi da sviluppare per approdare alle linee di confine essenziali dei lavori precedenti al linguista danese. In tale prospettiva sarebbe possibile definire una zona di azione specifica in cui la lingua non è soltanto un sistema astratto di regole ma una categoria funzionale riconoscibile rispetto alle altre forme del pensiero.



2. Poesia e verità storica


La deduttività caratteristica dell’analisi linguistico-funzionale non esclude la determinazione di semiotiche che possono essere arginate e quindi distinte dalla forma linguistica. Il fine della glossematica è quello di riconoscere e ritagliare semiotiche e di farlo attraverso operazioni che non sono tassonomie preesistenti, benché siano schemi che riconducono classi a relazioni. L’esistenza di una differenza tra il piano dell’espressione e il piano del contenuto, tale che non vi sia una corrispondenza biunivoca tra gli elementi dell’uno e gli elementi dell’altro, non esclude la determinazione delle unità. In tal senso è descrivibile non soltanto l’unità linguistica che si dà diacronicamente, nel sistema, ma è possibile ricostruire il tempo delle lingue come storicità data dall’uso tra i parlanti. Nel Résumé è esplicitata l’interazione tra le relazioni alla base della teoria del linguaggio e i principi che permettono di ricondurre uno stile, una parte del discorso, alle categorie logiche della glossematica. In particolare, a essere considerati rilevanti sono i tre principi: il primo è quello empirico, il secondo è di semplicità e di economia, di riduzione e il terzo è il principio di generalizzazione. Il punto importante da notare è che la possibilità di una definizione vera e propria, quasi assiomatica, nella glossematica prevede la presenza del fattore di indefinibilità. A essere considerata indefinibile è la procedura attraverso la quale si compie la descrizione delle unità discorsive. Il criterio che assume il valore maggiore, dopo aver soddisfatto la descrizione esauriente, è quello della semplicità.
Quello che emerge dalle analisi delle componenti, universali e generali, è il fattore di dipendenza tra le parti del discorso che sono oggetti esaminati. Gli oggetti, nei termini hjelmsleviani, sono distinguibili in due gruppi: semiotiche e non-semiotiche. Tutto ciò che è classificabile come una semiotica può essere suddiviso in semiotiche denotative e non denotative. Sono semiotiche denotative le lingue e i testi ma, attraverso l’analisi, possono emergere alcune semiotiche che non sono lingue e testi. A essere ulteriormente assorbite dal sistema delle semiotiche non denotative sono le semiotiche connotative e le metasemiotiche. Quest’ultimo gruppo di oggetti è suddivisibile in semiotiche metascientifiche e in semiologie: sono parte della semiotica metascientifica le metasemiologie interne e esterne e alcune semiotiche metascientifiche che non sono metasemiologie. Come preannunciato nei Fondamenti di una teoria del linguaggio, anche le semiologie sono suddivisibili in interne e esterne[93]. Le operazioni sono quindi applicazioni di schemi non strettamente matematici, bensì di strutture in grado di funzionare come disambiguazioni.
In questo processo di individuazione delle categorie si possono costituire rapporti sintagmatici e associativi di dipendenze e di relazioni capaci di essere distribuite e ridistribuite al fine di definire le unità nuove all’interno delle diverse varietà del discorso. Il fine ultimo di tali operazioni è quello di arrivare a una mappa delle categorie in modo da individuare le specie che possono essere ulteriormente combinate fino a giungere alle semplici, ossia costitutive e flessive. Come in una tassonomia relativa alla realtà naturale, Hjelmslev sostituisce ai termini grammaticali classici la sua nozione di morfologia. La storicità delle unità linguistiche è costituita da specie, specie semplici e sottospecie, sulla base delle variazioni. Un esempio è quello delle variazioni di direzione e di flessione che costituiscono le specie flessive semplici. Con un’organizzazione molto vicina alla terminologia delle scienze empiriche, quasi a riproporre il positivismo carnapiano nelle regole e nelle norme linguistiche, la sistematicità dei diversi tipi è racchiusa in categorie tassematiche. A essere prese in considerazione, come nel caso delle composizioni chimiche, sono le variazioni nella composizione delle parti del discorso. Un esempio hjelmsleviano è quello dei diversi modi di dire “non so” in cinque lingue diverse, tali da andare a coprire non solo significati eterolinguistici, ma semiotiche diverse che possono andare a colpire la variazione flessiva e quella degli accenti, anche nello stesso sintagma presente in lingue diverse.
Le caratteristiche principali della tassonomia riguardano le definizioni, riunite in un complesso tale da riunire il piano del contenuto con il piano dell’espressione[94]. Rispetto alle grammatiche classiche nella glossematica è possibile distinguere nella sostanza fonetica dell’espressione non le vocali ma gli accenti, anche se a essere analizzati sono quelli che nella tradizione sono chiamati vocoidi delle lingue. Una volta attuata la ridistribuzione nella semiotica considerata, si costituiscono gli ordini, ovvero le categorie tassemiche più piccole, definibili sulla base di coesioni cellulari. Il lavoro compiuto è attuato sulla base di matrici che si compongono nell’analisi in dimensioni o glossemi primari. Le unità alle quali si arriva attraverso la glossematica, di identità e di differenza, permettono di mettere in atto i processi semiotici descritti attraverso le definizioni. Emerge una netta riluttanza nei confronti di una nozione essenzialistica della sostanza linguistica. Il concetto stesso di logica è rimesso in discussione e affrontato non più come una forma di datità, di essenza, quanto piuttosto nei termini di funzione, di operatività che permetta di giungere alle regole e ai principi per poter ripartire da questi nell’affrontare le definizioni.
Nella visione hjelmsleviana la natura linguistica riconduce alla forma come funzione e non come riferimento puro. Per il fatto che a essere abbandonato è lo schema causale che reggeva la visione aristotelica di una lingua in generale e una lingua poetica, frutto della natura e quindi potenzialmente riconducibile alla pura essenza dell’animale umano, la logica stessa che sottende alla natura linguistica è un complesso di schemi, sempre in divenire.

«La descrizione si compie attraverso una procedura. La procedura deve essere ordinata in modo tale che il risultato sia il più semplice possibile e deve essere interrotta se non porta a ulteriore semplificazione[95]

Nella descrizione propria della glossematica ci sono raffigurazioni che permettono di specificare le dimensioni delle unità e i loro tratti relazionali con le altre parti del discorso. Come un’empiria radicata nell’uso linguistico la nozione di direzione che era rection nelle categorie dei casi delle lingue classiche, diventa una funzione che agisce sull’intero apparato sistemico. Ciascun rapporto tra espressione e contenuto in tal senso ricopre un punto nella mappatura della semiotica che si sta considerando. Giunti a tale grado di specificazione le funzioni linguistiche diventano performative, assumibili come azioni creative, riassemblabili come specie semplici. Le modalità attraverso le quali agisce il movimento di assemblaggio, tale da essere ripetibile nella catena linguistica, sono strutturate nel sistema di regole rilevate nella glossematica.

2.1.0. Veridicità e verisimiglianza del riferimento nella lingua poetica


Diversamente dalle attività performative, dalla praxi, la poiesi è un rapporto verisimile della realtà, lo è nella sua stessa sostanza, sia dell’espressione che del contenuto. La copresenza su entrambi i piani, quello dell’espressione e quello del contenuto, di una funzione formativa, risulta funzionale e addirittura onniformativa, permettendo di gerarchizzare le specie, dalle semplici alle complesse. Come una composizione musicale richiede che il testo sia al servizio delle norme del suono, come se il suono stesso fosse lo strumento della natura propria dei modelli musicali, la logica che fa delle lingue naturali un virtuosismo della socialità è di natura poliformica. Un esempio è quello dei suoni primordiali della natura: ci sono suoni che non siamo in grado di percepire ma ne siamo influenzati indirettamente. Pensare alle componenti universali del suono rispetto alle classi che ne costituiscono il procedimento di riorganizzazione delle forme permette di concepire l’oggetto e la natura della descrizioni delle singole parti.
Affermare che la forma naturale delle lingue sia pluriprospettica permette di riaccordare la filosofia del segno di stampo saussuriano alla logica del funzionalismo di Hjelmslev. Come per la forma linguistica del concetto, anche per la forma linguistica del suono è possibile riformulare le definzioni. Esse sono ontologicamente legate al problema della realtà della sinossi esistente tra natura e forma.

«Non potrebbe la forma dell’espressione linguistica dare la propria impronta anche a una materia diversa da quella fonetica? La risposta è ovvia: deve essere possibile calare nella stessa forma una materia diversa da quella fonetica. Non è vero che i suoni articolati siano l’unica materia possibile dell’espressione linguistica[96]

Il linguaggio poetico è un linguaggio che ha a che fare con la storia ma che interpreta la disambiguazione del contenuto attraverso il discorso indiretto. Ci sono, nella visione hjelmsleviana, due modi di analizzare il sistema linguistico: uno riguarda la capacità della parola di essere il mezzo espressivo e l’altro induce alla veridicità della sostanza del contenuto, anche rispetto alla fonetica, distinguendo quest’ultima dalla fonologia. Tale rivoluzione nella grammatica che assolve la forma dalla pura superficie espressiva, è un richiamo alla natura non essenziale del suono, affondando le radici della logica nella funzione definitoria delle regole della glossematica.

«L’analisi è la descrizione di un oggetto in base alla dipendenza uniforme di altri oggetti da esso e l’uno dall’altro[97]

Il legame tra la grammatica e la glossematica è un legame logico. Il rapporto tra gli elementi grammaticali e gli elementi propri del discorso o glossemi è reale e vive nelle relazioni tra la forma e il contenuto, nelle modalità definite dal Resumé. A partire dalle categorie, ossia dalle regole di articolazione obbligata, attraverso la mappa di definizioni compiuta nella glossematica, è possibile riconoscere nuove categorie, fino a ridistribuirle nelle definibilità di altre specie. Tali specie sono quattro: costitutive, temative, direttive e flessive. Le prime due sono capaci di far nascere le specie semplici, definite costitutive; la seconda coppia di specie può far ridistribuire sui piani del discorso le specie flessive semplici. Nel comporre tali ridistribuzioni le dimensioni logiche diventano piani del discorso.
A riallacciare alla forma il contenuto sono quindi gerarchie funzionali, tali da non poter essere riconoscibili se non sono ricondotti ai due piani del discorso, sia dal punto di vista sintagmatico che da quello paradigmatico. Rimarcando la logica della funzione, la glossematica permette di sugellare il matrimonio tra l’ordine del discorso e il piano dell’articolazione. La discussione che emerge aristotelicamente come abbandono della contrapposizione tra praxi e poiesi, tra atto fonico e logica del contenuto, riconduce alla struttura unitaria della funzione linguistica. A permettere la ridistribuzione delle singole specie è l’appartenenza a categorie essenziali della lingua. La glossematica compie il lavoro di risoluzione delle logiche in formulazioni di categorie inespresse ma esperibili, riconducibili a forme dell’espressione e assimilabili alle funzioni del linguaggio.

2.1.1. Immaginazione come forma di conoscenza


Le componenti che permettono di definire le costanti della stratificazione del linguaggio sono di fatto modelli della differenziazione del senso logico. L’oggetto preso in esame è costituito da forme possibilmente immaginabili che costituiscono gli elementi paradigmatici: l’analisi stessa non è unica nel suo mostrarsi, poiché sono sottintense due o più analisi. Le definizioni che descrivono il linguaggio e gli stili sono esse stesse componenti logiche visuali o realizzate nella catena del discorso. In tal senso i derivati delle classi sono funzioni che mettono in atto le condizioni per una analisi.
Le stesse relazioni tra le parti sono schemi che appaiono come impliciti nella forma in uso. Come nei suoni della musica, il linguaggio racchiude elementi primitivi di associazione che non precludono la metamorfosi delle funzionalità. Un esempio pratico per comprendere le forme del discorso nella prospettiva di una logica della lingua che abbia un raccordo con la natura del linguaggio è quello delle musiche primordiali: anche la fattezza degli strumenti è parte di un universo che in principio derivava dalla natura, come nel caso delle pelli usate nei tamburi che producono un suono derivato da una sostanza dell’espressione. L’autonomia del significato che viene sostenuta dagli studi saussuriani non è che una determinazione delle relazioni esistenti tra i sistemi derivati dalle sostanze sul piano dell’espressione e dalla forma che ne deriva come contenuto funzionale, creati dai parlanti come se fossero presenti alla coscienza costellazioni di senso.

«Def 24. Una semiotica (simbolo γ°g°) è una Gerarchia di cui ciascuno dei Componenti è passibile di un’ulteriore Analisi in Classi definite da Relazione reciproca, in modo che ciascuna di queste classi è passibile di un’analisi in Derivati definiti da Mutazione reciproca[98]

La natura logica della sintatticità è tale da essere ricondotta alla grammatica. Effettivamente la grammatica non porta a una definizione astratta dei generi del discorso, bensì alla riformulazione della composizionalità delle logiche che filtrano il discorso. La posizione strutturalista assume, in tal senso, una prospettiva capace di ricomporre le dinamiche che dalla referenzialità della lingua arrivano a descrivere le differenze esistenti tra i generi linguistici. Nella visione hjelmsleviana il concetto di semiotica esclude le non semiotiche, dal momento che è non semiotico il versante inanalizzato delle forme che regolano il significato.
Il dominio della lingua poetica non esclude il formarsi delle variabili di senso della progettualità. I derivati che si escludono vicendevolmente nella riformulazione delle classi semiotiche permettono agli elementi degli insiemi che hanno in comune alcune proprietà di essere funzioni reciproche delle lingue. La questione della denotazione e della connotazione diventa una conseguenza delle dinamiche funzionali che regolano le lingue. Malgrado la dimensione dell’analisi sia incompleta, nella prospettiva di una sintatticità come fonte di significazione, la glossematica assume una dimensione che oltrepassa la struttura singola di ciascun elemento del discorso e arriva a sintetizzare aspetti relazionali delle lingue come segni capaci di conciliare la funzione in uso nel presente delle enunciazioni, con le paradigmaticità proprie della storia della comunità.
Al fine di garantire l’applicabilità della teoria è necessaria la sua applicazione, senza confondere la teoria con un metodo pratico definito. La questione escatologica assume quindi un ruolo di tematizzazione delle parti del discorso che sono capaci di indirizzare la significazione a un sistema di procedure capaci di essere riconosciute dai parlanti, tali da essere strumento di valutazione degli strumenti descrittivi.

«La concezione di L. Hjelmslev dunque si distingue già da quella “tradizionale” per una maggiore astrazione della manifestazione materiale delle entità linguistiche appartenenti al piano dell’espressione[99]

Astrarre diventa, anche sul piano fonematico, malgrado la forte materialità che è senza dubbio oggettiva nella catena dell’espressione, un modo di gestire accenti, intonazioni e sillabazione attraverso le strutture definite dalla glossematica. In tal senso la centralità della struttura richiama la definizione di Bloomfield dello structural set, il nucleo di combinazioni di fonemi isolati e di relazioni riconoscibili tra essi. Gli esponenti e i costituenti in cui sono suddivisi i cenematemi fanno in modo che attraverso la sillabazione si possano costituire metalinguaggi. Un esempio è quello dello slavo che permette di riconsiderare la nozione di sillaba rispetto alle caratteristiche prosodiche e di accentuazione, mirate alla disambiguazione.

2.1.2. Modularità nelle logiche dell’azione poetica


La possibilità, messa in atto dall’astrazione, di suddividere in funzioni che diventino parti necessarie dei set strutturali, formando elementi semplici, va a avvalorare il valore delle logiche intese come categorie, classi che si consolidino in norme. Nella possibilità di circoscrivere un campo d’azione della mimesi radicata nella dimensione sintagmatica del discorso, la lingua è poiesi delle logiche che governano il linguaggio. A essere solidali nella dimensione della logica del senso poetico sono i rapporti tra sostanza dell’espressione e del contenuto. È a tale piano che appartiene la riflessione hjelmsleviana sulla capacità della materia di essere forma che dall’immotivato arriva alla dimensione della lingua. Le non-semiotiche sono quindi l’insieme di tutte quelle possibilità di realizzazione della struttura morfologica: la procedura irreversibile dei cambiamenti implica che l’affinità arbitraria tra forma e sostanza è evoluzione.

«La categoria è un paradigma dotato di una funzione definita, individuata il più delle volte grazie a un fatto di rection[100]

Alla base delle dimensioni logiche che riallacciano la lingua alla natura delle funzioni vi è il discorso che è passibile di un’analisi intesa primariamente come oggettivazione. Il funzionalismo non esclude che i livelli di formazione della materia sul piano dell’espressione siano fatti di rection tali da avallare le relazioni tra funzioni di altri piani. Il dominio della materia linguistica non è evolutivo nello stesso senso in cui si pensa all’evoluzione nella visione organicista. Tale riconfigurazione del percorso di attivazione dei nuovi significati è sintomatica di una serie di ipotesi compiute dal soggetto parlante. Affrontando il problema della scrittura, per esempio, Hjelmslev pone i due piani, dell’espressione e del contenuto, come afferenti ciascuno a forme della sostanza che sono diverse nel presentarsi al soggetto, malgrado siano occorrenze di fonetica e di scrittura, visti usualmente come equivalenti dal punto di vista grammaticale.

«Se fossimo convinti che la forma dell’espressione linguistica non possa essere pensata senza la sostanza sonora, né calata in nessun’altra sostanza diversa da questa, sarebbe impossibile comprendere in che modo l’umanità abbia potuto inventare la scrittura alfabetica. È errato affermare che la scrittura si fonda su un’analisi fonetica[101]

La separazione netta tra il fonico e il grafico è legata alla necessità di far seguire al modo di formazione dei segni l’analisi sulla funzione del sonoro e della forma scritta. Nella fattispecie di un raffronto tra sostanza dell’espressione e del contenuto risulta semplice pensare che il significato non risieda in esse completamente, a discapito della concezione concettuale del senso. La glossa ricopre un insieme di funzioni che si realizzano in base alle relazioni tra i piani che hanno una struttura capace di riassemblarsi. Anche se non si può parlare di un’invenzione pura, priva di radici della funzionalità che fa, in termini hjelmsleviani, di una semiotica una lingua, la scrittura non è il risultato di un’analisi studiata dal parlante, bensì la conclusione di un processo che è principalmente sociale. Le logiche che muovono la complessità del senso hanno un gradiente di formatività che eccede il mondo del non semiotico per comprimersi solo nel divergere delle differenze tra i potenziali funzionalmente ripercorribili con una grammatica. Attraverso la suddivisione in fasi è possibile ricondurre il corso del pensiero a glosse, nella specificità che riguarda le nomologie del senso, come è stato affrontato dal funzionalismo.

2.1.3. Costanti e finalità della scrittura


Per comprendere che la funzione referenziale non corrisponde a quella linguistica l’esempio hjelmsleviano della scrittura mette in campo la nozione di simbolo apportata alla teoria fin dai Principi di grammatica generale. L’atto linguistico non ha a che fare con la struttura ma con una forma specifica di percezione della realtà.

«Grimm afferma: “poiché nessun tipo di poesia prese piede in maniera da fiorire rigogliosamente, non fu possibile seguire sedimentazioni della lingua com’è necessario per l’individuazione di periodi storici con caratteristiche proprie… Gli scrittori di questi periodi intermedi… si lasciano andare con trascuratezza alla mescolanza di comuni dialetti regionali… Rappresentazioni adeguate di simili peculiarità costituirebbero una vera e propria affiliazione per istituzioni e indagini scientifiche”. Per quanto riguarda gli stati attuali, di cui dobbiamo qui trattare, la situazione è la medesima: in alcuni di questi stati si è fissata una correzione, in altri no[102]

A porre un piano di concordanza tra gli aspetti grammaticali e gli aspetti simbolici della forma che si trasforma vi è la possibilità di ricomporre i periodi storici attraverso caratteristiche che, anche se sono proprie di ciascuna epoca, sono riconducibili a piani di alternanza tra forma e sostanza. Tale espansione che in questa prima fase della ricerca Hjelmslev individua come una correzione sulle forme logiche, non esclude le mutazioni che non sono comprese nelle rappresentazioni, formulabili in contesti dialogici di lingue poco diffuse in un territorio. A motivare le forme di analisi linguistica, come quelle proposte nel Resumé, sono i limiti della criticità di ciascuna epoca o di uno stato linguistico, tali da porsi nei termini di un’indifferenza referenziale.
Il modello di indeterminatezza induce alla creatività: un progetto di una differenziazione nella glossematica, dovuta alla normatività esercitata dalla percezione, permea la ricerca nelle zone critiche, zone di senso delle figurazioni interne al pensiero. L’elezione a norma delle forme del discorso permette la canalizzazione attraverso la sensorialità che porta a creare quella discontinuità, incrementata dalla poiesi, tra non semiotiche e semiotiche. Per il fatto che nella temporalità della mediazione che è sistema funzionale dello sviluppo linguistico, l’esempio della scrittura è tale da essere una logica dello sviluppo interno alla dialogicità, la nozione di glossa non richiama soltanto una riformulazione della grammatica ma assimila la lingua a una categoria complessa.

«La realtà del simbolismo, almeno in una certa misura, ci sembra sia stata stabilita; ma è una realtà sincronica, non una realtà diacronica. F. de Saussure, in qualche punto della sua opera, discute della pretesa espressività dei termini francesi fouet e glas, ma aggiunge: “è sufficiente risalire alle loro forme latine per accorgersi che all’origine non hanno alcun carattere onomatopeico… la qualità dei loro suoni attuali, o piuttosto la qualità che a tali suoni si attribuisce, è un risultato accidentale dell’evoluzione fonetica[103]

Nella suddivisione esistente tra la superficie sincronica e quella pancronia della storia il lavoro della storicità è quello di evidenziare risultati discreti. Essendo una forma della cultura, la realtà simbolica è espressione di un’evoluzione: il corredo onomatopeico di assimilazione dei suoni al raggio d’azione della qualità articolatoria è sede di una sostituzione della forma sonora in operazioni comprensibili attraverso il simbolo. La comprensione della funzione composta della sincronia avviene nella ricognizione di suono e delle tipologie di classi nei morfemi. La rappresentazione delle gerarchie funzionali attraverso il simbolismo radicato nelle logiche della scrittura, come uno dei piani della sostanza articolatoria, è compiuta per mezzo di diagrammi logico-funzionali.
A dare senso alla raffigurazione che Hjelmslev compie nella trattazione delle logiche che servono per la realizzazione delle definizioni è una forma che da statica, fotografia di uno stato di lingua, diventa dinamica, nelle corrispondenze funzionali tra le parti considerate rilevanti per una classe di semantemi.

2.2. Interpretazione e stratificazione dei sensi


La lessicologia che si propone di riconsiderare il complesso dei vocaboli in una semantica, riconduce all’autonomia della struttura nella quale è possibile riconoscere le entità. Il linguaggio è l’insieme delle dipendenze interne che regolano il lessico. La commutazione è la funzione decisiva per distinguere e demarcare i fatti linguistici e semiotici. L’olismo che porta alla significazione, ossia al coordinamento tra forma e sostanza sul piano del contenuto, è fondamentale per discernere gli stadi di analisi, altrimenti impossibili da individuare. Per arrivare dalla frase (nexus) ai grammatemi è necessario il lavoro sulla morfologia.

«In opposizione sia ai fonemi (in senso lato; e ai grafemi, ecc.) sia ai morfemi, gli elementi del vocabolario, vocaboli o parole (mots), hanno di particolare il fatto di essere numerosi; un numero addirittura illimitato e incalcolabile per principio[104]

Dal punto di vista del piano del contenuto si rilevano due proprietà: quella dell’asimmetria distributiva che permette di individuare le unità e quella dell’omogeneità semantica, ciascuna legata a effettive forme linguistiche. Il cammino a ritroso che si serve della commutazione per dividere le radici dalle basi lessicali è l’analisi che governa i Fondamenti a una teoria del linguaggio e arriva a dare corpo al Resumé. Per ciò che riguarda la proprietà dell’omogeneità semantica, non esiste una differenza esplicita tra morfemi e semantemi. Lo strato della sostanza, ossia la significazione, è incanalato nel Resumé attraverso i tre principi accennati di semplicità, economia e riduzione. La proprietà asimmetrica distributiva permette invece la suddivisione in morfemi e semantemi o basi lessicali, risultando quindi maggiormente dettagliata rispetto all’altra, laddove è possibile differenziare le funzioni[105]. L’apprezzamento collettivo che si oppone al referenzialismo è il sinonimo dell’arbitrarietà. Le metafore, per esempio, sono qualità di preferenza attribuite dai parlanti.
L’uso dipende in un certo senso da un livello immediato di percezione e di significazione che non riguarda il riferimento a un oggetto del discorso[106]. L’idea di stile o di percezione di un’individualità in un testo permette di guardare alle invarianti come a varietà: anche le costanti sono da considerare come occorrenze del testo.

«L’essor de la logique des prédicats de Frege, tout en représentent un immense progrès par rapport à la logique d’Aristote, a contribué a créer un malentendu dont les épistémologies modern ses ont du mal a se libérer. Il comporte, en effet, le risque de considérer la forme logique comme une “abstraction” de la matière linguistique[107]

L’inventario composto da grandezze, entità con rapporti tra di esse, è costituito da presenza e assenza delle forme semiotiche. Come nella teoria saussuriana, la lingua è una semiotica, e i rapporti sintagmatici e paradigmatici sono contemporaneamente oggetti teorici. Per il fatto che la forma è un percorso e non uno stato, le metasemiotiche sono identiche alle proprie semiotiche-oggetto. In tal senso i simboli sono forme particolari di unità nella catena della significazione. La prima ipotesi in tal senso si trova nel Corso di linguistica generale.

«Let us look first at the symbol of legend. This is considered, mutatis mutandis, very largely in the same way as the linguistic sign of the CGL, i.e. in terms of its capacity for change in time which is the paradoxical and yet inevitable counterpart of its invariability: “the sign is exposed to alteration because it perpretuates itself[108]

Nelle leggende dei Nibelunghi le unità che si condensano diventano parti del sistema simbolico per quelle strutture che sono interpretabili ma non assimilabili al rapporto esistente tra significante e significato. Un esempio è dato dalla perdita della funzione poetica e dall’incipienza della funzione di intenzionalità. La perdita della connessione tra le parti di un racconto e l’assunzione a figura del discorso rende la testualità un luogo di arresto dei principi di semplicità e di economia.

«It is proposed to use the name symbolic systems for such structures as are interpretable (i.e. to which a content-purport may be ordered) but not biplanar (i.e. into which the simplicity principle does not permit us to encatalyze a content-form)[109]

Nella dimensione logica della differenziazione esistente tra il piano del contenuto e il piano della forma emerge la capacità di relazionare gli elementi di ciascun piano attraverso un personaggio considerato come simbolo. A suffragare la sintesi esistente tra la materia e la forma è una sostanziale interpretabilità infinita delle relazioni che fanno delle funzioni il nucleo distintivo della logica simbolica.

2.2.0. La sostanza come schematismo retorico


Come è evidenziato nella Retorica di Aristotele gli schemi logici sono essenzialmente meccanismi concettuali del radicamento delle categorie nel discorso. Tale dimensione della formulazione dei limiti che creano differenza è la colonna portante della funzione retorica. Come emerge nella Poetica il lavoro di formulazione degli schemi è finalizzato a conciliare le logiche del discorso alle semiotiche che creano campi concettuali. Pensare che la norma corrisponda al prodotto della parole, ovvero agli atti del discorso, riporta alla questione della sostanza logica come a un’interazione possibile tra il mondo dei giochi sociali e la realtà sistematica della lingua.

«È un’illusione pensare che i fatti linguistici siano di ordine differente rispetto agli altri fatti del mondo, e che i fatti linguistici siano inferiori agli altri fatti dell’esperienza o che ne siano solo il risultato[110]

Nella Categoria dei casi è messo in campo il desiderio di espressione del parlante: esso è un fatto di grammatica e corrisponde alla parte categoriale che riguarda la scelta del caso[111]. Nella relazione tra il cambiamento della sostanza e il piano dell’espressione e del contenuto il funzionalismo esterna una dimensione di pura potenzialità. Uno dei modi di comprendere le lingue è quello di partire dagli schemi concettuali maggiormente riconoscibili, abbandonando lo strutturalismo. Per il fatto che il timone, la guida della suddivisione funzionale è una conseguenza delle categorie, anch’esse mai date una volta per tutte, il rischio maggiore che ha corso la grammatica tradizionale è quello di cadere nel circolo vizioso espresso dall’indifferenza all’interazione tra i piani. Il valore elimina tale problema fin dai primi momenti di riflessione su uso, schema e forma.

«Il valore, di cui abbiamo discusso in precedenza, non è che la manifestazione di una forma nella sostanza, la manifestazione usuale di una forma (cioè, ripetiamo: di un fatto funzionale)[112]

A differenziare la teoria hjelmsleviana da quella saussuriana è l’introduzione del significato particolare. Tale significato è correlato alle varianti, punti di partenza della definizione delle nuove costanti, create nel riassemblamento dei semantemi e con la costituzione dei valori. Nella suddivisione di Starobinski le unità simboliche sono trattate come distinzioni compiute su attori del racconto, visti come segni inquadrabili in categorie linguistiche[113]. Alla base della conoscenza simbolica esistono quindi categorie funzionali che permettono la simbiosi tra fattori funzionali e varianti, sempre possibili in un campo di valori. Omettendo le strategie che il soggetto parlante compie per evitare le ambiguità proprie della dimensione emozionale, le definizioni permettono di creare un lessico che possa essere di trasposizione della forma generale in costanti di senso.
Il singolo parlante è sempre un soggetto funzionale alla comunicazione linguistica: l’antecedente e il conseguente sono dinamiche sinestetiche. Avvicinandosi alla localizzazione delle tassonomie che regolano le teorie delle catastrofi, il lavoro di ricostruzione funzionale della forma prende le mosse dalla volontà di non costruire celle isolate viste come concetti. Senza precludere alla creatività individuale un ruolo di ridefinizione della relazione tra i fatti linguistici visti come eventi, la teoria hjelmsleviana induce a ripercorrere i momenti di sintesi effettuati attraverso i simboli letterari.

«La forma è costituita dal fatto che queste idee-simbolo sono classificate nella nostra mente entro certe categorie[114]

Nelle leggende dei Nibelunghi analizzate da Saussure, per esempio, il rapporto esistente tra simbolo e letterarietà della natura simbolica, nella trasposizione di storia in leggenda, è caratterizzato dai valori e dalle caratteristiche verosimili nella narrazione. Tale configurazione della ricerca sulla logica del senso letterario, come funzionale al senso storico, permette di formulare il processo di attribuzione dei significati attraverso la modalità del simbolo. Negando la sintomaticità delle idee diventa auspicabile una dimensione del sensibile che non sia ancorata all’imitazione delle forme storiche viste come semplici azioni ricorrenti.

2.2.1. La funzione psicologica delle metafore


Come in un allontanamento della configurazione logica dalla pura comprensione di un dato storico, il fattore di destrutturazione del pensiero logico sul prelogico si ricostituisce nel compiersi del gioco della soggettività. Orlando (1982) sottolinea che la letteratura fa della metafora una relazione con il meccanismo di riconoscimento poetico attraverso il confronto con il regresso del pesniero all’infanzia. Il letterario non è altro che una forma di consapevolezza dell’essere parte di un continuum logico esperito attraverso l’espressione artistica, come nel ricondurre a un piano sublogico il processo di coscienza. Alla dimensione dell’inconscio sostituisce il piano del represso, giocando con il rapporto tra regresso e represso per arrivare a comprendere il lavoro delle letterature sui meccanismi linguistici figurali. L’analisi delle metafore pone in rilievo il percorso di ciascun poeta, scrittore, filosofo attraverso il grado zero del sillogismo e l’abbandono di esso attraverso l’uso poetico. Anche la scienza ha ricorso all’uso metaforico per soppiantare l’ignoranza: la massima, l’estraniamento, l’ironia che dall’uso comune diventa uso scientifico sono tutti mezzi di avvicinamento della retorica alla figuralità. Il meccanismo che lavora nel mito, per esempio, è un lavoro mimetico che agisce nell’opera come contenuto e sullo spettatore, come sintesi che permette di porre la soggettività al centro del testo messo in atto sulla scena. In tal senso, lo spettatore è parte del testo come lo è il protagonista, non solo per la mimesis legata alla scrittura del pathos, che afferra il contenuto del testo per arrivare a che lo fruisce, ma anche come sintesi passiva della vita dell’uomo che è il lettore di tutte le vite possibili messe in scena.

«Sappiamo che parricidio e incesto non esistono, nella tragedia, in forma di desiderio represso; sono, viceversa, forme efficaci d’una repressione – se per tale s’intende una forza estranea, ostile, costrittiva quanto all’epoca può esserlo, rispetto alla volontà umana, l’incomprensibile e inesorabile malignità del mondo divino[115]

La maschera tragica dei personaggi è tale in quanto i fatti che accadono sono privi della forza che invece possiede il fato, il divino. Nella riformulazione del gioco tragico l’apparenza è soppiantata dall’energeia che muove ciascuna azione. Il mito è mosso dai concetti astratti che soltanto la divinità conosce e, nel caso dell’opera di Sofocle, anche lo spettatore che giudica mimeticamente. L’hamartia, il fallibilismo, è inevitabile: l’errore è insito nella progressione dell’azione, in virtù dell’ignavia, dell’ignoranza. A essere costituito in tale successione dei fatti è il piano simbolico che unisce le tre dimensioni, quella storica dell’azione, quella letteraria e quella metaforica. La metafora a sua volta ricostituisce il rapporto tra il passato non conosciuto e il regresso che caratterizza il pensiero. La maschera non ha valore simbolico, bensì quello di ricordare i piani diversi che lavorano nell’opera e ne costituiscono il valore.




























 


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[1] Aristotele, Metafisica, 1065 a 22-29. Il problema del nome al pari di uno stato di realtà è stato affrontato da Harris e Hutton (2007) e permette di capire che il nominalismo è legato alla definizione dell’oggetto considerato: la definizione può essere anche il nome stesso, laddove esiste una realtà definibile che può essere conosciuta e può essere posizionata rispetto a un orizzonte di senso, stabilendone le proprietà primarie, anche se possiamo esserne momentaneamente all’oscuro. Un esempio è quello dell’eliocentrismo e del modo in cui è stato considerato il sole prima e dopo la rivoluzione eliocentrica: un nome non è privo di relazioni con le condizioni di possibilità dell’oggetto (cfr. Harris & Hutton, 2007, pp. 40-43).
[2] Aristotele, Poetica, 6, 10.
[3] Aristotele, Poetica, 9, 2.
[4] Come parafrasa Gallavotti: «sono i patimenti che, in quanto rappresentati dai personaggi, e non sofferti individualmente e nella realtà dallo spettatore, comportano la catarsi delle emozioni suscitate dalla tragedia (Gallavotti, Poetica, p. 137)».
[5] Come riassume Gallavotti: «Dopo aver detto che Omero è autore sia del Margite sia di poemi seri, Aristotele deve ora aggiungere che compose in maniera drammatica; infatti vuole poi dimostrare che l’epica omerica offrì gli schemi per tutte le opere teatrali per quanto riguarda le “forme” dell’arte poetica, cioè non solo “l’oggetto”, serio oppure ridicolo, ma anche il “modo”, drammatico» (Gallavotti, Poetica, p. 131).
[6] Aristotele, Poetica, 18, 2.
[7] Guastini, 2003, p. 80.
[8] Guastini, 2003, p. 97.
[9] Aristotele, Etica Nicomachea, Libro X.
[10] Una forma interpretativa di Aristotele è contenuta in poeti come Orazio nell’idea di mimesi come zelosis o emulatio, ovvero emulazione dei modelli letterari antichi. Con l’avvento di tale concezione inizia a essere tematizzata l’autorialità poetica.
Con Agostino attraverso l’allegoria si concepisce il realismo che nelle Sacre Scritture si mostra attraverso il senso figurato. Nel De Trinitate l’allegoria è definita come “aliud ex alio significantia”, ossia qualcosa che trae significato da qualcos’altro.
Un altro esempio è il senso di realtà che si trova in Dante, agendo secondo il principio della catarsi, ossia della trasformazione delle passioni in disposizioni virtuose. La Divina Commedia è un esempio di polisemia del senso che è sia letterale che allegorico, come è evidenziato nell’Epistola a Cangrande della Scala. La mimesi moderna è quindi principalmente una imitatio auctoris e naturae, diventando parte di un patrimonio letterario oltre che una forma di significazione messa in atto attraverso l’opera d’arte. L’uomo spirituale non può essere legato all’idolatria, bensì al realismo simbolico (cfr. Lessing, 1956, p. 347. La sua definizione di catarsi tragica è ripresa in Halliwell, 2002, pp. 312-315).
[11] La fantasia e l’intelletto sono mossi entrambi dal desiderio: l’oggetto che è il focus attentivo dell’arte poetica è il punto iniziale del percorso che permette il ragionamento pragmatico (cfr. Barnouw, 2002, pp. 77-79).
[12] All’interno di questo lavoro terremo presente che la nozione di schema di Aristotele è molto più vicina a quella di figura, di forma relazionale; contemporaneamente, nella critica aristotelica, lo schema assume spesso caratteri legati maggiormente al pensiero che alle strutture naturali. In alcuni studi recenti la struttura spazio-temporale aristotelica è stata condensata con quella del pensiero (cfr. Sorabji, 2007, pp. 563-574; id., 1972, pp. 2-17).
[13] Cfr. Kant, Critica della ragion pura, pp. 138-141.
[14] Aristotele, Poetica, 19, 1.
[15] Cfr. Halliwell, op. cit. , p. 172.
[16] La questione del desiderio come rapporto circoscritto all’opera d’arte permette di pensare alla fruibilità dell’opera come a una terapia delle emozioni: la filosofia in sé non è in grado di forgiare le anime, mentre l’arte è il mezzo per eccellenza della catarsi (cfr. Nussbaum, 1996, pp. 87-111).
[17] L’azione come appiglio dell’etica permea la possibilità di leggere la Poetica come la forma migliore di realizzazione del bene e della felicità (cfr. Nussbaum, 1986, pp. 495-538). Per quanto la riproduzione nelle forme di tragedia e epica sia il modo di riproporre emozioni negative tali da edificare dopo aver sottratto allo spettatore le azioni sedimentate nella prassi e, diremmo oggi, inconsciamente subite, l’azione dell’opera d’arte è quella di uno schema di pulsione esterna.
[18] Aristotele, Poetica, 4, 3.
[19] Cfr. Aristotele, Poetica, 3-4.
[20] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, 1177b-1179a.
[21] Cfr. Aristotele, Retorica, 1366b-1368a.
[22] Aristotele, Poetica, 25, 1.
[23] Cfr. Barnouw, Gallavotti, Zanatta, op. cit..
[24] La differenza sostanziale tra la conoscenza scientifica e quella del senso comune è la relazione con l’oggetto artistico e con le forme di tecnica: la pratica artistica allontana dall’ignoranza e avvicina all’individuazione del bene. Il problema dell’interpretazione soggettiva non si pone: la visione aristotelica parte del presupposto che il mondo è lo stesso per tutti gli osservatori (cfr. Aristotele, De Interpretatione, 16 a; cfr. Harris & Hutton, 2007, pp. 26-27).
[25] Cfr. Belardi : 1975, Auroux : 1996.
[26] Il problema emerso nel dialogo di Platone, il Cratilo, centra la questione della designazione: la conclusione secondo la quale il referente è indipendente dal linguaggio dà alla realtà un’indipendenza sia ontologica sia gnoseologica. Aristotele avvicina il problema del nome alla questione dell’essenza della realtà: nella Metafisica la sostanza è la cosa stessa e quindi una cosa è in virtù del suo essere, della sua esistenza. L’essere è considerato da Aristotele in due sensi: il primo senso è quello accidentale e per sé. Nella sua spiegazione va dall’attributo all’essere, quindi inizia a spiegare il senso accidentale in tre casi: il primo caso è quello di due attributi che appartengono a una stessa cosa (per esempio “il bianco è musico” e “il musico è bianco” che implicano anche che “l’uomo è musico” e “l’uomo è bianco”); il secondo caso è quello di un attributo che appartiene alla cosa (per esempio “il musico è uomo, quindi il musico è accidente dell’uomo”); il terzo è ciò che appartiene come accidente e di cui è esso stesso predicato, come per esempio “il non bianco è”. Il secondo senso, ossia l’essere per sé è definito secondo le figure delle categorie: i significati sono tanti quante sono le figure. Le categorie sono sette, ovvero la categoria di essenza, di qualità, di quantità, di relazione, dell’agire o patire, del dove e del quando; l’essere ha significati corrispondenti a ciascuna. La verità è data dall’esistenza, mentre la negazione indica la falsità; l’essere o ente significa in potenza o in atto, per ogni significato corrispondente alle categorie (cfr. Aristotele, Metafisica, V, 7, 1017 a 6- b 14).
[27] Aristotele, Poetica, 21, 8. Anche quando espone le caratteristiche dell’arte narrativa e della poesia in versi il paragone con l’organismo vivente è palese: «Quanto all’arte narrativa e poesia in versi, anzitutto è chiaro che deve comporre i racconti come sono nelle tragedie, drammatici e di un’unica azione, che sia intera e completa, ed abbia inizio e mezzo e fine, di modo che procuri il piacere che le è proprio come un essere vivente intero (Aristotele, ivi, 23, 1)».
[28] Cfr. Gallavotti, 1974, 20, 44-48, n. 48.
[29] Cfr. Aristotele, Poetica, 20, 7.
[30] Ibidem.
[31] Cfr. Aristotele, Metafisica, 5, 1013 a 18 – b7.
[32] Aristotele nella Fisica afferma che la natura e Dio sono due spiegazioni della causalità: la natura è una fonte interna e una causa del moto e della stasi (cfr. Aristotele, Fisica, 2.1, 192 b 13-23 e cfr. Zanatta, op. cit., p. 277). Sorabji (1988) evidenzia che la divergenza esistente tra la causa del moto dei corpi inanimati e la causa del moto degli animali mette in gioco il problema dell’infinito, ossia il pensiero in sé (cfr. Sorabji, 1988, pp. 221-226). In tal senso le spiegazioni causali della materia fisica e quelle delle cause efficienti degli animali umani diventano entrambe parte della costituzione naturale del funzionamento dell’attività di attualizzazione dell’energia.
Nel De Caelo Aristotele afferma che il luogo occupato da ogni essere nella gerarchia cosmica spiega il suo movimento. L’essere migliore è il motore immobile che è il bene senz’alcuna attività (Aristotele, De Caelo, II, 12). Quello che viene nominato Dio quindi non è altro che ciò che è eticamente vero in ogni caso, anche sul piano del pensiero che è in ultima analisi il mezzo di estrinsecazione dell’infinito e quindi dell’azione del movimento nelle forme proprie alla natura dell’attività (cfr. Nussbaum, 1996, pp. 57-86).
Per comprendere l’idea di causa prima in Aristotele è necessario introdurre il concetto di potenza. Nella Metafisica la potenza è il principio del movimento o del mutamento che si trova in altra cosa o in una stessa cosa in quanto altra. Un esempio di Aristotele è quello dell’arte del costruire che non si trova nella cosa che viene costruita. Il principio è il primo termine a partire dal quale una cosa è generata oppure è conosciuta. Sono principi la natura, l’elemento, il pensiero, il volere, la sostanza e il fine; essi possono essere interni o esterni alla cosa (cfr. Aristotele, Metafisica, V, 1, 1013 a 1 – 23).
[33] Cfr. Halliwell, op. cit., pp. 157-164.
[34] Cfr. Aristotele, Retorica, 1404 b 34.
[35] Cfr. Aristotele, Organon, 13, 97 b 37.
[36] Cfr. Aristotele, Poetica, 4, 35-40.
[37] Aristotele, Etica Nicomachea, VI, 4, 1140 a 25-26.
[38] Cfr. Aristotele, Retorica, III, 2, 1405 b.
[39] Cfr. Aristotele, Retorica, III, 2, 1409 b.
[40] Cfr. Aristotele, Poetica, 4, 1.
[41] Cfr. Donini, op. cit., p. XXII.
[42] A sottolineare la corrispondenza della causa prima con la causa naturale è per Aristotele la definizione stessa di natura: essa è il principio del movimento primo che è in ogni essere naturale; è il principio materiale originario di cui è fatto o da cui deriva qualche oggetto naturale. La natura di un oggetto di bronzo, per esempio, è il bronzo. L’oggetto naturale è ciò che è composto di materia e di forma: anche la forma è una natura. Nel suo senso originario la natura è la sostanza delle cose che posseggono il principio del movimento che è in potenza o in atto (cfr. Aristotele, Metafisica, V, 4, 1014 b 16-1015 a 3-21).
[43] Aristotele, Poetica, 25, 14.
[44] Cfr. Harris, 2007, p. 52.
[45] Quello che potrebbe far pensare a una referenzialità, come quella sostenuta da Frege, in realtà non corrisponde a una nozione di segno o simbolo dello stesso tipo: il presupposto è, al contrario, logocentrico, poiché non possiamo conoscere gli oggetti del mondo se non appigliandoci al linguaggio (cfr. Frege, 1879; Id., 1892, p. 45). Il riferimento e il senso sono le due proprietà del segno. La questione messa in campo è quella del processo di astrazione che permette la formazione dei concetti a partire dalla natura. Il linguaggio diventa integrazione della percezione, e possibilità di connessione tra le funzioni del pensiero.
[46] La natura propria della definizione rispetto al logos permea anche il sillogismo: l’intera necessità logica della conclusione definitoria è un sostrato della sostanza stessa dell’oggetto definito. La natura astratta delle dimostrazioni non è intesa come separata dalla natura sostanziale della realtà funzionale del linguaggio: cultura e procedimenti di attuazione della realtà logica sono intesi come prodotti dell’umanità e quindi non è possibile tracciare una linea di demarcazione definitiva e netta che sia relativa alle forme della dimostrazione, al ragionamento e alla logica. La posizione anti-positivistica di Cassirer e la sua considerazione metafisica della relatività einsteineana permette di formulare un’ipotesi sulla concettualità della logica e dei rapporti matematici. A essere messe in gioco sono alcune variabili fondamentali tra le quali l’assiomaticità dei principi primi, delle proposizioni (da complesse a molecolari) e della funzione simbolica dei concetti.
Anche se non sostenuto dalle scienze positive, lo studio di Cassirer permette di allargare la nozione di giudizio alle scienze matematiche a sostegno di una logica aristotelica che è specchio della metafisica attraverso una nozione di concetto che non sia una negazione completa della realtà naturale (cfr. Cassirer, 1910, pp. 14-26; per un’inquadratura della filosofia del simbolo di Cassirer cfr. Skidelsky : 2008). Il taglio sostanzialmente tendente alla descrittività scientifica, rispetto al periodo storico di Aristotele, potrebbe essere considerato oggi come molto più filosofico e non legato alle scienze dure.
[47] Cfr. Cassirer, op. cit., p. 31.
[48] Esplicitare il modo di funzionamento della mimesi permette di capire che la natura dell’opera crea l’effetto di catarsi e non è una sensibilità estranea a essa che determina la realizzazione del fine. La tendenza al bene è un processo che comprende lo spettatore, come nel caso della rappresentazione tragica: non può essere spiegata escludendo la ricezione e il destinatario (cfr. Aristotele, Poetica, 9-12).
[49] Platone, nel Timeo, parla dei poeti come imitatori (come nel Fedro) e di ciò che non è testimoniato dalla scrittura, come le storie paragonabili alle favole per bambini. Ciò che sfugge ai poeti è ciò che non è stato testimoniato dalla scrittura ed è anche il fattore che rende favolosa e quindi non vera (ma verisimile) la storia dei popoli. Ciò che è scrittura indica la presenza di leggi e di un’organizzazione dello stato “buona” perché ordinata. Emilio Garroni riprende in considerazione Galvano della Volpe sul tema del nesso tra significato e suono nella poesia: il suono è legato al metro e al ritmo, nelle corrispondenze fonico-acustiche con una predominanza del significato. La questione è affrontata in Salvatore Tedesco (cfr. Tedesco, 2003, pp. 52-53). In opposizione a questa idea si pone Roman Jakobson che nelle Tesi del 29 del Circolo linguistico di Praga evidenzia come a essere in gioco sia la questione dell’indeterminatezza semantica: “Il predominio della funzione poetica rispetto a quella referenziale non annulla il riferimento, ma lo rende ambiguo” (Jakobson, 1992, pp. 208-209). Della Volpe scrive “Polemica su Jakobson” nel 1966: una sovradeterminazione della differenza tra significato e ambiguità porta a far contrapporre il campo dei sensi con la significazione in generale. In ogni caso al di là della problematicità del rapporto tra referenzialità e descrittività del segno linguistico la poesia come altro linguaggio si costituisce come una lingua di base che non realizza soltanto l’ordine linguistico.
[50] È la lingua poetica a interporsi e a privare il sistema complesso di una separazione netta attraverso due costanti che sono il mito e l’archetipo. La coesistenza dei due sistemi è da rapportare alla dimensione sintagmatica nei livelli occupati dalle formazioni poetiche (cfr. Starobinski : 1971). Nel definire tali tipi di formazioni è possibile costruire una sintesi della realtà del lavoro che compie la logica poetica.
[51] Hjelmslev, 1935, trad. it., p. 190.
[52] Il problema dell’ampiezza del sistema è affrontato come problema del rapporto nelle categorie dei casi con le altre categorie linguistiche. La nozione di rection eleva il valore dei casi alla relazione tra i fatti sintagmatici e i fatti paradigmatici, opponendosi esplicitamente alla teoria sintattica.
[53] Simile e non identico all’idea di organismo linguistico sostenuto da Secheahye, allievo di Saussure, consistente nell’idea di una lingua come un corpo strutturato, senso in realtà contestato da Saussure nel Corso di linguistica generale. La sintonia di Hjelmslev con Secheahye si ritrova anche nella definizione di forma dei Principi di grammatica generale come tutto ciò che, nel segno, è direttamente tangibile, a esclusione di tutto ciò che è convenzionale (Hjelmslev, 1928, trad. it., p. 92).
[54] La tendenza simbolista che Saussure trova nelle Leggende germaniche e rovescia nella linguistica generale è rivelata e accettata dalla scuola di Praga nella complementarità tra diacronia e sistematicità. Tuttavia l’atto grammaticale è complesso e richiama a sé gli aspetti sincronici nel significato, nella forma e nel fonema (cfr. Hjelmslev, 1935, trad. it., p. 222).
[55] Hjelmslev, 1928, trad. it., p. 100.
[56] La nozione di rection non si limita alle funzioni possibili di determinazione, interdipendenza e costellazione. Essa stessa è tuttavia una nozione insufficiente se si considera la dipendenza tra le parti del discorso così come sono state presentate nella suddivisione classica tra fonologia e grammatica. Hjelmslev spiega questo fenomeno nei termini di una comprensione nella nozione soltanto delle relazioni eterosintagmatiche (cfr. Hjelmslev, 1939, trad. it., p. 146).
[57] Hjelmslev, 1928, trad. it., p. 146.
[58] Hjelmslev, 1928, trad. it., pp. 136-137.
[59] Si tratta di quello che Hjelmslev definirebbe semantema espressivo, almeno nel senso in cui è l’uso che realizza lo stile.
[60] Secondo Jakobson, per esempio, la metonimia è un sintagma cristallizzato e assorbito in un sistema.
[61] Hjelmslev, 1928, trad. it., p. 36.
[62] Le cellule sintattiche segmentate come materiale grammaticale riportano la nozione di significato a quella di forma come stile, legame rilevato anche da Bally (cfr. Puech e Chiss : 1995).
[63] La cenematica è la teoria della norma dell’espressione (cfr. Hjelmslev, 1991 [1939]). Vorrei considerare la nozione di intenzione nel senso generale di una interrelazione tra i segni che appare al soggetto parlante. Come il senso che Wittgenstein considera in Zettel: Qui con “intenzione” intendo ciò che impiega il segno nel pensiero. L’intenzione sembra interpretare, sembra dare l’interpretazione definitiva; non però un segno o un’immagine ulteriore, ma qualcos’altro: qualcosa che non si può interpretare ulteriormente. Ma si raggiunge un termine psicologico, non un termine logico” (Wittgenstein, 1967, p. 51).
[64] Quell’andare verso una determinazione del senso può essere rapportata alla tendenza simbolista della quale parla Hjelmslev nei Principi di grammatica generale che approfondiremo nel prossimo paragrafo. Una tendenza simile, come vedremo, è quella che rileva Saussure nelle Leggende germaniche, snodando tutta la semiologia della narrazione in una riuscita, per così dire, della mitologia del senso che non ha a che fare soltanto con il singolo personaggio ma con l’interno del flusso d’azione, e con la sintassi della storia che si snoda.
[65] Nella LIS la presenza di forme diverse di rappresentazione logica ha come conseguenza la manifestazione di una gradualità di fenomeni oppositivi, ossimoricamente. Per esempio nei segni vino/bere o ospedale/pericoloso in cui il contesto e gli strumenti linguistico-cotestuali necessitano entrambi il richiamo alla particolare forma segnica dell’ipoicona per essere raccolti dalla meta-linguisticità espressiva della scrittura.
[66] La letteratura è intrisa di una diagrammaticità senza la quale non sarebbe possibile la comprensione e l’elaborazione di uno spazio di significazione privato della forma linguistica della parole, a difesa l’autonomia della significazione nei testi poetici (cfr. Stjernfelt : 2007).
[67] Cfr. Lepschy, 2007, p. 67.
[68] Guastini, 2010, p. 372.
[69] Aristotele considera la visione dell’Edipo come parte della composizione e insieme a essa scopre il fine dell’opera poetica: «Oppure è possibile anche agire non avendo cognizione di agire in direzione del terribile e riconoscere solo in seguito la philia, come l’Edipo di Sofocle (Ivi, p. 77).»
[70] Hjelmslev, 1991, p. 221.
[71] Cfr. Dupont-Roc, Lallot: 1980.
[72] Hjelmslev, 1999, p. 102.
[73] Cfr. Saussure, 2005, p. 23.
[74] Cfr. Garroni : 1998.
[75] In un recente lavoro su Jakobson si rileva la relazione tra la funzione poetica e la funzione estetica: «Alla funzione estetica, già formalizzata dagli studiosi della Scuola di Praga, corrisponde, infine, nello schema di Jakobson alla funzione poetica da lui identificata nel “rilievo del messaggio in sé”. Per analizzarla egli prende le mosse, sulla scia di Saussure, dai due processi fondamentali della selezione e della combinazione. Mentre normalmente la selezione “è operata sulla base dell’equivalenza, della similarità e della dissimilarità, della sinonimia e dell’antinomia”, la combinazione, ossia la costruzione della sequenza, “si basa sulla contiguità» (Milani, 2007, p. 11).
[76] Hjelmslev, 1968, p. 116.
[77] Hjelmslev, 1988 [1941], p. 139.
[78] Come emerge da Tesauro, nella metafora vi è la possibilità di far “trasparire il vero come per un velo” per intendere quello che si tace in quel discorso veloce, un vero e proprio sillogismo sintetizzato dalla figura del dialogo (cfr. Morpurgo Tagliabue, 1955, p. 180).
[79] Saussure, 1986, p. 453.
[80] Individuare due tipi di poesia, politica e privata, e di un altro tipo, ossia didascalica permette a Benjamin di affidare al passato la misura stessa della vita. Nei due tipi letterari, quello visionario e quello riflessivo, l’indagine sulla letteralità diventa un modo di formare funzioni sociali della lingua poetica (cfr. Benjamin, 1982, p. 1043).
[81] Picciarelli, 1998, p. LXXI.
[82] Bachtin, 1926, p. 51.
[83] Cfr. Hjelmslev, 1935, p. 134.
[84] Id., p. 95.
[85] Saussure, 2005, pp. 70-71. L’effetto connotativo non è soltanto un fenomeno semiotico aggiunto a un altro logicamente anteriore (cfr. Prieto, 1991, p. 55).
[86] Hjelmslev, 1991, p. 150.
[87] Hjelmslev, 1998, pp. 108-109.
[88] Id., p. 97.
[89] Cfr. Sechehaye, 1908a, p. 129.
[90] Hjelmslev, 1998, p. 177.
[91] Saussure, 2005, p. 72.
[92] Hjelmslev, 1998, p. 97.
[93] Cfr. Whitfield, in Hjelmslev, 2009, p. 34.
[94] Un esempio è dato dalla presenza, in entrambi i piani, quello dell’espressione e quello del contenuto, delle sottospecie semplici (temati e caratteri) e dei sottotipi semplici (centrifughi e centripeti). A essere messi in gioco sono dal lato dei temati, la suddivisione in derivativi e consonanti (sottotipi centrifughi), radicali e vocali (sottotipi centripeti); invece, dal lato dei caratteri, anche in questo caso sia sul piano plerematico che su quello cenematico, ossia dell’espressione e del contenuto, sono considerati pertinenti i caratteri nominali, gli accenti, il carattere verbale e la modulazione (cfr. Whitfield, op. cit., p. 39).
[95] Hjelmslev, 2009, p. 45.
[96] Hjelmslev, 1991, p. 222.
[97] Hjelmslev, 2009, p. 47.
[98] Hjelmslev, 2009, p. 53.
[99] Meli, M., in Hjelmslev, 1991, p. 199.
[100] Hjelmslev, 1991, p. 140.
[101] Id., p. 222.
[102] Hjelmslev, 1998, p. 193.
[103] Hjelmslev, 1998, p. 153. Cfr. Saussure, 1922, p. 102.
[104] Hjelmslev, 1957, p. 128. Per un approfondimento sulla morfologia rispetto alle unità del lessico cfr. Hjelmslev 1933, 1937, 1938, 1939.
[105] Cfr. Antinucci : 1969, Garroni : 1972, Jakobson : 1959, Meli : 1988, Zinna : 1990.
[106] Cfr. Hjelmslev, 1954, pp. 53-60.
[107] Almeida, 1997, p. 3.
[108] Arrivé, 1992, p. 25.
[109] Hjelmslev, 1963, p. 113.
[110] Hjelmslev, 1935, p. 170.
[111] Cfr. Hjelmslev, 1935, p. 191.
[112] Hjelmslev, 1935, p. 129.
[113] Starobinski, 1979, p. 5.
[114] Hjelmslev, 1998, p. 90.
[115] Orlando, 1982, p. 250.

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