Barcollando dopo una normale giornata tra le mura della prigione di vetro, Simon trovò nel letto l'unico mezzo di consolazione. Un riposo da osservare come un obbligo. A poche ore di distanza dall'atterraggio nell'isola misteriosa di una città invisibile la forza di quegli incontri era ancora vivida. Senza andare verso le stanze degli altri coinquilini, di Jenny e di sua madre, si adagiò su una parete calda, un tappeto di fiori e come in un lago di ninfee rimase a nuotare tra i sogni. Stavolta era certo che fossero sogni notturni e non vere immagini del passato. Poteva giocare con le stelle che vedeva a occhi chiusi. Le sue orecchie fortunate sentivano altre melodie, quelle delle sere al pub e delle chiacchierate con Din e Petra. Bisognoso di quiete e di relax: non aveva niente da chiedere, niente da dire. Ascoltare era come assicurarsi il paradiso per il giorno seguente, come un compito da eseguire per redimersi. Da cosa e per quale motivo in realtà non era chiaro neanche a lui. Partire anche senza motivo avrebbe potuto essere un modo per sentire meno peso su di lui, errando come a dimenticare le resistenze della libertà. Lontani o vicini che fossero, quei personaggi della suo storia erano sempre vivi, come a voler allietare la certezza di una serenità anelata tanto da esser raggiunta.
In pochi attimi riassunse la sua visione del mondo: andare anche il giorno seguente a Farly avrebbe confermato la sua vera scissione con il vecchio Simon. Avrebbe dormito sul pavimento, a scongiurare qualsiasi dubbio sulla sua volontà di essere l'umiltà in persona, incarnata nel suo corpo e nella sua animalità. Pur di non addormentarsi decise di riaprire il suo vecchio libro di poesia e di tormentare soltanto una parte della sua anima. In quel modo avrebbe sentito illuminarsi solo una sola metà della luna, quella sera, come se una parte del sole fosse sempre vivo dal lato aperto della ferita. Non la sentiva da molti giorni, la ferita del tradimento. Non sapeva cosa fosse la delusione della solitudine: la sua era quella parte della parete che aveva adibito a guardaroba dell'anima. Avrebbero potuto anche massacrare le sue istanze, le sue mani avrebbero potuto essere scheletriche e avrebbe potuto anche non cibarsi per mesi senza sentire alcun rancore. Avrebbe invece ringraziato per ogni attimo di abbandono a sé stesso: nessuno lo avrebbe mai più raggiunto lassù in cima al regno del bene. La sua più grande fortuna era quella di non dover chiedere di sentire la vicinanza con l'equilibrio vitale, giacché se gli era tolta anche la cosa più importante era come se lui stesso lo avesse chiesto a Dio. Ringraziare era l'unica possibilità che aveva e non era un compito gravoso. Nei primi tempi del suo volo assemblò una serie di immagini a formare un mosaico di colori e forme assicurate alla porta principale della sua stanza. Camminava nella stanza per non dimenticare quelle frasi e le faceva riemergere nei discorsi a casa Klein, stupendo i commensali della sua giostra di parole. Si diresse con tanta gioia a ricevere la sua porzione di saggezza che lui stesso divenne il portatore di sinestesie e di mimesi: era un attore senza regista e un poeta senza l'obbligo di smentire la sua immanenza. Era unico come chiunque e se fosse stato privo di un tetto sulla testa sarebbe stato un'altra forma vivente o solo un essere organico. Anche quel masso era inebriato di calore e il sole era là, a incidere viandanti sul corpo inorganico della pietra. In pochi attimi circondò la stanza del suo dubbio con nastri colorati e ne diresse il movimento con soffi nell'aria. Il suo dire era nuovamente ossigenato, lontano da ogni grigiore. Parlava di finestre e di comignoli come se fossero le delizie prelibate di cui cibarsi, e il cibo era una liana all'eternità. Se si fosse addormentato sarebbe andato in un luogo intangibile o forse non ancora attingibile dal presente. In ogni caso non era un sogno senza cardini nella sua terra: c'era tutto il suo dissuadere il mondo dall'annientarlo, in quelle azioni sfrontate e ancora inibite dalla timidezza. Decise di remare e navigare in quell'oceano immerso nell'essenza cristallina del presente.
In questo spazio tra me e il mondo c'è il mio romanzo fiume. Crescerà con me e con gli appassionati del tempo: che non ci travolga ma ci permetta di riempirlo di sostanza e di fantasia. Buona lettura. P.s.: si legge al contrario, da Simbiosi verso l'alto.
Co2
giovedì 12 maggio 2011
mercoledì 11 maggio 2011
Azioni luminose
A pochi passi dalla porta della locanda un'insegna luminosa segnava il cammino che andava da Farly fino ai Klein. Quando ricordò la nascita di quel sentimento che anche se flebile sembrava irradiarsi come nell'infinito del giorno si ridusse a cercare un posto non troppo lontano dal tavolo della sera precedente. Era la situazione che non avrebbe mai immaginato di vivere: la nascita di una vittoria interiore che lo trovava a rifare la stessa strada di un'altra persona senza i suoi strumenti. Simon era seduto al posto di qualcuno, come se quella sedia fosse stata proprietà di un visitatore più fedele di lui. Un giocoliere, lanciatore di fuochi, entrò nel pub come un arcobaleno a stento visibile nella coltre di fumo. Si avvicinò al giovane e lo guardò come a volerlo sfidare, con una sopracciglia alzata lo faceva correre nel suo cerchio infuocato. Simon cinse la sua vita con una corda e rimase nel mezzo della sala a farsi servitore di una tragedia nuova, quella di un vero girovago, motore di una macchina antica e inaffidabile, malgrado fosse mossa sempre dalla stessa ruota. A supplire quel giorno di scoperta a cuore aperto contribuì il fruscio delle foglie che il clown portava con sé , come se non avesse mai provato prima a ascoltare chi lo circonda. Sentiva di essere parte di uno spettacolo tanto nuovo da sembrare impresentabile, mai rappresentabile da qualche altra parte del mondo al di fuori di quel momento, come se la storia diventasse finalmente opera dei piccoli. La caducità non era un affanno: aveva riposto le armi della notorietà abbandonando la sua macchina fotografica a un albero, lasciandola a chi la cercava. L'unico mezzo di sostegno alla sua arte erano quegli occhi che l'uomo guida gli aveva rapito, lasciandolo in balia del suo traballare nell'inganno dell'amicizia antica. Un vortice di vento nella sua immagine del presente, come se non ci fosse bevanda o cibo che potessero sfamarlo e dissetarlo interruppe l'estasi della performance. Persi i suoi riferimenti con il mondo immaginato al paese e perse anche le direzionalità che aveva consacrato alla sua immagine di artista, divenne il sostituto di un circense, nel suo ballo senza palco. Il suo incubo ricorrente, quello del palco sul quale non sapeva quali passi dovesse fare, era svanito. A essere apparsi invece erano sogni di dialoghi immersi nella fantasia che da una parete a specchio portavano a un corridoio lungo e bianco, con quell'angelo che volava a mezz'aria, ricordandogli che i suoi sforzi non erano vani.
Passati futuri
Din era seduto sulla poltrona tondeggiante e sicura della sua casa. Simon era là, con un bicchiere in mano a raccontargli della sua vita a Farly, cercando di fargli capire la bellezza sublime della vita in campagna. Din era incredulo e felice, ondeggiava tra le domande di sempre degli amici dispersi e la curiosità di un chiaroveggente, scusandosi per averlo confuso, nel locale, con uno sconosciuto. Un ventaglio nero, dai riflessi dorati, mostrava agli abitanti dell'appartamento un retrogusto di terre orientali, lasciandosi ammirare come un reperto archeologico. Si abbinava perfettamente all'umore cangiante dell'ospite che lasciava parlare Din della sua vita in una città per Simon, fino a quell'incontro, priva di riferimenti. Credeva impossibile che fosse approdato al suo passato invece che nell'ignoto dal quale ormai sembrava provenissero le voci della strada. Una bottiglia di brandy ormeggiava discorsi e dirigeva i suoni della televisione accesa nella stanza accanto. Sembrava che Simon fosse stato invitato dalla padrona di casa per un lungo soggiorno e lo volesse lasciare libero di raccontare al suo amico una storia di pirati e di sirene, di avventure mai vissute. La conversazione incalzava su temi di attualità e di un passato che sembra sotto gli occhi di entrambi vicino come fossero adolescenti tra i banchi di scuola. Nello specchio era riflesso una parte del suo volto e un angolo della candida rosa che illuminava la stanza, incorniciando la sua sorpresa nel vedere che era tutto per sé, l'amico, l'atmosfera, erano nelle sue mani. Avrebbe voluto dare a Din una spiegazione logica della sua visita e invece a rifletterci, aveva pensato che non fosse altro che un dono dello stesso Dio che l'aveva ammesso alla corte di quell'avventura.
L'unica che dovesse dire, testimoniare come diamante senza paura di donarlo a chi lo aveva cercato, con quei colori dell'anima, nei sollazzi disperati degli altri nel pub. Ora sapeva che non c'era nessun amico e che quella casa era perfettamente sconosciuta, anche se la sentiva suo premio, parte del suo essere, avrebbe dovuto abbandonarla. Aveva inventato ogni singola frase da quando aveva messo piede nell'appartamento e ora che cercava di uscire la sua bocca continuava a muoversi e insieme a lei i suoni erano perfettamente intonati e allineati alle domande dell'uomo guida. Temeva l'imbarazzo del commiato, malgrado si sentisse fuori luogo o almeno privo di motivazioni nello stare là, seduto nel salotto di chi lo credeva un antico compagno di giochi. Inneggiò un saluto caloroso e scappò da quel posto mentre la maniglia della porta sembrava non volesse cedere al suo polso. Stavolta la strada era dalla sua parte e nessuno lo avrebbe distolto dal suo intento di ritornare a casa Klein. Privo di qualsiasi desiderio al di fuori dell'unica donna che lo aveva degnato di uno sguardo continuò, a passo lento, la sua discesa nel labirinto del passato.
martedì 10 maggio 2011
Dal cuore alla cicatrice
Nella sabbia della sua attesa, seduto per terra, vicino l'uscio di quell'ignoto terrore, era rannicchiato come per sentire che il suo legame con quella persona era primordiale. Lontano dalla figura quasi rattrappita delle donne al tavolo del pub, il freddo scemava insieme alla sua euforia. Avrebbe dovuto essere sulla strada del ritorno invece di sostare immobile, all'insaputa di quello che gli sarebbe accaduto. Diviso a metà tra la gioia dell'arrivo e il desiderio di incontrare la sua guida decise di suonare al campanello. Lo accolse un ragazzo abbastanza alto, quasi quanto il suo uomo, che gli chiese se volesse Din o Petra. Simon era con un piede all'ingresso di quel sogno, irreale, impossibile da sommergere. L'altra metà del suo corpo era come immobilizzato e stentava a farlo spostare dalla via di mezzo tra il sogno e il mondo dell'atrio. La casa era come un cilindro trasparente, al centro risplendeva un tappeto con la stella dei venti. Sembra che le rose riposte sul tavolo fossero nate e cresciute soltanto in quel salone, senza alcuna possibilità di crescere altrove. Lui era quello che avrebbe dovuto rispondere alla domanda del ragazzo ma era come se lo avesse fatto in altre vite o in altri tempi.
Assunse l'aria di un girovago disperso, consapevole dell'eroismo del suo fare. Disse che cercava Din, il suo vecchio compagno di scuola. Era dentro, in quella casa che lo accoglieva come fosse un suo inquilino dai tempi immemorabili della fanciullezza. Poteva ricordarne l'odore di legno bagnato, quell'odore che nei boschi si mescola perfettamente alla terra e alle muffe, ai funghi e alle foglie cadute. Le travi che reggevano il soffitto erano scure e lucide, rifatte da poco e nessuno poteva raggiungerle, dal momento che erano state fatte da una mano saggia per restare intatte. Era la casa di ogni persona che volesse cercare senza scappare e sentiva che con quella mossa sulla scacchiera dei suoi sentimenti avrebbe allontanato ogni dubbio. Din esisteva e tra pochi minuti lo avrebbe guardato negli occhi con quelle linee sottili ai bordi delle labbra che non erano vere rughe ma fili di memoria. Rimase a fissare i libri alle pareti e ne ammirò l'età: avevano le copertine rigide tipiche dei cultori di lettere e dei librofili. Senza accorgersi dell'espressione stranita del suo interlocutore strinse la mano a Din, ricordandogli i vecchi tempi della scuola. Era riuscito a raggiungerlo, era lui, era davvero un suo vecchio amico e lo aveva ritrovato.
Assunse l'aria di un girovago disperso, consapevole dell'eroismo del suo fare. Disse che cercava Din, il suo vecchio compagno di scuola. Era dentro, in quella casa che lo accoglieva come fosse un suo inquilino dai tempi immemorabili della fanciullezza. Poteva ricordarne l'odore di legno bagnato, quell'odore che nei boschi si mescola perfettamente alla terra e alle muffe, ai funghi e alle foglie cadute. Le travi che reggevano il soffitto erano scure e lucide, rifatte da poco e nessuno poteva raggiungerle, dal momento che erano state fatte da una mano saggia per restare intatte. Era la casa di ogni persona che volesse cercare senza scappare e sentiva che con quella mossa sulla scacchiera dei suoi sentimenti avrebbe allontanato ogni dubbio. Din esisteva e tra pochi minuti lo avrebbe guardato negli occhi con quelle linee sottili ai bordi delle labbra che non erano vere rughe ma fili di memoria. Rimase a fissare i libri alle pareti e ne ammirò l'età: avevano le copertine rigide tipiche dei cultori di lettere e dei librofili. Senza accorgersi dell'espressione stranita del suo interlocutore strinse la mano a Din, ricordandogli i vecchi tempi della scuola. Era riuscito a raggiungerlo, era lui, era davvero un suo vecchio amico e lo aveva ritrovato.
Appartenere all'universo
Correndo come in un urlo che si infrange nelle onde dell'inseguimento, Simon si curò di ricordare quella voce che lo aveva trafitto uscendo dalla locanda. La ragazza era davvero là: era un suo ricordo puro e semplice, ma non faceva parte di quella corsa spasmodica che non aveva alcun motivo di essere interrotta. Pochi attimi di felicità immune da ogni riflesso nel lago della malinconia, mentre ricordava che quella seta era davanti ai suoi occhi e poté scorgerne i filamenti sottili e intangibili. A prender piede nella notte del tempo di quel rincorrere a vuoto fu una sensazione di sconforto che lo colpì alle spalle.
Si fermò a un passo da un portone antico, arancio, improvviso mare di speranza. A ritornare fu l'entusiasmo del bambino davanti al cancello Klein, quella sensazione di euforia e di simbiosi con gli eventi che gli si presentavano. In un film mai girato, si aggrappò alla maniglia come per restare là, annerito dalla polvere che si alzava dalla strada. Dopo aver cancellato il pensiero della voce stridula della giovane locandiera Simon si apprestò a ascoltare i passi dell'unica persona che aveva intravisto salire dalle scale. Lo seguì come per dimenticare se stesso e poi, dal corridoio bianco emerse quel volto immortale. Lo sentiva urlare contro qualcuno o per difendersi da qualcosa, ne vide alcuni tratti delle labbra schiuse in un sibilo di dolore. O era il suo, quel dolore che viene dall'ignoto, dalla notte e dall'inatteso, dalla curiosità astratta.
Questa volta la sua fede era incarnata in intuizioni immacolate e ne avrebbe capito la portata soltanto aspettando che uscisse e facesse parte della sua esile indagine.
Si fermò a un passo da un portone antico, arancio, improvviso mare di speranza. A ritornare fu l'entusiasmo del bambino davanti al cancello Klein, quella sensazione di euforia e di simbiosi con gli eventi che gli si presentavano. In un film mai girato, si aggrappò alla maniglia come per restare là, annerito dalla polvere che si alzava dalla strada. Dopo aver cancellato il pensiero della voce stridula della giovane locandiera Simon si apprestò a ascoltare i passi dell'unica persona che aveva intravisto salire dalle scale. Lo seguì come per dimenticare se stesso e poi, dal corridoio bianco emerse quel volto immortale. Lo sentiva urlare contro qualcuno o per difendersi da qualcosa, ne vide alcuni tratti delle labbra schiuse in un sibilo di dolore. O era il suo, quel dolore che viene dall'ignoto, dalla notte e dall'inatteso, dalla curiosità astratta.
Questa volta la sua fede era incarnata in intuizioni immacolate e ne avrebbe capito la portata soltanto aspettando che uscisse e facesse parte della sua esile indagine.
L'immersione
A pochi passi dal giaccone blu riposto sul bancone vicino al guardaroba un foulard di seta annientava i dubbi di Simon. La sua giacca era ben stretta nella mano sinistra, semplice e trasandata rispetto alla stoffa che vedeva. Aveva sempre allontanato gli orpelli, agghindarsi non era da lui, malgrado si sentisse al di sopra degli altri, al suo paese. Prelibatezze e tessuti preziosi, arte e ignoto si mescolavano in una crisalide annidata nel calore del locale. Il suono di una tromba e di un flauto accompagnavano un violinista che orientava il suo volto verso l'ingresso di un altro salone che si intravedeva tra le tende. Qualcuno gli diede uno strattone e non era una donna, questa volta, bensì lui, l'uomo con i capelli castano brizzolato. Uscì volando come una delle tortore del giardino dei Klein, fino a far tremare i vetri del portone, fino a scomparire. Uscito anche lui, si diresse verso un posto anch'esso libero dal fumo e dal cigolio di sedie rotte, nel freddo della città che non sentiva nei suoi passi. Poteva fare a meno di un attimo di voracità nella sua carriera di fotografo o di un lavoro che lo avrebbe scagionato dalla povertà. Ancora da solo, inondava la sua ricerca di certezze e impegni. Se avesse trovato quella persona l'avrebbe riconosciuta e seguita, come un bambino con il suo maestro di catechismo, come una ragazza a lezione di canto.
-Non scomparire anche tu, non stavolta.
La donna lo disse al vento, mentre la porta sbarrava la strada dello scenario.
-Non scomparire anche tu, non stavolta.
La donna lo disse al vento, mentre la porta sbarrava la strada dello scenario.
A un passo dall'ignoto
Dopo pochi attimi di riflessione Simon si accorse della distanza che lo divideva da quell'uomo. Non era soltanto alla fine della sala, dopo altri tavolini e altre donne inavvicinabili, ma anche in un'altra dimensione che non sapeva come raggiungere. La sua non era paura, bensì profondo rispetto per un lineamento di vita che non riusciva a penetrare nella quotidianità. Completamente assente, la donna dal guanto giallo scuro che non aveva degnato di attenzione, si avvicinò sussurrando qualcosa in un'altra lingua, francese forse, o in un dialetto locale. La sua euforia si acquietò. Si scontrò con gli occhi di quella Kate che gli si presentò come un ostacolo alla sua missione. Kate non era da sola a scontrarsi con il suo mondo, non era affidabile, non era quella persona e soprattutto non era Jenny.
- Lei ha perso il suo guanto.
Simon si trovò a parlarle, ma pensava di star fissando l'immagine dell'uomo ignoto riflessa nel grande specchio che inglobava i clienti del pub. Il viso della donna era completamente ricoperto di trucco, completamente mascherato. Lei lo fissò e sorrise, come se avesse previsto ogni sua mossa. Delle donne amava la loro imprevedibilità, ma non capiva perché lo cercassero, proprio lui che non cercava niente al di là dell'arte. Forse era una modella di quell'uomo tenebroso e così simile al suo sogno. Ora gli avrebbe chiesto si sedersi con loro, o di dove fosse, che cosa facesse là, o semplicemente di offrirle da bere. Troppe opzioni, troppi inganni.
- Lei ha perso il suo guanto.
Simon si trovò a parlarle, ma pensava di star fissando l'immagine dell'uomo ignoto riflessa nel grande specchio che inglobava i clienti del pub. Il viso della donna era completamente ricoperto di trucco, completamente mascherato. Lei lo fissò e sorrise, come se avesse previsto ogni sua mossa. Delle donne amava la loro imprevedibilità, ma non capiva perché lo cercassero, proprio lui che non cercava niente al di là dell'arte. Forse era una modella di quell'uomo tenebroso e così simile al suo sogno. Ora gli avrebbe chiesto si sedersi con loro, o di dove fosse, che cosa facesse là, o semplicemente di offrirle da bere. Troppe opzioni, troppi inganni.
lunedì 9 maggio 2011
Come scivolare
Seduto a un bar, vicino alla statua del suo poeta preferito, un signore anziano, dagli occhi fulvi, dipingeva con il fiato e gli sguardi assetati di cambiamento. A prima vista poteva essere adombrato dalla felicità di un gruppo di donne giovani, assuefatte alle sigarette e agli stuzzichini. L'attenzione di Simon era completamente assorbita da quell'uomo che non dava segni di cedimento fisico, malgrado fosse evidente il suo essere avanti con gli anni. Un verde scuro che segnava le linee intorno agli occhi lo rendeva sgargiante e vivo, al pari delle vicine di tavolo. Avrebbe potuto continuare a proferire parole di linee e tratteggi sul suo foglio immacolato, senza parlare d'altro, lo avrebbe fatto per Simon o per una delle ragazze inebetite dagli alcolici. Come un senso di dovere gli attraversò il corpo. Prima le gambe e poi le braccia e il busto furono immobilizzati dall'ingenuità della situazione: un giovane che si ferma a pochi passi da un gruppo di ragazze, leggendo un libro di poesie. Scena tipica di viandanti e stranieri. La verità era che Simon non aveva alcun desiderio di parlare, di intromettersi nelle loro vicende sdrucciolevoli. Era fermo al centro del bar, è vero, stranito non dal fumo e dal vocio della folla, ma da quell'uomo che stringeva in mano una lampada gialla e la puntava contro una tela annerita, dal tempo o dalla sua mano. Una delle tre donne si alzò dal tavolo e raggiunse Simon con un guanto di raso, giallo scuro, che arrivò alle sue spalle, come per avvolgerlo con il suo profumo. Lui lasciò cadere a terra quel fogliame sterile e poi si piegò per raccoglierlo, senza assicurarsi di consegnarlo alla ragazza, senza neanche chiederle chi fosse, privandola del suo sguardo. Quell'uomo poteva essere un loro conoscente, un padre o un marito, lasciato là, a dimenarsi nella sua arte per non essere di troppo tra gli altri. In altri casi sarebbe stato un uomo qualunque abbandonato al suo mondo, ma in quell'istante era l'intero presente di un ragazzo di provincia.
In città o tra i pensieri
Stava camminando, come se non fosse mai sceso a terra da un pianeta lunare, come se quel cappello fosse la sua ancora di salvezza nel freddo dell'inverno. Si girò a guardare un vecchio garage abbandonato, chiedendosi se avrebbe fatto bene a dirigersi verso un altro mondo sommerso, lontano dalla guerra dei suoi pensieri. Il paradiso era a pochi passi, ora lo sapeva, poteva ritornarvi e essere unico detentore del suo regno. A fermarlo erano auspici che sembravano assoli in un coro immenso di ripetizioni. I momenti di autoinganno continuavano a renderlo protagonista: nessuno avrebbe potuto riallacciarlo alla sua prima fonte di salvezza, un rifugio antico di rimpianti che adesso, finalmente, apparivano come all'imbrunire. Quella certezza poteva essere una raffigurazione astrale della sua vita. A questo punto poteva iniziare a riformare la sua esistenza dal principio, senza rimorsi, senza affanni.
La sua Jenny era ancora da qualche parte e lo avrebbe ritrovato, forse per caso, impattando con lui a una fila per i biglietti dell'opera, mentre chiedeva le sue sigarette, camminando con l'aria solita di un'entità divina. Lui l'avrebbe riconosciuta sotto qualsiasi forma, anche se fosse stata la postina ubriaca dell'affittuaria. In qualunque posto era il luogo della sua sperimentazione a essere desiderabile dagli altri personaggi dei sogni di un mondo inquieto e ancora da scoprire, pensava Simon, ormai contenuto, sabbia di una clessidra che nessuno tranne Dio poteva tenere in mano. La sua era una fede raffinata dalla fatica, abbandonata la ricerca di popolarità data dalla sua parziale stranezza, ora sapeva che era solo una pedina su una scacchiera che lui stesso poteva prendere in mano e spostare. La notte era una nuova era, forse da dire e non da pensare come un'esistente: il buio era regolato dalla sua visione, a occhi aperti ascoltava come fosse bendato i motivi effimeri della similitudine sulla quale sembrava essersi trasferito. Che importava ormai la fama? Niente. La sua dissolutezza era anima di altre epoche e nessuna guerra lo avrebbe separato definitivamente dalla saggezza dei pochi giorni a casa Klein. La situazione era ormai chiara: lui non era mai stato prima di allora, non era mai diventato altro, non era mai riuscito a cambiare. A distorglierlo dai suoi pensieri sarebbero stati pochi attimi di sospensione: la strada che portava in città, dal museo, era interrotta.
La sua Jenny era ancora da qualche parte e lo avrebbe ritrovato, forse per caso, impattando con lui a una fila per i biglietti dell'opera, mentre chiedeva le sue sigarette, camminando con l'aria solita di un'entità divina. Lui l'avrebbe riconosciuta sotto qualsiasi forma, anche se fosse stata la postina ubriaca dell'affittuaria. In qualunque posto era il luogo della sua sperimentazione a essere desiderabile dagli altri personaggi dei sogni di un mondo inquieto e ancora da scoprire, pensava Simon, ormai contenuto, sabbia di una clessidra che nessuno tranne Dio poteva tenere in mano. La sua era una fede raffinata dalla fatica, abbandonata la ricerca di popolarità data dalla sua parziale stranezza, ora sapeva che era solo una pedina su una scacchiera che lui stesso poteva prendere in mano e spostare. La notte era una nuova era, forse da dire e non da pensare come un'esistente: il buio era regolato dalla sua visione, a occhi aperti ascoltava come fosse bendato i motivi effimeri della similitudine sulla quale sembrava essersi trasferito. Che importava ormai la fama? Niente. La sua dissolutezza era anima di altre epoche e nessuna guerra lo avrebbe separato definitivamente dalla saggezza dei pochi giorni a casa Klein. La situazione era ormai chiara: lui non era mai stato prima di allora, non era mai diventato altro, non era mai riuscito a cambiare. A distorglierlo dai suoi pensieri sarebbero stati pochi attimi di sospensione: la strada che portava in città, dal museo, era interrotta.
domenica 8 maggio 2011
L'inizio
Quando si appoggiò alla porta del palazzo che aveva letto sulla mappa si ricordò di quanto tempo era trascorso. L'orologio era al suo polso come a inquadrare il vecchio modo di vedere la realtà, a ricordargli che non era tutto falso, arrendersi non era la via giusta. Qui palazzi enormi, sudditi di un regno passato per restare inguaribile, lo riportavano alla notte e alla nebbia del cambiamento. Malgrado non fosse la sola bandiera della sua esistenza, quella della circolarità di ogni sentimento che aveva imparato a eludere, ora si sentiva affogato da un altro pensiero: la bellezza passeggera della sua attualità. Avrebbe cercato un sostegno interiore meno forte di una semplice popolarità, avrebbe cercato la finitezza di una mansione per ritornare nella certezza della natura, ricreando la natura nella forma umana nella quale si trovava a vivere. La porta era aperta e si catapultò nella bellezza antica di un museo, dove il bianco era trasparenza ai suoi occhi ormai abituati ai colori forti della campagna e a quegli odori che mai avrebbe portato via. La notte era finita, la bellezza era ordine nella mente di un uomo ormai lontano da ogni schema e vicino alla prima vera esistenza.
A dormire sull'argine della finestra un gatto rosso come non credeva esistessero. La sua mente ritornò alla frontiera del futuro, dove nessuno, né Jenny, né le sue pretese, si annidavano per poi fuggire. Aveva ragione a non disturbarlo, come aveva ragione a continuare a osservare il marmo e il granito del pavimento che raffreddava finalmente la sua corsa. La nascita della speranza era nel rispetto della libertà, libertà degli altri e delle cose, così come si trovano a vivere. Nella notte non c'era altro da vedere, era questo il segreto della natura, mentre ora, nel giorno della sua ribellione al passato, l'immobilità dei quadri e delle statue lo rendeva protagonista. Credeva che non ci fosse fine alla sua euforia e pensava che non ci fosse nessuna circostanza a permettergli di ritornare indietro.
A dormire sull'argine della finestra un gatto rosso come non credeva esistessero. La sua mente ritornò alla frontiera del futuro, dove nessuno, né Jenny, né le sue pretese, si annidavano per poi fuggire. Aveva ragione a non disturbarlo, come aveva ragione a continuare a osservare il marmo e il granito del pavimento che raffreddava finalmente la sua corsa. La nascita della speranza era nel rispetto della libertà, libertà degli altri e delle cose, così come si trovano a vivere. Nella notte non c'era altro da vedere, era questo il segreto della natura, mentre ora, nel giorno della sua ribellione al passato, l'immobilità dei quadri e delle statue lo rendeva protagonista. Credeva che non ci fosse fine alla sua euforia e pensava che non ci fosse nessuna circostanza a permettergli di ritornare indietro.
La notte dei ricordi
Giocava con il mondo, scherzava con le gocce di rugiada posate sul muso della volpe che incontrò sul sentiero: se fosse stato sufficiente a far presagire il suo nuovo modo di volersi porre al mondo se ne sarebbe accorto incontrando qualcuno di nuovo, di inaspettato come i suoi giorni irradiati dalla primavera. La notte era finita, la certezza del passato anche, come in un bunker il passato, come una prigione la sua versatilità in un luogo ostile come quello di cui si era liberato. La violenza che avevano subito le persone che lo avevano incontrato era almeno la stessa che aveva subito vivendo di presunzioni e di circostanze infauste. La notte era finita, la musica era nella ghirlanda di fiori che immaginava di avere al collo mentre correva. Per non dimenticare di essere parte di un mondo reale ora iniziava a trovare note musicali nella sua voce e estendeva le corde vocali al massimo, facendo da controcanto agli uccelli del bosco. Era con loro, a redimere la specie umana, a tentare di salvare la sua famiglia che ora incarnava nella totalità del suo essere. Le speranze erano ancora nascoste, ma solo come potenzialità da applicare, giacché ogni desiderio era come scomparso. Sarebbe rinato, ne era consapevole, sarebbe risorto un nuovo ponte di unione con la gente. Chissà, tuttavia, se sarebbe stato nuovo, privo di buonismo e di avidità. Se lo domandò, e questo gli sembrò già un pensiero puro, calibrato a quelli che la sorella gli aveva suggerito nel saltare da un rivolo a una roccia. La natura era parte di un altro giorno da vivere: avrebbe vissuto lo spazio come fosse un nuovo modo di sentire il tempo. Sarebbe stato divino, lui stesso, senza pensare di sé quello che gli facevano pensare, ma cercandosi mentre serviva il mondo. Nessuno lo sapeva, ancora, neanche Jenny, nessuno lo chiamava con il suo nome, e si sentiva libero di essere privo di nome, per riottenerlo presentandosi con modi che ancora non conosceva. Non sarebbe stata la città a essere nuova, sarebbe stato lui quello che si sarebbe conosciuto tra gli altri, come fossero anche loro rondini, tortore, come fossero massi sui quali riposarsi.
Presentimenti
Un presagio iniziava a tormentare il suo sostare: era dominato dalla natura o avrebbe potuto essere suo amico, crescere con lei e fare della sua vita una vita buona, al sicuro da ogni tentazione e da ogni futilità? La prima sua vera mica, Jenny, era davvero esistita o era un sogno sbagliato dell'infanzia artificiale in cui lui, come la maggior parte delle persone, era immerso? La risposta era alla fine di quel sentiero. La risposta non esisteva allo stesso modo di quel masso che lo aveva reso come invincibile. Aveva vissuto come un solitario, è vero, tra la gente solitaria come lui, mentre ora, in quella via fatta da uomini semplici, era un uomo intero. La risposta era nella terra o nel cielo, nella forma delle nuvole o negli amici che aveva lasciato nel suo paese, o in nessuno di quei luoghi, fisici e mentali che aveva conosciuto fino a quel momento? Una mano magica distingueva tra le paure e i sogni, tra i pensieri vacui e le notti della memoria. ancora quella sorta di miracolo, ancora quell'insolenza della natura, quell'assiduo occuparsi di lui, parte dell'equilibrio. A cercare di fermarlo neanche un tasto sul computer, neanche una folata di vento mista a smog che lo facesse inquietare.
In una dimensione sovraumana di piacere e come volesse chiedere scusa a Dio, iniziò a correre, come faceva da bambino, fiondandosi verso il mare, verso la meta ormai quasi inutile della città.
In una dimensione sovraumana di piacere e come volesse chiedere scusa a Dio, iniziò a correre, come faceva da bambino, fiondandosi verso il mare, verso la meta ormai quasi inutile della città.
Sassi
Le parole sono parte continua di un nucleo vitale. La lettura di Simon era una cornice al flusso di pensiero che era in ogni ramoscello caduto sul prato, di ogni filo d'erba, di ogni fiore selvatico. La paura del futuro era scomparsa. Il futuro, nel cuore pulsante della terra, non era che il fluire di un equilibrio. In quel posto che gli era apparso sperduto c'era tutto il desiderabile e anche quello che nessuno avrebbe mai sognato di volere per sé. Nessuna traccia di malvagità, solo la logica della preda e del predatore, la logica della sopravvivenza e della riproduzione. Nessun peccato, nessun fraintendimento. La campagna era un teatro di felicità. Se tutti avessero smesso di desiderare quello che non dà alcuna gioia, come il denaro, le ricchezze materiali, se ciascuno avesse pensato solo alla condivisione della felicità sarebbe pace, sarebbe gioia. Nessuno partirebbe per allontanarsi, nessuno resterebbe solo. In natura gli animali collaborano alla difesa della propria tribù, difendendosi dalle altre specie. Lui sarebbe stato protetto dai suoi familiari, se non avesse incontrato il dolore della malvagità. I suoi pensieri vagavano liberi, in un albero di conseguenze logiche che erano vere, chiare, come se fossero da sempre parte dell'universo e lo stessero aspettando su quel sasso gigante.
sabato 7 maggio 2011
Vento di parole
Il viottolo si immergeva in una costellazione di fiori che facevano tutt'uno con l'orizzonte. Simon era ancora solo, una guida di se stesso, un po' malandata, che si apriva la strada verso la città. Nella realtà che andava scoprendo con quei passi rincorreva i suoni della palude, finalmente immerso in un unicum, tormentato ma silenzioso, con la natura. A sviarlo dalla sua leggera allegria erano le preoccupazioni di un viandante, sconosciuto probabilmente alla maggior parte delle persone. Ma la verità era là, a pochi passi dal fiume, oltre il ponte di faggio, oltre le capanne dei pastori. Avrebbe potuto fermarsi a dirigere il pensiero delle farfalle, dei grilli, a domandare alle foglie di inneggiare qualche fata e aspettare che il giorno trascorresse come una corrente marina. Si fermò qualche istante appoggiandosi su un masso. Tastò la superficie liscia e ne apprezzò il muschio che si inerpicava a mimetizzare la perfezione della pietra. Il suo nord era ormai solo un segnale per le greggi, bussola per il pastore, in quella campagna senza strade e senza nome.
Poteva sentire il profumo della ginestra, la rima che gli uccelli intessevano con le cicale, nulla era più fondamentale, nulla era nostalgico.
Riapparire all'improvviso
Sembrava impossibile che quello nella sua memoria fosse proprio la stessa persona che dieci anni prima aveva scaraventato la lettera sul pavimento. Eppure in quella scatola di latta c'era davvero il resoconto dettagliato di altri cinque o sei anni di autoinganno, di ipocrisia o di illusioni. In realtà non ci pensava da un bel po' di tempo, la colpa era certamente dei medicinali per la tosse e del sole che con l'imbrunire mirava dritto in faccia. Eppure quell'inquietudine era la stessa, sarà che qualche giorno prima, ormai forse un mese o due, gli era sembrato di vederlo sul treno, e che poi nell'albergo ne aveva sentito la presenza. O era una reincarnazione di qualche sciamano o era un caso assolutamente assurdo e imprevedibile. Lo stesso giorno Jenny lo aveva chiamato, dicendo che quel qualcuno lo cercava a casa. A casa? Dopo tanto tempo? Ma non era in Egitto a raccogliere reperti? Eppure sentiva che la scintilla palpitava ancora nel favo del passato: la categoria passato afferiva a qualunque azione del presente veniva compiuta da quell'entità. Perfettamente in linea con la teoria, di inconsapevole applicazione, tipica delle filosofie orientali.
Regni di petali
A fine mattina si annebbiò ogni pensiero. Quel buio gli ricordava il medioevo, il fardello che portava con sé, il gusto dell’orrido che la sorella gli aveva trasmesso. Sembrava una rinascita dalla distruzione del peccato. Come aver abbandonato un riflesso su un lago, averlo avvolto in un cartoccio e risposto tra i giocattoli dell’infanzia, sperando che mai nessuno lo avrebbe potuto ritrovare. La sua completezza non supponeva una persona da sfruttare, in questo era così diverso dalla sua compagna d’infanzia. Nessuna scatola da trasportare il giorno di Natale, nessun lavoro di autocompiacimento forzato per snellire quello dell’interlocutore. La dimensione onirica nasceva come un filamento di rugiada nelle pianure della steppa. Il primo invito fu il meno ostile: per la città c’era una strada stretta, un viottolo sottile e assolato. Avrebbe potuto percorrerlo a piedi, o in bicicletta in modo da non disturbare. Scese dal letto e ne raccolse le lenzuola, accorgendosi dell’ordine perfetto della casa. Se la città fosse stata allo stesso modo al suo cospetto avrebbe cambiato l'intera concezione della vita e si sarebbe mostrato nella sua unicità. Ancora pochi passi, un salto dalle scale, per la via breve del passamano largo a mo’ di scivolo e via, verso la verità.
A poca distanza dalla sua figura esile un’immagine bluastra, forse di uno spettro antico. Ancora lei, proprio mentre Simon decideva di essere il principe del nuovo regno?
L'incertezza del domani
Durante la prima sera affacciato al balcone c’era una dimensione solitaria di colori e frammenti di senso. Il polline si era trasformato in ali e il pensiero del domani era diventato per Simon una razione di cibo succulento da assaggiare e degustare. Il domani era senz’altro da inventare e lui ci sarebbe stato, avrebbe fatto parte del grande cerchio della vita. La sua prima versione del mondo era solo una copertina da lasciare nella cassa di un negozio. Come altri valori scambiabile e senza un’emozionalità, come una valuta estera da non poter tramutare in sentimenti. Aprire quella porta e uscire. Cosa avrebbe portato alla sua esemplarità? Non era forse un originale anche qui, in una metropoli? Certo, non poteva essere trafitto dalle parole affilate dei vicini. Il vicinato era sostituito da un deserto. Avrebbe dovuto avere un autista, ma nessuno in famiglia ne usufruiva. A trasportarlo sarebbe stata la fredda coinquilina o l’assidua e confortante padrona di casa? L’importante era andare, immergersi nel nulla della città.
Nella stanza della memoria
Sapeva esattamente a quale periodo dell'anno si riferissero quei punti che il suo alter-ego aveva riprodotto. Conosceva il luogo in cui erano riposti i suoi ultimi disegni allontanati dal vortice del fuoco. Oltre a ciò era tutto nuovo e irreale. A cercarlo non vi era che un limo solitario di credenze e antichi proverbi, di missioni e progetti lontani ma riconducibili a respiri. I pensieri facevano i gitani di un fervore richiesto a pochi, perlopiù a coloro che si erano dissolti nella favola di un giorno sognato. La prima sera a casa Klei Simon ormeggiava su un tappeto di fili elastici: temeva di romperli ma doveva restare.
Nessuno riusciva a unire la sua energia a quella della sua arte, ancora inespressa, della duttilità. Un mondo sommerso risuonava nelle sue orecchie. Era la conchiglia del nonno che ancora sostava sulla scrivania, a dare senso al passato frenetico e avventuriero dei suoi avi. Pochi consigli, poche speranze, ma una coinquilina del solfeggio che lo salutava la mattina senza sedurlo. Intuiva a stento il suo segreto: era prigioniera o regina? In ogni caso era là, dritta, ferma, solitaria come lui.
Nessuno riusciva a unire la sua energia a quella della sua arte, ancora inespressa, della duttilità. Un mondo sommerso risuonava nelle sue orecchie. Era la conchiglia del nonno che ancora sostava sulla scrivania, a dare senso al passato frenetico e avventuriero dei suoi avi. Pochi consigli, poche speranze, ma una coinquilina del solfeggio che lo salutava la mattina senza sedurlo. Intuiva a stento il suo segreto: era prigioniera o regina? In ogni caso era là, dritta, ferma, solitaria come lui.
venerdì 6 maggio 2011
Dopo la tempesta
Nella sua casa, lontano dalle musiche che ossessionano, Simon andava su e giù dall’amaca, cercando un riposo che fosse meno ovvio di quello portato dalla notte. Dopo alcuni giorni trascorsi nella solitudine del suo letto si era limitato a riaffacciarsi alla finestra, controllando se i fiori fossero appassiti, se il mercato avesse levato via le tende e se mai Jenny fosse ancora in giro per una sigaretta sul balcone. Il suo cuore era meno gonfio di lacrime, i suoi pensieri meno torbidi del giorno in cui era caduto dal pontile. Nessuno lo aveva chiamato, la sua anima era soppiantata dall’aria fresca e primaverile che non portava nella sua casa altro che nostalgia. Il passato era ritornato senza nessuna presenza umana, era solitario e visionario. Anche il suono del campanello nella stanza appena arredata era un eco della vita altrui. Seduti come commensali, i suoi pensieri erano meno ovvi di quelli della televisione ma meno nitidi: apparivano come prigionieri di un vento anarchico, privi di una dimora fissa. Quella cena era già accaduta, quel posto a sedere dietro la barriera del dolore della perdita era intoccabile.
Ripensando alla sua vita Simon aveva perso il senso del tempo. Ora, come sempre dopo una visita, aleggiava quel senso di inatteso, quello del non fatto, del soppiantato, allontanato dalla sua immagine della realtà. Riaffioravano emozioni dalle valanghe dei ricordi come a riemergere nella pioggia della speranza, volontà di vedere senza mezze misure, vedere il giorno fiorire come un vestito fresco e liscio, acqua che dai pensieri arriva alla germinazione. Accadeva sempre, quando si immergeva nella ricerca dei ricordi, a quegli ologrammi che nominava con nomi di donna che assorbivano solo fatti spiacevoli del suo trascorso. Altre immagini erano come apparizioni e come un tappeto volante distruggevano il senso del cammino lento e della riflessione. Poche persone avevano sorvolato il frastuono del suo silenzio, quando stava seduto per non girare l’angolo della notte e pensare all’alba. Appariva come una mossa decentrata, uno scarto da fare proprio, come a non poter essere assunto a pilastro del futuro. Ancora un’azione solitaria, un feticcio da estirpare dal giardino. Si guardava allo specchio e vedeva un riaggomitolarsi di mosse sbagliate, di percorsi storpiati dall’intangibile. Sperava di rivederne il compitare nel futuro di una famiglia, ma sapeva bene che niente è sostituibile all’affidabilità del suo viso. Quale persona lo avrebbe ancora avvicinato senza emettere un sibilo di sgomento, un mugolio inatteso? Un abbandono del primo desiderio di riconcialirsi con il mondo fu l’unico spettro di emozione che riuscì a interagire con la sua indifferenza. Come a essere sempre seduto nel suo corridoio dimesso, risaliva sull’albero della coscienza come per riammettere il suo animo alla corte della vita. Proclamava al suo impalpabile sentimento, convinto di essere come molti altri seguaci di un senso nascosto, reale e finito. Jenny era ancora nella caduta di quel giorno, forse lo cercava come fosse lei stessa un puntino sullo sfondo, sulle strade, incendiate dai girovaghi. Il suo sorriso riaffiorava nella coltre dei passanti. Gli occhi erano senza tempo, come un segreto riposto nel tesoro unico delle speranze della giovinezza, a voler riaccordare la terra alla luna. Lei non era un desiderio, non era un’apparizione, non era una certezza per il futuro. Granelli di sabbia nelle pareti della solitudine, un album fotografico di luoghi mai visti dal vero. Eppure le immagini erano prodotte da pellicole toccate anche da altri, sentite da un estraneo, prima di riaffondare nel suo cassetto. Come poteva averle dimenticate? Ora riaffondava in un particolare di quelle immagini, ma ne percepiva la dimensione onirica. Avrebbe dovuto essere da un’altra parte del mondo, per ricominciare a essere strumento di un domani.
Scese dalla sua pianta magica, dalle favole raccontate nella sua infinzia da strani contrabbandieri del sogno. Accolto dalle vecchie scarpe e ritornato alla scrivania proprose alle sue orecchie un tintinnio come fosse uno scioglilingua, propose di non essere un vecchio vegliardo e si lasciò andare alla filosofia di un’ora senza guazzabugli di immagini. Risaltò un sogno, in una spiaggia assolata, di qualcuno che lo cercò e gli disse di non temere troppo i suoi mostri del passato. Lo prese per mano, vestito di bianco com’era sempre quando appariva. Aprì una porta e lo lasciò andare, sentendo che quell’uomo-angelo era sempre lui, senza nostalgia, senza rimorso, senza altri inganni. Chiuse la porta e si svegliò: la notte allineava i pensieri ai desideri, nel calore di un passato mai arenato, nella certezza di una fioritura, nella sicurezza di poter essere, ancora. Quando lui ritornò sotto le spoglie della sua prima esistenza, cercò nella consapevolezza della complicità una dimensione onirica, indisponente per il giorno.
Simbiosi
La tempesta del suono irruppe nel soliloquio della vita di Simon. Nel sibilo del vento a giocare con i ricordi fu la barba bianca che soppianta gli occhi sfiniti. La sensazione era qualcosa di sintomatico alla sua nuova visione. Dopo giorni di attesa, come un sussulto di tempesta e dannazione. La separazione, la ginestra sul balcone, nel primo giorno di vita nella casa spalancò le griglie del suo assolo.
Girato l’angolo, una sinestesia di sensazioni e percezioni lo richiama alla realtà. Petali di speranze, quei pomeriggi di freddo e fortuna gli si allineavano tra i denti come a permettergli di gustarne le piccole particolarità. Solo al mondo è come dire senza fine.
Nell’istante in cui aprì gli occhi riecheggiò un barlume del primo respiro. Come a simulare giorni di pura simbiosi con la vita. Se quella fosse stata la prima vera armonia da ricordare non sarebbe durata per sempre, neanche se lei avesse pregato ancora, ogni notte.
A riunire le sensazioni di risolutezza e di obbedienza in quei momenti di rinascita fu l’essenza di una margherita, isolana di un prato selvaggio. I colori riecheggiavano come fossero tessere di un puzzle distrutto dalla polvere. Mentre usciva lentamente dal suo mare di assiduità, le linee d’orizzonte degli sguardi scemarono. Allontanate dalla massa di germogli le sue stesse richieste cambiavano direzione. Nessun’altro avrebbe potuto riaffiorare tra le circolarità delle speranze accumulate in un limo orientale.
Verso la fine della parete splendevano angolature e piani, come bambini che osservano gli interstizi senza chiedersi il motivo. L’accadere è immotivato, rimpianto di un tempo mai posseduto. Senza generosità nel dolore, senza finzione nella gioia che non esisterebbe se i due estremi non si completassero. Simon era appena risalito, come provenisse da un eco, alla fine della scala. Recitava come un copione di sgomento, accentuando il rimosso, il passato, lasciandolo al futuro di un sicuro cercarsi, come nel primo incontro.
La sua filosofia di vita era la stessa di qualsiasi altro uomo che fa del suo risveglio lo specchio del suo essere nel mondo. Dopo un’aggressione al ricordo, con quel raggio di speranza nebbiosa, il frugare del tempo nella notte rimase il solo dipinto da conservare. Quello vero, invece, fatto di anni di rinunce, era ancora imballato nel laboratorio della sua infanzia. Non sospettava in nessun caso di essere al centro della vita di qualche altro ramingo e, d’altro canto, non fingeva di essere la ragione di vita di nessuna donna. Vivere era l’unica forma che conosceva, senza specificazioni, senza rimpianti. Un senso di colpa lo attraversava raramente, quella colpa che gli faceva domandare se è giusto continuare a amare senza pretendere di impossessarsi di un’altra vita. In un primo momento di sgomento, dopo aver scoperto di non riuscire a dimenticare il suo profondo dissidio con il mondo, rimase a stento sul filo di lana del suo gioco. Ritrovare il primo insistente avvicendarsi del senso lo fece ricomporre del tutto: come nelle favole con un pessimo finale, il rinfrangersi sui vetri delle gocce di pioggia fu nemesi pura.
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