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venerdì 6 maggio 2011

Simbiosi


La tempesta del suono irruppe nel soliloquio della vita di Simon. Nel sibilo del vento a giocare con i ricordi fu la barba bianca che soppianta gli occhi sfiniti. La sensazione era qualcosa di sintomatico alla sua nuova visione. Dopo giorni di attesa, come un sussulto di tempesta e dannazione. La separazione, la ginestra sul balcone, nel primo giorno di vita nella casa spalancò le griglie del suo assolo.
Girato l’angolo, una sinestesia di sensazioni e percezioni lo richiama alla realtà. Petali di speranze, quei pomeriggi di freddo e fortuna gli si allineavano tra i denti come a permettergli di gustarne le piccole particolarità. Solo al mondo è come dire senza fine.
Nell’istante in cui aprì gli occhi riecheggiò un barlume del primo respiro. Come a simulare giorni di pura simbiosi con la vita. Se quella fosse stata la prima vera armonia da ricordare non sarebbe durata per sempre, neanche se lei avesse pregato ancora, ogni notte.
A riunire le sensazioni di risolutezza e di obbedienza in quei momenti di rinascita fu l’essenza di una margherita, isolana di un prato selvaggio. I colori riecheggiavano come fossero tessere di un puzzle distrutto dalla polvere. Mentre usciva lentamente dal suo mare di assiduità, le linee d’orizzonte degli sguardi scemarono. Allontanate dalla massa di germogli le sue stesse richieste cambiavano direzione. Nessun’altro avrebbe potuto riaffiorare tra le circolarità delle speranze accumulate in un limo orientale.
Verso la fine della parete splendevano angolature e piani, come bambini che osservano gli interstizi senza chiedersi il motivo. L’accadere è immotivato, rimpianto di un tempo mai posseduto. Senza generosità nel dolore, senza finzione nella gioia che non esisterebbe se i due estremi non si completassero. Simon era appena risalito, come provenisse da un eco, alla fine della scala. Recitava come un copione di sgomento, accentuando il rimosso, il passato, lasciandolo al futuro di un sicuro cercarsi, come nel primo incontro.
La sua filosofia di vita era la stessa di qualsiasi altro uomo che fa del suo risveglio lo specchio del suo essere nel mondo. Dopo un’aggressione al ricordo, con quel raggio di speranza nebbiosa, il frugare del tempo nella notte rimase il solo dipinto da conservare. Quello vero, invece, fatto di anni di rinunce, era ancora imballato nel laboratorio della sua infanzia. Non sospettava in nessun caso di essere al centro della vita di qualche altro ramingo e, d’altro canto, non fingeva di essere la ragione di vita di nessuna donna. Vivere era l’unica forma che conosceva, senza specificazioni, senza rimpianti. Un senso di colpa lo attraversava raramente, quella colpa che gli faceva domandare se è giusto continuare a amare senza pretendere di impossessarsi di un’altra vita. In un primo momento di sgomento, dopo aver scoperto di non riuscire a dimenticare il suo profondo dissidio con il mondo, rimase a stento sul filo di lana del suo gioco. Ritrovare il primo insistente avvicendarsi del senso lo fece ricomporre del tutto: come nelle favole con un pessimo finale, il rinfrangersi sui vetri delle gocce di pioggia fu nemesi pura. 

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