Quando si appoggiò alla porta del palazzo che aveva letto sulla mappa si ricordò di quanto tempo era trascorso. L'orologio era al suo polso come a inquadrare il vecchio modo di vedere la realtà, a ricordargli che non era tutto falso, arrendersi non era la via giusta. Qui palazzi enormi, sudditi di un regno passato per restare inguaribile, lo riportavano alla notte e alla nebbia del cambiamento. Malgrado non fosse la sola bandiera della sua esistenza, quella della circolarità di ogni sentimento che aveva imparato a eludere, ora si sentiva affogato da un altro pensiero: la bellezza passeggera della sua attualità. Avrebbe cercato un sostegno interiore meno forte di una semplice popolarità, avrebbe cercato la finitezza di una mansione per ritornare nella certezza della natura, ricreando la natura nella forma umana nella quale si trovava a vivere. La porta era aperta e si catapultò nella bellezza antica di un museo, dove il bianco era trasparenza ai suoi occhi ormai abituati ai colori forti della campagna e a quegli odori che mai avrebbe portato via. La notte era finita, la bellezza era ordine nella mente di un uomo ormai lontano da ogni schema e vicino alla prima vera esistenza.
A dormire sull'argine della finestra un gatto rosso come non credeva esistessero. La sua mente ritornò alla frontiera del futuro, dove nessuno, né Jenny, né le sue pretese, si annidavano per poi fuggire. Aveva ragione a non disturbarlo, come aveva ragione a continuare a osservare il marmo e il granito del pavimento che raffreddava finalmente la sua corsa. La nascita della speranza era nel rispetto della libertà, libertà degli altri e delle cose, così come si trovano a vivere. Nella notte non c'era altro da vedere, era questo il segreto della natura, mentre ora, nel giorno della sua ribellione al passato, l'immobilità dei quadri e delle statue lo rendeva protagonista. Credeva che non ci fosse fine alla sua euforia e pensava che non ci fosse nessuna circostanza a permettergli di ritornare indietro.
Nessun commento:
Posta un commento