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giovedì 12 maggio 2011

Orazioni

Barcollando dopo una normale giornata tra le mura della prigione di vetro, Simon trovò nel letto l'unico mezzo di consolazione. Un riposo da osservare come un obbligo. A poche ore di distanza dall'atterraggio nell'isola misteriosa di una città invisibile la forza di quegli incontri era ancora vivida. Senza andare verso le stanze degli altri coinquilini, di Jenny e di sua madre, si adagiò su una parete calda, un tappeto di fiori e come in un lago di ninfee rimase a nuotare tra i sogni. Stavolta era certo che fossero sogni notturni e non vere immagini del passato. Poteva giocare con le stelle che vedeva a occhi chiusi. Le sue orecchie fortunate sentivano altre melodie, quelle delle sere al pub e delle chiacchierate con Din e Petra. Bisognoso di quiete e di relax: non aveva niente da chiedere, niente da dire. Ascoltare era come assicurarsi il paradiso per il giorno seguente, come un compito da eseguire per redimersi. Da cosa e per quale motivo in realtà non era chiaro neanche a lui. Partire anche senza motivo avrebbe potuto essere un modo per sentire meno peso su di lui, errando come a dimenticare le resistenze della libertà. Lontani o vicini che fossero, quei personaggi della suo storia erano sempre vivi, come a voler allietare la certezza di una serenità anelata tanto da esser raggiunta.
In pochi attimi riassunse la sua visione del mondo: andare anche il giorno seguente a Farly avrebbe confermato la sua vera scissione con il vecchio Simon. Avrebbe dormito sul pavimento, a scongiurare qualsiasi dubbio sulla sua volontà di essere l'umiltà in persona, incarnata nel suo corpo e nella sua animalità. Pur di non addormentarsi decise di riaprire il suo vecchio libro di poesia e di tormentare soltanto una parte della sua anima. In quel modo avrebbe sentito illuminarsi solo una sola metà della luna, quella sera, come se una parte del sole fosse sempre vivo dal lato aperto della ferita. Non la sentiva da molti giorni, la ferita del tradimento. Non sapeva cosa fosse la delusione della solitudine: la sua era quella parte della parete che aveva adibito a guardaroba dell'anima. Avrebbero potuto anche massacrare le sue istanze, le sue mani avrebbero potuto essere scheletriche e avrebbe potuto anche non cibarsi per mesi senza sentire alcun rancore. Avrebbe invece ringraziato per ogni attimo di abbandono a sé stesso: nessuno lo avrebbe mai più raggiunto lassù in cima al regno del bene. La sua più grande fortuna era quella di non dover chiedere di sentire la vicinanza con l'equilibrio vitale, giacché se gli era tolta anche la cosa più importante era come se lui stesso lo avesse chiesto a Dio. Ringraziare era l'unica possibilità che aveva e non era un compito gravoso. Nei primi tempi del suo volo assemblò una serie di immagini a formare un mosaico di colori e forme assicurate alla porta principale della sua stanza. Camminava nella stanza per non dimenticare quelle frasi e le faceva riemergere nei discorsi a casa Klein, stupendo i commensali della sua giostra di parole. Si diresse con tanta gioia a ricevere la sua porzione di saggezza che lui stesso divenne il portatore di sinestesie e di mimesi: era un attore senza regista e un poeta senza l'obbligo di smentire la sua immanenza. Era unico come chiunque e se fosse stato privo di un tetto sulla testa sarebbe stato un'altra forma vivente o solo un essere organico. Anche quel masso era inebriato di calore e il sole era là, a incidere viandanti sul corpo inorganico della pietra. In pochi attimi circondò la stanza del suo dubbio con nastri colorati e ne diresse il movimento con soffi nell'aria. Il suo dire era nuovamente ossigenato, lontano da ogni grigiore. Parlava di finestre e di comignoli come se fossero le delizie prelibate di cui cibarsi, e il cibo era una liana all'eternità. Se si fosse addormentato sarebbe andato in un luogo intangibile o forse non ancora attingibile dal presente. In ogni caso non era un sogno senza cardini nella sua terra: c'era tutto il suo dissuadere il mondo dall'annientarlo, in quelle azioni sfrontate e ancora inibite dalla timidezza. Decise di remare e navigare in quell'oceano immerso nell'essenza cristallina del presente.

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