Recensione al
film “Nelle terre selvagge (o nella natura)”
Ci sarebbe da
citare Antoine de Saint-Exupéry con il sentimento della continua
insoddisfazione e la ricerca di un sogno illusorio, con l’incompiutezza della
vita, accompagnata dal paradosso della realizzazione effimera delle
aspirazioni: “Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice:
non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Nel
teatro stanzone del mio giardino il filmato è corroso dalle sensazioni di de-jà
vu che il protagonista del film trasporta: la storia è vera. Un vero ragazzo
nel 1992 ha perso la vita cercando la sua Alaska, all’età di ventitrè anni, e
la fotografia alla fine del film ne è una testimonianza. Inoltre non ci sono
che continui rimandi testuali alla storia scritta da chi ne ha recepito il
senso, che se non fosse realmente stato subito ciecamente dal protagonista avrebbe
comunque un valore pedagogico.
Chi donerebbe
ventiquattromila dollari invece di studiare, vivere, chi rifiuterebbe
un’automobile nuova e scapperebbe, solitario, alla volta dell’ignoto? Forse un
po’ tutti, ma qui dobbiamo essere leali con chi si sedimenta nella socialità
delle relazioni umane e quindi sostenere la famiglia e il bene sudato e
meritato. Non farlo significa dare senso all’animalità umana che tende più alla
solitudine (anche se con un orologio d’oro al polso è un po’ difficile chiedere
e elemosinare un pezzo di pane, ma il protagonista del film ci riesce) che alla
lotta comune.
Il mondo prima
razionale e poi amazzonico che il giovane laureato si trova a scegliere è una
metafora morta da tempo, ma una serata fumosa può essere sopportata, fino
all’ultimo soffio di realtà prefilmica che appare come la nostra stessa vita.
Il film rende il reportage come una specie di parodia alla memoria del
protagonista, mentre il narratore è intradiegetico (è la sorellina del giovane
avventuriero) che fa muovere il fratello un po’ come vogliono i genitori, ma
che non può toccarne più i movimenti, giacché lui taglia completamente i
rapporti non soltanto con i parenti, ma anche con la sua confidente
dell’infanzia.
L’intero film è supportato da filetti che appaiono
tra una scena e l’altra, o in ordine sparso, con le parole che descrivono il
viaggio del protagonista. Una sorta di lavagna digitalizzata a mo’ di diario di
bordo da condividere con il pubblico, murales immediati dei pensieri che vanno
a scavare nella mente dello
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