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sabato 7 maggio 2011

Regni di petali

A fine mattina si annebbiò ogni pensiero. Quel buio gli ricordava il medioevo, il fardello che portava con sé, il gusto dell’orrido che la sorella gli aveva trasmesso. Sembrava una rinascita dalla distruzione del peccato. Come aver abbandonato un riflesso su un lago, averlo avvolto in un cartoccio e risposto tra i giocattoli dell’infanzia, sperando che mai nessuno lo avrebbe potuto ritrovare. La sua completezza non supponeva una persona da sfruttare, in questo era così diverso dalla sua compagna d’infanzia. Nessuna scatola da trasportare il giorno di Natale, nessun lavoro di autocompiacimento forzato per snellire quello dell’interlocutore. La dimensione onirica nasceva come un filamento di rugiada nelle pianure della steppa. Il primo invito fu il meno ostile: per la città c’era una strada stretta, un viottolo sottile e assolato. Avrebbe potuto percorrerlo a piedi, o in bicicletta in modo da non disturbare. Scese dal letto e ne raccolse le lenzuola, accorgendosi dell’ordine perfetto della casa. Se la città fosse stata allo stesso modo al suo cospetto avrebbe cambiato l'intera concezione della vita e si sarebbe mostrato nella sua unicità. Ancora pochi passi, un salto dalle scale, per la via breve del passamano largo a mo’ di scivolo e via, verso la verità.
A poca distanza dalla sua figura esile un’immagine bluastra, forse di uno spettro antico. Ancora lei, proprio mentre Simon decideva di essere il principe del nuovo regno? 

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